Aprile 10th, 2023 Riccardo Fucile
IL NOSTRO PAESE E’ SOTTO LA MEDIA EUROPEA
Un giovane italiano su 4 tra i 15 e i 29 anni (poco meno del 25%) è a rischio povertà, le statistiche Ue del 2021 sono chiare. Mentre la percentuale Ue per l’intera popolazione è al 17% l’Italia è al 20%. Il nostro Paese si attesta al quinto posto della classificadei Paesi dove la vita dei giovani è più complicata.
Nel 2021, sempre secondo i dati Eurostat, il tasso di rischio di povertà nell’Ue è stato più elevato per i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni rispetto alla popolazione totale (20,1% rispetto al 16,8%; una differenza di 3,3 punti percentuali). Sempre nell’Ue nel 2021 il tasso di grave deprivazione materiale e sociale tra i giovani (sempre di età compresa tra i 15 e i 29 anni) è stato del 6,1%, mentre il tasso di deprivazione materiale e sociale tra la popolazione totale (tutte le persone che vivono in famiglia) è leggermente più elevato, pari al 6,3%.
Per “deprivazione” si intende non avere la capacità di far fronte a spese impreviste o di permettersi di pagare una settimana di ferie fuori casa. Ma anche la capacità di far fronte agli arretrati (su mutuo o affitto, bollette). Eurostat valuta anche la capacità di permettersi un pasto a base di carne, pollo, pesce o vegetariano equivalente a giorni alterni o di mantenere la casa in modo adeguato. Avere a disposizione un’auto per uso personale.
(da Globalist)
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Aprile 10th, 2023 Riccardo Fucile
PARLA L’AMMIRAGLIO A LUNGO AI VERTICI DELLA GUARDIA COSTIERA: DALLA TRATTATIVA SEGRETA TRA GOVERNO E CLAN LIBICI FINO A MALTA CHE SI FA BEFFE DI ROMA
Da Tripoli alla strage di Cutro. Dal traffico di esseri umani alla tratttiva segreta tra Italia ed esponenti della criminalità libica. Fino all’invasione di campo della politica, che arriva a condizionare e compromettere le operazioni di soccorso in mare.
E poi Malta e Grecia che si prendono gioco di Roma e dirottano i barconi dei migranti verso la Penisola.
Le parole dell’ammiraglio Sandro Gallinelli confermano i peggiori sospetti. Tra omissioni di Stato e pressioni sui soccorritori di Stato.
Fino al 2019 Gallinelli era al Terzo Reparto, da cui dipende la Centrale operativa Imrcc, il Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso marittimo.
In questa lunga intervista ad Avvenire, ora che è in congedo fornisce una lunga serie di dettagli inediti. A cominciare dalla visita a Roma del supertrafficante libico “Bija” nel 2017.
Cominciamo dall’episodio più recente. Da uomo della Guardia costiera come recepisce le accuse ai guardacoste italiani per il tardivo intervento a Cutro?
Ovviamente fa molto male sentire queste accuse, sostanzialmente ingiuste, perché il Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera italiana, negli ultimi 30 anni ha soccorso oltre 1 milione di migranti in pericolo in mare ed è l’unica organizzazione di soccorso che, almeno fino all’istituzione dell’area Sar (ricerca e soccorso, ndr) libica, ha sistematicamente operato ben oltre la propria area di responsabilità Sar, sopperendo all’inerzia delle autorità Sar di altri Stati responsabili in via primaria. Occorre inoltre considerare che l’attività di soccorso è un’attività spesso complessa e che nel particolare contesto dei flussi migratori si inseriscono ulteriori elementi di complessità.
Per esempio?
I trafficanti a volte non intendono farsi individuare né chiedere soccorso, al fine di cercare di eludere i controlli di polizia; oppure, al contrario, vogliono sfruttare l’obbligo di soccorso fornendo informazioni non del tutto corrette o non rispondenti al vero. Fermo restando che nella quasi totalità dei casi vengono impiegate imbarcazioni non registrate e quindi non controllate da alcuna autorità, del tutto sprovviste dei necessari requisiti di sicurezza e spesso sovraccariche, per di più con persone che spesso non sanno neppure nuotare, eccetera, eccetera, determinando quindi, sin dalla partenza, un’evidente situazione di potenziale pericolo.
