Aprile 25th, 2023 Riccardo Fucile
LA SCELTA DI STILE DI ELLY SCHLEIN: NIENTE TESTA DEL CORTEO, COME UNA MILITANTE DIETRO LO STRISCIONE DEL PD E RINUNCIA A COMMENTARE SULLA MELONI: “SONO QUA PER CELEBRARE IL 25 APRILE”
Sono oltre i 100 mila i manifestanti che oggi, 25 aprile, hanno sfilato per le strade di Milano per festeggiare il giorno della Liberazione dal nazifascismo: questo il bilancio diffuso dal palco dal presidente Anpi del capoluogo lombardo, Roberto Cenati. Partito da corso Venezia sulle note di «Bella Ciao», la canzone simbolo della resistenza, il lungo corteo ha raggiunto piazza Duomo dove si sono susseguiti come da tradizione dal palco i diversi interventi istituzionali.
Tra questi, quello del sindaco di Milano, Beppe Sala, che ha ricordato il momento culminante del recente viaggio del presidente della Repubblica in Polonia. «L’altro giorno ho visto un grande uomo camminare sui sentieri infami di Auschwitz, ho visto il suo sguardo duro e commosso e le sue parole, era Sergio Mattarella. Questo grande padre per noi ha ristabilito la storia», ha detto Sala, tra gli applausi dei partecipanti. «Dobbiamo fare memoria perché lo vediamo bene cosa succede a non vigilare – ha aggiunto -, lo abbiamo visto a Capitol Hill e Brasilia e a Bucha». Poi l’affondo rivolto alla premier Giorgia Meloni: «Certe cose se si sentono bisogna dirle ad alta voce, mettendoci la faccia. Meloni in alcune occasioni pubblicamente ha mostrato una faccia decisa, ha urlato certe parole e certi slogan. Quello che dovrebbe fare è mettere la faccia e dire con chiarezza e in maniera definitiva: “Siamo antifascisti”».
La prima volta di Elly Schlein
Anche Elly Schlein, ha preso parte alle sue prime celebrazioni del 25 aprile da segretaria del Pd: al suo arrivo Schlein ha raggiunto in testa al corteo il primo cittadino di Milano per salutarlo e poi ha sfilato dietro lo striscione del Partito democratico. Ma non ha voluto parlare dell’avversaria politica n° 1: «Oggi siamo qui a onorare la Resistenza», ha detto Schlein, ricordando che di Meloni e del suo rapporto con la storia del Ventennio «ho già detto cosa penso».
Anpi: «Servono unità e mobilitazione democratica»
Contro questo «tempo di revisionismo» in cui c’è chi vuole «riscrivere la storia e ridimensionare il valore della resistenza» occorre «la più ampia unità e mobilitazione di tutti i democratici» secondo il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo secondo il quale «persino Fini e Berlusconi prendono le distanze da chi si rifiuta di pronunciare la parola antifascismo, eppure ho letto oggi un lungo articolo della premier sul Corriere della Sera e quella parola non c’è, non è mai scritta». E «aggiungo una preoccupazione – ha detto dal palco del 25 aprile in piazza Duomo a Milano -. Si sta andando a tappe forzate a una revisione dei poteri delle Regioni, la cosiddetta autonomia differenziale che potrebbe dividere il Paese in due parti: la Serie A e la serie B, ad esempio sulla sanità e sulla scuola e ci si prepara a una riforma presidenzialista che può cambiare i fondamentali della Costituzione del ’48, col pericolo di far saltare la divisione dei poteri e di relegare il Parlamento al ruolo di Cenerentola. Questo è il tempo del nostro 25 aprile». «È il tempo – ha spiegato – in cui ritrovare e promuovere la più ampia unità e mobilitazione di tutti i democratici, le associazioni, i sindacati, i movimenti e il popolo nelle mille forme di aggregazione sociale, laici e cattolici, ragazzi di Greta Thunberg, una grande rete unitaria affinché sia finalmente rispettata e applicata pienamente la Costituzione antifascista», conclude.
(da Open)
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Aprile 25th, 2023 Riccardo Fucile
IL GIORNALE TEDESCO “BILD” SOSTIENE CHE IL PRESIDENTE RUSSO ABBIA ALMENO TRE SOSIA: SAREBBERO LORO A ESSERE STATI IN VISITA AI MILITARI IN UCRAINA, A SEBASTOPOLI E MARIUPOL… LE ANALISI BIOMETRICHE SUL VOLTO, IN PARTICOLARE SUL MENTO
«Chi è Vladimir Putin e quanti sono?». La tedesca Bild non è la prima e non sarà l’ultima testata giornalistica ad avanzare dubbi sull’autenticità del Putin che abbiamo visto alla tv, nel web o sui giornali a Mariupol o a sud di Kherson, nell’Ucraina occupata. Zone di guerra.
