Aprile 23rd, 2023 Riccardo Fucile
E IN DUE NON SONO AMMESSI I BAMBINI, ALLA FACCIA DELLA “FAMIGLIA TRADIZIONALE”.., PROMO DI STATO A SEI ALBERGHI ESCLUSIVI (ALL’ESTERO ROBA DA DIMISSIONI IMMEDIATE)
La Venere influencer voluta fra non poche discussioni e qualche gaffe dal ministro del Turismo Daniela Santanché campeggia sul sito Italia.it e guida i turisti ad ogni bellezza di Italia: da quella delle città d’arte, alle spiagge, ai monti, al relax possibile dentro la penisola.
E a sorpresa suggerisce ai visitatori con una sorta di “promo di Stato” anche sei strutture alberghiere dotate di spa dove potere soggiornare. Sorprende perché di fatto lo Stato fa pubblicità a loro e non ad altri, ma anche perché non si tratta di strutture per tutti.
I prezzi sono generalmente esclusivi, alcuni davvero da turisti milionari. Ma soprattutto in due dei sei hotel suggeriti sono ammessi gli animali (sia pure pagando un supplemento), ma non i bambini, perché si tratta di hotel solo per adulti. E anche questo spot non era atteso da un governo come quello di Giorgia Meloni che promette politiche di ampio raggio contro la denatalità.
Il più esclusivo resort indicato dalla nostra Venere influencer è il San Domenico Palace di Taormina, struttura della catena Four Seasons. Non si trova posto fino a sabato 20 maggio 2023.
Prenotando lì per una notte il prezzo migliore per una camera matrimoniale è 3.403 euro. Ma per le suites si va dai 4.361 euro a notte per la “Junior” ai 7.561 euro per la “Principessa Cecilie”.
Consiglio esclusivo evidentemente per sceicchi, visto che di turismo milionario russo l’Italia non può più approfittare.
Al Fonteverde Lifestyle & Thermal Retreat di San Casciano dei Bagni in provincia di Siena sempre per la prima settimana di maggio camere disponibili fra 500 e 1700 euro a notte, oltre a trattamenti termali e pasti da pagare a parte. Costano 6-800 euro a notte per la prima settimana di maggio le uniche stanze disponibili al Borgobrufa spa resort suggerito dalla “app” lanciata dalla Santanché in provincia di Perugia.
Si tratta però di suites con vasca idromassaggio all’interno. La settimana successiva si trova la disponibilità di camere base intorno ai 300 euro a notte. Ostacolo insormontabile: l’hotel è “adult only” e non accetta ospiti di età inferiore ai 18 anni.
Meno caro l’Altarocca wine resort suggerito vicino ad Orvieto: anche questo è un hotel dove non accettano bambini (adults only), però accetta ragazzi fra i 14 e i 18 anni. Ha disponiobili camere la prima settimana di maggio fra poco meno di 200 e 300 euro. Le suites possono arrivare fra 450 e 600 euro.
Al Bagni di Pisa Palace & Thermal spa di San Giuliano Terme camera base per una notte la prima settimana di maggio intorno ai 260 euro, disponibili suite fra i 400 e i 700 euro a notte.
Infine al Vivosa Apulia Resort salentino soggiorno obbligatorio per un minimo di 7 notti solo con la formula “all inclusive” (pasti e bevande compresi nel prezzo). Prima disponibilità dal 26 maggio, tariffa più bassa per la camera matrimoniale superior. In due si spendono 2.676 euro (382 euro a notte). Con un lettino in più in tre 3.345 euro.
(da Open)
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Aprile 23rd, 2023 Riccardo Fucile
TUTTO INIZIÒ CON IL GRUPPO DEI “GABBIANI”, LA SECONDA GENERAZIONE DEI RAUTIANI CHE, A DIFFERENZA DELLA PRIMA, PENSAVA SOLO ALLA POLTRONA… CON LEI FAZZOLARI E LOLLOBRIGIDA, A SOSTENERLA GASPARRI E LA RUSSA – IL FLOP DELLE ELEZIONI PROVINCIALI DEL 2003 E POI L’ENTRATA IN PARLAMENTO CON L’APPOGGIO DEI SOLITI NOTI
Meloni, Lollobrigida, Fazzolari. Oggi ai vertici del potere politico. Trent’anni fa erano solo «I Gabbiani». La ricostruzione della «folgorante ascesa» della prima premier donna è contenuta nel libro Meloni segreta di Andrea Palladino (Ponte alle Grazie), che mette insieme testimonianze, documenti, inchiesta giornalistica.