Quali sono, secondo la sua esperienza diretta, le ragioni che hanno portato a complicare il ruolo dei soccorritori in mare? In altre parole, la Guardia costiera ha svolto anche compiti di polizia giudiziaria peraltro assicurando alla giustizia anche molti scafisti: c’è qualche cortocircuito operativo determinato da norme e decisioni politiche? Se si, quali?
Sul punto occorre premettere che la riforma Madia del 2017 ha stabilito che, tra le quattro forze di polizia che fanno capo al Ministero dell’interno quale Autorità nazionale di pubblica sicurezza (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza e Polizia penitenziaria), alla Guardia di finanza sia attribuita la responsabilità della pubblica sicurezza in mare. Tuttavia ciò non ha intaccato non solo le attribuzioni di Autorità Sar, ma anche quelle di polizia giudiziaria ed amministrativa che varie disposizioni di legge riconoscono al Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera, la cui componente aeronavale concorre, per legge, anche alle attività di polizia marittima per la sorveglianza delle frontiere marittime italiane ed europee ed alle operazioni di polizia marittima dell’Agenzia europea Frontex, non solo in Italia (operazione Themis), ma anche in altri Paesi europei (operazioni Poseidon in Grecia ed Indalo in Spagna). Senza dimenticare, inoltre, il contributo del proprio Nucleo Speciale di Intervento (NSI) per l’individuazione ed il fermo di pericolosi trafficanti, e non meri “scafisti”.
Da dove nascono le incomprensioni che talvolta generano sovrapposizioni e altre il rischio di omissioni?
Sulla base della mia esperienza, ritengo che problemi, non solo in Italia, ma anche all’estero, nascano dal fatto che i flussi migratori irregolari via mare non presentano problematiche meramente SAR (di soccorso) ma anche di sicurezza interna, ovverosia di polizia delle frontiere. Questo porta, inevitabilmente, a possibili sovrapposizioni di competenze tra gli organi preposti in via primaria all’uno od all’altro settore: le Autorità SAR, per gli aspetti relativi all’attività di soccorso; le Autorità di polizia, per gli aspetti di immigrazione irregolare. Questo, nonostante l’esistenza di un apposito regolamento europeo per le operazioni Frontex di polizia marittima (Reg. EU 656/2014) e, a livello nazionale italiano, di un decreto interministeriale del 2003 e di un “accordo tecnico-operativo” del 2005, nonché di un “tavolo tecnico di coordinamento del contrasto all’immigrazione illegale via mare” per coordinare le attività dei vari organismi di polizia e SAR. Infatti, vi possono essere differenti percezioni dello stesso evento, tanto più che il citato “accordo tecnico-operativo” non risulta adeguato alla vigente normativa SAR, diversamente dal più recente regolamento europeo prima menzionato.
Quali sono i principali nodi irrisolti a proposito degli interventi in mare e la cooperazione con altre agenzie, come Frontex?
Sulla base di quanto sopra, sembrerebbe che l’impianto normativo sia sufficientemente chiaro ed idoneo ad evitare sovrapposizioni e contrastanti interpretazioni, fermo restando gli inevitabili margini di soggettività di cui ho parlato. Tuttavia, occorre evidenziare anche che la percezione politica del fenomeno ha indubbiamente il suo peso, quantomeno nelle direttive operative di coordinamento o per i possibili condizionamenti psicologici. Del resto, sebbene a mio parere dovrebbe essere evidente che le soluzioni non debbano essere ricercate in mare bensì a terra, sia nelle politiche europee che in quelle nazionali, l’attività SAR, inizialmente ritenuta estranea alla questione, è stata strettamente legata al tema del controllo delle frontiere marittime, ma in maniera sostanzialmente subordinata, nonostante tutte le norme internazionali e nazionali ne affermino indiscutibilmente l’indipendenza e l’assoluta priorità. Anche nei piani di azione elaborati dalla Commissione europea la maggior parte delle risorse risultano indirizzate a fornire mezzi e supporto tecnologico per il controllo delle frontiere, piuttosto che ad azioni dirette a contrastare le cause primarie dei vari fenomeni migratori e ad obiettivi di carattere umanitario.
Per quale ragione?
