Aprile 27th, 2023 Riccardo Fucile
“NON CAPISCE MOLTO DI MODA E SI FA AIUTARE, CHE PROBLEMA C’E'” … “PENSATE ALLA MELONI, È VOLGARE. ROSSETTO ESAGERATO, OMBRETTO SGARGIANTE E VESTITI DI ARMANI”… IL SONDAGGISTA NOTO: “ABILE STRATEGIA DELLA SCHLEIN: UNA SINTESI TRA SINISTRA E MODERNITA'”
Via l’eskimo, avanti il trench. Elly Schlein lo indossa in piazza il 25 aprile e pure in un servizio su Vogue, dove parla di tutte le battaglie che vuole combattere. Vogue le chiede se crede nel power dressing, lei risponde: non so bene cosa sia, ma comunque mi faccio aiutare da un’armocromista. Ed è su questo che tutti si soffermano. E allora si indaga sull’armocromista, Enrica Chicchio, e su quanto costino le sue consulenze. E si dibatte se sia opportuno che la leader di un partito di sinistra possa spendere per farsi dire quali vestiti le si confanno.
Toscani, come inquadra questo trench gate?
«Come l’inizio della Schlein».
Qualcuno, invece, dice che potrebbe essere la sua fine.
«Stupidaggini. È la donna del futuro e continua a dimostrarlo. Fa incazzare i conservatori di destra e di sinistra, parla un linguaggio nuovo, è nuova, vince, e va su Vogue».
E a cosa le serve?
«Se chiedi a una donna in gamba se preferisca essere bella o intelligente, lei ti risponderà: bella».
Quindi Schlein è andata su Vogue per essere bella?
«Ci è andata perché glielo hanno consigliato»
E ha sbagliato?
«Certo che no. Ha sbagliato chi l’ha fotografata: quelle foto sono brutte. E ha sbagliato chi l’ha vestita. Lei è una ragazza in jeans con le sue giacchettine, deve continuare così. È elegante, sobria, fresca. Ha stile. La ricordo sempre benvestita».
Quando si è benvestite?
«Quando nessuno si accorge dei vestiti che hai addosso. Ed è in questo senso che Schlein è la donna del futuro: una donna con la quale a nessun maschietto verrebbe in mente di fare il cretino. Una che ti colpisce per quello che pensa e fa, e che non passa inosservata per come si muove e non per quello che ha addosso».
Non è inopportuno che la leader di un partito di sinistra, una che ha vinto perché è l’icona del mondo nuovo e che si batte per i diritti delle minoranze, riveli a una rivista patinata che paga qualcuno per decidere come vestirsi?
«Inopportuno? Ma non si è mica fatta fotografare mentre beve champagne in una vasca d’oro. Non capisce molto di moda, si fa aiutare: può permetterselo. Siamo davvero così provinciali da credere che questo sia un tradimento dei suoi valori?”.
Pare di sì.
«Del resto a Parigi bruciano le borse di Vuitton. Cosa c’entrano le borse di Vuitton?».
Sono simboli.
«Se Schlein si vestisse da operaia, la accuserebbero di apologia del comunismo».
Che c’è di male nell’eskimo?
«Niente. Certo è che potremmo provare ad andare oltre i Beatles e i Rolling Stones».
Vogue ha scritto che Schlein ha fatto alla politica italiana quello che ha i Maneskin hanno fatto alla musica: l’ha “svecchiata, demascolinizzata, internazionalizzata”.
«Verissimo. È bravissima. Io ho votato per lei quando tutti dicevano che avrebbe perso. E la voterei ancora, convintamente».
Dello stile di Meloni che dice?
«Volgare. Rossetto esagerato, ombretto sgargiante».
È popolare.
«Popolare? In Armani?».
Ma è di destra, lì il problema non si pone.
«E sarebbe il momento che non si ponesse nemmeno a sinistra. La vera contraddizione è che sia dia tanta importanza a queste piccolezze, a questioni di facciata».
L’armicromia è un diritto del popolo, allora?
«E perché no? Non è anche questa la libertà?».
E la Liberazione?
«Ma da cosa, scusi? Io solo questo vorrei dire sul 25 aprile: non c’è stata nessuna liberazione, i fascisti sbattuti fuori dalla porta sono rientrati dalla finestra. Sono ancora qui, più raffinati di una volta».
Perché raffinati?
«Perché non hanno bisogno di vestirsi con la camicia nera, fare il saluto romano. Non hanno insicurezze identitarie. Li caratterizza quello che fanno. Fanno Cutro».
Cos’è il fascismo?
«Un’opera d’arte italiana. Possibile solo in un paese come il nostro: corrotto, ignorante e corruttibile come nessun altro».
Perché la sinistra non riesce a essere popolare e la destra sì?
«Io so solo che per il popolo si può morire ma tante volte non ci si può vivere insieme».
Ha detto una cosa un po’ classista.
«Vede? Lei nota solo la seconda parte, quella più sciocca e provocatoria, anziché la prima: morire per il popolo non la colpisce quanto il non poterci sempre vivere assieme. È la stessa ragione per cui si fa un gran fracasso su come veste Elly Schlein».
Non proprio su come veste.
«Senta, ma se mi offrono il caviale e a me il caviale piace, perché non dovrei mangiarlo?».
Perché il caviale è il simbolo di un privilegio.
«Questo è provincialismo politico. Lo stesso di chi rompeva le palle a Bertinotti per i pullover di cachemire. Non c’è niente di più provinciale di un piccolo comunista».
E lei lo può dire.
«Certo che posso. Io sono di sinistra. Molto di sinistra. Sono un radicale».
Non c’è il rischio che Schlein sembri lontana dai problemi della gente?
«Siete voi che siete lontani dalla gente. È una priorità per voi ma non per lei. È importante per il pubblico ma non per lei. La sua politica il suo modo di pensare non cambia per una foto su Vogue».
Il punto è quello che rivela di lei.
«Ma per favore, ma perdiamoli per strada questi analisti di cosa rivela un portafogli!»
Lei parla da intellettuale.
«Io sono un operaio».
Ma parla da intellettuale se pensa che risultare vicina alla gente non sia un problema che Schlein deve porsi.
«Ma infatti lei piace alla gente. Alla sua gente. Che questa stupidaggine la prenderà per quello che è. Andiamo avanti, diamoci da fare».
