Aprile 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL CAPO DEL DIS, RISPETTO A UNA SPIA RUSSA, CON UNA GUERRA IN CORSO E UNA RICHIESTA DI ESTRADIZIONE DELL’INTELLIGENCE USA, NON PUÒ NON OCCUPARSENE… UNA SPIA RUSSA AI DOMICILIARI CON UN BRACCIALETTO ELETTRONICO CHE PERO’ NON ERA DOTATO DI GPS E CON FUNZIONARI RUSSI IN PERENNE VISITA NON AVREBBE DOVUTO COSTITUIRE UN AVVERTIMENTO DI PERICOLO DI FUGA?
“Non e’ stata colpa del Governo, ma di un altro organo dello Stato”. Lo avrebbe affermato la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al Copasir sull’evasione di Artem Uss, l’uomo di affari russo che era ai domiciliari a Basiglio.
La magistratura aveva concesso concesso i domiciliari a Uss nelle more del verdetto della Cassazione sull’estradizione chiesta dagli Stati Uniti. Ma Elisabetta Belloni, capo del Dis che coordina Aisi e Aise, rispetto a una spia russa, con una guerra in corso in Ucraina e una richiesta di estradizione dell’intelligence americana, non può non occuparsene.
Non era stato organizzato alcun servizio speciale di controllo nei confronti di un detenuto che, non fosse altro per la capacità economica di cui disponeva, non era “comune”.
La vigilanza era affidata ai carabinieri di Basiglio, piccolo centro nella provincia di Milano, che lo controllavano a casa ogni 72 ore.
Bene, qualche anima pia avvisi la Belloni e company che i servizi segreti non sono all’ordine della magistratura.
Per come è stata ricostruita fino a oggi, la fuga di Artem Uss è una lunga catena di errori e di sottovalutazioni che ha regalato all’Italia una figuraccia internazionale.
La Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati i nomi di almeno quattro slavi che hanno contribuito alla fuga ma dalle indagini che stanno svolgendo i carabinieri — coordinati dal procuratore Marcello Viola e dal pm Giovanni Tarzia — emerge chiaramente che le responsabilità sono anche di chi avrebbe dovuto vigilare sul detenuto e invece non lo fatto.
Primo punto: dopo la decisione del tribunale di Milano di concedere i domiciliari a Uss nelle more del verdetto della Cassazione sull’estradizione chiesta dagli Stati Uniti, non è stato organizzato alcun servizio speciale di controllo nei confronti di un detenuto che, non fosse altro per la capacità economica di cui disponeva, non era “comune”.
Nessun uomo dei nostri Servizi era stato interessato della vicenda e questo perché, spiegano a Repubblica fonti di intelligence, «nessuno, né ci aveva informato che Uss rappresentasse un problema per la sicurezza nazionale».
Per l’imprenditore russo la Corte d’Appello milanese aveva concesso l’estradizione chiesta dagli Stati Uniti per reati di tipo finanziario: è contestata la violazione dell’embargo sul petrolio del Venezuela, venduto in Cina e in Russia, e la frode bancaria, per alcune transazioni avvenute negli Stati Uniti. Non era stata però riconosciuta l’accusa cruciale per delinearne il profilo criminale: un presunto traffico di materiale “dual use”, uso civile ma anche militare, anche all’inizio della guerra in Ucraina.
Gli avvocati di Uss hanno fatto ricorso in Cassazione e la procedura per la consegna agli Stati Uniti si è bloccata. E fuori dalla casa di Basiglio — in un complesso già utilizzato dall’ambasciata russa per ospitare dei funzionari — a vigilare non c’erano nostri agenti.
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2023 Riccardo Fucile
ANCHE LA LAV SI OFFRE DI ACCOGLIERLA… ORA SARA’ CHIARO SE LO SCOPO CRIMINALE E’ SOLO QUELLO DI AMMAZZARLA O ALLONTANARE UN RELATIVO PERICOLO
Lo Zoosafari di Fasano, in provincia di Brindisi, si schiera contro l’abbattimento dell’orsa Jj4, responsabile della morte del runner 26enne Andrea Papi.
La struttura ha infatti dichiarato di essere pronta ad accogliere l’animale. «In seguito a fatti tragici che hanno visto la morte del giovane runner per un attacco da parte di un’orsa e la decisione di abbattere la stessa, lo Zoosafari di Fasano, nella persona dell’amministratore unico, esprime cordoglio alla famiglia – si legge nell’annuncio fatto sui social network – e non condividendo l’opzione dell’abbattimento si rende disponibile, qualora necessario, ad accogliere l’orsa, eventualmente realizzando un’apposita struttura ex novo, sentite le autorità competenti».
Anche il sindaco della cittadina pugliese ha fatto sapere, tramite una lettera inviata al presidente della provincia di Trento, Maurizio Fugatti, di «condividere con orgoglio la proposta dello ZooSafari», aggiungendo inoltre di essere «disponibile a ogni forma di collaborazione tra gli enti interessati», scrive Francesco Zaccaria.
«Siamo affranti per la tragica tragica e prematura scomparsa del giovane Andrea Papi che ha provocato unanime e sincero sgomento», continua ancora il primo cittadino di Fasano, che invita le istituzioni della Provincia di Trento a valutare la proposta che arriva dalla provincia di Brindisi. Il problema, infatti, spiega Zaccaria «potrebbe essere soprattutto burocratico perché spostare un’orsa dal Trentino alla Puglia prevede una serie di adempimenti complessi».
