Giugno 18th, 2023 Riccardo Fucile
“BERLUSCONI È STATO UN IMPRENDITORE CHE ACQUISTA TUTTO A BASSO PREZZO E PENSA SOLO AL PROFITTO”… “I RAPPORTI TRA CRAXI E IL CAV NON ERANO COSI’ IDILLIACI”
Rino Formica, 96 anni, socialista,
più volte ministro, ha vissuto da protagonista la Prima Repubblica e da spettatore impegnato la Seconda Repubblica, il cui debutto (1994) è legato all’avvento di Silvio Berlusconi sul palcoscenico politico. Le sue analisi vanno quasi sempre controcorrente
La morte di Berlusconi ha scatenato un fiume di ricordi, ricostruzioni e previsioni.
«Siamo nel pieno di un necrologio collettivo. Un tempo si diceva che, nella vita, non ci fosse nulla di più falso dei necrologi, che costituiscono una rappresentazione edulcorata della verità. Quando, tra una decina di giorni, cesserà quest’orgia di dichiarazioni di fede e fedeltà, s’imporrà una riflessione pacata».
Per giungere a quale conclusione?
«Quella berlusconiana viene definita da tutti, detrattori e sostenitori, come un’esperienza trentennale. Il che significa che ha avuto una funzione».
Come è stata assolta questa funzione da Berlusconi?
«Vado subito alla sintesi. L’Italia è più povera e meno libera di come Berlusconi l’ha trovata. Berlusconi è più ricco e più potente di quando è entrato in politica».
Ma Berlusconi era anche un po’ figlio della Prima Repubblica.
«Certo. Berlusconi nasce e cresce nella Prima Repubblica, ma riesce ad approfittare della crisi di quella fase storica senza possedere né indicare un orientamento di carattere politico. Qual era la sua bussola politica? Dov’era? Bah.
È andata in scena un’anomalìa figlia di questo paradosso: quello di un imprenditore che si appropria dell’esperienza politica altrui e di un uomo politico che si trova a dover operare il cambiamento in un sistema in crisi. Berlusconi non è in grado di svolgere questo secondo compito. Lui resta un imprenditore che acquista tutto a basso prezzo e non si discosta dal principio tipico dell’imprenditore: il profitto. C’è una bella differenza tra l’uomo politico che ritiene non negoziabile il suo principio identitario e l’imprenditore che ritiene non negoziabile il principio fondamentale del profitto, che è la ragione di vita di un’impresa».
Perché, allora, seguendo il suo ragionamento, i partiti sconfitti nel ’94 non hanno reagito?
«Hanno commesso un errore di valutazione. Pensarono che il ritorno ai princìpi classici della politica sarebbe avvenuto in autonomia, col tempo e che la fase della sostituzione dei princìpi da parte del profitto sarebbe stata provvisoria e transitoria. Invece si trattava di un elemento degenerativo che intaccava il midollo spinale dei sistemi istituzionali democratici».
Berlusconi scende in campo all’insegna del cambiamento.
«La sua figura, invece, si rivela subito ritardatrice del processo di rinnovamento del trentennio riformistico che non aveva potuto concludere la sua opera di cambiamento sia per ragioni internazionali che nazionali, entrambe frenanti».
Qual è il ruolo della magistratura?
«Un ruolo corporativo. La magistratura avverte la debolezza di un potere generale e politico e mira ad essere un potere autonomo, non indipendente. Quindi, un potere politico, a sé stante. La magistratura diventa prigioniera di questa grande illusione, dimentica del fatto che l’amministrazione della giustizia resta la più alta missione nella società. Giudicare gli altri esseri umani significa infatti esercitare una funzione paradivina. Invece si è preferito acquisire potere politico».
Ha ragione D’Alema quando dice che Berlusconi è stato un po’ perseguitato dalla magistratura?
«Non vedo il fenomeno della persecuzione ai danni di Berlusconi.
Tutto rientra nel quadro di una degenerazione sistemica, di un’interferenza di ruoli da parte della magistratura. I magistrati lo hanno fatto con Berlusconi, ma lo avrebbero fatto con chiunque altro. Berlusconi è arrivato a 58 anni, quando è salito a Palazzo Chigi, senza essere mai stato inquisito.