«Il gruppo dei Gabbiani ha una storia incredibile», racconta nel libro Silvano Moffa, presidente della Provincia di Roma nel 1998, quando come consigliera veniva eletta per la prima volta la ventunenne Giorgia Meloni. I Gabbiani nascono all’inizio degli Anni 90, come seconda generazione dei rautiani. Fanno capo alla sezione di Colle Oppio. Tra loro matura la giovane Giorgia Meloni.
Ricorda Moffa: «I Gabbiani non si distinguevano sotto il profilo delle linee politiche, che erano sostanzialmente le stesse. Si distinguevano come gruppo di pressione, nel senso che loro avevano creato la loro enclave, il loro gruppo, che era molto stretto, un po’ settario»
Alle elezioni provinciali del 2003 sono un disastro. Moffa non viene riconfermato, Alleanza Nazionale dimezza i consiglieri eletti. Anche Meloni non viene rieletta. Ma l’anno successivo diventa leader di Azione Giovani, l’organizzazione erede del Fronte della Gioventù. La lista con cui vince il congresso di Viterbo si chiama «Figli d’Italia». Con lei Fazzolari e Lollobrigida, oggi ministro e sottosegretario a Palazzo Chigi.
Meloni è appoggiata da Gasparri e La Russa, in una sfida all’ultimo voto con Carlo Fidanza, oggi eurodeputato, sostenuto da Alemanno e Storace. In un documento del 2002 intitolato «La comunità dei ribelli», si delinea la fisionomia del ribelle che «non è un cretino che parla come un povero dislessico, che si rimbambisce di spinelli, che forza le zone rosse ma si ribella a uno stile di vita, a un modello di società che appiattisce le coscienze». Due anni dopo, Giorgia Meloni sarebbe entrata per la prima volta in Parlamento
(da La Stampa)
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Aprile 23rd, 2023 Riccardo Fucile
DALLA MISSIONE ONU E DALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE NUOVE PROVE: “SPARIZIONI E DETENZIONI ILLEGALI”
Dei giornalisti che si occupano in continuità del Mediterraneo, e dei crimini che in esso si consumano, Nello Scavo, inviato di Avvenire, è certamente tra i più preparati, coraggiosi, e documentati.
A confermarlo è l’ultimo articolo sul quotidiano della Cei. Scrive Scavo: “ La mafia dei trafficanti di uomini in Libia ha nomi noti. Molti abitano nei palazzi del potere e sono direttamente coinvolti nel business delle vite umane, associato allo smercio illegale di armi, idrocarburi e droga. Sono loro i datori di lavoro degli “scafisti” ed è a costoro che il segretario generale dell’Onu rivolge i riflettori nel suo ultimo rapporto.
La missione Onu «ha continuato a ricevere segnalazioni di sparizioni forzate e detenzioni arbitrarie prolungate di libici e non libici nelle carceri e nei centri di detenzione in tutto il Paese» premette Guterres rivolgendosi al Consiglio di sicurezza.
Le informazioni e i riscontri arrivano direttamente dalla missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), che «ha continuato a ricevere segnalazioni consistenti di uomini e donne detenuti in tutte le parti della Libia sottoposti a maltrattamenti, violenze sessuali, torture o pratiche sessuali coercitive in cambio di acqua, cibo o beni di prima necessità». Succede nei campi di prigionia statale, dove non solo le donne vengono abusate, spesso per riceverne in cambio un pezzo di pane e poter guadagnare la speranza di un altro giorno di vita senza i morsi della fame. Un orrore tollerato dai partner internazionali della Libia, tra cui Italia, Malta, Unione Europea, Turchia. Un inferno che non risparmia neanche i più piccoli.