Credo soprattutto per la difficoltà di individuare soluzioni a breve o medio termine di cui la politica ha un disperato bisogno ai fini del consenso elettorale. Inoltre, non esistendo un’agenzia europea specializzata nel SAR, materia estranea alle competenze dell’Unione e per questo di esclusiva competenza nazionale (come peraltro più volte rimarcato dalla Commissione europea), le problematiche SAR connesse al fenomeno migratorio sono trattate dall’Agenzia europea preposta in via primaria al controllo delle frontiere esterne europee (Frontex), rinominata EBCG (Guardia di frontiera e costiera europea).
La classificazione degli eventi in mare, a seconda della gravità, può procurare errori operativi?
Quando l’evento Sar non sia chiaramente classificabile nella fase di “distress” (pericolo grave ed imminente, ancorché solo potenziale), bensì in una delle altre due fasi teoriche (allarme o incertezza), l’attività di polizia non sarebbe necessariamente incompatibile con la priorità della salvaguardia della vita umana in mare. Si tratta infatti di fasi in cui occorre innanzitutto localizzare il mezzo e verificare l’esistenza e la natura del pericolo (fase di incertezza); oppure che l’evento dannoso può essere prevenuto o risolto limitandosi a prestare la necessaria assistenza per consentire una ripresa della navigazione in sicurezza (fase di allarme). Tutte le attività, quindi, possono essere condotte anche in parallelo, in linea di massima, attraverso un opportuno coordinamento tra le autorità SAR e quelle di polizia.
Ci sono ragioni giuridiche che esentano Malta dalla responsabilità di intervenire nei casi di distress?
No. Malta peraltro non si sente esentata dall’intervenire in caso di un evento Sar in fase di “distress”, però adotta un’interpretazione restrittiva (peraltro limitata ai casi connessi ai flussi migratori), ravvisando un pericolo “grave ed imminente” solo quando questo sia palese ed inequivocabile, mentre la normativa internazionale Sar e le linee guida emanate in materia dall’IMo (Organizzazione Marittima Internazionale), oltre al citato Regolamento europeo per le operazioni Frontex ed allo stesso Piano nazionale SAR italiano, richiedono invece un approccio “precauzionale”. Come peraltro nel caso della sicurezza dei luoghi di lavoro, tali norme stabiliscono infatti che una fase di “distress” debba ritenersi esistente qualora il rischio che si verifichi un evento dannoso per la vita umana sia anche solo probabile, tenuto conto anche dell’esperienza di casi analoghi. In pratica, per escludere una situazione di “distress” non basta che un’imbarcazione stia navigando e magari non abbia neppure chiesto soccorso, se anche solo si sospetta che questa sia utilizzata per il traffico di migranti, non sia in possesso di alcuna certificazione di sicurezza né delle prescritte dotazioni, trasporti un numero eccessivo di persone, tra cui donne e bambini, magari con scarse dotazioni di acqua e viveri, nonché un pericoloso carico di carburante in taniche, lontana da un porto od un riparo sicuri, e sia quindi esposta ad un improvviso peggioramento delle condizioni meteorologiche, al rischio di un repentino capovolgimento, nonché di un incendio o di una collisione, che non darebbero scampo, anche per la mancanza dei più elementari mezzi di salvataggio! Inoltre, non bisogna dimenticare che Malta è l’unico Paese europeo a non aver ratificato gli emendamenti del 2004 alle Convenzioni Sar e Solas, i quali prevedono che lo Stato responsabile dell’area SAR in cui si verifica l’evento ha anche la responsabilità primaria (non esclusiva) di promuovere un coordinamento tra tutti gli attori coinvolti (Stati costieri limitrofi, Stato di bandiera della nave soccorritrice, autorità Sar, altre autorità interessate, ecc.), al fine di individuare quanto prima un luogo sicuro (POS) ove far sbarcare le persone soccorse, senza indebito ritardo. Per tali motivi, tenuto conto della loro posizione geografica, le autorità maltesi cercano di non intervenire, come invece sarebbero costrette a fare se riconoscessero una situazione di “distress”, fintantoché l’imbarcazione appaia in grado di continuare a navigare, almeno per raggiungere la zona Sar di responsabilità italiana.
In passato abbiamo pubblicato foto e filmati di assetti maltesi intervenuti, all’interno delle proprie acque territoriali, per fornire cibo, carburante e perfino sostituire il motore dei gommoni partiti dalla Libia e poi indirizzati verso l’Italia dove sono poi effettivamente sbarcati. Si tratta di un comportamento consentito o di una violazione? Avete avuto notizia di episodi di questo genere?