Successivamente viene indagato per mafia. Allora: o era mafioso prima, e non si comprende perché non sia stato indagato; oppure è falso ciò che avviene dopo. La questione è che quando una forza indipendente agisce come forza giudicante, non può trasformarsi in parte politica. Tanto è vero che quando è iniziata a calare l’influenza politica di Berlusconi, si è andati alla ricerca di nuovi esponenti politici da colpire anche sul piano giudiziario».
A chi o a cosa si riferisce?
«Parliamoci chiaro. D’Alema non sarebbe stato indagato o messo sotto controllo se fosse stato esponente di una forza politica che contava».
Non rischia di essere un po’ complottistico questo ragionamento? C’è davvero un disegno della magistratura teso a far fuori alcuni leader politici?
«Non è un disegno. Sono dinamiche della società. Quando si crea un vuoto, qualcuno lo riempie. E naturalmente chi lo riempie parte dai propri punti di forza all’interno della società. L’illusione di Berlusconi, alimentata dalla sua incultura politica e dalla sua sprovvedutezza, era che fosse sufficiente essere solo imprenditori per governare un Paese come l’Italia».
Com’erano i rapporti diretti tra Berlusconi e Craxi?
«Non corrispondevano alla visione idilliaca riproposta da Stefania Craxi. Erano assai più complessi. I giudizi di Bobo Craxi sono quelli più aderenti alla verità»
Che futuro vede per il centrodestra fondato da Berlusconi?
«Non può durare, in democrazia, un’organizzazione politica priva di un giusto equilibrio tra il carisma della guida e la forza dell’istituzione. In questo caso c’era un’identificazione, non una differenziazione equilibrata, tra carisma e istituzione. È nella natura delle cose che la cessazione, per via naturale, del carisma porti alla cessazione dell’istituzione. Penso che la morte di Berlusconi, ad un anno dalle prossime europee, non favorisca, sin dalle prossime settimane, una fase di tranquillità per il governo Meloni».
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Giugno 18th, 2023 Riccardo Fucile
I PIU’ COMICI SONO I CAMERIERI DI BERLUSCONI: HANNO PASSATO 30 ANNI A LECCARGLI I TACCHI COL RIALZO IN CAMBIO DI LAUTI STIPENDI
I più volgari, ma anche i più comici sono i camerier
i di B.. Hanno passato gli ultimi trent’anni a leccargli i tacchi col rialzo in cambio di lauti stipendi, comprensivi di risarcimento per le facce e le dignità perdute.
E ora che la pacchia è finita domandano: “Adesso che faranno e come camperanno gli antiberlusconiani?”. Ma preoccupatevi di che farete e come camperete voi, poveretti.
Noi esistevamo prima, a Dio piacendo esisteremo anche dopo e da parecchi anni, dalla fine del suo ultimo sgoverno nel 2011, ci occupavamo felicemente d’altro.
Siete voi che dovete trovarvi un nuovo paio di tacchi col rialzo da leccare, sperando che la paghetta per i servizietti sia altrettanto generosa. Noi continueremo a fare con onestà e dignità il nostro mestiere di raccontare, denunciare e ricordare.
E cominciamo qui oggi rendendo omaggio ai rari italiani che non hanno piegato la schiena, ma hanno usato la lingua per urlare i misfatti politici, morali e penali (quelli accertati dalla Cassazione sono a pag. IV di questo Speciale) del Delinquente che sequestrava l’Italia per farsi gli affari suoi, anziché restarsene accucciati nelle comfort zone dell’indifferenza, del conformismo, del cerchiobottismo, del paraculismo tutto italiano che si fa chiamare “terzismo”.
Altro che guadagnarci: i pochissimi politici, magistrati, giornalisti, intellettuali, artisti, persone comuni che si sono messi di traverso sulla via di Arcore sfidando lo smisurato potere del Caimano hanno pagato prezzi altissimi per difendere i princìpi costituzionali e non voltarsi dall’altra parte: licenziamenti, disoccupazioni, mobbing, censure, editti bulgari, isolamenti, rinunce, ostracismi, cause penali e civili milionarie, rovine e danni aziendali, insulti e irrisioni su tv e giornali, calunnie, ricatti, spionaggi, minacce, persino violenze fisiche.
