Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
FABIO PINELLI E IL VOTO DETERMINANTE PER LA NOMINA A PROCURATORE DI FIRENZE DI SPIEZIA
In una situazione di guerra permanente tra magistratura e governo è fondamentale che il vicepresidente del Csm, rappresentante del Quirinale, sia del tutto credibile come soggetto terzo e istituzionale, ponte tra i due poteri.
Ma il cinquantasettenne avvocato Fabio Pinelli ha la postura giusta per quella poltrona? Qualche dubbio lo abbiamo e non è solo per il fatto che dopo mesi di astensioni e posizioni super partes abbia deciso di assegnare il voto decisivo nella delicatissima corsa a procuratore di Firenze, città feudo di quel che resta del potere renziano.
Qui il fu Rottamatore sta combattendo tutte le sue sfide più importanti. E che la guerra ai pm sia il suo principale interesse lo dimostra il suo trasferimento in commissione Giustizia al Senato. Da questa postazione e muovendo le sue pedine dentro al Csm spera di spegnere gli ardori dei pm fiorentini che stanno cercando di mandare a giudizio e far condannare lui e i suoi genitori.
In quest’ottica, per il senatore semplice, era importante disarticolare la catena di comando della Procura di Firenze, tutta della stessa area ideologica, portando dalla propria parte anche il centro-destra, scottato dai procedimenti contro Silvio Berlusconi, istruiti sempre in riva all’Arno.
E per riuscire nell’impresa è servito un passaggio: mercoledì scorso, per il nuovo procuratore, Filippo Spiezia, considerato vicino alla corrente moderata di Magistratura indipendente, hanno votato il vicepresidente Pinelli, il procuratore generale della Cassazione Luigi Salvato e si è astenuta la prima presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano. Solo così poteva vincere la corsa il candidato meno titolato, almeno a livello di incarichi direttivi contro Ettore Squillace Greco, procuratore di Livorno.
I magistrati di Mi hanno difeso la loro scelta definendo Spiezia «magistrato di grande valore umano e professionale». Peccato che gli stessi membri del Csm avessero ritenuto Spiezia non all’altezza per il posto di procuratore generale di Bologna non più tardi di un mese e mezzo fa e gli avessero preferito Paolo Fortuna, ex procuratore di Aosta per la sua precedente «esperienza direttiva», come sottolineò la relatrice della proposta Fortuna, la laica in quota Fdi Daniela Bianchini. Mentre il renziano Ernesto Carbone aveva sostenuto Lucia Musti, bocciata dall’ala destra del Consiglio per le sue chat con Luca Palamara.
Ai primi di luglio Spiezia è diventato il procuratore perfetto. Sino a poche ore prima dell’elezione, Pinelli, a chi glielo chiedeva, aveva garantito che si sarebbe astenuto, salvo, con un colpo di teatro, annunciare all’ultimo il suo voto, determinante. Il vicepresidente di Palazzo dei marescialli è uomo di mondo ed è nota la sua rete di conoscenze e sponsor molto trasversale, che va dalla Lega all’ex presidente della Camera in quota Ds Luciano Violante.
Una capacità di tessere rapporti e muoversi dentro ai palazzi del potere che noi avevano già intuito il 17 gennaio del 2023 alla vigilia del voto per il vicepresidente. I giornali ipotizzavano una corsa a due tra lo stesso Pinelli e il favorito Giuseppe Valentino, avvocato vicino a Fratelli d’Italia.
Con il vincitore si schierarono la quasi totalità dei laici (espressione della politica) e gli esponenti della corrente moderata di Magistratura indipendente. «L’avvocato Fabio Pinelli è il nuovo vicepresidente del Csm. Davvero un’ottima scelta: serio, autorevole, credibile. Complimenti e buon lavoro» esultò immediatamente Renzi, mettendo la sua bandierina sul candidato. Probabilmente mercoledì scorso, Pinelli ha reso felice il suo celebre estimatore decidendo la nomina alla Procura di Firenze.