Si certo, lo confermo; ed a mia memoria ci sono stati comportamenti simili, almeno in passato, anche da parte delle Autorità greche. Per il resto rinvio a quanto detto prima: se in un evento di immigrazione irregolare non viene ravvisata una emergenza SAR, o questa non sia classificata in fase di “distress”, non si è obbligati ad intervenire, se non per prestare assistenza, a meno che non siano interessate le proprie acque territoriali. In tal caso, però, si è legittimati ad impedirne l’ingresso (il Protocollo di Palermo del 2000 contro il traffico di migranti attribuisce solo una facoltà di intervento in acque internazionali). Ricordo inoltre che nel 2009 Malta stipulò con la Libia (che non aveva ancora formalmente dichiarato una propria area di responsabilità SAR marittima, ma solo una per gli incidenti aerei) un accordo triennale di cooperazione SAR, con il quale le due parti si impegnavano a collaborare e ad effettuare interventi di soccorso in mare anche nell’area di responsabilità dell’altra parte, ove necessario. In realtà, appare evidente che in tal modo si voleva giustificare l’eventuale intervento di unità di soccorso libiche nella confinante vasta area SAR maltese, per intercettare imbarcazioni di migranti e riportarli in Libia.
In passato, avete espresso qualche valutazione circa le capacità operative della guardia costiera libica? Se si, di che genere e a chi erano rivolte?
Nel 2014/2015 avevamo contatti sporadici con la Guardia costiera libica e comunque solo con la sede centrale di Tripoli, a causa della guerra civile in corso. Loro stessi ci dicevano non solo di non avere mezzi di soccorso né strumenti di comunicazione efficaci, ma anche di non avere direttive dalle loro Autorità politiche per poter autorizzare espressamente interventi di soccorso nelle loro acque territoriali, come in qualche caso fu necessario ad opera di alcune navi mercantili. In Libia, inoltre, il controllo istituzionale appare tuttora meno forte ed efficace dei rapporti tribali ed interpersonali. Con l’occasione tengo a precisare che in Libia ci sono due corpi con funzioni di Guardia costiera: a) la Libyan Coast Guard and Port Security (Lcg o Lcgps) o Guardia costiera vera e propria, dipendente dal Ministero della difesa – Marina, avente competenza anche oltre le 12 miglia nautiche e con la quale noi avevamo i contatti sopra indicati (i suoi rappresentanti partecipavano anche alle riunioni Frontex); b) la General Administration for Costal Security (GACS) o Coastal police (polizia costiera), dipendente dal Ministero dell’interno e teoricamente operante entro il limite delle acque territoriali libiche, la quale aveva invece contatti con il Ministero dell’interno e la Guardia di finanza Italiani.
Nel 2017 una delegazione libica venne in Italia per una serie di incontri e fu ricevuta anche da voi. Dopo le rivelazioni di Avvenire nel 2019 lei fu l’unico a spiegare che non competeva a voi esaminare preventivamente il profilo dei delegati libici. A distanza di tempo, può darci qualche informazione in più su quelle iniziative che ambivano a migliorare le capacità degli equipaggi libici ma che, almeno in quella vicenda, rischiarono di esporre la Guardia costiera italiana alle polemiche per la presenza di esponenti libici tuttora sottoposti a sanzioni internazionali?
Che io ricordi quell’iniziativa era stata coordinata tra l’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni dell’Onu, ndr) ed il Ministero dell’interno italiano, nell’ambito del progetto “Sea Demm” (Gestione della migrazione via mare e via deserto da parte delle autorità libiche, ndr). Oltre al Ministero dell’interno, fu interessato anche il Comando generale delle Capitanerie di porto – Guardia costiera, al quale, però, fu solo chiesto di ricevere una delegazione libica per illustrare l’attività del Corpo, con particolare riferimento alle operazioni SAR connesse ai flussi migratori. Ovviamente l’accredito dei componenti di tali delegazioni non rientrava nelle competenze e nelle responsabilità del Corpo, senza considerare poi che i componenti della delegazione libica avevano certamente avuto bisogno di appositi visti di ingresso prima di lasciare il territorio libico, come disse, poi, anche il Prefetto Morcone (allora capo di gabinetto del ministro Marco Minniti, ndr). Se non ricordo male la visita avrebbe dovuto essere effettuata nell’aprile del 2017, ma l’Oim ci informò che doveva essere posticipata a causa di alcuni problemi, mi pare proprio connessi al rilascio dei visti da parte delle competenti autorità italiane.