IL SONDAGGISTA NOTO
“Nessuno scivolone, è una strategia: cerca una sintesi tra sinistra e modernità”
“Le critiche sono sempre un buon segnale, vuol dire che susciti attenzione. Lei ha bisogno di crearsi una sua identità, alternativa a quella che le hanno cucito addosso giornali e detrattori”
(da La Stampa)
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Aprile 27th, 2023 Riccardo Fucile
“RICORDO CASI ABERRANTI TRA I PARTIGIANI, LA BRIGATA OSOPPO, IL TERRORISMO INTERNO. LA GUERRA CIVILE È FINITA IL 25 APRILE MA LE UCCISIONI SONO CONTINUATE FINO AL 1949 NONOSTANTE L’AMNISTIA DI TOGLIATTI. SUL SANGUE DEI VINTI NON SI PUÒ STENDERE UN VELO”
Franco Cardini, 81 anni, fiorentino, storico del Medioevo, si trova a disagio nella contemporaneità: «Evidentemente a “Otto e mezzo” non sono riuscito a spiegarmi bene se ora il professor Gibelli, ex organizzatore de “La Storia in piazza” di Genova, chiede le mie dimissioni da curatore della manifestazione al collega Canfora».
Tutto nasce dalla sua difesa dei ragazzi di Salò, perché?
«Il punto centrale è la riconciliazione tra gli italiani e una memoria condivisa. Perché questo avvenga bisogna mettersi d’accordo e non è detto che se ne trovi una, ma in quel caso ognuno si terrà la propria memoria». «Manca un’analisi seria e articolata della Resistenza perché possa diventare memoria condivisa. Ricordo casi aberranti tra i partigiani, la brigata Osoppo, il terrorismo interno, e va bene che in guerra tutto è legittimo ma con il senno di poi tanti episodi andrebbero riesaminati».
Troppi sconti ai partigiani insomma?
«Ad alcuni partigiani. La guerra civile è finita il 25 aprile, tutti si sono abbracciati, dopodiché le uccisioni sono continuate fino al 1949 nonostante l’amnistia di Togliatti. Sul sangue dei vinti non si può stendere un velo, occorre una conciliazione».
E Salò?
«Nella Storia non si può mai generalizzare, anche i repubblichini hanno avuto dei meriti. Magari stavano dalla parte sbagliata, ma volevano difendere la patria. Il 25 luglio Mussolini venne rovesciato da una congiura di palazzo e 18 settembre il Re scappò. Teniamo presente che allora si sapeva poco della Shoah».
La diatriba sulla parola antifascismo cosa c’entra con tutto questo?
«Nulla, ma faccio fatica a pronunciarla perché se parlo con un comunista vuol dire colpire il fascismo come braccio armato del capitalismo e se mi rivolgo a un liberale prende il significato di tutela di tutte le libertà, compresa quella economica. Insomma, gli antifascismi sono in contrasto tra loro».
L’antifascismo non è semplicemente l’avversione alla dittatura?
«Può darsi, ma i comunisti allora andrebbero considerati fascisti perché appoggiavano la dittatura sovietica. Resta una parola ambigua».
Qual è la sua proposta di riconciliazione?
«In Italia c’è stata una guerra civile tra minoranze. Un 10% di partigiani, un 5% di repubblichini e l’85% degli italiani alla finestra. La riconciliazione tra chi combatté per liberare il Paese e chi per rispettarne l’onore non può essere così complicata, anche perché li accomunò una volontà di riscatto».
(da La Stampa)
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Aprile 27th, 2023 Riccardo Fucile
L’ELLY- PENSIERO A 360 GRADI, DOVE TI ACCORGI PERCHE’ RAPPRESENTA UNA NOVITA’
Elly Schlein ha fatto alla politica quello che i Måneskin hanno fatto alla musica italiana. L’ha svecchiata, demascolinizzata e proiettata in un agone internazionale. Da quando è stata scelta alla guida del Partito Democratico il 26 febbraio – prima donna a ricoprire questo ruolo – la 37enne ex-europarlamentare già vicepresidente della Regione Emilia-Romagna non ha concesso interviste ai magazine. Eppure (o forse proprio per questo) tutti la vogliono, tutti la inseguono, tutti desiderano capire dove porterà la sinistra.
Io sono riuscito a intercettarla brevemente alla manifestazione milanese per i diritti delle Famiglie Arcobaleno – una delle battaglie a cui tiene in modo particolare, come ha detto alla folla e ai cronisti. Da quel momento, in un continuo rollercoaster di eventi politici e no, Elly è volata a Bruxelles per discutere con i dirigenti socialisti europei, ha annunciato la nuova segreteria del Partito Democratico formata in parti uguali da uomini e donne (tra cui Marwa Mahmoud, di origine egiziana), e ha subito indirettamente l’outing alla sua compagna Paola Belloni, finora rimasta lontana dai media. Riesco a parlare con lei proprio all’indomani dell’annuncio della nuova segreteria, che è stato il frutto di una lunga trattativa.
Elly, come si vince una discussione?
Innanzitutto c’è bisogno di un ingrediente fondamentale, cioè l’essere molto convinti di quello che si dice. Bisogna avere approfondito gli argomenti. Non mi fido dei politici che fanno i tuttologi: ognuno di noi ha il suo percorso di studi e professionale, ed è competente su alcuni temi, sugli altri invece occorre documentarsi, e occorre farlo mettendosi anche nei panni di chi non la pensa come te. Bisogna spiegare le proprie ragioni non con le proprie parole, ma partendo da un punto di vista diverso da quello personale.
Il tuo approccio alla politica segna una discontinuità col passato e forse anche per questo piaci. Come si fa un discorso game-changer?
Io provo semplicemente a guardare bene chi ho davanti, quando parlo. In linea generale penso che dobbiamo riuscire a entrare in connessione con le persone che vogliamo rappresentare e dobbiamo farlo con un linguaggio inclusivo, che si rivolga a tutti e a tutte. Sta emergendo una nuova consapevolezza nella società e soprattutto nelle giovani generazioni. C’è una mobilitazione europea che tiene insieme la giustizia sociale e la giustizia climatica, passando per la dignità del lavoro, contro lo sfruttamento e il precariato e per l’uguaglianza nei diritti, nelle opportunità di partenza. Faccio un esempio “londinese”: qualche anno fa andai alla Women’s March on London, si era da poco insediato Trump e in piazza non c’erano solo i movimenti femministi. Partecipavano anche i movimenti ecologisti, i movimenti sindacali, quelli che si battono per il diritto allo studio, chi manifestava solidarietà ai migranti e per il contrasto alla povertà. Era come se tutte queste lotte fossero intrecciate.