Un’ammirazione che viene da lontano. Nel 2022, il legale è stato designato dal Senato della Repubblica per predisporre il ricorso introduttivo e il successivo patrocinio davanti alla Corte costituzionale, in un conflitto di attribuzione tra Palazzo Madama e la Procura di Firenze, accusata di aver indebitamente acquisito, senza previa autorizzazione dell’Assemblea di appartenenza, corrispondenza informatica e cartacea di Renzi nell’ambito dell’inchiesta sulla fondazione Open.
Pinelli è stato anche difensore, sempre nel medesimo fascicolo, di uno dei principali indagati, il presidente della fondazione Alberto Bianchi. Addirittura, il 27 gennaio, due giorni dopo la nomina di Pinelli a vicepresidente del Csm, l’avvocato Alberto Berardi, dello studio Pinelli, ha presentato al gip fiorentino Sara Farini una memoria difensiva pro Bianchi su carta intestata «Pinelli avvocati». Un possibile conflitto di interessi che non ha sconsigliato il vicepresidente dallo schierarsi nella battaglia per Firenze.
Pinelli appena nominato vicepresidente aveva dichiarato: «Cerchiamo di essere credibili, trasparenti, mai obliqui nell’interesse del Paese». […] è stato avvocato di diversi esponenti della Lega, ma anche membro del comitato scientifico della Fondazione Leonardo (di cui è presidente Violante) e, sempre con l’ex parlamentare comunista, socio di Italiadecide, associazione «per la qualità delle politiche pubbliche».
Ha assistito Luca Morisi, l’ex guru social della Lega, e Armando Siri, che da sottosegretario nel governo Conte 1 fu costretto a dimettersi per un’indagine di corruzione. Ha difeso pure la Regione Veneto di Luca Zaia nel maxi processo sull’inquinamento da pfas nelle province di Vicenza, Verona e Padova. Proprio in un’inchiesta sulla Regione è stato indagato e archiviato, perché da parte sua sarebbe mancato il dolo.
Nel fascicolo sui bandi per le mense degli ospedali in Veneto il gip di Padova Domenica Gambardella nei mesi scorsi ha, invece, chiesto nuove indagini per chi gli aveva affidato ricchi incarichi: l’ex direttore generale dell’assessorato alla Sanità del Veneto, Domenico Mantoan (oggi dg dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari nazionali, Agenas) e dell’ex dg di Azienda zero (ente di governance della sanità regionale) Patrizia Simionato, indagati (anche se le accuse sono quasi prescritte) per induzione a dare o promettere utilità e turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, in relazione all’affidamento delle consulenze legali a Pinelli.
La Simionato, formalizzava gli incarichi a Pinelli e alla professoressa Chiara Cacciavillani, in due delibere del 9 aprile 2020, «giustificando la procedura nell’ambito della situazione emergenziale Covid-19 per un importo complessivo di 35.000,00 euro per ogni professionista». Il 12 giugno 2020 la Simionato «inseriva anche un incarico di “servizio di supporto legale” allo studio “Pinelli avvocati” per un importo complessivo di 82.215,58 euro». A febbraio l’Espresso ha rivelato che la Guardia di finanza avrebbe contato 21 parcelle deliberate da Azienda zero «con affidamento diretto» a Pinelli (in alcuni casi in coppia con un collega) prima della fuga di notizie del 2020, di importi compresi tra 3.000 euro e 35.000 euro, a cui andrebbero aggiunte due fatture del settembre 2019 da 95.000 e 47.000 euro.
La Procura, però, pur chiedendo l’archiviazione per Pinelli, ha trasmesso gli atti alla Corte dei conti ed al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Padova in quanto al vicepresidente del Csm sarebbe stato affidato anche un recupero crediti di accise indebitamente versate, con il pagamento di un fisso e di una quota pari al 15 per cento di quanto recuperato (parcella massima finale 465.000 euro), una pratica, quella della «quota lite», che sarebbe vietata dalla legge forense.