Nel Paese di Sottosopra che B. ha edificato e gli sta sopravvivendo, pare che il problema non fosse lui, ma chi l’ha contrastato. Noi non dimentichiamo. E rimettiamo subito le cose al loro posto: chi aveva torto e chi ragione, chi è l’aggressore e chi gli aggrediti.
Marco Travaglio
(da il Fatto Quotidiano)
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Giugno 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO LEGALIZZA L’ABUSO DI POTERE
Il vero regista della riforma della giustizia è Francesco Paolo Sisto, il viceministro di Carlo Nordio, già avvocato di Silvio Berlusconi. È cosa nota, ma è utile ribadirla, perché spiega anche la dedica della riforma alla memoria del Cavaliere. La riforma Sisto-Berlusconi-Nordio ha cinque pilastri: l’abolizione del reato di abuso d’ufficio; la stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni; la revisione del processo per autorizzare o negare gli arresti preventivi nel corso delle indagini preliminari; il depotenziamento del reato di traffico di influenze; il divieto per le procure di fare ricorso in appello per le assoluzioni per reati con pene fino a 4 anni.
L’abrogazione dell’abuso d’ufficio trova consenso in un fronte compatto di sindaci, di destra, centro e sinistra. Anche nel Pd c’è chi ritiene che sia una buona cosa. Elly Schlein, la segretaria, invece si smarca dalla narrazione secondo cui gli amministratori sono vittime del codice penale. Piuttosto è l’inefficienza della macchina pubblica a moltiplicare le denunce di cittadini esausti.
Lo scenario futuro in assenza dell’abuso d’ufficio, articolo 323 del codice penale, potrebbe riservare situazioni paradossali: «Prendiamo il caso di un sindaco che decide di destinare con un atto illegittimo l’ultimo piano del municipio all’amante. Non sarà più reato», riflette una fonte autorevole impegnata da una vita a perseguire i delitti dei colletti bianchi. Inoltre la sua cancellazione rischia di produrre una procedura di infrazione da parte dell’Europa. Soprattutto ora che sono in ballo gli investimento del Pnrr: senza l’abuso d’ufficio ogni amministratore non sarà più punito se affiderà appalti diretti (entro una certa soglia) a parenti, amici, clientele varie. Infatti con l’abuso d’ufficio andrebbe in soffitta anche la mancata astensione di un pubblico amministratore, che potrà partecipare a processi decisionali pure in presenza di conflitti di interesse.
DALL’ABUSO ALLA MAZZETTA
Secondo il guardasigilli l’Italia ha sui reati contro la pubblica amministrazione, come la corruzione, «l’arsenale più severo d’Europa» in termini di norme e pene previste. Le statistiche dicono che su 5mila indagini per abuso d’ufficio sono intervenute appena 20 condanne in un anno». I dati citati dal ministro, tuttavia, non tengono conto di un fatto rilevante, che muta notevolmente il quadro: l’inefficienza della pubblica amministrazione produce montagne di denunce di cittadini esasperati da lentezze e atti, i pm ricevuta la querela sono costretti ad aprire il fascicolo spesso senza indagati per abuso d’ufficio destinato all’archiviazione. Ecco spiegato l’elevato numero di procedimenti con questo reato. Forse Nordio dovrebbe suggerire ai colleghi del governo di occuparsi di come migliorare la macchina ammnistrativa degli enti locali.
Esistono, poi, in concreto dei casi giudiziari che smentiscono la narrazione di moltissimi sindaci e del ministro Nordio. Infatti, diverse inchieste nate come semplici casi di abuso d’ufficio si sono trasformati successivamente in indagini su sistemi pervasivi di corruzione e mafia.