Oppure in un incontro ravvicinato con gli studenti a Mosca, nonostante la sua paura del contagio da Covid e l’abitudine di far attendere anche settimane prima di stringere la mano a un visitatore, testato se non “quarantenato”.
La Bild pubblica le immagini che mostrerebbero le differenze tra Putin e i suoi doppi.
Il capo dei servizi segreti ucraini Kyryll Budanov, intervistato dal britannico Daily Mail, ne ha contati tre che, dice, «si sono sottoposti a interventi di chirurgia plastica per assomigliare all’originale». Addirittura, vi sarebbero specialisti dell’intelligence a Kiev in grado di riconoscerli ormai a prima vista.
I sosia verrebbero usati raramente, ma in situazioni di rischio come una guerra e possibili attentati il loro impiego avrebbe una maggiore frequenza. E una maggiore probabilità che il trucco venga smascherato. La Bild cita parole degli ucraini: «Se c’è Putin, raramente è Putin».
I sosia diventerebbero importantissimi proprio in caso di morte, per nasconderla settimane oppure mesi. Ma su cosa si basano le illazioni dei media più sospettosi?
Anzitutto sul confronto tra un’immagine di Putin in un evento istituzionale a Mosca il 21 febbraio 2023, e altre due invece a Sebastopoli e Mariupol, tra il 18 e il 19 marzo.
Le posta su Twitter Anton Gerashchenko, consigliere del ministero dell’Interno ucraino, rilanciato da canali Telegram dell’opposizione russa come “Vatneo Boloto”. «Qual è quello vero?», chiede Gerashchenko.
Altre foto controverse ritraggono lo Zar per strada a Mariupol con un gruppo di residenti filo-russi, e a Mosca con gli universitari dell’ateneo di Lomonosov il 25 gennaio.
Fotogrammi che sembrano mostrare diversità e dettagli rivelatori: mento e sottogola, la forma e l’attacco delle orecchie (secondo Bodanov, sono come impronte digitali), il naso allungato o compatto, il taglio dei capelli, i dati biometrici che indicano la distanza e la posizione relativa di orecchie, naso e occhi, il disegno delle rughe e l’orientamento delle sopracciglia.
(da il Messaggero)
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Aprile 25th, 2023 Riccardo Fucile
NE E’ SPUNTATO UN ALTRO IN SIBERIA
La Russia è immensa e in moltissimi luoghi centrali o sperduti si stanno allestendo cimitari per i combattenti della Wagner che, adesso, in patria sono considerati come eroi.
Decine di nuove tombe dove sono state seppelliti i mercenari della milizia privata Wagner morti in battaglia in Ucraina sono state scoperte a Novosibirsk, nel sud-ovest della Siberia: lo riferisce radio Svoboda Sibir.Realii che fa riferimento a un video girato da una persona del luogo.
Le immagini mostrano decine di nuove tombe di persone morte, secondo le date sulle lapidi, tra novembre 2022 e gennaio 2023.
Quasi tutte le tombe hanno ghirlande con una stella gialla e una croce nera, uno dei simboli di Wagner .
Complessivamente Sibir.Realii è riuscito a identificare circa 200 tombe. Nelle scorse settimane, i giornalisti russi hanno mostrato due luoghi di sepoltura vicino a Irkutsk, in Siberia centrale.
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2023 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL SENATO A PRAGA CAMBIA PROGRAMMA PER DEPISTARE I GIORNALISTI
«Il 25 aprile è un giorno molto importante, in cui viene ricordata la Liberazione dall’occupazione nazista e la sconfitta del fascismo».
Così, il presidente del Senato Ignazio La Russa, apre il suo intervento alla Conferenza dei presidenti dei parlamenti europei, a Praga. L’Italia liberata dal nazismo, non dal fascismo. La Russa sottolinea così una differenza sostanziale che, dopo le sue tante controverse uscite sul Ventennio, si fa fatica a considerare involontaria.