In un’intercettazione dell’8 aprile 2020 Mantoan commenta con la Cacciavillani l’incarico affidato alla donna e al collega: «Lo so cosa pensa di Fabio Pinelli, ma questo adesso va di moda. Non so cosa dirle». Nei brogliacci si legge che lo stesso giorno Mantoan dice alla Simionato di «prendere due numeri di protocollo per fare due delibere» e «di tenerle sui 35.000 euro così non le giustifica».
Mantoan dice che «per quanto riguarda Pinelli ha detto che passerà in Azienda zero e la aiuterà a scrivere le motivazioni (Patrizia conferma)». Nel riassunto sembra che i due indagati abbiano dei dubbi sulle delibere, ma li scacciano subito: «Poi sul perché diamo questa qua […] legata all’emergenza Covid… abbiamo speso talmente tanti soldi, 30.000 euro cosa vuoi che sono» esclama Mantoan e la Simionato avrebbe risposto: «Niente! Facciano 35, va bene, ok, va benissimo».
Sempre l’8 aprile Mantoan spiega a Pinelli di aver «convinto il Principe, Zaia, a dargli un incarico perché tuteli la Regione e la Sanità sotto l’aspetto giuridico » e che l’incarico gli verrà dato ufficialmente da Azienda zero. Quindi lo invita a «mettere sotto i 40.000 euro, così non avranno problemi con l’Anac (l’Autorità nazionale anticorruzione, ndr)». Le intercettazioni raccontano in tempo reale come venga messa a punto la delibera. Il 9 aprile, per esempio, i carabinieri annotano che Pinelli «da parte sua, corregge e implementa il contenuto della delibera» di nomina «quale legale di Azienda zero per l’emergenza Covid». C’è chi si preoccupa per questi provvedimenti «così in urgenza».
Il direttore amministrativo Michela Barbiero parla con l’avvocato dell’area legale Roberto Pomiato e i due lamentano per «la mancanza di una vera giustificazione, nonché per il mancato rispetto del principio di rotazione espresso dal Codice degli appalti». A loro giudizio «tali incarichi rientravano nell’ambito delle attività d’ufficio dell’area legale e tali affidamenti non rientravano nelle procedure d’urgenza».
In una telefonata la Barbiero esclama: «Non è che può obbligarti (la Simionato, ndr) a fare schifezze e dopo stare sempre zitti […] si prenda le sue responsabilità, perché lei è a libro paga di qualcuno, noi no […] è già tanto che firmiamo e che proponiamo e che si accontenti che è anche troppo». In un’altra conversazione insiste: «Un altro incarico a questo Pinelli… adesso, oggi, hanno pensato a un altro incarico ancora… insomma continuano a dare incarichi a questo qua e, per carità, c’è anche Zaia… perché è un uomo di fiducia anche di quello, però… ma tutti a questo, tutti a questo…».
E invoca l’intervento del collegio sindacale dell’azienda: «Chiedete qualche chiarimento perché io le delibere sono costretta a firmarle perché quest’altra se no mi fa impazzire… però cazzo… un minimo di chiarimenti li devi dare… non è possibile una roba del genere… veramente uno schifo allucinante». Il 22 aprile 2020 il quotidiano Il Mattino di Padova pubblica un articolo dal quale si rilevava che alcuni legali dell’associazione «Civica difesa» mettevano in risalto che l’incarico affidato a Pinelli «è l’attivita tipica dell’ufficio legale di Azienda zero e, pertanto, poteva essere assolto dal predetto ufficio, con conseguente risparmio di risorse economiche».
Gli investigatori annotano: «Letto l’articolo, l’avvocato Pinelli si attivava con Azienda zero per dare una sollecita risposta, a mezzo degli stessi mass-media, facendo pubblicare il giorno successivo una replica alle contestazioni mosse dall’associazione Civica difesa». È lo stesso vicepresidente del Csm a preparare il comunicato, ma vuole che a firmarlo sia l’ente regionale. Pinelli «dice che una cosa che gli fa spingere per l’opportunità di farlo è anche il fatto che viene dimenticata (nell’articolo, ndr) la Cacciavillani» e che «ciò è antipatico».