È il caso di uno dei filoni di una maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta. Costola che riguardava la pubblica amministrazione e che ha coinvolto personaggi del calibro di Paolo Romeo, considerato tra più influenti capi di una ‘ndrangheta dei colletti bianchi. Condotta dalla procura antimafia di Reggio Calabria, il capitolo in questione era nato contestando l’abuso d’ufficio: si è arrivati poi alla corruzione e alla turbativa d’asta. «Senza più l’abuso d’ufficio, questa indagine non sarebbe neppure partita», dice uno dei detective dell’indagine. Allo stesso modo i magistrati di Salerno tra il 2018 e il 2019 non avrebbero intercettato i meccanismi corruttivi all’interno della commissione tributaria. Tutto era nato dal reato di abuso d’ufficio. Le ulteriori verifiche hanno dimostrato che si trattava di un sistema articolato in cui erano coinvolti anche giudici della commissione, poi accusati di corruzione in atti giudiziari.
E che dire invece di chi ha col solo reato di abuso d’ufficio ha incassato condanne in appello ed è in attesa della Cassazione. È il caso del sindaco Pd di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, un anno in secondo grado: aveva concesso un immobile all’associazione di un imprenditore con cui era in ottimi rapporti. Imprenditore che nel 2014 aveva peraltro offerto gratuitamente a Falcomatà alcuni locali per ospitare la sua segreteria politica. La riforma del governo normalizza tutto ciò, il reato scompare.
Nordio ha riservato attacchi severi all’associazione nazionale magistrati e all’ex presidente del Senato, Piero Grasso, tra i più autorevoli magistrati antimafia: «Lui vede la politica come un mondo di mafiosi», ha detto Nordio. In una delle sue uscite pubbliche, ha anche sottolineato che la lentezza del nostro processo «costa al nostro Paese due punti di Pil all’anno». Ma omette di dire quanto costano all’Italia l’inefficienza della pubblica amministrazione, le mazzette, la concorrenza sleale delle mafie e il malaffare.
(da editorialedomani.it)
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Giugno 18th, 2023 Riccardo Fucile
EVVIVA LA DESTRA DELL’ILLEGALITA’
Il sindaco, gli assessori e i dirigenti comunali che due giorni prima delle elezioni annullarono gli avvisi di pagamento dell’Ici. Il medico del Servizio sanitario nazionale che convinse i pazienti a rivolgersi al suo studio privato. Il primo cittadino che revocò l’incarico a un dirigente “colpevole” di essersi candidato contro di lui alle elezioni. Il carabiniere che, irritato dal rifiuto delle proprie avances, per ritorsione obbligò due ragazze a farsi identificare e attendere l’arrivo di una pattuglia.
Il pm che per vendetta chiese il rinvio a giudizio dell’ex della sua compagna.
Sono tutti esempi reali di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio condannati in via definitiva per abuso d’ufficio, cioè per aver approfittato del proprio potere avvantaggiando o danneggiando ingiustamente qualcun altro, violando una legge o un regolamento.
A raccoglierli è stata un’assegnista di ricerca dell’Università Statale di Milano, Cecilia Pagella, in un articolo pubblicato sulla rivista Sistema penale.
Da domani, se la riforma della giustizia proposta dal Guardasigilli Carlo Nordio sarà approvata dal Parlamento, quelle condanne non esisteranno più: saranno cancellate con effetto retroattivo grazie all’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale.
L’eliminazione dall’ordinamento di un reato, infatti – a differenza di una semplice riformulazione della norma – travolge anche le condanne passate in giudicato.
Con quale effetto? Nessuno svuotacarceri, perché finire in prigione per abuso d’ufficio è quasi impossibile. Ma con la “ripulitura” della loro fedina penale, i condannati potranno usufruire di nuovo della sospensione condizionale della pena in caso di commissione di nuovi delitti, oppure evitare l’aggravamento dovuto alla recidiva.
E non parliamo di numeri irrisori: nel casellario giudiziale risultano 3.623 sentenze definitive iscritte dal 1997 al 2022, una media di 140 all’anno.
Nell’articolo della studiosa si trova una ricca casistica tratta dalle massime della Cassazione, cioè la raccolta dei principi di diritto estratti dalle sentenze della Suprema Corte.