Nonostante lo scoglio burocratico, però, «l’accoglienza dell’orsa – spiega – sarebbe assistita da ogni tutela e salvaguardia che il caso richiede, tanto per l’esemplare, quanto per gli altri animali ospitati e per la destinazione che la struttura possiede».
Lo spazio per accogliere l’orsa infatti ci sarebbe: lo Zoosafari è una struttura, «seconda in Europa per dimensioni – ricorda il sindaco – che si è contraddistinta fin dalla fondazione per la piena attuazione di un modello di gestione dei suoi ospiti che ne garantisce in primo luogo il rispetto della dignità in un ambiente che riproduce fedelmente le caratteristiche delle diverse specie ospitate».
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2023 Riccardo Fucile
“IMPATTO POSITIVO RILEVANTE SUI CONTI PUBBLICI”
Nelle introduzioni al Documento, approvato lo scorso 11 aprile, Giorgetti elenca una serie di stime e interventi per risollevare il bilancio italiano.
Il debito cala grazie all’«impatto rilevante» degli immigrati: fino a 30 punti al 2070
Quasi un punto in meno di debito per un punto percentuale di immigrati in più. Sorprende che a evidenziarlo sia un governo che sui flussi migratori ha mostrato un atteggiamento di chiusura.
L’aumento o la diminuzione dei migranti in Italia, si legge nel Def, ha un «impatto rilevante» sul debito.
Negli scenari inclusi nel Documenti che tengono conto delle variabili demografiche, uno in particolare stima un calo del debito al 2070 di «oltre 30» punti con un aumento della popolazione immigrata del +33%. «Data la struttura demografica degli immigrati che entrano in Italia, l’effetto è significativo sulla popolazione residente in età lavorativa e quindi sull’offerta di lavoro».
Le altre variabili considerate sono la speranza di vita, che aumenta e non modifica «di molto» le previsioni, e la «fertilità», che cala e fa aumentare il debito.
In conclusione, i disegni di legge collegati alla prossima manovra di bilancio saranno 21. L’elenco viene illustrato nel Def. Tra questi, «interventi in materia di disciplina pensionistica», ma anche misure già all’esame del Parlamento, come la delega fiscale e quella sul riordino degli incentivi alle imprese o il ddl sull’autonomia differenziata. Previsti poi «provvedimenti a sostegno delle politiche per il lavoro, interventi a favore delle politiche di contrasto alla povertà, misure per la valorizzazione del made in Italy e per la tutela delle produzioni agricole nazionali».
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2023 Riccardo Fucile
ECCO PERCHÉ È SALTATO IL PARTITO UNICO
Nello scorno delle ultime 48 ore fra Carlo Calenda e Matteo Renzi i soldi hanno pesato eccome. Quanto e più delle beghe politiche (oltre ovviamente ai caratteri dei due). In ballo svariati milioni di euro. A cominciare da quelli che Azione e Italia viva raccolgono in proprio tramite il 2xMille. Calenda, con l’avvio del cantiere centrista, avrebbe voluto in cassa tutti i soldi e subito. Renzi invece schiacciava sul freno. Della serie: se ne parla a cose fatte, dopo la celebrazione del congresso e dopo lo scioglimento dei due partiti. Dunque dal 2024 in poi.
Qualche numero aiuta a capire la dimensione della posta in palio: nel 2022 Italia viva ha raccolto quasi un milione di euro da sola. Grazie alle dichiarazioni dei redditi medio-alte di 52.693 sostenitori, il partito di Renzi a inizio anno ha incassato 973.345 euro (nel 2021 erano stati 807.964). Dunque bottino in crescita. Ancora meglio era andata ad Azione, che quest’anno col contributo di 49.167 simpatizzanti, ha sfondato il tetto del milione: 1.256.466 euro (882.093 nel 2021). Terzo partito in Italia, sopra la Lega di Salvini.
Ma non è tanto sui soldi già liquidati, quanto su quelli ancora in cassa e da ripartire che si è consumato l’ultimo braccio di ferro, fino alla rottura. Calenda ha proposto appunto di unire le risorse già da quest’anno. Tutto nero su bianco da un mese, nella bozza di accordo spedita da Renzi. Nella risposta dell’ex premier questo passaggio era stato tagliato.
A quel punto l’ex ministro, ormai risoluto a rompere, ha inserito in una nuova bozza una clausola ancora più stringente: Azione e Italia viva versino subito 200mila euro, come gettone d’ingresso. E poi aggiungano il 70% delle donazioni del 2xMille per il secondo semestre del 2023. Nel comitato politico convocato ieri fino a notte, i renziani hanno offerto al massimo di pareggiare le spese. L’accordo non si è trovato. Del resto parlava proprio di soldi quel film dal titolo profetico, visti i protagonisti del Terzo polo: Una poltrona per due.
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL NEO-PRESIDENTE DI ENEL HA UNA LUNGA STORIA GIUDIZIARIA ALLE SPALLE: NEL 1992 FU AMMANETTATO DAI MAGISTRATI DI MANI PULITE E PATTEGGIÒ UNA PENA DI UN ANNO E QUATTRO MESI. DA MANAGER, FU INQUISITO TRE VOLTE, USCENDO SEMPRE ASSOLTO
Nonostante la resistenza tenace della premier, l’intramontabile legame fra Silvio Berlusconi e Paolo Scaroni ha avuto la meglio. A 76 anni il capo del Milan cinese torna in pista da presidente dell’Enel, di cui era stato amministratore delegato dal 2002 al 2005.