Il senso del comunicato dovrebbe essere questo: «La situazione è talmente complessa e ha delle questioni giuridiche così articolate che abbiamo ritenuto di incaricare la professoressa Cacciavillani e l’avvocato Pinelli e l’ufficio interno è impossibilitato a gestire questa cosa». Alla fine la nota esce e ha lo stesso senso, contiene anche il nome della Cacciavillani. Ora Pinelli dovrà fare l’arbitro nella partita tra toghe e politica. Riuscirà a far digerire la riforma Nordio e a convincere i magistrati che non sia un atto punitivo nei confronti di molti di loro? Forse in questo arduo compito non lo aiuteranno il voto per Firenze e le altre cose che abbiamo raccontato in questo articolo.
(da la Verità)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
LE STRAGI DEL 1993 PER LANCIARE FORZA ITALIA
Le stragi del 1993 a Roma, Milano e Firenze, sono servite “per
indebolire il governo Ciampi” che in quel momento era alla guida del Paese, ed avevano l’obiettivo di “diffondere il panico e la paura tra i cittadini, in modo da favorire l’affermazione del progetto politico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri”. Lo affermano i magistrati della procura antimafia di Firenze titolari dell’inchiesta sui mandanti esterni degli attentati di trent’anni fa in cui è indagato Marcello Dell’Utri in concorso con i boss di Cosa nostra, Filippo e Giuseppe Graviano.
Gli investigatori del Centro operativo della Dia di Firenze e Milano si sono presentati ieri a casa di Dell’Utri ed hanno eseguito un decreto di perquisizione disposto dai procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli e dal pm Lorenzo Gestri. Gli agenti hanno ispezionato pure gli uffici dell’ex senatore in via Senato. E sono stati individuati e sequestrati elementi utili all’indagine. Un blitz che ha sorpreso Dell’Utri e i suoi familiari. Lui, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, è accusato di aver istigato e sollecitato il boss Graviano “ad organizzare e attuare la campagna stragista e, comunque, a proseguirla, al fine di contribuire a creare le condizioni per l’affermazione di Forza Italia, fondata da Silvio Berlusconi, al quale ha fattivamente contribuito Dell’Utri, nel quadro di un accordo, consistito nello scambio tra l’effettuazione, prima, da parte di Cosa nostra, di stragi, e poi, a seguito del favorevole risultato elettorale ottenuto da Berlusconi, a fronte della promessa da parte di Dell’Utri, che era il tramite di Berlusconi, di indirizzare la politica legislativa del Governo verso provvedimenti favorevoli a Cosa nostra in tema di trattamento carcerario, collaboratori di giustizia e sequestro di patrimoni, ricevendo altresì da Cosa nostra l’appoggio elettorale in occasione delle elezioni politiche del marzo 1994”.
“L’accordo stragista”, per i magistrati, aveva uno scopo politico, in particolare l’attentato all’Olimpico che doveva uccidere decine di carabinieri in servizio allo stadio il 23 gennaio 1994, fortunatamente fallito, come fanno notare i pm nel decreto notificato a Dell’Utri, si colloca tre giorni prima dell’annuncio ufficiale di Berlusconi di scendere in campo. Una strage che doveva essere “funzionale a dare il colpo decisivo alla compagine governativa, in quel momento al potere (governo Ciampi), eliminando decine di carabinieri”, e tutto questo doveva servire “per avvantaggiare Berlusconi e Dell’Utri”.
I magistrati fiorentini prendono in esame sentenze definitive e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, lette correlativamente al contesto istituzionale dell’epoca. L’ambito politico era caratterizzato dalle dimissioni del Governo Ciampi il 13 gennaio 1994 e dallo scioglimento anticipato delle Camere il 16 gennaio 1994, sette giorni prima dell’attentato all’Olimpico. Per gli inquirenti quella strage (mancata) avrebbe costituito uno strumento di pressione di straordinaria portata nei confronti di tutte le forze politiche presenti al momento sulla scena, e attive nella fase di transito verso la nuova legislatura. Ma l’attentato è fallito e non è stato ripetuto, mentre il Cavaliere annunciava la sua discesa in campo.