Qualche altro esempio per calarsi nel concreto: “Il sindaco impediva l’occupazione del suolo pubblico alla titolare di un bar per scopi ritorsivi” (Sezione VI, 17 settembre 2019). “Dequalificazione di una struttura e conseguente demansionamento del suo responsabile da parte del direttore generale dell’ospedale” (Sezione VI, 18 luglio 2019). “Confezione di un falso verbale di accertamento di un’infrazione amministrativa in realtà non commessa” (Sezione V, 7 luglio 2017). “Il sindaco e il responsabile di un ufficio tecnico del Comune autorizzavano la costruzione di un alloggio antisismico in assenza di presupposti” (Sezione III, 6 aprile 2016). “Il sindaco revocava l’incarico a un ingegnere che aveva rigettato diverse istanze che riguardavano immobili di sua proprietà” (Sezione VI, 12 giugno 2014).
Insomma, altro che reato “evanescente“, buono solo a intasare le Procure, come lo ha definito Nordio: sono i fatti a dimostrare che l’abuso d’ufficio è una fondamentale norma di chiusura del sistema, indispensabile per colpire “episodi di malaffare in odore penalistico non inquadrabili in altre fattispecie dai contorni meglio definiti, come la corruzione, il traffico di influenze illecite, il peculato o la turbativa d’asta”, come scrive, sempre su Sistema penale, il professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale alla Statale e già consulente giuridico dell’ex ministra Marta Cartabia.
Gatta ricorda la discussione in sede europea sulla direttiva anticorruzione proposta dalla Commissione dopo il Qatargate, che obbligherebbe gli Stati membri a punire l’abuso d’ufficio, esponendo l’Italia al rischio di una procedura d’infrazione: “In questo senso la riforma mi sembra intempestiva. Io avrei lasciato le cose come stavano, in attesa che si chiarisca il quadro in Europa”, dice. E sottolinea anche un altro aspetto: “Mentre si vorrebbe cancellare l’abuso d’ufficio, si lascia in vigore l’omissione o il rifiuto di atti d’ufficio, un reato meno grave. Paradossalmente, al pubblico ufficiale converrà usare il proprio potere per favorire o danneggiare qualcuno piuttosto che non esercitarlo”.
Le stesse preoccupazioni le manifestano i magistrati, che rischiano di non poter più perseguire comportamenti evidentemente rilevanti sul piano del disvalore.
“Ha presente il commissario che tentò di truccare il penultimo concorso in magistratura, favorendo un candidato? Non sarebbe più punibile. Se da domani io, pubblico ministero, decidessi di affidare ogni perizia e consulenza ad amici e parenti, non rischierei più nulla sul piano penale, ma soltanto conseguenze disciplinari”, spiega al fattoquotidiano.it Stefano Celli, sostituto procuratore a Rimini e membro del Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati (il “parlamentino” di giudici e pm) in quota Magistratura democratica, la storica corrente di sinistra. Celli, che si è occupato per vent’anni di reati contro la pubblica amministrazione, smentisce un altro cliché ripetuto da Nordio e dall’ala “garantista” della maggioranza: l’idea che la sola esistenza dell’abuso basti a non far dormire i primi cittadini di tutta Italia, terrorizzati dal rischio di finire sotto inchiesta.
“La “paura della firma” dei sindaci ormai è sostanzialmente una bufala“, afferma. “Nel corso degli anni la fattispecie è stata progressivamente svuotata, mentre lo standard probatorio richiesto si è alzato a dismisura. Dopo la riforma del 2020 (inserita nel dl Semplificazioni dal governo Conte 2, ndr) è quasi impossibile che un sindaco sia indagato per abuso d’ufficio: resta punibile solo il pubblico ufficiale che violi “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Gli atti dei sindaci e degli assessori, invece, sono praticamente sempre discrezionali, perché la legge assegna loro soltanto le “funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo”: tutto il resto spetta ai dirigenti”.
Il ragionamento, in effetti, è dimostrato dai numeri: se nel 1997 (primo anno censito negli archivi) le condanne definitive per abuso d’ufficio erano state 546, vent’anni dopo, nel 2017, scendono a 104, per poi calare ancora a 79 nel 2018, a 62 nel 2019, a 44 nel 2020, a 40 nel 2021 e ad appena sei nel 2022, quando l’ultima riforma ha appena cominciato a produrre i suoi effetti. Ma al governo, forse, della “paura della firma” non è mai importato davvero granché.