La missione Unsmil «ha osservato un preoccupante aumento della detenzione di bambini migranti – si legge -, in violazione degli obblighi del Paese in materia di diritti umani internazionali». Molti dei baby prigionieri «sono stati anche vittime di traffico e abusi» sottolinea Guterres che cita «24 casi verificati di bambini rapiti dal Sudan, dove erano stati registrati come richiedenti asilo e successivamente trafficati in Libia». Il monitoraggio degli operatori Onu in Libia ha accertato che «questi bambini sono stati sottoposti a ulteriori violazioni dei diritti umani in Libia, tra cui il lavoro forzato in strutture militari senza alcun compenso». E non è che il crimine minore: «Al 5 marzo, 60 bambini migranti e rifugiati non accompagnati erano detenuti arbitrariamente nel centro di detenzione di Shari’ al-Zawiya, senza alcuna prospettiva di rilascio». E dove quello che accade è un tabù precluso alle agenzie umanitarie internazionali.
Che i fondi di Italia e Ue per la Libia non finiscano per potenziare i diritti umani, lo dimostra un episodio tra i molti citati nella relazione inviata al Palazzo di Vetro dell’Onu. «Il 31 dicembre, il Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale di Kufrah (nel Sud della Libia, ndr) ha espulso più di 400 migranti e richiedenti asilo, tra cui donne e bambini, principalmente provenienti dal Ciad e dal Sudan, la maggior parte dei quali espulsi verso il Sudan». Che non si trattasse di trasferimenti legali lo prova una decisione di Tripoli.
«Alle organizzazioni internazionali non è stato concesso l’accesso alla struttura. Prima dell’espulsione, i detenuti sarebbero stati sottoposti a traffico di esseri umani, torture, violenze sessuali e di genere, estorsioni e avrebbero sofferto di gravi malattie a causa del mancato accesso alle cure mediche di base. La loro espulsione collettiva – ricorda il segretario generale – viola gli obblighi del Paese ai sensi del diritto internazionale, compreso il principio di non respingimento».
Le Nazioni Unite «hanno continuato a ricevere segnalazioni di centinaia di altri migranti e rifugiati detenuti e sottoposti a violazioni dei diritti umani in strutture gestite da gruppi armati» ribadisce Guterres che segnala anche il caso di 6 cristiani copti egiziani liberati dopo essere stati rapiti il 4 febbraio a Zawiyah, dove imperversano le milizie affiliate al clan al-Nasr, il cui personaggio più conosciuto è il comandante della guardia Costiera Abdurahman al-Milad, noto come “Bija”. Il gruppo di cristiani egiziano era stato confinato proprio nel campo di prigionia ufficiale governato dagli uomini del clan.
La connessione tra guardacoste e trafficanti è un dato di fatto su cui lavora da tempo anche la Corte penale internazionale.
All’1 marzo erano già 3.046 le persone, tra cui donne e bambini, intercettate e riportate in Libia. «La maggior parte dei migranti – ribadisce Guterres – è stata successivamente trasferita in centri di detenzione, ai quali le agenzie Onu non hanno accesso regolare». E cosa ci sia da nascondere all’Onu lo sanno tutti”, conclude Scavo.
(da Globalist)
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Aprile 23rd, 2023 Riccardo Fucile
FDI 28%, PD 21%, M5S 15%. LEGA 10%, FORZA ITALIA 7%, AZIONE 5%, CERDI-SINISTRA 3%, ITALIA VIVA 2,5%
La Lega torna a crescere nei sondaggi e recupera la doppia cifra. In sofferenza invece Fratelli d’Italia, che continua, seppur lievemente, a perdere consensi. Basti pensare che ora ci sono solo sette punti di distanza tra il partito di Giorgia Meloni e il Pd.
Infine, il naufragio del Terzo polo lascia Azione con il doppio dei consensi di Italia Viva. È questo, in sostanza, il quadro che emerge dal sondaggio di Antonio Noto per Repubblica.