Dell’Utri e Berlusconi, come scrivono i pm, sono stati i “beneficiari degli effetti dello stragismo in un contesto nel quale erano alla ricerca di una via d’uscita da una doppia congiuntura sfavorevole: la crisi economica-finanziaria del gruppo Fininvest e la dissoluzione del loro referente politico tradizionale” i socialisti e alcune correnti dc.
La campagna stragista si conclude dopo il fallito attentato del 23 gennaio 1994. Fatto che per l’accusa sarebbe “riconducibile all’assicurazione di dell’Utri e Berlusconi” data dopo il sostegno elettorale a Forza Italia, “corroborando, sul piano logico, l’esistenza dell’accordo con Dell’Utri” e consentendo “di escludere che l’azione dei corleonesi sia stata posta in essere autonomamente alla mera ricerca dell’instaurazione di un rapporto con Dell’Utri e il suo referente, il deceduto Silvio Berlusconi”. Ci sarebbe stato quindi un accordo tra i mafiosi e l’ex senatore. “Dell’Utri è portatore di un profilo particolarmente adatto per alimentare intese stragiste”, ricordando che “ha svolto un ruolo di trait d’union tra il Cavaliere e la criminalità mafiosa dal 1974 al 1992, che è risultato far ricorso alle sue conoscenze mafiose per alimentare la nascita di Forza Italia”.
Sono stati ricostruiti due canali paralleli di comunicazioni tra Cosa nostra e l’ex senatore. Il primo era gestito da Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, i quali si servivano di Vittorio Mangano che disponeva di un ufficio a Como dopo aver lasciato Arcore, e veniva indirizzato verso Dell’Utri “con un mandato a coltivare il rapporto con specifico riferimento alla campagna di strage”.
Il secondo canale era gestito dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano: quest’ultimo, per l’accusa, “si rapportava direttamente non solo con Dell’Utri, ma anche con Berlusconi”.
L’inchiesta si sofferma anche sui fiumi di denaro che sono stati versati per diversi anni da Berlusconi nelle tasche della famiglia Dell’Utri, che inducono gli inquirenti a ritenere che «le erogazioni costituiscano la contropartita a beneficio di Dell’Utri per le condanne patite e il suo silenzio nei processi penali che lo hanno visto e lo vedono coinvolto». In alcune conversazioni intercettate veniva fatto riferimento “alla necessità di ricattare Berlusconi”. Per alcune elargizioni di denaro, che superano il mezzo milione di euro, è indagata per trasferimento fraudolento di valori anche Miranda Ratti, moglie di Dell’Utri.
C’è poi un colloquio del 15 ottobre 2021, poco prima della mezzanotte, fra l’ex vice ministro del governo Berlusconi, Gianfranco Micciché e Dell’Utri, in cui i due commentano la futura elezione del Presidente della Repubblica.
I magistrati scrivono: “Gianfranco Micciché, riportando quanto gli aveva confidato Matteo Renzi, riferiva a Marcello Dell’Utri: “Berlusconi mi ha detto dieci volte ‘Io ho bisogno solo di un Presidente della Repubblica che dia la grazia a Marcello’”. Durante la conversazione «emerge, altresì, che Berlusconi, secondo Micciché, ha riferito a Matteo Renzi, nel corso di una cena effettuata a Firenze, che: ‘Marcello è in galera per colpa mia’”.
A Dell’Utri è stato notificato anche un avviso di garanzia, in cui i pm hanno fissato per martedì 18 luglio il suo interrogatorio a Firenze.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
NON C’E’ LIMITE ALLO SQUALLORE: CHIESTO DENARO NON DOVUTO PER AGEVOLARE L’UOMO RISPETTO AD ALTRE PERSONE. PER VITO LORUSSO L’ACCUSA È DI CONCUSSIONE E PECULATO
L’oncologo Vito Lorusso, in servizio all’istituto Giovanni Paolo II di Bari, è stato arrestato in flagranza dai carabinieri. Avrebbe ricevuto una somma di denaro da un paziente. Il medico si è sentito male durante le operazioni ed è stato portato in ospedale. Le contestazioni formulate all’atto dell’arresto sarebbero concussione e peculato, ma a questo punto sarà la Procura a dover valutare gli elementi che hanno indotto i carabinieri ad agire, chiedendo al gip la convalida dell’arresto e un’eventuale ordinanza di custodia cautelare, laddove lo ritenesse opportuno.