In questo momento è molto comune aderire a forme di estremismo che rompono le prassi della comunicazione con metodi piuttosto forti. Come nuoti contro questa deriva politica?
Faccio spesso una battuta: non lasciamo l’internazionalismo ai nazionalisti. Lo dico perché nel mondo c’è ormai una specie di “internazionale di nazionalisti” e questo è un paradosso, cioè, il muro di Orban in qualche modo rafforza i porti chiusi di Salvini e di Meloni, le idee di Farage rimbalzano in quelle di Trump utilizzando la stessa retorica di odio, di intolleranza, scegliendo gli stessi nemici. Facciamoci caso: su cosa costruiscono la loro retorica i nazionalisti? Su un capro espiatorio, l’origine di tutti i mali è chi nelle nostre società fa più fatica. È sempre colpa di una persona “diversa”, di un migrante, di una persona Lgbtq+, di una donna troppo emancipata per i loro gusti. Sono questi i nemici contro cui cercano di costruire un facile consenso. Beh, certo non rincorrendo a quel tipo di retorica, ma ribaltandola, e dimostrando che in realtà non c’è un “noi” e un “loro”: la grande avversaria dovrebbe essere la diseguaglianza. Te lo spiego con un’immagine. I nazionalisti puntano il dito verso il basso, cioè dicono: se stai male è perché arriva qualcuno che minaccia la tua situazione – di solito è una persona che sta peggio di te, che ti ruberà il lavoro, che prenderà lo spazio che non hai più tu, che avrà la casa popolare eccetera. Invece dobbiamo spostare quel dito verso l’alto. Si vedrebbe allora che in questi anni c’è chi ha continuato ad arricchirsi in modo sproporzionato, mentre larghe fasce della società si impoverivano. Il problema non è l’ultimo arrivato, magari con una barca attraversando il Mediterraneo, ma è chi ha fatto molti profitti evadendo ed eludendo il fisco, senza quindi contribuire in maniera proporzionata al benessere di tutti gli altri, e ridurre le diseguaglianze.
Come smascherare le ipocrisie che vedi in questa fase storica?
Ti faccio un esempio: quando ero europarlamentare ho lottato molto per riformare il regolamento di Dublino, ma nelle 22 riunioni di negoziati, quando si discuteva per condividere le responsabilità sull’accoglienza tra vari Paesi europei, non ho mai visto la Lega, non ho mai visto la destra che oggi è rappresentata da Giorgia Meloni.
Perché non c’erano?
Il motivo è che non hanno il coraggio di dire ai loro alleati nazionalisti, come Orban, che anche loro devono fare la propria parte nell’accoglienza. E ti faccio un altro esempio: in Europa abbiamo un problema di evasione ed elusione fiscale che sottrae risorse fondamentali agli investimenti per sostenere le imprese nella conversione ecologica, per l’istruzione, per la sanità. Perché lo dobbiamo accettare? Io vorrei vedere i sovranisti, quelli che difendono il diritto di ogni Stato ad agire autonomamente, spiegare come le differenze tra i sistemi fiscali europei concedano ad alcune multinazionali di ottenere delle aliquote prossime allo zero. Vorrei che i nostri nazionalisti andassero da lavoratrici e lavoratori a spiegare che quando difendono la sovranità nazionale stanno difendendo anche quella di alcuni Stati europei a creare delle agevolazioni fiscali enormi per le grandi multinazionali che pagano quasi zero tasse, quando loro, i lavoratori, sono tassati sopra il 40%. Ci sono delle contraddizioni forti in questo fronte di destra e nella sua narrazione. Bisogna avere gli argomenti per riuscire a spiegarlo.
A proposito di eccellenze, tante persone cercano di mantenere livelli disumani di rendimento e poi vanno in burnout. Tu come eviti di “bruciarti”, in un periodo in cui sei tirata da tutte le parti?
Mah, guarda, non ho una ricetta chiara. I rischi ci sono quando hai un lavoro che ti assorbe molto e che magari implica anche una responsabilità verso gli altri. A volte ti senti schiacciato. Io provo a rimanere comunque sempre in contatto con me stessa, ad ascoltarmi, a capire quando sto tirando troppo e a difendere alcuni spazi. Poi la sera cerco di decomprimere guardandomi una serie tv oppure giocando alla PlayStation.
Quali sono le serie o i film più utili, in questo senso?
Come genere amo i gialli con ambientazioni scandinave, paesini di montagna, boschi… Ma sono anche una fan di serie di culto come Stranger Things, Vikings, The Crown.
Nell’adolescenza hai scritto recensioni di film. Quali sono i titoli e i registi che hanno costituito il tuo immaginario?
Premetto che cinematograficamente sono onnivora. Però ho amato molto il cinema di Kim Ki Duk, regista coreano purtroppo scomparso con il Covid. La mia formazione è legata alla frequentazione del Festival del Cinema di Locarno e l’anno che arrivò il suo film Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera io ero nella giuria giovani: l’abbiamo premiato. Il suo è un cinema molto delicato, denso, con una fotografia intensa. Tra gli altri preferiti ci sono i film di Tarantino, di Ken Loach e i classici del cinema italiano – come L’armata Brancaleone – che guardavo in casa grazie alla collezione di videocassette di mio babbo.
Una lezione imparata lavorando alle campagne di Obama?
Nella campagna del 2008 abbiamo iniziato a utilizzare in modo intelligente i social media, anche se eravamo agli albori. Si trattava di una Grassroots Campaign, ogni persona dava un proprio contributo come poteva, e io ero una volontaria. Quando ho partecipato alla seconda campagna, nel 2012, siccome avevo già esperienza, formavo i volontari e c’erano file di persone di ogni estrazione sociale che desideravano partecipare – La lezione più importante che ho imparato è proprio questa: se hai una visione a 360° del futuro che vuoi costruire per il tuo Paese, puoi attrarre persone e realtà molto diverse, che poi si incontrano. Ma ho anche realizzato, dopo la vittoria di Obama nel 2008, che le aspettative molto alte sono un’arma a doppio taglio, perché da un lato ti danno lo slancio, ma è anche facile deluderle, almeno parzialmente.
E tu, personalmente, come riesci a trasmettere fiducia nel futuro?