Per prima cosa, nell’indagine di Noto si certifica il calo di Fratelli d’Italia, ormai stabilmente sotto il 30%. Il partito della presidente del Consiglio si ferma al 28%, riducendo la distanza con il Partito democratico, che rimane la seconda forza politica nel Paese e continua a recuperare.
I dem, al 20 aprile, sono al 21%, a solo sette punti di distanza da FdI. Rimane indietro il Movimento Cinque Stelle, al 15%.
Recupera invece la Lega che si porta al 10% e riduce così la distanza con i grillini a soli cinque punti percentuali.
A seguire, troviamo Forza Italia, che approfitta della rottura del Terzo polo e diventa quinta forza politica nel Paese con il 7%. Il naufragio del progetto di partito unico lascia Azione al 5%, mentre a Italia Viva rimangono la metà dei consensi e si ferma al 2,5%.
Per quanto riguarda le forze politiche minori, se si andasse a votare oggi, solo l’Alleanza di Verdi e Sinistra riuscirebbe a entrare in Parlamento, con un 3% spaccato. Più Europa chiude al 2%, Noi moderati si ferma all’1,5%.
(da Fanpage)
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Aprile 23rd, 2023 Riccardo Fucile
C’E’ CHI VUOLE FAR CHIUDERE IL LOCALE PERCHE’ VOLGARE: MA NON HANNO ALTRO A CUI PENSARE?
Da qualche tempo a Roma, in pieno centro, ha aperto “La Putaria”, pasticceria che serve waffle a forma di pene e di vagina.
Nel 2023 un’idea commerciale divertente ma di certo non dissacrante e particolarmente originale. La piccola bakery house dai dolci sexy, è in via delle Botteghe Oscure. L’esperienza ha un che di peccaminoso anche perché si accede da un portoncino senza insegna.
Dentro non mancano gli angoli instagrammabili, giovani e meno giovani che ridacchiano scegliendo il gusto dell’organo genitale da mangiare. E ovviamente di rito la foto mentre lo si gusta, magari mimando un atto sessuale. Tappa perfetta per iniziare un addio al nubilato, “La Putaria” è un marchio nato a Lisbona, che oggi vanta negozi anche in Brasile e appunto nella città eterna.
Ora la sexy pasticceria, in una città che si vuole globale ma sempre più provinciale e bigotta, è diventata addirittura un caso politico. Ad agitarlo per altro suono le istituzioni di centro sinistra che governano il I Municipio – quello del centro storico – e non una destra retrograda e magari cattolica.
Oggi il Corriere della Sera, riporta le voci indignate contro la presunta volgarità dei dolci e della clientela che ridacchia gustandoli.
In prima fila Viviana Piccirillli Di Capua, presidente dell’Associazione abitanti centro storico che si dice preoccupata perché “siamo vicini al Giubileo”, ma si dice altrettanto sicura “che il Campidoglio sta lavorando perché non accada”, perché sarebbe “assurdo che nel centro storico, patrimonio Unesco, invece di tutelare le botteghe storiche qualcuno possa pensare di mettere su attività così “volgari””.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2023 Riccardo Fucile
LA “CNN” HA SVELATO IL TRAFFICO DI ARMAMENTI DALLE BASI DEI MERCENARI NELLA CIRENAICA CONTROLLATA DA HAFTAR… DA TEMPO LE TRUPPE DI YEVGENY PRIGOZHIN, LO “CHEF DI PUTIN”, SONO PENETRARE IN AFRICA
Una delle foto più significative circolate nei giorni scorsi mostra alcuni combattenti delle Forze di supporto rapido del Sudan (Rsf) maneggiare alcuni missili terra-aria da una cassa appena giunta a destinazione. Le armi hanno compiuto un lungo tragitto prima di approdare nel Paese di nuovo sconvolto dai combattimenti che vedono contrapposti il gruppo paramilitare guidato da Mohamed Hamdan Dagalo e il generale Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio di transizione del Sudan e capo delle Forze armate del Paese.
Il percorso nasce dall’unione di diversi punti, ognuno dei quali riconducibile a un nome, Wagner, i mercenari che rappresentano la lunga mano di Mosca nel mondo.