Berlusconi e Salvini ne rivendicavano il gran rientro all’Eni, e molti si sono chiesti la ragione per la quale sponsorizzassero colui che nel 2006 aveva trasformato la multinazionale nel primo partner mondiale della russa Gazprom.
Meloni era poco convinta di sceglierlo per qualunque poltrona: reputa Scaroni un manager troppo vicino al faccendiere Luigi Bisignani e protagonista di un sodalizio (quello con Mosca) preceduto da un mai chiarito affare che coinvolse un imprenditore amico di Berlusconi – Bruno Mentasti – e altri soci russi.
Scaroni è stato rincorso dalle inchieste giudiziarie per tutta la carriera. Nel 1992 fu arrestato dai magistrati di Mani Pulite per tangenti al Partito socialista. Allora era a capo del colosso italo-argentino Techint, e i soldi servivano a vincere commesse di Enel.
Patteggiò una pena di un anno e quattro mesi rivelando il sistema corruttivo. Da manager pubblico fu inquisito tre volte, ma uscì dalle inchieste sempre assolto. La prima volta nel 2006 da capo dell’Enel per reati ambientali a Porto Tolle. Una seconda e una terza volta da amministratore delegato dell’Eni per presunte tangenti in Algeria e Nigeria.
I giudici di Milano accusarono lui e il successore Claudio Descalzi di corruzione nell’acquisto di un giacimento. Verranno entrambi scagionati per insussistenza del fatto. Di recente […] è stato accusato dalla stampa maltese per i rapporti con il premier Joseph Muscat, il quale gli presentò un imprenditore accusato di omicidio, Yorgen Fenech.
I ben informati sostengono che i legami con il mondo della finanza saranno utili a gestire il prossimo aumento di capitale di Enel. Nonostante il sodalizio negli anni all’Eni, nessuno crede che oggi Scaroni si intesterebbe una riapertura dei rapporti con Mosca, e lo testimoniano le dichiarazioni pubbliche più recenti. Dopo l’esplosione del conflitto il manager sostenne che il tetto al prezzo del gas era «irrealizzabile», che «la chiusura dei rubinetti russi» sarebbe stata «preoccupante» e che avremmo avuto bisogno di quel metano «per altri dieci anni». Lo scorso gennaio la svolta: sui tagli al gas russo «non si tornerà indietro» per dieci anni.
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2023 Riccardo Fucile
CANTIERI FANTASMA E IMMOBILI INESISTENTI: TREDICI SOCIETA’ COINVOLTE… MA NON ERA I MERIDIONALI A “RUBARE” IL REDDITO DI CITTADINANZA?
Una truffa sul bonus facciata da oltre 100 milioni di euro. Arriva dalla Guardia di Finanza di Verona e poi dal Tribunale la conferma del provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza nei confronti di 13 società operanti in Italia e in Austria e di indagine nei confronti di 14 persone fisiche, tutte indagate, per i diversi reati di indebita percezione di erogazioni pubbliche, ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.
Una lunga lista a cui si aggiunge anche il reato di violazioni connesse alla responsabilità amministrativa degli enti. La polizia giudiziaria ha operato nelle province di Roma, Verona, Vicenza, Padova, Brescia e Milano, con l’impiego di quasi 100 militari.
Gli specialisti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Verona hanno condotto un’analisi finalizzata a individuare soggetti dall’elevata pericolosità fiscale che avevano utilizzato in maniera distorta le diverse agevolazioni previste per gli interventi edilizi, sotto forma di crediti d’imposta cedibili a terzi e utilizzabili mediante il modello F24 o monetizzabili presso anche banche e altri gruppi di acquisto.
Un beneficio che consentiva sulla base del Decreto Rilancio la detrazione fiscale delle spese sostenute negli anni 2020 e 2021 per il 90%, ovvero la possibilità di cedere a terzi come credito d’imposta e quindi monetizzare. Le indagini hanno così permesso alle Fiamme Gialle di individuare un meccanismo di frode ad opera di una compagnia criminale che ha di fatto comunicato all’Agenzia delle Entrate crediti d’imposta inesistenti in relazione al bonus faccia per oltre 84 milioni di euro. Inoltre, una ulteriore parte dei crediti inesistenti, per oltre 5 milioni di euro, è stata ceduta ad altre 19 società operanti in Veneto, Lombardia e Trentino Alto Adige, per un numero raggiunto di indagati che supera le 100 persone.
Rolls Royce e monete d’oro
Alcune delle società indagate, inoltre, sono state costituite in pieno periodo di emergenza pandemica e sono risultate agli investigatori prive di strutture e mezzi idonei per la realizzazione degli interventi edilizi. Ma c’è di più. La maggior parte delle persone fisiche che hanno ceduto il credito d’imposta per dichiarati lavori edilizi non risultava proprietaria di alcun immobile. I lavori mai eseguiti sono stati dichiarati all’Agenzia delle Entrate attraverso modelli di comunicazione riportanti dati catastali falsi, relativi a immobili inesistenti.
I crediti d’imposta oggetto della frode pari a oltre 84 milioni di euro sono stati ora sottoposti a sequestro, interrompendo l’ulteriore circolazione dei medesimi crediti e impedendo la commissione di ulteriori condotte delittuose in danno all’Erario.
I sigilli giudiziari sono scattati su conti correnti, quote societarie e beni di lusso, tra cui una Rolls Royce, monete d’oro e altri oggetti preziosi. Ad aggiungersi al bottino finale, oltre 29 milioni di euro ottenuti dalle attività di riciclaggio dei profitti ottenuti in modo illecito.