Quali furono le ragioni di quella visita?
Alla Guardia costiera italiana era stato chiesto solo di ricevere una delle tante delegazioni straniere in quel periodo interessate a conoscere l’attività svolta dal Corpo e l’esperienza da esso maturata in tanti anni. Ricordo comunque che io ed un altro collega fummo incaricati di ricevere la delegazione solo con un breve preavviso, appena sufficiente per aggiornare una delle precedenti presentazioni in inglese sulle attività del Corpo e su come venivano gestite le operazioni SAR connesse al fenomeno migratorio. Al momento non ero a conoscenza che uno dei componenti la delegazione fosse stato segnalato da alcuni organi di stampa come responsabile di fatti criminosi commessi ai danni di migranti, a Zawiyah, come invece appresi successivamente.
Si trattava di personale libico addestrato in Italia?
Non sono a conoscenza se si trattasse di personale della Lcg che aveva frequentato i corsi di formazione organizzati dall’operazione Eunavfor Med “Sophia” e che, in quanto tale, doveva essere stato anche preventivamente soggetto a particolari controlli di sicurezza.
(da Avvenire)
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Aprile 10th, 2023 Riccardo Fucile
A DIRE DI PRIGOZHIN VUOLE “ESSERE LASCIATA IN PACE A GODERSI LE BENEDIZIONI DELLA VITA, CHE HANNO RUBATO AL POPOLO. SONO FRUSTRATI DALL’ESISTENZA DI PERSONE COME ME O TATARSKY”
Il capo del Gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin, torna ad attaccare l’élite russa, che è “pronta a leccare il culo al nemico, pur di essere lasciata in pace a godersi le benedizioni della vita, che hanno rubato al popolo”. Su Telegram Prigozhin ricorda anche Vladlen Tatarsky, che ha “servito il popolo” e lo paragona a chi governa la Russia.
Secondo lui, “la stratificazione tra il popolo e la cosiddetta élite è sempre maggiore, on abbiamo praticamente più un’élite, se non quella burocratica e dintorni”.
Per questo motivo, il capo della Wagner dice che “la mia opinione, che può sembrare un po’ dura, è che ai funzionari non importa se Tatarsky è lì o meno” perché “stanno già iniziando a sentirsi frustrati dall’esistenza di persone come Tatarsky e molti altri, incluso me – coloro che ora stanno combattendo per la Madre Russia”.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2023 Riccardo Fucile
DOVEVA ESSERE ESTRADATO NEGLI STATI UNITI MA È SCAPPATO SOTTO IL NASO DEI SERVIZI SEGRETI ITALIANI ED È STATO PORTATO IN RUSSIA DA UN COMMANDO DI 6-7 PERSONE (COMPOSTO PROBABILMENTE ANCHE DA 007 RUSSI)
Cosa era disposto a fare il governo americano per fermare la fuga di Artem Uss, il giovane oligarca russo scappato dagli arresti domiciliari a Basiglio lo scorso 22 marzo? Per la magistratura statunitense Uss è il regista del traffico di componenti elettronici che ha permesso al Cremlino di proseguire la produzione di caccia, missili e droni persino dopo l’invasione dell’Ucraina.
Così quando nel pomeriggio del 22 marzo il consolato americano di Milano ha appreso della scomparsa di Uss, la notizia è stata accolta con ira e ha provocato la massima allerta per tentare di impedire il rientro in Russia del fuggitivo. Una mobilitazione a tutti i livelli. Dall’esame di Flightradar24 – il sito che monitora il traffico aereo – risulta che due caccia F-16 statunitensi sono decollati dalla base di Aviano (Pordenone).
I due jet – contrariamente a quanto avviene in genere per le esercitazioni Nato – hanno tenuto il trasmettitore di posizione acceso: il loro volo infatti si è mosso per oltre due ore attraverso i cieli più frequentati del Nord, spingendosi fino al lago di Garda. Uno dei caccia del 31mo Stormo ha compiuto diversi pattugliamenti lungo la frontiera austriaca e slovena, incrociando le rotte che puntano verso Oriente. L’altro è rimasto a “orbitare” sul Veneto.