A denunciare il traffico di armi diretto nel Paese africano è stata la Cnn sulla base di rivelazioni provenienti da fonti diplomatiche sudanesi e regionali, che troverebbero riscontro nelle immagini satellitari. In particolare viene descritto l’intensificarsi di rotte aeree e terrestri in transito nella porzione orientale della Libia, quella sotto il controllo del generale Khalifa Haftar fedele alleato di Vladimir Putin.
Nel frattempo, i piani di evacuazione dei cittadini europei dalla capitale sono pronti a scattare ma la situazione è ancora troppo pericolosa e circa 140 italiani sono bloccati, nessuno degli aeroporti è operativo. Anche se l’ambasciata Usa a Khartoum ha messo in guardia gli americani che qualsiasi spostamento via terra è troppo pericoloso, gli 835 km da Khartoum a Port Sudan sono stati percorsi dai diplomatici sauditi per mettersi in salvo e lo stesso tragitto di 12 ore dovrebbe essere tentato dalla missione giordana.
Una situazione infuocata che rende l’ipotesi della lunga mano di Wagner sul Paese deflagrante. I traffici toccherebbero le basi di Wagner in Cirenaica dove i mercenari che fanno capo a Yevgeny Prigozhin si sono insediati nel 2019 per dare supporto ad Haftar nella quarta guerra civile contro le forze di Tripoli a loro volta sostenute dalla Turchia.
Le immagini satellitari analizzate dall’osservatorio «All Eyes on Wagner» mostrano un aereo da trasporto russo che fa la spola tra due basi aeree libiche di Haftar e utilizzate dal gruppo paramilitare. L’intensificarsi delle rotte del velivolo Ilyushin-76 inizia due giorni prima lo scoppio delle ostilità in Sudan, e continua per una settimana.
Per anni Dagalo è stato un beneficiario chiave del coinvolgimento russo in Sudan, in quanto destinatario di armi e addestramento da parte di Mosca – sostengono le fonti della Cnn -. Anche Haftar ha sostenuto Dagalo, sebbene il diretto interessato neghi ogni schieramento nelle vicende del Paese confinante. L’aumento dell’attività di Wagner nelle basi libiche suggerisce tuttavia che sia Putin sia l’uomo forte della Cirenaica potrebbero essersi preparati a sostenere l’Rsf da tempo. Anche Prigozhin smentisce ogni coinvolgimento in Sudan: «Wagner non è in alcun modo coinvolta nel conflitto, le voci che circolano sono solo provocazioni».
Coperture di facciata secondo alcuni osservatori. «Esiste un concreto rischio di penetrazione dei Wagner in Sudan, non c’è nessun altro contractor che può garantire la sicurezza in Africa come quello di Prigozhin», conferma a La Stampa il professor Arije Antinori, docente de La Sapienza, ed esperto europeo di terrorismo e stratcom.
Il gruppo paramilitare, dopo essere penetrato in Mali, Burkina Faso, Mozambico e dopo aver insediato la sua centrale operativa in Repubblica Centrafricana potrebbe ora allungare ulteriormente i suoi tentacoli. «Anche perché Wagner ha compiuto un ulteriore passo in avanti portando le forze speciali nell’area – prosegue Antinori -. Non piccole unità che devono essere supportate da governi locali, ma realtà strutturate che entrano negli Stati. Quindi portano armamenti, tecnologia e personale per fare resistenza e arroccamenti».
La proiezione africana della Russia è risaputa e il pantano ucraino con il fallimento della guerra lampo rischia di frenarla. In termini di narrazione poi, Mosca gioca in Africa sempre il ruolo di protettore anti-occidentale (caratterizzazione che rientra nella retorica anti-colonialista e per un nuovo ordine mondiale). In Sudan e Sud Sudan l’interesse del gruppo di Prigozhin è soprattutto nella realizzazione della base militare a Port Sudan sul Mar Rosso, assieme all’estrazione di oro e all’addestramento dei combattenti. Elementi che fanno intendere come la penetrazione di Wagner nell’area più che un rischio è un modello di business acquisito e consolidato.