Il presidente del Senato aveva pianificato di essere a Praga già da ieri sera. Lontano dall’Italia, quindi, nel giorno del 25 aprile. Un ripensamento dell’ultimo minuto lo ha portato a presenziare, in mattinata, alla tradizionale cerimonia all’Altare della patria, a Roma, al fianco del Presidente Sergio Mattarella, di Giorgia Meloni e del presidente della Camera Lorenzo Fontana.
La sua assenza, d’altronde, sarebbe stata vista come una sgrammaticatura istituzionale, di certo poco apprezzata dal Quirinale. Poi via, in volo verso Praga.
Una volta arrivato in Repubblica Ceca, un nuovo stravolgimento dell’agenda: la visita al monumento di Jan Palach, il martire della lotta al comunismo, viene anticipata senza avvisare la stampa.
Era l’appuntamento più atteso, proprio per le polemiche che avevano accompagnato la scelta di La Russa di omaggiare, nel giorno della Liberazione dall’occupazione nazifascista, un simbolo dell’anti-comunismo. La Russa preferisce invece evitare telecamere e domande.
Prima di recarsi al campo di concentramento di Theresienstadt, il presidente del Senato parla ai suoi omologhi europei, e dopo aver sottolineato la differenza tra la Liberazione dai nazisti e la sconfitta del fascismo, ricorda «l’impegno e il sacrificio per la libertà e l’indipendenza» dall’occupazione nazista, si intende, «così come il valore assoluto della Resistenza nel superare la dittatura e nel ridare all’Italia la democrazia».
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2023 Riccardo Fucile
QUESTA È LA CONVINZIONE DEGLI ANALISTI DI GOLDMAN CHE HANNO ANCHE FATTO UN GIRO IN ITALIA… ISTITUZIONI BANCARIE E ANALISTI STANNO RIVEDENDO LE PROPRIE POSIZIONI SUL DEBITO ITALIANO
I ritardi sul Pnrr e le mosse della Banca centrale europea mettono l’Italia nel mirino dei mercati. Ed è possibile che arrivino nuove fibrillazioni sui Btp. A lanciare l’allarme è il suggerimento di Goldman Sachs, che preferisce la Spagna rispetto all’Italia e vede uno spread in aumento di 50 punti base entro fine anno. Vale a dire, fino a 235 punti base.
Preoccupano l’attuazione del Recovery e le conseguenze del restringimento del bilancio della Banca centrale europea (Bce). Da giugno, salvo sorprese, si aumenterà la stretta, a oggi pari a 15 miliardi al mese. A ballare sono Btp per circa 36 miliardi di euro. E non c’è solo Goldman Sachs a essere scettica. Anche fondi hedge come Brevan Howard, Bridgewater e Citadel sono pessimisti su Roma.
Non si può parlare di fuga totale, che potrebbe non esserci. Tuttavia, l’indicazione è chiara. In uno scenario di crescente incertezza, amplificato dai chiari di luna del governo Meloni su diversi dossier, il consiglio è quello di «andare corti» sui Btp. In altre parole, venderli.
Pnrr in bilico, riforma del trattato del Mes da ratificare, una legge di Bilancio asfittica e un Patto di Stabilità e Crescita che potrebbe penalizzare Roma sono tra le motivazioni che stanno inducendo più di un’istituzione bancaria a rivedere le proprie posizioni sul debito italiano.
Goldman Sachs in particolare prevede che «aumenti il controllo (da parte della Commissione europea, ndr) sull’attuazione del Recovery Fund da parte dell’Italia» il che «potrebbe iniziare a pesare sulle aspettative di crescita» del Paese. Un primo banco di prova si avrà giovedì prossimo, quando il Tesoro emetterà titoli di Stato per 9 miliardi di euro. Nello specifico, il Mef andrà in asta con Btp a 5 anni per 2,5 miliardi, Btp a 10 anni per 5 miliardi e Ccteu a 7 anni per 1,5 miliardi. Importante sarà capire, come sottolineato da Bank of America, «come si muoveranno i rendimenti del debito europeo» in modo «da posizionarsi in modo strategico per il resto del 2023». Occhi puntati sull’Italia.