Stavano cercando di intercettare un velivolo con a bordo l’evaso? E se lo avessero identificato, lo avrebbero obbligato all’atterraggio? Impossibile stabilirlo: ufficialmente i due caccia erano impegnati in un’esercitazione.
Proprio per evitare sorprese da parte dei caccia americani, ora si ritiene che il fuggitivo possa avere preso la strada dei Balcani, in auto o con un velivolo diretto in cieli meno sorvegliati dalla Nato: da lì esiste la possibilità di arrivare in Serbia o Turchia per concludere il viaggio verso Mosca con un volo di linea.
(da La Repubblica)
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Aprile 10th, 2023 Riccardo Fucile
STANNO ANCORA A LAMENTARSI DOPO CHE HANNO DISTRUTTO IL PARTITO, RINGRAZIATE LA SCHLEIN CHE VI HA FATTO RITORNARE OLTRE IL 20% O TOGLIETE IL DISTURBO
Elly Schlein è già in vacanza e subito si alza a protestare Paola De Micheli, deputata, già ministra: la leader ha dimenticato di inserire nel vertice del partito i cattolici, che rappresentano la seconda anima del partito dall’atto della fondazione, con la confluenza simultanea di Ds e Margherita.
Ma per una che alza la voce, ce ne sono altri che non celano il proprio malcontento, vedi Cuperlo o altri che mugugnano denunciando mancanze, verso il Sud, verso il corpaccione del partito escluso da leve importanti come l’organizzazione, e così via.
In questo caso le voci che si alzano sono rivolte anche verso Bonaccini, indiziato di aver fatto un accordo al ribasso, ottenendo solo un quarto dei posti in segreteria.
Il punto è che Schlein ha voluto ribaltare la sensazione che tutto si sarebbe concluso, come al solito, con un accordo spartitorio tra le correnti.
Di qui, solo per fare due esempi, la scelta come coordinatrice della segreteria di Marta Bonafoni, ex-redattrice di Radio popolare, un nome su cui si erano concentrati i “no” dei capicorrente. E come responsabile dell’organizzazione del partito Igor Taruffi, ex-Sel: due persone che con la macchina del partito e la sua complicata vita interna non hanno consuetudine. O la rinuncia ai vicesegretari per non alimentare dualismi nella comunicazione.
Schlein insomma scommette su se stessa e pensa di tacitare i mugugni con i risultati. Si vedrà.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2023 Riccardo Fucile
L’UCCISIONE DI MAHSA AMINI A SETTEMBRE È STATO UNO SPARTIACQUE E IL REGIME TEOCRATICO NON SA PIÙ CHE FARE… RITORNASSERO NEL MEDIOEVO INVECE CHE ROMPERE I COGLIONI ALLE DONNE
Farah è appena tornata da Teheran. Racconta che il colpo d’occhio delle ragazze senza velo è impressionante: «Non lo porta quasi nessuna». Nelle altre città iraniane non è così evidente come nella capitale, ma dall’uccisione di Mahsa Amini, il capo scoperto di una donna, i capelli sulle spalle, gli orecchini in vista non sono più rare apparizioni.
Farah racconta che le ragazze sotto i 30 anni lasciano il velo a casa — «non avete idea di quanto coraggiosa sia questa scelta», dice — quelle un po’ più grandi tendono a tenerlo abbassato sulle spalle. Ma il simbolo dei simboli della dittatura, dell’apartheid di genere, fondamenta principale della repubblica islamica, è caduto.
Per questo che le autorità, incapaci di arginare il cambiamento culturale in atto, le provano tutte. L’ultimo tentativo di controllare la vita, il corpo e le scelte delle donne arriva con l’uso del le telecamere nei luoghi pubblici per identificare quelle che violano la legge sull’hijab.
«In una misura innovativa e al fine di prevenire tensioni e conflitti nell’attuazione della legge sul velo, la polizia iraniana utilizzerà telecamere intelligenti nei luoghi pubblici per identificare le persone che infrangono le norme», ha affermato l’agenzia di stampa Tasnim, citando la polizia. Funziona così: le donne con il capo scoperto vengono riprese, identificate e poi ricevono un messaggio di avvertimento con l’ora e il luogo dell’avvistamento.