(da La Stampa)
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Aprile 23rd, 2023 Riccardo Fucile
LA DEBOLE ASSISTENZA ALLE FAMIGLIE (VEDI GLI ASILI NIDO) NON È CORRELATA ALLA CRISI DELLA NASCITE… DETERMINANTE È L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE: OGGI LE DONNE IN ETÀ FECONDA SONO IL 14% IN MENO DEL 2008
Il manuale della Central Intelligence Agency consegna all’Italia un primato particolare: quest’anno diventa il sestultimo Paese al mondo per tasso di natalità davanti solo a Corea del Sud, Giappone e ai mini-Stati di Andorra, Montecarlo e Sant Pierre e Miquelon. Meno ovvio è capire cosa sia successo a questa comunità nazionale che nel dopoguerra, fino alla metà degli anni ’70, ha prodotto quasi ogni anno il maggior numero di figli in Europa occidentale. Oggi siamo scesi a poco più di un terzo delle nascite raggiunte al picco del baby boom, nel 1964.
Perché un Paese entra così profondamente in recessione demografica? Le spiegazioni di natura psicologica, sociale, economica e di costume sono sempre difficili da districare. Non ne esiste mai una sola. Ma non tutt’Italia si muove all’unisono e confrontare quel che è successo negli ultimi anni in ogni provincia può dare degli indizi e un quadro delle risposte possibili.
Prato l’ha visto crollare del 30% (1,1 figli per donna) e Roma del 22% a 1,18 figli per donna: così la capitale è molto sotto la già bassa media del Paese. Cosa alimenta queste macroscopiche differenze?
Una spiegazione ricorrente riguarda la debole assistenza alle famiglie, in particolare l’offerta troppo scarsa di posti in asili nido. Eppure, per quanto questi siano importantissimi, dai dati non si direbbe che la disponibilità nei diversi territori sia strettamente correlata all’andamento delle nascite.
La provincia di Trento per esempio ha quasi il doppio dei posti in asilo nido per ogni cento bambini entro i 36 mesi di età, rispetto a Bolzano, eppure dal 2008 ha visto scendere il suo tasso di fecondità a doppia cifra.
Oggi Trento è molto sotto alla provincia vicina come numero di figli per donna. Rimini dal 2008 presenta il secondo più forte crollo della fecondità in Italia e ormai viaggia quasi a livelli «sudcoreani» — i più bassi al mondo — eppure ha molti più posti in asilo nido della media italiana.
Dall’altra parte province come Trapani, Cosenza, Siracusa o Ragusa hanno strutture per la prima infanzia estremamente carenti, ma per loro il tasso di fecondità dl 2008 praticamente non è sceso. Trapani era sotto la media nazionale allora e oggi è sopra.
Anche un incrocio più sistematico dei dati non indica che in Italia un maggior numero di posti nei nidi si correla con una maggiore propensione a procreare: probabile che il ruolo dell’aiuto informale dei nonni sia il fattore che sfugge ai dati Istat.
Allora cosa spiega il collasso della natalità? Dall’incrocio dei dati, una correlazione banale ma potente emerge su tutte: le province nelle quali le nascite diminuiscono di più o sono più basse, dal 2008 in poi, di più tendono a essere quelle nei quali è diminuita di più la popolazione femminile in età fertile. Anche qui non mancano le eccezioni. Ma la correlazione è corroborata da un generale incrocio dei dati e dai casi specifici.
In media italiana dal 2008 al 2019 (si tratta dei più recenti dati Istat disponibili) il numero di donne fra i 16 e il 45 anni di età è diminuito del 14%, mentre il tasso di fecondità è diminuito del 13%. Province come Ascoli, Ancona, Pesaro e Urbino e ancora Rovigo, Asti, Alessandria o la Valle d’Aosta mostrano tutte sia un calo percentuale superiore alla media del numero di donne in età fertile che nella fecondità.
Certo sembrano profilarsi anche altre cause, più complesse. Per esempio Milano, Roma e Firenze vengono solo dopo Potenza per età media delle donne al parto (33,3 anni) e non casualmente mostrano tutte dei cali del tasso di fecondità molto superiori alle medie nazionali.