(da agenzie)
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Aprile 13th, 2023 Riccardo Fucile
MIRAGLIA (ARCI): “IN PASSATO NUMERI BEN PIU’ ALTI, LA CIFRA STANZIATA DAL GOVERNO E’ RIDICOLA, CON SALVINI SONO AUMENTATI GLI IRREGOLARI, I RIMPATRI SONO SEMPRE GLI STESSI, RACCONTANO BALLE”
Cosa succede con la dichiarazione dello stato d’emergenza per i migranti su tutto il territorio nazionale? Lo spiega in un’intervista Filippo Miraglia, responsabile nazionale di Arci immigrazione, che commenta a Fanpage.it le nuove misure varate ieri dal Consiglio dei ministri, della durata di 6 mesi, che prevedono uno stanziamento iniziale di cinque milioni di euro, previsti dal Fondo per le emergenze nazionali.
Per Miraglia lo stato d’emergenza nazionale, deliberato ieri su proposta del ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare Nello Musumeci a causa dell’incremento dei flussi di migranti quest’anno e delle “previsioni di un ulteriore incremento delle partenze nei prossimi mesi”, non è altro che “propaganda”, non solo perché le risorse stanziate sono esigue, ma soprattutto perché non rappresenta una vera risposta al problema.
“Si tratta di un finanziamento ridicolo – ha detto Miraglia a Fanpage.it – Basta fare un calcolo: se l’accoglienza nei SAI costa in media 42 euro pro capite pro die, i 5 milioni stanziati basterebbero per ospitare appena 326 persone in un anno”.
Il governo ha spiegato di aver agito anche in conseguenza degli arrivi registrati negli ultimi giorni (3.002 in soli cinque giorni, con un picco di 1.389 venerdì 9 aprile) e della situazione di sovraffollamento dell’hotspot di Lampedusa, che al momento ospita un numero di migranti di gran lunga maggiore rispetto alla capienza, con l’obiettivo anche di decongestionare il centro di Contrada Imbriacola.
Arci però fa notare che non si tratta certo di un fatto inedito, e che situazioni del tutto simili si sono già verificate negli anni scorsi.
“Non c’è nessuna emergenza. In passato, tra il 2014 e il 2017, l’Italia ha visto numeri di arrivi e accoglienza molto più alti, e non è stato dichiarato alcuno stato d’emergenza: in questi quattro anni sono sbarcate in tutto 623mila persone; sono state presentate 420mila domande d’asilo e il sistema d’accoglienza ha registrato 538mila presenze. Non si capisce quindi per quale ragione il governo lo abbia deliberato oggi”, ha aggiunto Miraglia.
“La vera emergenza riguarda la mancanza di programmazione. La legge obbliga il governo a fare la programmazione sull’accoglienza: il decreto legislativo 142 del 2015 prevede che si convochi il Tavolo di coordinamento nazionale – che si occupa esplicitamente di questa materia e coinvolge le Regioni, i Comuni, i ministeri competenti, le associazioni, UNHCR, Oim – e che si faccia ogni anno un piano nazionale. L’ultima volta è stato convocato dalla ministra Lamorgese, su nostra richiesta. Questo governo, come i precedenti, non sembra intenzionato né a convocare il Tavolo, visto che hanno dichiarato l’emergenza senza consultare nessuno, né a varare alcun piano per l’accoglienza. In queste condizioni è chiaro che l’emergenza venga prodotta dalla mancanza di volontà di programmare. Sappiamo tutti che se sono arrivate dall’inizio dell’anno a oggi 30mila persone ne arriveranno altre, ma se non si predispone un piano nazionale per l’accoglienza, non sapremo dove collocare i migranti”.
Procedure più veloci per accogliere i migranti sul territorio?
Fonti di governo hanno spiegato che con il nuovo provvedimento si potranno assicurare risposte più efficaci e tempestive sul piano della gestione dei migranti e della loro sistemazione sul territorio nazionale. E che si potranno adottare procedure più veloci per offrire ai migranti soluzioni di accoglienza in tempi brevi e con standard adeguati. Ma le cose non stanno affatto così.
“È falso, non c’era alcun bisogno di un intervento che accelerasse le procedure. Già oggi le prefetture ci chiamano e ci chiedono di prendere in carico i migranti direttamente, facendo gli affidamenti diretti, saltando le gare. La differenza adesso è che la dichiarazione di emergenza consentirà alle prefetture di affidare la gestione dei migranti a soggetti che non hanno né esperienza né competenza, visto che nei mesi scorsi le organizzazioni, le cooperative e le associazioni si sono rifiutate di partecipare alle gare, perché le condizioni poste dai bandi sono inaccettabili”, ha spiegato Miraglia.
“Noi siamo ancora di fronte al capitolato Salvini, con quote pro capite pro die assolutamente improponibili. In pratica ci viene chiesto di fare albergaggio senza servizi e senza alcuna cura del territorio. Noi facciamo accoglienza all’interno dei SAI, con progetti di integrazione che prevedono dal primo giorno che le persone vengano aiutate e seguite per diventare autonome il prima possibile. Con i CAS e il capitolato Salvini le persone rischiano di trovarsi per anni senza fare nulla, cosa che comporta uno spreco di risorse, un aumento del disagio e dell’impatto sul territorio. E forse questo è quello che vuole il governo”.
Aumenteranno davvero i rimpatri?
Un altro punto che il governo ha messo in evidenza è la possibilità, con le nuove misure, di aumentare e rafforzare le strutture finalizzate al rimpatrio dei non aventi diritto alla permanenza in Italia (Cpr), potenziando le attività di identificazione ed espulsione. Anche in questo caso i propositi dell’esecutivo sono molto lontani dalla realtà.