(da il Fatto Quotidiano)
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Giugno 18th, 2023 Riccardo Fucile
I SOLDI, I SINDACI BLOCCATI, LE LITI SUL COMMISSARIO… I COMUNI COSTRETTI A LAVORARE SENZA COPERTURE E LEGGI ADEGUATI
Il governo “non è un bancomat”, per carità, ha ragione il ministro che ha la delega alla Protezione civile Nello Musumeci (cui pure, da presidente siciliano, il bancomat piaceva), ma non è neanche l’ente del turismo delle catastrofi: sulla ricostruzione in Romagna l’esecutivo deve prendere una decisione su come procedere e dare certezze ad amministratori, famiglie e imprese, non basta mostrare empatia in un paio di visite sui luoghi del disastro.
Parliamo, ovviamente, delle due alluvioni di maggio: l’ultima, la più grave, data a un mese fa e ha ammazzato 15 persone, cacciato dalle loro case migliaia d’altre (e parecchi non sono ancora tornati), distrutto edifici, strade, ponti, imprese, campi coltivati, canali, argini dei fiumi e mille altre cose per una cifra che gli enti locali quantificano in 8,8 miliardi.
Ovviamente l’esecutivo valuterà la fondatezza di queste stime, ma il problema è che in questo momento – senza un commissario con poteri derogatori o comunque un percorso delineato da una legge – alcuni sindaci hanno fermato o stanno per fermare parte dei lavori: “Con le risorse dell’ultimo decreto, fra 10 giorni i lavori si fermano. Abbiamo circa 1,8 miliardi di risorse spese o che stiamo per spendere per interventi di ‘somma urgenza’, che sono senza copertura dal punto di vista finanziario”, hanno detto i sindaci di Cesena e Ravenna, i dem Enzo Lattuca e Michele De Pascale, entrando a Palazzo Chigi giovedì. Qualche minuto dopo Musumeci gli ha spiegato che “il governo non è un bancomat”. Sarà utile allora un breve riepilogo della situazione.
I soldi.
Finora il governo ha stanziato, in due diversi decreti, 1,8 miliardi di euro: quasi un miliardo però è destinato alla cassa integrazione in deroga e al sostegno al reddito degli autonomi, altri 300 milioni sono invece soldi di Sace per l’internazionalizzazione delle imprese. Insomma, i fondi per la ricostruzione e gli aiuti diretti a famiglie e imprese vanno in larga parte ancora trovati. È appena il caso di ricordare che parliamo di una delle zone più ricche d’Italia.
La stima dei danni.
Come si arriva a 8,8 miliardi di euro? Quasi la metà – 4,3 miliardi con una stima di errore al 10% (dice la Regione) – sono i danni a fiumi, strade e infrastrutture pubbliche: di questi 1,8 miliardi riguardano interventi già realizzati o in corso (6.300 in tutto), altri due miliardi e mezzo per altri 3.150 interventi di ripristino futuri. Poi ci sono i danni ai privati: 2,1 miliardi per 70.300 edifici danneggiati o distrutti dal maltempo. Le imprese coinvolte dall’alluvione, invece, risultano essere oltre 14mila (1,2 miliardi di danni al netto di merce persa e perdita di fatturato). Il comparto agricolo, infine, conta circa 12mila aziende coinvolte per 1,1 miliardi di danni. I Comuni coinvolti sono un centinaio in Emilia Romagna, Marche e Toscana.
Il problema.
C’è un commissario alla prima emergenza, che è il presidente Stefano Bonaccini, per il resto però non esiste una griglia di regole per la ricostruzione vera e propria, che pure è in parte già iniziata. I sindaci e gli altri amministratori locali stanno ad oggi deliberando soldi che ancora non esistono con la clausola detta “somma urgenza”: uno strumento da usare con cura perché, se il governo non le coprirà in tutto in parte, in molti finiranno in dissesto. Per questo alcuni sindaci si sono fermati o stanno per farlo. In altri casi ci sono problemi diversi: finita la prima emergenza, per gli interventi successivi i sindaci non hanno alcun potere derogatorio rispetto alle norme vigenti che però, spesso, sono inapplicabili o addirittura dannose dopo una catastrofe.