Se l’avvertimento non dovesse essere ascoltato, la donna «criminale» subirà un processo. Qualche giorno fa, il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Mohseni Ejei ha dichiarato: «Non portare il velo equivale a un’espressione di inimicizia verso i nostri valori. Coloro che commetteranno atti così anomali saranno puniti e perseguiti senza pietà». A rafforzare le posizioni della magistratura sono arrivate le parole del presidente Raisi: «Se alcune persone dicono di non credere (nell’hijab) è bene usare la persuasione. Ma il punto importante è che c ’è un obbligo legale e l’hijab oggi è una questione legale».
L’Iran oggi è manifestazioni di piazza e muri che gridano «Morte a Khamenei». Veli scomparsi, ragazze che ballano su TikTok e notti che parlano. «La notte di Teheran è straordinaria . Dai balconi, come fossero bocche del popolo, dopo cena, arrivano slogan contro il regime, si alzano gioiosi inni per la libertà. Succede sempre, per ore: è incredibile», racconta Farah.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2023 Riccardo Fucile
IL FATTO E’ AVVENUTO IN UNO DEI RISTORANTI PIU’ NOTI DI VERONA AD OPERA DI UNA COMITIVA REDUCE DAL VINALITY… PER CERTA FOGNA CI VORREBBERO CAMPI DI RIEDUCAZIONE
Una giovane 26enne residente a Guidonia, in provincia di Roma, è stata identificata e denunciata per lesioni dopo il pestaggio di Cristian Sicuro, cameriere del Ristorante Maffei in piazza Erbe a Verona.
Il cameriere, responsabile di sala del ristorante, è stato prima colpito all’occhio con un pugno da parte del fidanzato della 26enne e poi colpito da un centrotavola lanciato dalla giovane, che ha procurato un profondo taglio sotto l’occhio destro e un livido all’occhio del capo sala del ristorante.
Dopo l’aggressione, il cameriere è stato portato al pronto soccorso a Borgo Trento e successivamente sottoposto a un’operazione al setto nasale in anestesia totale, con prognosi di 30 giorni, salvo complicazioni.
L’aggressione al caposala
Secondo quanto riferito dai dipendenti del ristorante «nessuno si sarebbe aspettato niente del genere: erano scene da far west».
All’origine del tutto vi sarebbe stato il comportamento della comitiva, composta da 18 persone, che si è presentata nel ristorante veronese. Alcuni di loro hanno rivolto frasi sessiste a una cameriera. E così il caposala è intervenuto a difesa della collega, chiedendo al gruppo di calmarsi. Ma dopo la richiesta è scoppiato il caos, come spiegato da uno dei dipendenti del Ristorante Maffei: «Lui gli aveva solo chiesto di calmarsi e loro hanno iniziato a mettergli le mani addosso, gli hanno tirato due pugni». Il cameriere è finito a terra stordito dai pugni. Ma dopo essersi rialzato è stato colpito in pieno volto da un centrotavola lanciato dalla 26enne. E così i dipendenti del Maffei hanno chiesto l’intervento del 118 e della polizia.
Le indagini
Secondo quanto ricostruito dagli agenti, che hanno incrociato le immagini dei video ripresi dalle telecamere di videosorveglianza del locale e i post pubblicati sui social da alcuni membri della comitiva, è stato possibile identificare la giovane che ha lanciato il centrotavola. Ma le indagini proseguono. L’obiettivo della polizia è quello di identificare anche le altre persone e chi ha sferrato i pugni contro il caposala del ristorante.
Al momento, alla 26enne di Guidonia è accusata di lesioni ma, secondo quanto riporta l’Arena, alla giovane potrebbe essere contestato anche il reato di falso, perché avrebbe detto agli agenti di non conoscere gli altri componenti della comitiva, incluso il fidanzato che ha sferrato il pugno. Al momento non si conoscono le identità di tutti i membri della comitiva, ma gli agenti stanno cercando di risalire all’identità dell’uomo (o dei due uomini) che hanno inizialmente preso a pugni il caposala del ristorante.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2023 Riccardo Fucile
“O PARTIAMO TUTTI O NESSUNO”… LA PRESIDE: “SONO DA ENCOMIO”… ESISTE ANCORA UN’ITALIA DI CUI NON VERGOGNARSI
Sarebbe stato il primo viaggio dopo gli anni di stop della pandemia. Ma gli studenti della IV Sezione C del liceo Scientifico Michelangelo Buonarroti di Pontecorvo, in provincia di Frosinone, hanno rinunciato al viaggio per andare alla festa di compleanno della loro compagna di classe che avrebbe compiuto gli anni proprio nei 5 giorni in cui tutti sarebbero stati in Sicilia.