“In passato in Italia abbiamo avuto anche 14 Cpr, con molti più posti a disposizione rispetto a ora, e la durata della detenzione è stata più lunga. Ma questo non ha cambiato il numero delle persone rimpatriate attraverso i Cpr, che evidentemente non dipende dal numero delle strutture esistenti né dalla durata della detenzione. Perché i rimpatri sono strettamente legati agli accordi con gli altri Stati e alla tipologia degli stessi: per esempio con la Tunisia l’accordo prevede un volo a settimana, per 70 persone. Si può provare ad aumentare le quote previste negli accordi con gli altri Paesi, ma comunque c’è sempre un limite”.
“Questo vuol dire che questo governo, così come i precedenti, dichiara di voler aumentare i rimpatri, ma tutto andrà come abbiamo già visto: il numero dei rimpatri rimarrà uguale. L’unica cosa che aumenterà, se andranno nella direzione annunciata con il decreto Cutro, sarà il numero degli irregolari, perché hanno già ristretto la protezione speciale e vogliono restringere ulteriormente questi spazi. Ma è una sciocchezza dire che con la protezione speciale in Italia arrivano più persone. Ci sono 18 Paesi europei che hanno una protezione complementare come la nostra. Non è vero che siamo gli unici. Nel 2022 la quota di delle domande d’asilo in Italia è stata in media con gli altri Paesi dell’Ue, tralasciando i Paesi di Visegrád, che non fanno entrare nessuno. Siamo stati invece molto al di sotto della media, e quindi abbiamo prodotto più irregolari, negli anni in cui Salvini è stato ministro, e cioè nel 2018 e nel 2019″.
C’è un legame tra lo stato d’emergenza e la necessità di decongestionare l’hotspot di Lampedusa?
Il governo ha spiegato che lo stato d’emergenza è stato deciso anche per aiutare l’hotspot di Lampedusa, ancora una volta al collasso. Ma secondo Miraglia questo passaggio denuncia ancora una volta l’incapacità della maggioranza: “È tutto già accaduto, in passato abbiamo assistito a questa dinamica: se a Lampedusa ci sono troppe persone non si deve far altro che organizzare un sistema di trasporti, con delle navi, per portare i migranti altrove. Naturalmente per far questo bisogna già avere un posto in cui sistemare le persone. Ma nella condizione in cui siamo, in cui non si fa la programmazione per l’accoglienza e non ci sono posti disponibili, i migranti finiscono con l’essere ammucchiati negli hotspot, a Lampedusa come a Pozzallo o a Crotone”.
“Nel caso degli ucraini il governo si è rivolto al Terzo Settore, e noi in dieci giorni abbiamo trovato 27mila posti (solo Arci ne ha trovati 2400). E l’abbiamo fatto coinvolgendo i territori, non calando i migranti dall’alto. Se ora volessero trovare posti per l’accoglienza diffusa, in cui la gente possa essere trattata bene, saremmo pronti a dare una mano”, ha spiegato ancora il responsabile immigrazione dell’Arci.
(da Fanpage)
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Aprile 13th, 2023 Riccardo Fucile
COME FUNZIONA LA RIFORMA DELLA LEVA VOLUTA DA PUTIN
“Io resto”, dice al telefono da Mosca Alexander, Sasha per gli amici. Non aggiunge molto altro. I russi stanno cominciando ad avere una certa paura, peraltro quasi sempre ingiustificata, a parlare al telefono. Sasha è sempre stato contrario a questa guerra. Ha trentadue anni, ha fatto il servizio militare ma non è stato richiamato con la mobilitazione del settembre scorso.
Probabilmente perché ha un lavoro importante. Guadagna bene, ha un figlio in arrivo, ha appena comprato una casa. “Non posso lasciare tutto questo, preferisco rischiare. Cercherò di non farmi trovare. Intanto, ho cancellato il mio account per l’accesso informatico agli enti pubblici”, spiega. Per ovvi motivi non pubblichiamo il suo cognome.
“È il momento di partire, poi sarà troppo tardi”: è il mantra sui social russi, dove trionfa la discussione sulla nuova legge che prevede l’arrivo della cartolina di precetto per via informatica e il conseguente divieto di espatrio. Pene severissime per chi cercasse di defilarsi. “Un modo per tenere in ostaggio tutti i cittadini in età militare”, è il tono dei commenti. “Una legge marziale non dichiarata”.
La legge, passata alla Duma, la camera bassa del Parlamento, deve essere ancora approvata dal Consiglio federale, l’equivalente del nostro Senato. Poi, la firma di Vladimir Putin. Ma la sua entrata in vigore è certa. I processi legislativi nella Russia di Putin sono parecchio prevedibili. Una riforma della leva era da tempo in gestazione.
Poi qualche giorno fa, è piovuta dall’alto — ovvero dall’amministrazione presidenziale — una montagna di emendamenti preconfezionati. Fatti apposta per consentire al governo di arruolare milioni di russi se ce ne sarà bisogno. E la riforma giacente in pochi minuti ha avuto il sì di tutta l’aula.
“Di fatto i russi in grado di combattere diventano ostaggio del regime, che però non vuol farglielo sapere in modo drastico”, commenta a Fanpage.it Mark Galeotti, uno dei maggior esperti mondiale della Russia, a cui ha dedicato una ventina di libri. Galeotti, inglese di origini carraresi, è uno specialista delle forze armate, dei servizi di sicurezza e della criminalità nel Paese di Putin.