Il commissario.
Quello che si attendono adesso i territori è la nomina di un delegato del governo con ampi poteri di firma, capacità di derogare a molti obblighi burocratici e munito di una dote finanziaria di un certo rilievo, cioè quello che si è sempre fatto nelle ricostruzioni. Fare in fretta non è un capriccio: quando le cose vanno per le lunghe un pezzo del tessuto sociale e produttivo finisce per sparire per sempre (chiedere ad Amatrice o a L’Aquila).
Governo diviso.
L’identikit del futuro commissario straordinario è un problema con tre soluzioni possibili su cui si confrontano gli attori in campo. Gli amministratori locali del Pd, la larga maggioranza in zona, vorrebbero Bonaccini, giusta la linea già seguita per il territorio in Emilia del 2012, ma nel governo ci sono vari gradi di ostilità a questa scelta. Nel 2024 in Regione si vota e nessuno vuole fare assist al centrosinistra. Dentro la maggioranza vanno per la maggiore due ipotesi, la prima è anch’essa legata al voto: un commissario “politico”, che sia poi anche candidato alle Regionali. La seconda, invece, è la nomina di un più accettabile commissario tecnico (tipo Figliuolo, Bertolaso o simili) che si muova in accordo con Chigi e comunque tolga visibilità a Bonaccini. Il governo non è un bancomat, ma non può neanche fischiettare.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA BEFFA: NIENTE MULTE PERCHE’ “I CONTROLLI VANNO FATTI IN PRESENZA”… IN ITALIA GIRANO MILIONI DI AUTO NON ASSICURATE: SE HAI UN INCIDENTE CON UNA DI QUESTE NON PRENDI UN EURO
9300: è il numero di auto prive o di revisione o di assicurazione sorprese dalla Polizia Locale di Treviso in sole dodici ore. Il conto deriva da un’indagine effettuata nei giorni scorsi e voluta dal comandante della Polizia Locale Andrea Gallo.
Una ricerca in realtà avviata per «cercare auto rubate», come ha spiegato lo stesso Gallo al Corriere del Veneto: «per fortuna non ne abbiamo trovata nemmeno una. Poi il sistema ci consentiva anche ulteriori ricerche e su quelle abbiamo insistito».
Così, dalle 8 alle 20, sono stati controllati tutti i veicoli in transito sulle strade cittadine a largo scorrimento comprendenti tangenziale, viale Vittorio Veneto, Feltrina e Viale della Repubblica.
Su 176mila veicoli, 4500 sono risultati privi di assicurazione, 4800 di revisione. Le rilevazioni sono state effettuate tramite il sistema targasystem, che legge la targa degli utenti e si collega alle banche dati per rilevare i dati sui veicoli e sui proprietari. Ma a nessuno dei veicoli citati sarà possibile comminare una multa, dal momento che la sanzione va fatta in presenza.
«Tutti i dati – ha affermato Gallo – saranno cancellati entro una settimana nel rispetto della privacy. Ho dato mandato di intensificare i controlli lungo le strade cittadine». I controlli saranno anche a campione, come già avviene sul territorio.
Le sanzioni
Chi non controlla il veicolo andrà incontro a «una sanzione di 173 euro e il ritiro della carta di circolazione fino a quando non sana la situazione», continua Gallo. Chi invece viene sorpreso senza assicurazione andrà incontro a 600 euro di multa e il sequestro del veicolo.
In caso di recidiva del reato, l’importo della multa quasi triplica a 1700 euro. Si verrà poi sottoposti a sequestro del veicolo e sospensione della patente da 1 a 2 mesi.
La cosa più grave, però, tocca a chi subisce un incidente da parte di un guidatore non assicurato: «Al danneggiato non resta che sperare in un risarcimento per cassa dall’associazione vittime della strada e/o intentare una causa civile, che è lunga e dall’esito incerto» ha concluso Gallo.