“Preside, noi preferiamo andare al compleanno. Rinunciamo alla gita. O partiamo tutti, o nessuno”: hanno detto gli studenti alla preside Lucia Cipriano spiegandogli di voler stare vicini alla loro compagna di classe costretta su una sedia a rotelle.
Colpa di un problema organizzativo. L’agenzia alla quale l’istituto si era rivolto per organizzare il viaggio aveva dovuto spostare all’ultimo momento la data di partenza: pochi giorni. Ma così il periodo della gita sarebbe andato a coincidere con il giorno in cui la loro compagna avrebbe festeggiato i suoi 18 anni. E tra la gita ed il compleanno non hanno avuto dubbi.
“Sono stati eccezionali, hanno deciso tutto da soli. Si sono riuniti, hanno parlato e stabilito che quella era la cosa più giusta da fare”: Lucia Cipriano è preside da anni, un episodio così non le era mai capitato. Guida un polo che conta quest’anno 562 alunni allo Scientifico più altri 237 all’Itis.
“È il segnale che il nostro lavoro di educatori sta funzionando, i ragazzi hanno dimostrato uno spiccato senso della maturità. Questo come scuola ci rende orgogliosi”.
Una classe affiatata, composta da allievi tra i 17 ed i 18 anni: tutti del circondario, condividono i banchi ed i professori da quattro anni, quasi tutti stanno insieme dall’inizio dell’esperienza con le Superiori. Si vedono e si frequentano anche fuori dall’orario scolastico, festeggiano insieme tutte le occasioni importanti. Ricorda la preside che poco prima delle vacanze di Pasqua le hanno detto “Non vogliamo lasciare sola la nostra compagna. Lei è una di noi. Sono quattro anni che la conosciamo e le vogliamo bene”.
La liceale avrebbe fatto parte della comitiva per la Sicilia se la data fosse rimasta quella prevista all’inizio. In questi anni la sua disabilità non è mai stata un problema, l’integrazione è stata perfetta.
“Questa scelta – evidenzia la preside – ha un valore ancora maggiore se si considera che per i ragazzi sarebbe stato il primo viaggio d’istruzione dopo i due anni di stop imposti dalle restrizioni anti covid. È per questo che segnaleremo l’episodio alla Presidenza della Repubblica, affinché valuti se riconoscere alla IV C il premio che viene attribuito agli alfieri della Repubblica”.
Commossa la mamma della liceale: “Sono ragazzi eccezionali, da loro abbiamo tanto da imparare. Non possiamo che dire grazie di cuore”.
(da agenzie)
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Aprile 10th, 2023 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTO EUROPEO APPROVA UNA DIRETTIVA CHE OBBLIGA LE AZIENDE, PRIMA DI UN COLLOQUIO, A “INDICARE IL LIVELLO RETRIBUTIVO INIZIALE DA CORRISPONDERE AL FUTURO LAVORATORE” SENZA CHE IL CANDIDATO DEBBA CHIEDERLO…IL PROVVEDIMENTO DOVRÀ ESSERE ADOTTATO IN TUTTA EUROPA
Lo stipendio non dovrà essere più un argomento taboo nei colloqui di lavoro e soprattutto non toccherà al candidato fare domande relative alla retribuzione.
A sancirlo la nuova direttiva europea proposta dalla Commissione nel marzo 2021 e già approvata dal Parlamento europeo.
Tra le novità principali contenute nella direttiva c’è l’articolo 5 che prevede l’obbligo per le aziende di “indicare il livello retributivo iniziale o la relativa fascia (sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere) da corrispondere al futuro lavoratore per una specifica posizione o mansione”.
Le informazioni sullo stipendio dovranno dunque essere fornite sia nell’offerta di lavoro, o comunque prima del colloquio, “senza che il candidato debba richiederlo”.
Adesso tocca al Consiglio dare il via libera definitivo.
(da agenzie)
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