(da La Stampa)
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Aprile 25th, 2023 Riccardo Fucile
DA UN LATO LA GRANDE FUGA, DALL’ALTRO IL SENSO DI RESPONSABILITA’: “NON POSSIAMO ABBANDONARE 81 PAZIENTI”
A dieci giorni dall’inizio della guerra in Sudan tra le unità dell’esercito regolare fedeli al suo capo militare, il generale Abdel Fattah al-Burhan, e le forze di supporto rapido, guidate da Mohamed Hamdan Dagalo, il Governo Italiano ha deciso di chiudere l’Ambasciata nel Paese africano e mettere in sicurezza i funzionari che vi operavano: “Tutto è proceduto nel modo migliore”, ha dichiarato in conferenza stampa Antonio Tajani. Gli italiani “sono stati tutti messi in sicurezza. La nostra ambasciata è stata chiusa, molto probabilmente la sposteremo in maniera temporanea o in Etiopia o in Egitto”.
Dopo l’evacuazione di ieri dei primi 98 italiani altri 83 sono stati messi in sicurezza insieme a 23 stranieri, svizzeri e greci, rimasti intrappolati a Khartoum.
L’operazione è stata resa possibile grazie al coordinamento tra la Presidenza del Consiglio, l’Unità di crisi della Farnesina e l’intelligence italiana. “Tutti gli italiani che volevano lasciare il Paese sono ora a Gibuti e rientreranno a Roma con un volo dell’Aeronautica militare. Stanno tutti bene”, ha spiegato il capo della Farnesina Tajani, al suo arrivo al Consiglio Ue Esteri a Lussemburgo.
“Sono rimasti alcuni, volontari di Emergency, credo qualche missionario, che non hanno voluto lasciare il Paese, quindi era una loro libera scelta”, ha aggiunto.
I nostri connazionali sono stati fatti convergere presso la residenza dell’Ambasciatore d’Italia, Michele Tommasi che è partito con loro. L’evacuazione degli italiani così come quella degli altri Paesi è il frutto della mediazione con i due generali che attualmente si contendono il Sudan. Per ora hanno rispettato l’accordo con gli stranieri ma gli scontri continuano.
Emergency: “Restiamo in Sudan, non possiamo abbandonare 81 pazienti”
Come specificato dal Ministro degli Esteri in Sudan sono rimasti alcuni missionari ed operatori di Emergency, Ong da decenni presente nel Paese con il Centro Salam di cardiochirurgia a Khartoum e i centri pediatrici di Mayo (Khartoum), Nyala (Sud Darfur) e Port Sudan.
In tutto 46 operatori internazionali dell’Organizzazione Non Governativa fondata da Gino Strada hanno deciso di rimanere per proseguire il loro lavoro negli ospedali: “Sono giorni estremamente difficili e di grande tensione a Khartoum, ma abbiamo deciso di rimanere qui per gli 81 pazienti in cura nel nostro ospedale. Non possiamo abbandonarli perché rischierebbero la vita – spiega Franco Masini, medical coordinator del Centro Salam di cardiochirurgia di Emergency a Khartoum –. Tuttora molti colleghi dello staff sudanese non possono tornare a casa per motivi di sicurezza e stanno dormendo in ospedale per dare continuità di cura a pazienti ricoverati”.
“Finora, nessuna delle nostre strutture e nessuno del nostro staff è stato attaccato o minacciato direttamente. Ognuno ha deciso individualmente se lasciare l’ospedale sulla base della valutazione delle precarie condizioni di sicurezza della capitale e dei bisogni dei pazienti – aggiunge Muhameda Tulumovic, coordinatrice del Programma di EMERGENCY in Sudan -. Oggi rimane chiuso il Centro pediatrico di Mayo, alle porte della capitale, dove non avremmo potuto garantire nessuno standard di sicurezza né per lo staff, né per i pazienti. Abbiamo ripreso il lavoro a Nyala, nel Sud Darfur, dove negli ultimi giorni i combattimenti si sono affievoliti. Anche nel nostro Centro pediatrico di Port Sudan stiamo continuando le attività, ma lì la situazione è sempre rimasta sotto controllo”.
(da Fanpage)
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Aprile 25th, 2023 Riccardo Fucile
IL PRIMO, EX CAMMELLIERE E TRAFFICANTE D’ORO DEL DARFUR (E PROTETTO DI PUTIN), ORA TENTA L’ASSALTO AL COMANDO DI 100MILA MILIZIANI… IL SECONDO, DETTO “L’EGIZIANO”, VUOLE DIVENTARE L’AL-SISI DEL SUDAN
Il cammelliere che divenne generale e il generale che si volle presidente, il trafficante d’oro del Darfur e l’ex cadetto nato sulle sponde del Nilo, l’arricchito outsider di provincia e il predestinato ufficiale di carriera nel Paese dei 16 colpi di Stato, il protetto del Cremlino contro l’aspirante al-Sisi di Khartum.