Lo abbiamo raggiunto al telefono nella sua casa alle porte di Londra. Abbiamo molte domande da fargli sulla nuova legge per l’arruolamento e su altro. Gli raccontiamo il nostro dialogo di poco prima con Sasha.
Professor Galeotti, perché Alexander non vuole partire? Perché i russi sono così passivi anche quando si oppongono alla guerra e non vorrebbero combatterla?
Capisco bene Alexander. Il fatto è che la maggior parte delle persone non può semplicemente lasciar tutto ed emigrare.
Ma questa legge potrebbe costringere milioni di Alexander ad andare al fronte.
La nuova legge è draconiana ma allo stesso tempo vuol evitare provvedimenti ancora più draconiani. L’alternativa sarebbe quella di tornare ai visti d’uscita per tutti i cittadini, com’era ai tempi dell’Urss. È stata ritenuta impraticabile. La legge passata alla Duma dimostra che il regime cerca di costruire la struttura adatta per mobilitare quanti nuovi soldati desideri e combattere una guerra infinita. Allo stesso cerca di minimizzare l’impatto sociale di una tale prospettiva.
È una grande ipocrisia. In pratica, una legge marziale non proclamata.
Non proprio. Non è come è successo in Ucraina subito dopo l’invasione, quando ad ogni cittadino di sesso maschile in età militare è stato vietato di lasciare il paese.
Ma era normale, per un Paese aggredito. Per un Paese in guerra. La Russia nemmeno la chiama guerra.
Vabbè la chiamano ancora “operazione militare speciale”. Ma certo che la Russia è in guerra. Ed è certo che, anche senza legge marziale, lo Stato farà tutto quel che deve esser fatto per condurre la guerra. Ma tenta di far quadrare il cerchio. Si assicura il controllo delle persone. Potrà prendere chi vuole per mandarlo al fronte. Ma senza la situazione sembri definitiva, permanente. Senza che tutti i russi si sentano costretti in questa posizione di ostaggi.
Come reagirà il pubblico. I biglietti della Turkish Airlines dall’aeroporto di Vnukovo a Mosca per Istanbul sono subito saliti a oltre tremila euro solo andata, in classe economica. A parte Alexander che non vuole partire, ci sarà una fuga in massa?
Se fosse così sarebbe un triste paradosso. Il meccanismo predisposto con la nuova legge non entrerà in funzione immediatamente. Ci vorrà tempo. La legge spiega che vale solo per la normale chiamata alla leva, quella che viene fatta ogni primavera e ogni autunno. E questo non è vero, in realtà il meccanismo potrà valere in ogni momento. Ma intanto ci vorranno mesi prima che tutti i database siano integrati nel nuovo sistema. Se ne parlerà in autunno, appunto. Non prima.
Ma c’è già chi fa le valige.
Chi parte adesso, a meno che non abbia un lavoro assicurato all’estero o un doppio passaporto, tra qualche mese finirà per tornare. Perché non avrà mezzi per sostenersi fuori dalla Russia. Come è successo per molti di quello che fuggirono durante la prima ondata di mobilitazione, che dopo tre o quattro mesi son dovuti rientrare. Ed ecco il paradosso, appunto: potrebbero dover rientrare proprio in tempo per esser fagocitati dalla nuova e più efficiente chiamata alle armi “elettronica”, che sarà allora diventata operativa.
Intanto, cartelloni pubblicitari che invitano ad arruolarsi ed uffici leva anche mobili stanno riempiendo le città russe.
Proprio perché il regime cerca di non prendere misure troppo draconiane. È chiaro che potrà mandare al fronte chi gli pare. Ma Putin è ben conscio delle possibili conseguenze sociali e politiche negative se lo facesse con modi drastici. Ecco quindi la campagna per indurre la gente ad arruolarsi volontariamente con promesse di vantaggi e paghe sontuose che poi magari non vengono nemmeno corrisposte.
Il fatto è che ora questa “pubblicità per la guerra” sta diventando nelle ultime settimane davvero onnipresente, in Russia.
E dà la misura della scala della sfida lanciata dal regime. Che propaganda questa guerra come una “lotta esistenziale” della Russia contro la Nato. Ma che non vuol far sembrare ai cittadini che saranno costretti a combatterla in prima persona, se non vogliono. Questo è il messaggio. Certo non esente da ipocrisia.
E che dice tutto questo rispetto alla possibile durata delle ostilità?
Dal punto di vista russo, protrarre la guerra è l’unico modo per vincerla, se mai sarà possibile vincerla. Si tratta di sopravvivere, di durare più a lungo dell’Ucraina e dell’Occidente nell’impegno militare sul campo. Al Cremlino sanno bene che non metteranno a segno alcuna vittoria decisiva. Sì, potranno prendere Bakhmut. Ma non vinceranno mai la guerra grazie a una singola battaglia. Né conquisteranno mai l’intero Donbass. Non potranno mai proclamarsi vincitori in seguito a conquiste territoriali dirette. L’unico modo per uscirne a mani piene è tirarla per le lunghe, prendere il nemico per stanchezza.
A questo proposito, l’attivista per i diritti dei carcerati in Russia Olga Romanova ha reso noto, citando documenti da lei visionati, che si stanno ancora arruolando carcerati. Ma con contratti più lunghi rispetto al passato: non sei ma 18 mesi. E ad arruolarli, adesso, non è il gruppo di mercenari della Wagner ma il ministero della difesa. Interessante, no?