Tutte le battaglie che ho fatto in questo percorso politico un po’ strano – perché non avrei mai pensato di fare politica in modo così attivo – sono state rafforzate dal farle in maniera plurale, collettiva. È la non-solitudine che ti dà quella speranza e quella fiducia, è il condividere un’idea che ti aiuta a trasmetterla. Lo dico sempre: io non basto, non credo nell’uomo o nella donna soli al comando. Credo nella forza di una mobilitazione collettiva che può cambiare davvero le cose.
Un pensiero molto controcorrente in Italia
Infatti, perché siamo circondati da partiti personali il cui destino è legato inscindibilmente a quello del leader. Se ho scelto di candidarmi alla guida del Partito Democratico, è perché mi sembra l’unico partito non personale in Italia e questa è la sua grande forza.
Qual è la differenza tra una leadership femminile e una leadership femminista?
Lo dico provocatoriamente verso Giorgia Meloni: non ci serve una premier donna se non si batte per migliorare le condizioni delle altre donne, perché il soffitto di cristallo non lo rompi da sola, è proprio fisica, non lo rompi con un solo punto di pressione. Se la maggioranza delle donne sono ancora discriminate nel lavoro, nell’accesso ai servizi, nel subire violenza di genere, e quindi neanche arrivano a vederlo quel soffitto… A cosa serve una premier donna?
Qual è il tuo processo per prendere decisioni difficili?
Non c’è un iter particolare, ma un metodo – che è quello dell’ascolto anche delle opinioni diverse. Io ho sempre voluto che nella mia squadra ci fosse qualcuno che non la pensava come me, che fosse un po’ più conservatore, così da decidere con equilibrio. Per esempio, durante la pandemia, in Emilia-Romagna, per i problemi dell’educazione ho creato un tavolo in cui sedevano i gestori degli asili, i pedagogisti, la sanità, i sindacati. Eravamo in 70, quindi facevamo discussioni di minimo quattro ore, però uscivamo con scelte molto equilibrate perché tenevano insieme dei punti di vista così preziosi.
Passando a un argomento più frivolo – ma forse non troppo visto che è parte importante della comunicazione, anche di quella politica – tu credi nel cosiddetto “power dressing”?
Allora, se sapessi che cos’è, ti potrei rispondere! Scherzi a parte, le mie scelte di abbigliamento dipendono sicuramente dalla situazione in cui mi trovo. A volte sono anticonvenzionale, altre volte più formale. In generale dico sì ai colori e ai consigli di un’armocromista, Enrica Chicchio.
Parliamo di musica: c’è qualche canzone, qualche band che ti aiuta a darti la carica?
Ti faccio una confessione: sono una grande appassionata di musica e suono il pianoforte da quando avevo 5 anni, anche se non sono mai stata costante. Durante le lezioni di pianoforte facevo arrabbiare il maestro perché ogni tanto mi addormentavo sulla tastiera. Poi ho continuato, da autodidatta, senza grandi risultati, fino a quando ho comprato di nascosto coi miei risparmi una chitarra elettrica, avrò avuto 15 anni, per strimpellarla in qualche band. In questi ultimi tempi ho avuto poco tempo per ascoltare musica e ho capito che questo incide negativamente sulle mie giornate, sul mio umore. Come per il cinema, devo dirti che ascolto cose molto varie, ma soprattutto musica indie come i Mumford & Sons, i Radiohead e i canadesi Rural Alberta Advantage – una loro canzone, Four Night Rider, mi dà sempre la carica.
Come mai ti piacciono tanto?
Il batterista, Paul Banwatt, ha un modo di suonare molto particolare, tutto sincopato, è come se fosse una voce in più.
Li hai mai sentiti dal vivo?
Sì, una volta sono partita da sola, come una pazza, alla volta di Amsterdam per andare a un loro concerto, poi dopo lo show sono andata a cercarli e li ho conosciuti in un whisky bar di Amsterdam, dove abbiamo passato il resto della notte a chiacchierare ed è nata una cosa bella, ci siamo anche rivisti quando sono venuti a Varese a suonare. Ti svelo un altro ricordo, a cui sono molto legata: ero a Bologna, ai tempi dell’università, una mattina mi sveglio e guardo fuori nel mio cortiletto, tutto bianco, intonso, grazie a una nevicata pazzesca. Allora lego il cellulare a una pentola e la pentola alla finestra, perché allora non c’erano selfie stick e compagnia bella, e comincio a filmare, prendo la chitarra elettrica e suono proprio Four Night Rider nella neve, facendo cose pazze. Quel video ce l’ho ancora, mi piace riguardarlo.
A questo punto voglio proprio ascoltarmela, questa canzone! Ma invece, parlando di attivisti e leader politici, chi sono quelli che ammiri di più?
Sicuramente guardo con molta attenzione questa nuova generazione di leader femministe che si battono per la giustizia sociale e per la giustizia climatica. Ho molta stima di Alexandria Ocasio-Cortez, di Ayanna Pressley, Ilhan Omar e Rashida Tlaib – sono una squadra, c’è una leadership condivisa, plurale. Ho molto apprezzato Jacinda Ardern, la premier neozelandese che ha recentemente concluso la sua esperienza di governo. Credo che a un avanzamento sul terreno delle politiche di contrasto all’emergenza climatica abbiano contribuito le mobilitazioni di Fridays for Future partite da attiviste come Greta Thunberg e Vanessa Nakate. E vorrei ricordare un’altra attivista, la brasiliana Marielle Franco, purtroppo uccisa a causa della sua lotta per l’emancipazione delle persone che vivono nelle favelas.
So che tu non hai l’automobile. Parliamo di mobilità sostenibile, bicicletta, treno…
Uso molto la bicicletta, o meglio la usavo perché me ne hanno rubate due nel giro di sei mesi e sono rimasta un po’ traumatizzata. Viaggio spessissimo in treno. Ma soprattutto mi interessa capire quali politiche mettiamo in campo per sostenere questa svolta nei trasporti. Faccio un esempio. Durante la pandemia, in Emilia-Romagna, abbiamo investito per rendere gratuito il trasporto pubblico locale per i giovani fino ai 19 anni, soprattutto nelle fasce di reddito più basse. Questo significa tenere insieme giustizia sociale e climatica, perché facciamo risparmiare una famiglia e al contempo creiamo una cultura di mobilità sostenibile alternativa. L’Italia è un Paese che può investire moltissimo sul cicloturismo, ormai alla portata di tutti anche grazie alla mobilità elettrica. Chi pensa che sia un argomento di nicchia non ha visto le stime, secondo cui porterebbe un indotto di più di 40 miliardi di euro all’anno in Europa. Inoltre le ciclovie possono generare nuova occupazione: 1 km di pista ciclabile fatta bene può creare 4/5 posti di lavoro. Insomma, investire sul turismo sostenibile, sul turismo lento, è anche una via per fare buona impresa e sviluppare lavoro di qualità.