Partorire tardi, per ragioni sociali legate magari al mercato del lavoro, non permette di avere più figli. Ma non c’è dubbio che l’Italia stia pagando in questi anni il prezzo del suo primo inverno demografico, cioè il crollo del 43% delle nascite fra il 1970 e il 1995: semplicemente, ci sono sempre meno donne, e anche sempre meno uomini, in grado di procreare perché allora ne sono nate sempre meno. Così in futuro il Paese pagherà anche l’attuale calo delle nascite.
Le misure per la natalità sono dunque necessarie ma insufficienti, da sole, per stabilizzare il quadro demografico nel Paese. Come gestire l’immigrazione dipende però dalle preferenze politiche.
(da Corriere della Sera)
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Aprile 23rd, 2023 Riccardo Fucile
IL RICICLAGGIO VALE ANCHE PER LA CARRIERA. NON MALE PER CHI STIGMATIZZAVA IL PROFESSIONISMO POLITICO COME LA SENTINA DI OGNI CORRUZIONE
La gratitudine, si sa, non è di questo mondo. Così, dopo avere ballato alla grande per un paio di stagioni (quelle del doppio mandato lecito e consentito), capita che qualcuno molli gli ormeggi. E, magari, pur senza sputare proprio nel piatto dove ha allegramente mangiato, si accorga che tutto quello che aveva predicato – con accenti spesso savonaroliani – in precedenza non vale più. Improvvisamente. Inopinatamente. E oplà – come prescrive il manuale della perfetta capriola – eccolo (o eccola) cambiare casacca e tuffarsi a capofitto in una nuova avventura.
Dal Movimento 5 Stelle dell’uno vale uno siamo così passati, nei casi di alcuni ex e fuoriusciti, all’uno vale tutti, o all’uno vale qualsiasi altro. Purché garantisca un posto a tavola (o una promessa di poltrona). Insomma, per chi proviene dal partito-movimento dove Beppe Grillo perorava la causa dell’economia circolare e del riciclo il riciclaggio vale anche nell’ambito della carriera.
Non male per chi stigmatizzava il professionismo politico come la sentina di ogni corruzione e, vistosi messo in panchina dal divieto di terzo mandato ha pensato bene di cambiare casacca. Quella regola che, non a caso, Giuseppe Conte ha rivendicato come scelta giusta proprio nelle scorse ore, e che – al di là di quanto se ne possa pensare nello specifico – costituisce innegabilmente una delle (non molte) manifestazioni di coerenza del M5S.
E dunque, Giancarlo Cancelleri, già frontman del Movimento in Sicilia, pochi giorni or sono ha fragorosamente sbattuto la porta di fronte alla scoperta (un po’tardiva…) che «l’esperienza e la professionalità non sono valori aggiunti», esclamando con indignazione – sempre immancabilmente presente, ma a corrente alternata – «altro che uno vale uno, qui uno vale l’altro!».
Così, adesso, lo ritroviamo alla convention berlusconiana a Palermo, mirabilmente seduto in seconda fila, salutato dagli applausi della platea e benedetto dall’apprezzamento di Schifani perché, va da sé, «Forza Italia è un partito aperto». E dire che Cancelleri, novello «smemorato di Caltanissetta», nel corso della sua militanza a 5 Stelle aveva cannoneggiato il centrodestra a ogni piè sospinto, accusandolo di incapacità, corruzione e candidature di collusi con la criminalità organizzata; e la frase più gentile che aveva rivolto a Berlusconi era quella di «inventore dello scilipotismo». E ora, come spesso avviene, siamo alla nemesi, perché chi di Scilipoti colpisce…
Il gattopardismo, visto che stiamo parlando di politici già pentastellati siciliani, è sempre in agguato. Che dire, infatti, di Dino Giarrusso, uno dei grillini “castigadem” più implacabili? Tra le sue numerose prese di posizione in materia si possono ricordare tweet e post nei quali, allo scoppio di uno scandalo nella sanità regionale, sosteneva che «in Umbria c’è un’organizzazione criminale legata al Partito democratico». E al culmine dello scontro con Conte gli aveva pure rimproverato di avere trasformato il M5S nello «zerbino del Pd».