È in linea con quanto dicevamo. Vedremo sempre più spesso questo tipo di mosse, da parte del governo. E riguardo ai carcerati, contratti di 28 mesi sono più digeribili, dal punto di vista sociale e anche per il governo. Sei mesi sono pochi: in molti sopravvivono e ci si ritrova una massa di criminali incalliti perdonati dal carcere e incattiviti dalle battaglie in giro per le strade. Con 18 mesi al fronte, in questa guerra, la possibilità che tornino vivi sono davvero scarse. Per la società, meglio così. Ragionamento cinico ma realistico. E poi una più lunga permanenza nei reparti aumenta l’efficacia degli stessi, al fronte.
Assassini, serial killer e addirittura persone condannate per cannibalismo usate come carne da cannone. E ora il video della decapitazione di un nemico, in stile Isis. Si sta sviluppando una specie di “culto della morte” tra i militari e nella società russa?
È interessante che lo stesso portavoce di Putin, Dmitri Peskov abbia definito “orribile” quel video. Credo che sia strettamente associato con la Wagner. E ritengo che possa dare nuove munizioni a chi, ai vertici della Russia, è ostile al patron del gruppo di mercenari, Dmitry Prigozhyn: i suoi avversari potranno dire che è definitivamente incontrollabile e fuori dalla realtà. Ma non credo che esista un “culto della morte”, nella società russa.
Ma nei negozi si vendono gadget e soprammobili che rappresentano il maglio con cui la Wagner uccide i presunti traditori. È raccapricciante pensarlo, ma evidentemente qualcuno se li compra.
Certo esiste una rumorosa minoranza entusiasta del “culto della Z”. E ha un’influenza sulle persone normali. Ma assumere che i russi abbiano subito un tale lavaggio del cervello da diventare in massa tutti fascisti violenti e assetati di sangue è parecchio esagerato. I russi non sono così. La maggior parte tiene la testa bassa e cerca di ignorare la guerra. Altri si oppongono, ormai soprattutto silenziosamente, vista la durezza della repressione. Altri ancora, sia per una genuina fascinazione sia perché sperano che la loro carriera ne abbia considerevoli e immediati vantaggi, diventano portavoce di questo “culto della morte”.
Un culto che quindi è una realtà?
Ma non si può pensare che l’intera Russia sia nelle grinfie di questo “culto”. Sarebbe sbagliato. E sarebbe molto pericoloso. Perché stiamo già cominciando a trattare i russi come se fossero tutti alleati di Putin. E alla fine li costringiamo a esserlo, perché non sanno più dove trovare appoggio.
Di fatto, c’è tanto conformismo, in Russia. Nessuno — o pochi, che pagano tantissimo — si ribella alle nefandezze della guerra e all’involuzione totalitaria del regime. D’accordo, la repressione è durissima. Ma basta a spiegare il trionfo del conformismo e della passività, anche di fronte a bestialità come il “culto della Z” o quello della morte?
Per spiegarselo, basta pensare ai tempi sovietici, quando il regime aveva ancor più controllo di adesso sui cittadini ordinari e sui media. Tutti sapevano cosa dovevano dire: che erano contenti di far parte del Komsomol (organizzazione giovanile del Partito comunista dell’Urss, ndr), o di indossare il fazzoletto rosso dei giovani pionieri. E sapevano come parlare in pubblico, agli incontri del partito, usando le parole “giuste”. Anche se poi nella cucina della kommunalka (gli appartamenti in condivisione tipici dell’era sovietica, ndr), dicevano peste e corna del regime. E quando questo entrò in crisi, contenti guardarono morire il sistema comunista. Con sulle labbra un grande sorriso.
(da Fanpage)
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Aprile 13th, 2023 Riccardo Fucile
L’IDEA CHE L’EMERGENZA CLIMATICA SIA UN PROBLEMA GENERAZIONALE E’ SBAGLIATO E MIOPE
Ogni volta che si parla di manifestazioni o azioni per il clima, si dà ormai quasi per scontato che ad essere coinvolte siano soprattutto persone giovani. Da quando Greta Thunberg si è seduta con un cartello davanti al Parlamento Svedese, il collegamento tra ambiente e nuove generazioni è un automatismo. Nei reportage dei media mainstream durante le giornate di sciopero per il clima, non mancano mai le classiche domande sulla dimensione generazionale della manifestazione: “Sei arrabbiato con gli adulti?”, “Quanti anni avete?”, “Cosa vuoi dire alle generazioni precedenti che vi guardano?”. E così via.
Queste domande mancano sempre il punto chiave dell’attivismo per il clima: non ha una sola dimensione. Attraversa e interessa diverse fasce della popolazione (tranne, ovviamente, chi sta speculando sulla crisi climatica), e racchiude le rivendicazioni di lotte apparentemente divise. È necessario comprendere questo per capire che i movimenti come Fridays For Future, sebbene siano youth-led (guidati dai giovani), non escludono persone più anziane. Nelle assemblee si incontrano spesso e volentieri persone di tutte le età, a volte anche pensionati, genitori e insegnanti. L’aspetto intergenerazionale col tempo è diventato sempre più un’esigenza.
Una rappresentazione stereotipata presenta l’emergenza climatica come un affare che interessi solo i giovani, un racconto che non tiene conto che gli effetti dei cambiamenti climatici sono già presenti qui e ora. Le vecchie generazioni dovrebbero attivarsi anche per una questione di interesse personale. La crisi climatica non sarà solo una disgrazia che dovranno affrontare i giovani, ma mette a rischio la salute dei cittadini più anziani e delle persone più fragili. Ad esempio, diverse indagini epidemiologiche mostrano l’aumento della mortalità durante le calure estive, specialmente in città. Anche l’Istat, nel rapporto sugli indicatori demografici del 2022 uscito il 7 aprile 2023, ha dichiarato che la crisi climatica sta “assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza”, specialmente per la popolazione over 65.