Cos’altro possiamo fare in concreto per combattere il cambiamento climatico su base individuale?
Possiamo ridurre l’utilizzo della plastica, fare la raccolta differenziata che sostiene l’economia circolare. Questi sono i principi importanti, ma bisogna essere facilitati da politiche pubbliche adeguate, che abbandonino la dipendenza dalle fonti fossili. L’Earth Overshoot Day, che segnala quando abbiamo già consumato le risorse naturali che possono essere rigenerate dal pianeta, ogni anno arriva sempre prima. Quindi dobbiamo riuscire a spingere sull’energia pulita e rinnovabile, sole, vento, acqua. In Italia abbiamo un grande potenziale, ma purtroppo non c’è ancora un piano industriale verde. Altro esempio concreto sono le comunità energetiche, poco conosciute ma molto efficienti: permettono alle persone, alle aziende, ai comuni, alle scuole di autoprodurre energia pulita e rinnovabile, magari con i pannelli solari sui tetti, per condividerla e scambiarla. Questo è un “win win”, perché realizza una doppia convenienza: da un lato si risparmia in bolletta, e dall’altra parte si riducono le emissioni.
Come trovi un equilibrio tra vita privata e vita pubblica?
Guarda, sono un disastro. Il crescente impegno politico ha implicato molte rinunce, per una come me che all’università, a Bologna, usciva praticamente tutte le sere. Ora questa parte è molto ridotta, cerco di difendere gli spazi di vita personale ma non è facile.
In effetti è successo che un magazine abbia invaso la tua privacy, pubblicando la foto della tua compagna. Come ti sei sentita quando è successo?
È stato un outing, che è sempre una forma di violenza come lei ha chiarito. Io concordo pienamente.
Come ti vuoi battere per i diritti Lgbtq+ in Italia?
Innanzitutto vorrei ridurre la distanza che ci divide dai Paesi del Nord Europa. Noi non abbiamo nemmeno una legge contro l’odio e la discriminazione, quella che ha portato avanti Alessandro Zan, con cui lavoriamo tutti i giorni, affossata dalla destra con quel vergognoso applauso nell’Aula del Senato. Lo ricordi?
Certamente.
Quello è, diciamo, un minimo sindacale. Poi naturalmente ci stiamo battendo per il matrimonio egualitario. Love is love: questo è lo slogan con cui accompagniamo le associazioni nella battaglia. Ma mancano anche i diritti delle figlie, dei figli delle coppie omogenitoriali, per cui abbiamo molti passi avanti da fare. E occorre farlo con una mobilitazione permanente, cercando il supporto dei sindaci e tentando di portare avanti questa battaglia in Parlamento
Giugno, che è ormai alle porte, è anche il mese del Pride. Come lo celebri e cosa rappresenta per te?
È un mese di orgoglio e di rivendicazione. Come tante e tanti altri, lo celebro andando alle manifestazioni nelle città, molto partecipate non solo dalla comunità Lgbtq+, ma da tutti quelli che non vogliono vivere nel Medioevo dei diritti e andare verso l’Europa e verso il futuro.
Federico Chiara
(per vogue.it)
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Aprile 27th, 2023 Riccardo Fucile
L’AZZURRO PIERANTONIO ZANETTIN METTE IN FILA TUTTI GLI ERRORI “INACCETTABILI” RIGUARDO LA CITTÀ DI VICENZA E LA REGIONE VENETO, DI CUI È ORIGINARIO
Un’interrogazione parlamentare per sapere “quali iniziative intenda assumere il ministro del Turismo per rimediare a questo gravissimo danno di immagine e se gli errori segnalati nel frattempo siano stati almeno corretti”.
A presentarla oggi a Palazzo Madama è il capogruppo di Forza Italia in Commissione Giustizia del Senato, Pierantonio Zanettin, dopo aver denunciato già ieri gli “inaccettabili” errori contenuti nella campagna ‘Italia, Open su Meraviglia’ messa a punto dalla Armando Testa e costata al ministero del Turismo circa 9 milioni di euro.
“Premesso che diversi quotidiani oggi in edicola segnalano dei grossolani errori contenuti nel portale “Open to Meraviglia” – Italia.it, che dovrebbe costituire uno dei biglietti da visita on line del nostro Paese”, Zanettin “ne segnala alcuni dei più clamorosi, riguardo la città di Vicenza e la Regione Veneto, di cui è originario”.
“Si dice che il Teatro Olimpico di Vicenza si affaccia su Piazza del Signori, quando invece si affaccia su Piazza Matteotti. Riguardo allo stesso teatro si afferma che il Palladio “riuscì a completarlo prima della sua morte”, ma la storia ci dice che non fu così. Nel testo è evidentemente saltato un “non”. Si dice, altresì, che Palladio, progettando la celebre Basilica, sarebbe intervenuto sul preesistente Palazzo della Regione, quando con tutta evidenza all’epoca non esistevano le Regioni, ed in realtà si trattava del Palazzo dalla “Ragione”, perché al suo interno vi veniva esercitata la “ratio”, in quanto si prendevano le decisioni, soprattutto giudiziarie”.
“L’immagine della Loggia Valmarana – si legge ancora nell’interrogazione parlamentare – sita a Vicenza, nel Giardino Salvi, (ribattezzato per l’occasione “Giardini Salvi”) viene confusa ed associata alle ville del basso vicentino. Tra i luoghi vicentini di interesse spunta Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso. In provincia di Belluno, il celebre Lago di Misurina, viene ribattezzato ‘Lago di Misurata’”.
(da agenzie)
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Aprile 27th, 2023 Riccardo Fucile
COME IL LAGO DI MISURINA DIVENTA IL LAGO DI MISURATA IN LIBIA… E SI INVENTANO PURE LA COMPAGNIA AEREA BERGAMASC AIRLINES CHE NON ESISTE
Turisti di lingua italiana, turisti di lingua spagnola, turisti di lingua inglese. Se bramate, anelate, amate la montagna, non seguite la Venere della Santanché perché invece di portarvi fra le meraviglie delle Dolomiti vi trascina nel golfo di Sirte, in Libia.
Altro epic fail in tre lingue diverse. E così, il celebre lago di Misurina nel Bellunese diventa il “Lago di Misurata”, città della Libia.