Eppure, evidentemente, quel «partito morto» (altra garbata definizione del Pd) esercitava nei suoi confronti un fascino “necrofilo” irresistibile, al punto da avere sfacciatamente provato a entrarci, fino a che una sollevazione interna ai dem gli ha sbarrato la strada.
E non c’è due senza tre, come mostra la plurima parabola di Laura Castelli, anche lei purissima fondamentalista del grillismo e “integerrima” avversaria della partitocrazia (altrui), che salpò con la scialuppa dimaiana di Insieme per il futuro. Avventura finita ingloriosamente e, allora, ecco che la “creativa” e sabauda ex viceministra dell’Economia ha deciso di approdare al ruolo di portavoce di «Sud chiama Nord», la lista di Cateno De Luca, per la quale era brevemente transitato (con dirompente litigio finale) lo stesso Giarrusso.
Anche i protagonisti della diaspora grillina si ergevano a (incendiari) rivoluzionari, per poi finire, inevitabilmente, pompieri.
E, per riprendere il filo della comparazione storica, si sono rivelati degli aspiranti notabili postmoderni, alquanto – non ce ne voglia nessuno, si tratta semplicemente di una constatazione (e del principio di realtà) – in sedicesimo rispetto ai predecessori ottocenteschi.
(da La Stampa)
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Aprile 23rd, 2023 Riccardo Fucile
UN PREZZO NON GIUSTIFICATO VISTO CHE IL COSTO DEL GRANO È TORNATO A SCENDERE A DIFFERENZA DI QUELLO DEI PACCHI DI PASTA VENDUTI NEI SUPERMERCATI… QUALCUNO SPECULA, IL GOVERNO SE NE FOTTE
A sferrare il primo attacco sul caro-pasta è stata Coldiretti, a ruota sono arrivati i consumatori invocando l’intervento di Mister prezzi, chiamando in causa l’Antitrust e le procure e rilanciando le accuse contro i produttori, che a loro volta han tirato in ballo le fluttuazioni di mercato contro cui «non possono far nulla».
La «guerra del maccherone» è combattuta da giorni a suon di numeri, i costi del grano duro che negli ultimi tempi sono letteralmente crollati e quelli della pasta, uno dei vanti del made in Italy, che nello stesso lasso di tempo sono aumentati del 18/25/35% a seconda delle stime a fronte di una inflazione che a marzo è scesa al +7,6%.
Quelli di Coldiretti, guardando l’andamento dei prezzi medi al consumo, parlano di «chiara distorsione» del mercato.
Secondo l’Osservatorio del Ministero del Made in Italy a marzo in media un chilo di pasta costava 2,13 euro, ovvero il 25,3% in più di un anno fa quando il costo medio di spaghetti penne e rigatoni si fermava a un euro e 70.
In base ai dati elaborati da Assoutenti il record spetta ad Ancona, dove il prezzo medio si attesta a 2,44 euro al chilo, a seguire Modena (2,41), Cagliari (2,40), Bologna (2,39) e Genova (2,38). Tra le grandi città Torino tocca quota 2,29, Milano 2,15, Roma 2,30 e Napoli 1,88. La città più economica è Cosenza, dove per due pacchi di pasta basta un euro e 48.
Di contro le quotazioni del grano duro sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisola a 38 centesimi di euro al chilo. E se nei primi sei mesi del 2022 il grano duro costava 550 euro a tonnellata negli ultimi giorni è arrivato a costare 360-390 euro a tonnellata
Secondo gli operatori del settore occorrerà aspettare qualche mese per vedere i prezzi al dettaglio della pasta scendere, anche perché la grande distribuzione nel 2011 ha fatto aspettare mesi prima di riconoscere ai produttori i rincari delle materie prime che già allora segnavano forti aumenti. Nell’attesa l’unica via di scampo che hanno i consumatori è quella di aggrapparsi alle offerte promozionali.
(da La Stampa)
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