(da Open)
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Giugno 18th, 2023 Riccardo Fucile
MALUMORI IN FDI PER LE USCITE CONTRO L’ANM DEL GUARDASIGILLI… L’OBIETTIVO ERA DIVIDERE LE PROCURE DALLE OPPOSIZIONI
C’è tensione nel governo sulla gestione del dossier-giustizia, dopo il via libera giovedì sera in Cdm al progetto di riforma nel nome di Silvio Berlusconi: sembra infatti che la premier Giorgia Meloni non sia per nulla entusiasta della rapidità con cui il dibattito sia tornato al vecchio antagonismo tra magistrati e politici.
Un cortocircuito di cui, scrive la Stampa, Meloni attribuirebbe la colpa anche a Carlo Nordio. Nel mirino, in particolare, l’intervento fatto ieri (17 giugno) a Taormina dal ministro della Giustizia, con il quale si è scagliato di nuovo all’attacco dei magistrati e in particolare dell’Anm. Alimentando così uno scontro aperto che Fratelli d’Italia non stava cercando, e di cui non avrebbe bisogno. Nelle intenzioni della premier, scrive Francesco Olivo, c’era semmai alimentare le divisioni tra procure e opposizione, procedendo parallelamente con la riforma della giustizia
Obiettivo questo che per il momento non sembra esser stato raggiunto: gli stessi esponenti di centrodestra riterrebbero infatti «molto deboli» le misure contenute nel ddl illustrato giovedì scorso.
Nordio, fortemente voluto da Meloni, non viene criticato apertamente. Ma dietro le quinte, uno dei massimi esponenti del partito avrebbe dichiarato che «quello che dice è una follia. Lui non si rende conto che anche quando parla a un festival è pur sempre il ministro». Così si estendono i tempi per l’iter della riforma sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, già di per sé più lungo in quanto richiede una modifica costituzionale.
Sono mesi che il partito di maggioranza conduce caute mediazioni con le diverse anime della magistratura. Dialoghi costanti che avrebbero, secondo quanto spiegano nel partito della premier, prodotto un risultato in netta controtendenza con le battaglie berlusconiane: spaccare la magistratura associata, isolando di fatto l’Anm. Un fragile equilibrio che ora rischia di venir compromesso dal Guardasigilli. Ciro Maschio, presidente della Commissione Giustizia alla Camera, di FdI, ha commentato: «In commissione abbiamo sempre mantenuto un clima di dialogo e di rispetto dei ruoli». L’incognita ora riguarda il percorso parlamentare del disegno di legge di Nordio.
(da Open)
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Giugno 18th, 2023 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI ESPERTI E INGEGNERi: LA CARICA ESPLOSIVA COLLOCATA ALL’INTERNO DI UN PASSAGGIO
Non c’è la prova provata ma le indicazioni sono molte: gli indizi suggeriscono che la distruzione della diga di Kakhovka in un’area dell’Ucraina controllata dalla Russia sia stata causata da un’esplosione interna provocata dalla Russia.
Questo è il risultato di una indagine del New York Times.
Citando ingegneri ed esperti di esplosivi, il giornale ha detto venerdì che la sua indagine ha trovato prove che suggeriscono che una carica esplosiva in un passaggio che attraversa la base di cemento della diga sia esplosa, distruggendo la struttura il 6 giugno
“Le prove suggeriscono chiaramente che la diga è stata colpita da un’esplosione provocata nella parte sotto controllo della Russia”.
Separatamente, un team di esperti legali internazionali che assistono i pubblici ministeri ucraini nelle loro indagini ha dichiarato venerdì nelle conclusioni preliminari che era “molto probabile” che il crollo fosse stato causato da esplosivi piazzati dai russi.
Il giornale statunitense ha inoltre consultato ingegneri ed esperti di esplosivi, i quali sostengono che la diga presentava una vulnerabilità nota e che Mosca aveva accesso a tutti i disegni tecnici.
La diga, costruita in epoca sovietica, aveva una base di enorme blocco di cemento ed era attraversata da un piccolo passaggio raggiungibile dalla sala macchine. Le prove suggeriscono che è stata proprio in questo punto che l’esplosione ha distrutto la diga.
(da agenzie)
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