A individuare l’errore è stato lo storico bellunese Marco Perale che, curiosando sul sito della campagna promozionale, “Open to meraviglia”, alla voce “Cosa vedere in Veneto” si è trovato davanti due enormi strafalcioni.
Il testo originariamente presente sul sito era tradotto in quattro lingue diverse, poi diventate tre dopo la rimozione della versione in tedesco, e recitava: «E se bramate la montagna, la provincia di Belluno sarà un paradiso per voi: Cortina d’Ampezzo, nel comprensorio del Dolomiti Superski, dispone di 70 piste da discesa servite da 5 funivie e 26 seggiovie. Poco più a Est si stagliano le 3 Cime di Lavaredo, e nella stessa zona potete lasciarvi ammaliare dalle acque azzurre del Lago di Misurata e fare un’escursione fino al lago del Sorapis, un gioiello color turchese incastonato nelle Dolomiti a quasi 2000 metri di altitudine».
In questa descrizione, oltre all’errore sul lago di Misurina, si nasconde un secondo strafalcione, che era presente nella traduzione tedesca scomparsa dal portale e riguardava le Tre Cime di Lavaredo.
Secondo gli esperti del ministero del Turismo sarebbero collocate a Est di Cortina d’Ampezzo. In realtà, però, fintanto che il detto “Se Maometto non va dalla montagna allora le montagne vanno da Maometto non funziona propriamente nella realtà”, le tre cime si trovano ancora a Nord-Est rispetto alla nota località turistica.
Finita qui? Macché. Le Tre Cime di Lavaredo sono ben note dai turisti austriaci e tedeschi come le “Drei Zinnen”, ma sul sito del ministero erano state trasformate in un’unica cima: “Lavaredo Gipfel”, ossia la ”Vetta di Lavaredo”.
Che fine hanno fatto le altre due? Non si sa.
In qualsiasi caso, la traduzione in tedesco è stata rimossa dal sito della campagna promozionale. Nel frattempo mettiamo le mani avanti. Come cantava la pantera di Goro Milva ne L’aeroplano: “Welcome tourist, welcome tourist, Austrian, Canadian, Bergamasc Air Lines, Iran Air, TWA, Pan American“. Vi diamo uno scoop: tra le tante compagnie citate, Bergamasc Airlines non esiste. Sarà forse la compagnia aerea utilizzata per arrivare al “lago di Misurata” o sorvolare la “vetta di Lavaredo” nelle Dolomiti, in Italia? Chissà. In qualsiasi caso, dal fronte dolomitico: Welcome tourist!
(da agenzie)
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Aprile 27th, 2023 Riccardo Fucile
TRA I COAUTORI L’IDEOLOGO FAZZOLARI E IL CAPO UFFICIO STAMPA DI PALAZZO CHIGI, MARIO SECHI. MA LA MENTE E’ QUELLA DEL DEVOTO PAOLO QUADROZZI, L’AMICO CIOCIARO DELLA MELONI, E COGNATO DELLA PORTAVOCE GIOVANNA IANNIELLO
Ai meloniani appassionati di riferimenti nascosti e abituati a cercare le simbologie nei romanzi di Tolkien (nonostante lui le negasse), non è sfuggito che Giorgia Meloni nella sua missiva per il 25 aprile al Corriere della Sera ha parlato di Paola Del Din della brigata Osoppo: un esempio sì di combattente della Resistenza che però non vuole essere definita «partigiana» bensì «patriota» e, – qui parte il non detto – simpatizzante di Gladio, l’organizzazione militare segreta italiana, collegata con la struttura chiamata Stay behind, alla quale partecipavano paesi del blocco occidentale, e operante a partire dal secondo dopoguerra in chiave anticomunista.
La stessa Del Din in una lettera al Messaggero Veneto nel 2005 rivendicava: «È strano che io abbia sentito e senta affinità ideali con loro e sia per tanto socia onoraria?».
Un riferimento che, risulta a Domani, non è tutto farina del sacco della premier, ma di alcuni dei suoi più stretti collaboratori.
L’AUTORE NASCOSTO
La seconda lettera di Giorgia Meloni ai lettori del Corriere (la prima era contro gli anarchici) è stata vergata in primis dal devoto Paolo Quadrozzi da Veroli, in provincia di Frosinone. Militante di destra, noto alla storica sezione del partito della “grotta” di Colle Oppio, dove è cresciuta politicamente la presidente del Consiglio, e cognato della portavoce Giovanna Ianniello. Dopo un passato come comunicatore in parlamento, Quadrozzi oggi fa parte della segreteria di Alfredo Mantovano, ex presidente dell’associazione per i cristiani perseguitati Aiuto alla chiesa che soffre (Acs) e sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti.
La vita social di Quadrozzi è stata di recente eliminata, e i riferimenti alle sue pagine, che fino a poco fa esistevano come dimostrano i tag del ministro della Difesa Guido Crosetto, sono stati oscurati. Tuttavia ha da poco attirato l’attenzione delle cronache per aver condiviso tra le storie whatsApp un meme: prendendo spunto dalla canzone nata dalla rottura tra la cantante Shakira e il calciatore Gerard Piqué, ha paragonato la leader Giorgia Meloni a un Rolex e la segretaria del Pd, Elly Schlein, a un Casio.
Online si trova ancora qualche traccia del suo passato da giornalista pubblicista. Quadrozzi infatti ha scritto per il giornale collegato a Fratelli d’Italia La voce del patriota, testata diretta da Ulderico De Laurentiis che ha lo stesso nome del foglio della brigata Osoppo. Scriveva soprattutto di Acs. Il tecnico ha collaborato anche con la rivista Area, diretta da Fabio Rampelli. Paolo, dicono in parlamento, «è bravissimo, grandissimo lavoratore e studioso».
Dopo aver lavorato con Federico Mollicone, il responsabile cultura di FdI, è passato al gruppo, e da lì «ha cominciato a scrivere per Giorgia: è lui che aiuta a scrivere parte dei suoi interventi politici». La stessa premier non ha lesinato i complimenti. Nella sua biografia Io sono Giorgia, lo descrive come «il più pignolo e infallibile tra noi» e come colui che «prepara tutte le schede per le trasmissioni televisive e per le campagne elettorali».
§Oggi ufficialmente «svolge attività di ricerca normativa e documentale e predispone dossier tematici e rapporti ai fini dell’istruttoria sulle questioni da sottoporre al sottosegretario di stato» a 60mila euro all’anno.