L’inferno del Sudan si deve a due uomini d’armi e ai loro rispettivi clan con Paesi alleati allegati, due incalliti golpisti che più diversi non potrebbero essere. Mohammed Dagalo detto Hemeti (piccolo Mohammed), classe 1974, capo delle Forze di supporto rapido (Rsf) forti di 100 mila miliziani, si è fermato alla terza elementare.
A 13 anni portava cammelli da una parte all’altra del confine con Libia e Chad. La sua autobiografia prevede 10 anni nel Paese di Gheddafi. Torna in Sudan dopo che alla famiglia hanno rubato 7 mila bestie e rapito diversi parenti. È in 2003 in Darfur: il 25 aprile di vent’anni fa comincia una guerra tra etnie locali e arabi appoggiati dal centro. Hemeti si schiera per sei mesi con i ribelli e poi passa ai governativi: sarà un capo Janjaweed, i diavoli a cavallo accusati di crudeltà e massacri.
Nello stesso periodo anche Abdel Fattah al-Burhan, oggi 62 anni, è da quelle parti: il presidente-dittatore Omar al-Bashir ha incaricato gente come lui della repressione che rasenta il genocidio: generale addestrato in Egitto e Giordania, famiglia del Nord del Paese da dove provengono i quadri dell’esercito sudanese, Burhan torna a Khartum avendo fatto con discrezione il suo sporco lavoro.
Anche il provinciale Hemeti prende la via della capitale: nel 2013 al-Bashir lo chiama a capo di una milizia che ai suoi occhi ha il compito di bilanciare il potere dei militari e fargli da scudo. Uno Stato, due eserciti: la radice dello scontro attuale. Con il perdurare dei moti popolari del 2019, Burhan e Hemeti si alleano e mollano al-Bashir.
I due golpisti all’apparenza uniti: Hemeti in realtà vuole essere presidente, Burhan vuole neutralizzarlo chiedendo che le sue Forze rientrino nei ranghi di quell’esercito che pure non ha mai visto alla pari «i bifolchi» dell’Rsf.
Le stellette del Nilo contro le ricchezze accumulate da Hemeti grazie ai mercenari forniti ai sauditi in Yemen e all’oro del Darfur da contrabbandare in Russia via Emirati, con le milizie addestrate in Libia dalla Wagner di Prigozhin, lo chef di Putin, all’ombra del generale Kalifa Haftar. Una russian connection per cui oggi il segretario di Stato Usa Antony Blinken si è detto «molto preoccupato»
Burhan ha come modello protettore l’omonimo al-Sisi, padre-padrone dell’Egitto che auspica sul confine Sud una replica del suo regime, che magari si schieri con Il Cairo contro la minaccia della diga sul Nilo costruita dall’Etiopia. Certo, gli Emirati amici di Hemeti sono anche finanziatori dell’Egitto a rischio bancarotta. Imbarazzi incrociati. Ecco perché gli stessi sauditi vorrebbero un accordo tra i due nemici. Stabilità sempre, democrazia mai.
(da il Corriere della Sera)
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Aprile 25th, 2023 Riccardo Fucile
L’ANNUNCIO IN UN VIDEO
Joe Biden ha annunciato che si ricandiderà alla elezioni presidenziali del 2024. La notizia circolava da parecchi mesi, ma si aspettava la conferma ufficiale del presidente in carica, che affronterà dunque una nuova campagna elettorale a 81 anni.
Biden ha scelto di comunicare la sua decisione con un emozionante video su Twitter, e il messaggio: «Ogni generazione ha un momento in cui ha dovuto difendere la democrazia. Difendere le loro libertà fondamentali. Credo che questo sia nostro».
Un annuncio che arriva a quattro anni esatti dal primo, quando il 25 aprile del 2019 Biden presentò la sua corsa alla presidenza contro Donald Trump. Quello del presidente è un messaggio di continuità rispetto al percorso fatto finora e segnato, ancora una volta, dalla lotta per la democrazia minacciata dal popolo Maga di Trump.
«Finiamo questo lavoro», dice, con accanto la sua vice Kamala Harris, che spunta diverse volte nella narrazione proposta da Biden. Assente invece l’impegno per la guerra in Ucraina e per le questioni internazionali, a voler dimostrare che l’attenzione dell’amministrazione è e sarà soprattutto per le condizioni degli americani.