La crisi climatica ha un impatto notevole sulla vita degli anziani, che spesso hanno anche più influenza dei più giovani per spingere istituzioni e aziende ad affrontarla. Un esempio è il caso delle banche che continuano imperterrite a investire nei combustibili fossili, andando contro l’evidenza scientifica e i trattati internazionali. In questo frangente, gli studenti o i giovani lavoratori con salari esigui e contratti a tempo determinato non avranno l’influenza di chi deposita reddito e risparmi in queste banche da anni. Se a ribellarsi sono loro, i clienti regolari, il discorso cambia.
Negli Stati Uniti un’organizzazione per attivisti over 60, Third Act, ha deciso di far leva proprio sul potere dei propri risparmi inaugurando Rocking Chair Rebellion (la “Ribellione delle sedie a dondolo”). Il 21 marzo 2023 migliaia di pensionati in più di 90 città d’America hanno dato vita a delle manifestazioni di fronte le sedi delle banche che ancora investono nel fossile, presentandosi con le loro sedie a dondolo. In alcuni casi gli attempati attivisti per il clima hanno tagliato le loro carte di credito come gesto di protesta, in altri hanno occupato le hall delle banche con conseguenti interventi delle forze dell’ordine con fermi e arresti. In questo caso le proteste erano guidate da anziani ma partecipate anche da giovani. In Svizzera e Francia è un gruppo di donne che ha scoperto l’attivismo climatico grazie in molti casi ai propri nipoti, ad essersi mobilitato presentando un esposto alla Corte europea dei diritti dell’uomo per ottenere azioni concrete sul clima da parte dei governi nazionali
Bill McKibben, uno dei fondatori di Third Act, ha apertamente criticato chi afferma che risolvere il problema del clima sarà compito delle nuove generazioni, definendolo “Stupido, ingiusto e poco pratico”. All’Independent ha dichiarato che “I giovani da soli non hanno abbastanza potere strutturale per risolvere questi problemi nel tempo che abbiamo a disposizione”. McKibben è un veterano dell’attivismo per il clima. È stato tra i fondatori di 350.org, organizzazione che è stata particolarmente importante nelle grandi mobilitazioni contro la COP19 sul clima di Copenaghen del 2009. In quel momento sembrava che il movimento per la giustizia climatica fosse a una svolta, ma bisognerà aspettare dieci anni, con la grande ondata di scioperi globali del 2019 per vedere davvero gli effetti di quelle mobilitazioni.
Chi, come McKibben, era già attivo a Copenaghen non necessariamente deve essersi ritirato dalle battaglie con la nascita dei nuovi movimenti degli ultimi anni. Anzi, è importante che, se la stanchezza lo permette, chi c’era prima continui ad esserci adesso, con iniziative ad hoc e partecipando alle battaglie organizzate delle nuove generazioni. L’esperienza e la storia di chi ha lottato prima di noi (a patto che metta da parte paternalismo e demoralizzazione), sono importanti più di qualunque tipo saggio sulla teoria del cambiamento.
In questo scambio è fondamentale il rispetto reciproco, e gli attivisti di vecchia data devono accettare che i nuovi movimenti siano a guida giovanile. È importante che chi si unisce a movimenti fondati dai giovani non finisca anche inconsciamente per prevaricare in nome dell’esperienza accumulata nel tempo, ma quella esperienza è fondamentale per non percorrere gli stessi errori e imparare dalle sconfitte di ieri per preparare le vittorie future.
La bellezza dell’attivismo per il clima è il senso di unità che crea tra battaglie e generazioni diverse. Questo accade perché la soluzione a problemi diversi è una sola: un cambiamento strutturale del nostro modo di vivere e di rapportarci tra di noi e con la natura, una transizione che sia ecologica ma che sia anche giusta. Per raggiungere questi obiettivi, i movimenti per il clima non possono permettersi di escludere neanche una fascia della popolazione coinvolta. Allo stesso tempo devono accettare che, laddove una di queste fasce ha più influenza di un’altra, la leadership sia per lo meno condivisa. E questo vale anche per questioni di classe, di genere e di discriminazione razziale, dove è fondamentale lasciare le redini a chi è sistematicamente oppresso.
Non è quindi l’aspetto generazionale a caratterizzare l’attivismo per il clima, o perlomeno non dovrebbe esserlo e non ci dovrebbe essere una netta separazione tra chi si deve far carico della lotta. Troppo spesso, parlando di quello che fanno gli attivisti, gli anziani si pongono come spettatori. Nei salotti televisivi l’opinionista di mezza età commenta azioni e rivendicazioni degli attivisti come se fosse esente dall’affrontare la crisi climatica, come se la crisi climatica non lo riguardasse. È un atteggiamento miope e limitato, perché la crisi climatica non è il nostro futuro è il nostro presente come già abbiamo ricordato, ma soprattutto perché risolverla non è una vicenda che riguarda i giovani in quanto categoria a parte.
La verità è la lotta per il clima è e deve essere sempre più trasversale e olistica. Anziani e anziane, uomini e donne di ogni età, venite con noi: non c’è un modo solo di salvare il nostro mondo, a ognuno il suo!
(da Fanpage)
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