IL COAUTORE E IL REVISORE
Il messaggio al Corriere, che non citava mai la parola «antifascismo», è stato scritto però a più mani. Coautore nascosto, oltre a Quadrozzi, è il più celebre sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, con Mantovano l’uomo più vicino a Meloni a Palazzo Chigi.
Al nuovo capo ufficio stampa, Mario Sechi, ex direttore dell’Agi, è rimasta la revisione e qualche guizzo finale.
(da Domani)
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Aprile 27th, 2023 Riccardo Fucile
“PENSAVO CHE IL MOVIMENTO INTERPRETASSE I VALORI DELLA SINISTRA”
L’apertura di credito di Giuseppe Conte a Giorgia Meloni non è piaciuta ad alcuni 5Stelle. Di certo non a Roberto Scarpinato, senatore, già noto ai più come magistrato.
“Sono entrato nel Movimento perché ritenevo interpretasse i valori della sinistra, ma ora vorrei capire se tali valori sono effettivamente nostri” ha (sostanzialmente) detto ieri l’ex procuratore generale di Palermo, durante l’assemblea dei senatori del M5S a Palazzo Madama.
Non condivide la posizione di Conte, che il 25 aprile aveva giudicato positivamente la lettera della presidente del Consiglio al Corriere della Sera sulla festa della Liberazione e sul fascismo. “Molti punti del testo sono assolutamente condivisibili, finalmente iniziano a esserci le premesse perché questa sia una festa condivisa”, aveva detto l’ex premier.
“Questo esecutivo si regge sui voti di un partito il cui leader ha mantenuto rapporti pluriennali coi mafiosi”, disse l’ex magistrato, riferendosi a Berlusconi. Invece ieri ha fatto un discorso in cui ha invocato “una visione” per il Movimento che cerca un centro di gravità permanente all’opposizione. Ma Scarpinato non è l’unico ad aver giudicato troppo gentili le frasi di Conte verso la premier.
Lo provano altri interventi nell’assemblea dei senatori, come sguardi e frasi di alcuni deputati. “Sarebbe bastato dire che la lettera è un passo avanti, ma che Meloni dovrebbe comunque fare di più” sussurrano due eletti.
Il sintomo di un malessere nel corpaccione parlamentare, che invoca una direzione più chiara per il M5S. Per dirla come un veterano, “almeno fino alle Europee dobbiamo pensare solo a essere noi stessi, con le nostre proposte, senza preoccuparci di rincorrere questo o quello”.
Tradotto: senza per forza attaccare quasi ogni giorno Elly Schlein, e senza obbligatoriamente cercare consensi al centro. Segnali, dal Movimento dove non tira aria di lunghi coltelli. Ma dove in diversi avvertono il bisogno di riassestare la linea, anche per quanto riguarda i rapporti con il Pd. E Conte, che ne pensa?
Contattato dal Fatto, l’avvocato (ri)dice la sua sulla premier: “Sono contrario a quel massimalismo ideologico pregiudiziale che, di fronte a una lettera come quella di Meloni, pretende di dover dettare il testo che la presidente del Consiglio avrebbe dovuto pubblicare, o dichiara che non è mai abbastanza”. Allo stesso modo “non condivido il fatto che il tasso di democraticità di una forza politica lo debba stabilire un altro partito”.
Ma la premier ha fatto i conti con il fascismo? Conte replica: “La sua forza politica ha da tempo abbracciato un percorso democratico. Ma il fatto di non sentirmi legittimato a dare patenti di democraticità, non mi esime dal criticare duramente questo governo, le cui misure si stanno rivelando a tratti palesemente reazionarie, a partire dalla norma sui rave party in poi”.
E la rotta del Movimento? “Vogliamo costruire un progetto di società che migliori la vita delle persone, nel segno della giustizia sociale e ambientale. È la nostra sfida progressista: distinguere i privilegi di pochi dai diritti di tutti”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 27th, 2023 Riccardo Fucile
LA MINISTRA CALDERONE E’ CONTRARIA, MA LA DESTRA ASOCIALE INSISTE NELLA POLITICA DI FAVORIRE I RICCHI E MASSACRARE I POVERI
Il decreto del Primo Maggio rischia di diventare un boomerang per il governo di Giorgia Meloni. Nel Consiglio dei ministri convocato simbolicamente nel giorno della Festa dei lavoratori sarà approvato un provvedimento che riforma il Reddito di cittadinanza istituito dal governo Conte-1 (Lega-M5S) e prevede il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori. Ma, nonostante da metà marzo circolino e siano state pubblicate le bozze del decreto, nel governo si sta consumando uno scontro politico tra la Presidenza del Consiglio e il ministero del Lavoro sulla riforma del reddito e tra la Lega e Fratelli d’Italia sulla possibilità di aumentare le pensioni minime.
Il tema di scontro più rilevante riguarda il Reddito di cittadinanza. Da metà marzo sui giornali sono circolate due bozze sulle nuove misure per sostituire l’assegno – la prima si chiamava “Mia”, la seconda si divide tra le sigle “Pal”, “Gal” e “Gil” – ma in realtà il testo non è ancora chiuso. Manca l’accordo politico. Dopo che la bozza di Mia era stata pubblicata a marzo sul Corriere della Sera, Meloni aveva deciso di commissariare la ministra del Lavoro Marina Calderone accusata di avere un atteggiamento “troppo soft” e avocare a sé il dossier, affidandolo al fedelissimo Giovanbattista Fazzolari e all’ufficio legislativo di Palazzo Chigi.
Lo scontro Meloni contro Calderone sul sussidio
Lo scontro riguarda la categoria degli occupabili. Calderone, che da mesi ripete di non voler “lasciare indietro nessuno”, vorrebbe che dal primo gennaio 2024 chi può lavorare possa chiedere l’assegno ancora per un anno per un totale di 350 euro al mese a condizione di attivarsi con corsi di formazione. Linea contestata da Fazzolari. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, fedelissimo di Meloni, invece vuole un taglio netto. E sta provando a imporlo modificando l’ultima bozza del testo: il suo obiettivo è quello addirittura di eliminare il sostegno per tutti gli occupabili dal 2024. Lasciando quindi una forma di sostegno (Pal) solo per chi perderà il reddito da agosto e fino a fine anno e per gli inoccupabili (Gil). Una posizione che però non è condivisa da Calderone, che sta provando a far capire a Palazzo Chigi che “lasciare 400 mila persone per strada diventa un problema sociale”.