«Quando ho corso per la presidenza 4 anni fa ho affermato che la nostra era una battaglia per lo spirito dell’America. Lo è ancora», dice il presidente nel video. «La domanda che ci troviamo ad affrontare – aggiunge – è se nei prossimi anni avremo più libertà o meno libertà. Più diritti o meno diritti. Non è il momento di essere compiacenti. Per questo mi candido alla rielezione».
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2023 Riccardo Fucile
RICOMPATTARE IL PARTITO SU TEMI DI GRANDE IMPATTO PER IL PROPRIO ELETTORATO
C’è una strategia ben definita dietro la scelta di Elly Schlein di non replicare ai “dubbi” espressi da Giuseppe Conte su un percorso comune fra Partito democratico e Movimento 5 stelle. È una questione di priorità e di tempistiche, soprattutto.
La segretaria del Pd ha scelto infatti di non entrare in quello che considera un dibattito prematuro e privo di reale interesse per i cittadini, per concentrarsi su aspetti che ritiene invece centrali.
Schlein ha la necessità di compattare il partito, di trovare un nuovo equilibrio fra esigenze e orientamenti diversi, in modo da concentrare le energie sull’opposizione al governo guidata da Giorgia Meloni.
Non avrebbe senso, ragionano i suoi fedelissimi, gettarsi ora in una polemica tutta politicista su alleanze, equilibri di potere e guerre di posizionamento interne all’opposizione.
Tanto più perché in vista non ci sono scadenze elettorali di fondamentale rilevanza e il primo vero test elettorale, le Europee, non richiede alcun tipo di accordo o di alleanza.
Insomma, c’è tempo per discutere con Conte e ci sarà modo per ragionare su una piattaforma programmatica comune con il Movimento 5 stelle. Affrontare ora la questione significherebbe agitare le acque anche in casa propria, dove non tutti sono disponibili a intraprendere un percorso che porti all’alleanza organica con i 5 stelle e le altre formazioni di sinistra.
C’è invece un punto su cui tutti nel Pd sembrano d’accordo ed è quello che Schlein intende stressare: l’opposizione senza sconti al governo di Giorgia Meloni, soprattutto su alcune questioni di grande impatto sociale e culturale. Non ci sono più le condizioni per ragionare in termini di alleanze larghe, di responsabilità collettiva e di approccio costruttivo (aka mortificazione delle proprie istanze in ragione di non meglio specificate emergenze). Nel Partito democratico tutti invece sono convinti che sia il tempo di un chiaro e netto posizionamento all’opposizione del governo di centrodestra. E che forse è il tempo di tornare a far sentire la propria voce su temi cari al proprio elettorato, dopo il lungo letargo lettiano e una campagna elettorale condotta con i giri del motore al minimo.
È esattamente il progetto di Elly Schlein, che pure ultimamente si è dedicata principalmente a un faticoso lavoro di ricucitura interno (che probabilmente non è ancora finito e che richiederà una certa e non scontata dose di “buona volontà” da tutte le parti in causa), schivando telecamere e taccuini, nella consapevolezza di essere già percepita come l’alternativa a Giorgia Meloni.
Una linea che, almeno a giudicare dai sondaggi politici, sembra aver premiato e che è stata apprezzata anche dai suoi “avversari” interni al partito. Non è un caso che la risposta dei democratici sia stata compatta non solo sul 25 aprile e sul revisionismo spicciolo della destra, ma anche sui contenuti del decreto Lavoro.
È il vero banco di prova per la segretaria democratica: mettere in campo un’azione efficace e profonda contro gli interventi del governo su un terreno dove il Pd ha la necessità di recuperare credito e consenso. Si tratta di un passaggio cruciale per ricostruire non solo l’immagine del partito, ma anche quella cinghia di trasmissione con la Cgil che si è sfilacciata negli ultimi anni.
La difesa degli interessi dei lavoratori e la contestazione radicale alle ricette della destra dovranno poi sposarsi con quell’investimento nel campo dei diritti civili e sociali che Schlein intende fare nella sua reggenza al Nazareno. È un raccordo che sarà cruciale per continuare ad alimentare quel dualismo con Giorgia Meloni che è il vero problema di Giuseppe Conte. Insomma, più che dichiarazioni di principio, l’idea è quella di ricercare un posizionamento netto sui temi, con scelte e dichiarazioni decise e precise, per coltivare credibilità come vera alternativa alla destra al governo. Con chi ci starà, dentro e fuori al Pd.
(da Fanpage)
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