Ma Fratelli d’Italia non è d’accordo con la ministra e manifesta sempre più irritazione per il suo operato. Un dirigente di rilievo del partito di Meloni, che chiede l’anonimato per parlare del dossier, attacca duramente Calderone: “Questa non è una questione di dettagli tecnici, ma di linea politica: lei è favorevole o contraria al Reddito di cittadinanza? Se si è contrari, il reddito va abolito e basta. La ministra Calderone deve metterselo bene in testa: noi abbiamo preso i voti con quella proposta e adesso non possiamo cambiare idea”.
Quella del taglio netto del reddito dal 2024 è la strada che predilige Fazzolari, mentre l’ipotesi di compromesso potrebbe essere quella di mantenere l’assegno con criteri più stringenti – chi si attiva veramente per cercare lavoro – o anche ridurlo solo per pochi mesi e non più un anno. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha l’obiettivo di “fare cassa” per trovare entrate, è d’accordo mentre lo è un po’ meno il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Quest’ultimo è l’esponente di riferimento del mondo cattolico a Palazzo Chigi e in queste ore ci sono pressioni della Comunità episcopale italiana (Cei) per evitare di lasciare senza un sostegno 400 mila persone, dice un esponente di governo.
Anche Matteo Salvini sarebbe favorevole. Perché il leader della Lega, con la sponda di Forza Italia, chiede di recuperare dei fondi per far inserire nel decreto un aumento delle pensioni minime. Ma non ci sono soldi: a disposizione per il taglio del cuneo ci sono 3,5 miliardi ed è già considerato il minimo indispensabile. Invece, spiegano da FdI, per le pensioni minime servirebbero 4/5 miliardi.
Dati Perché è un errore punire gli occupabili
Le ipotesi sul tavolo quindi restano diverse. La prima è l’abolizione totale dal 2024 per gli occupabili. La seconda è che la Gal resti da 350 euro al mese, purché questi si attivino per trovare un posto (come, non è ancora chiaro). La speranza è che molti non lo facciano e questo produca risparmi di spesa. Un’altra ipotesi consisterebbe nel ridurre il periodo di fruizione. A prescindere da quale opzione avrà la meglio, la traduzione pratica dell’esigenza propagandistica di punire gli occupabili sarà più complessa. Vediamo perché.
Tanto per cominciare, la perdita del sussidio in caso di mancata partecipazione alle attività di inserimento, o di rifiuto di un’offerta, è sempre stata prevista dalla legge sul Reddito di cittadinanza sin dal 2019. Semmai la difficoltà è stata applicarla perché i centri per l’impiego sono in affanno e con poco personale. Secondo la bozza del decreto, saranno ritenuti occupabili i beneficiari senza disabili, minori e anziani in famiglia. Ma non solo: anche chi ha queste categorie nel proprio nucleo, e riceve la Garanzia per l’inclusione (Gil), potrà essere obbligato a seguire corsi e accettare proposte di assunzione, purché ricorrano altri presupposti. Bisognerà intanto capire se la condizionalità sarà uguale o – vista la presenza di persone fragili in queste famiglie – sarà meno severa di quella imposta a chi non ha figli o anziani ai quali badare.
L’ultimo aggiornamento Anpal, di dicembre 2022, dice che, su 725 mila persone tenute al patto per il lavoro, solo 335 mila sono state prese in carico, il 42%. Questo non significa che il 58% restante possa essere automaticamente sanzionato: tutt’altro. In quel gruppo ci sarà chi non ha firmato il patto poiché ancora non convocato dai centri per l’impiego, chi non l’ha fatto per i tempi burocratici, altri che magari avevano una giustificazione. Le verifiche competono ai centri stessi, non sempre in grado di portarle a termine in breve. E poi ci sono i percettori che, a prescindere, sono comunque attivi “privatamente” sul mercato del lavoro, cioè lo cercano (e spesso lo trovano) senza l’aiuto dei centri per l’impiego; sarebbe paradossale punirli. Uno studio Anpal dimostra che i servizi pubblici aumentano di pochissimi punti percentuali la possibilità di trovare un posto. Se invece vincesse l’ipotesi di riduzione della durata, si rischierebbe di non fare in tempo a prenderli in carico prima della scadenza. La materia è complessa, la casistica varia, l’errore è voler racchiudere una simile utenza in grandi categorie.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 27th, 2023 Riccardo Fucile
E PUÒ IL SENATORE SEMPLICE DI RIAD, CHE HA RAPPORTI CON I SAUDITI, ORIENTARE IL COMITATO DOVE PASSANO DOSSIER DELICATI PER LA SICUREZZA NAZIONALE?
Gira e rigira, riemerge la vecchia passione di Matteo Renzi per i servizi segreti. Quando era premier, fece un casino del diavolo per portare Alberto Manenti alla guida dell’Aise (i due hanno ancora rapporti).
Sempre lui provò a piazzare, invano, il suo fido amico e braccio destro, Marco Carrai, alla guida dell’agenzia per la cybersicurezza.
Ai tempi del governo giallorosso Matteonzo ingaggiò una dura battaglia affinché Giuseppe Conte, allora premier, mollasse le deleghe sugli 007 (quando Renzi incontrò lo 007 Marco Mancini alla stazione di servizio di Fiano Romano, Peppiniello Appulo ancora non aveva deciso di mollare l’interim all’autorità delegata, cosa che farà poche settimane dopo, a gennaio 2021).
Ora il senatore semplice di Riad, che ha rapporti solidi con una potenza straniera come l’Arabia Saudita, punta a controllare e orientare il Copasir, commissione cruciale dove passano informazioni e dossier molto delicati e sensibili.
Dopo aver “sedotto” Enrico Borghi, un partito tascabile come Italia Viva, che ha più eletti che elettori, si ritrova due membri all’interno del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica: l’ormai ex piddino Borghi agirà di sponda con Ettore Rosato.
A loro, Renzi vorrebbe aggiungere un terzo tassello: Licia Ronzulli. L’ex sindaco di Firenze da tempo sta “corteggiando” l’ex infermiera prestata alla politica affinché molli, insieme alle sue truppe, Forza Italia, per approdare al monolocale di Italia Viva.
“Kiss me Licia” per ora non intende abbandonare Berlusconi (è capogruppo al Senato di Forza Italia), ma sta indirizzando i suoi fedelissimi scontenti verso Renzi.
Nel Copasir i renziani troveranno l’opposizione del loro ex amico, Lorenzo Guerini, presidente del Comitato, ormai in guerra aperta con l’ex premier.
(da Dagoreport)
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