Il caso ricorda per molti versi quello dell’oncologo Giuseppe Rizzi, arrestato due anni fa con l’accusa di avere preso soldi da pazienti per delle cure che avrebbero dovuto essere gratuite. Rizzi qualche mese fa è stato condannato a nove anni per concussione.
Dopo il caso Rizzi un altro scandalo scuote così la sanità barese con l’arresto di Lorusso, che è difeso dall’avvocato Gaetano Castellaneta
(da Agenzie)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
PER I MAGISTRATI NON VI SONO AGGRAVANTI “ABIETTI E DELLA CRUDELTA'”… RIFORMATE ALLORA IL CODICE E DIFFERENZIATE TRA PERSONE “INIBITE” E “DISINIBITE” (MA SE UNA DONNA UCCIDE UN UOMO “DISINIBITO” HA DIRITTO ANCHE LEI ALLO SCONTO O NO?)
«Lei giovane e disinibita, lui innamorato perdutamente». Sono
queste le parole con cui i giudici del Tribunale di Busto Arsizio hanno condannato a 30 anni – e non all’ergastolo come chiedeva il pm – Davide Fontana, il 44enne che ha assassinato Carol Maltesi per poi farla a pezzi e gettarla in un burrone.
Per i magistrati non vi fu premeditazione e nemmeno le aggravanti dei motivi futili o abietti e della crudeltà. E il movente non è la gelosia, ma l’uomo «si rese conto che ormai, dopo averlo in qualche misura usato, Maltesi si stava allontanando da lui, scaricandolo» e andando a vivere altrove. «Si era in qualche misura servita di lui – si legge nella sentenza – per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e ciò ha scatenato l’azione omicida».
«L’idea di perderla per lui era insopportabile»
Per il Tribunale di Busto Arsizio, riporta il Corriere della Sera, «l’idea di perdere i contatti stabili con colei che egli, per sua stessa ammissione e secondo l’amica testimone, amava perdutamente, da cui sostanzialmente dipendeva poiché gli aveva permesso di vincere la sostanziale solitudine in cui si consumava in precedenza e di vivere in modo finalmente diverso e gratificante, si è rivelata insopportabile».
La tragedia risale all’11 gennaio del 2022 quando il 44enne, durante le riprese di un video hard, massacrò Maltesi a martellate, per poi sgozzarla, sezionare il cadavere e nasconderlo per settimane in un freezer. Per mesi Fontana ha nascosto l’omicidio a parenti e amici.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
I CINQUE FIGLI CERCANO UN ACCORDO: IL CONTO DEI LEGATI TESTAMENTARI DA 230 MILIONI PER MARTA FASCINA, PAOLO BERLUSCONI E DELL’UTRI POTREBBE RICADERE SOLO SU MARINA E PIER SILVIO…LUIGI BERLUSCONI E LA SUA OPPOSIZIONE A UN RICONOSCIMENTO TESTAMENTARIO ALLA FASCINA
Nel testamento Berlusconi tutto è impugnabile e il lavoro degli avvocati potrebbe durare anni. Ma proprio per questo motivo i 5 figli Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora, Luigi si sono messi subito al lavoro per cercare un accordo tra di loro che allontani il più possibile le cause e gli studi legali.
Ma ricostruire tutto è un lavoro enorme, che potrebbe richiedere anni. E tutto sarebbe opinabile. Per questi motivi, secondo fonti vicine alla famiglia, i figli ancor prima di accettare l’eredità avrebbero deciso di sedersi attorno a un tavolo con i loro avvocati – in questo momento Luca Fossati dello studio Chiomenti e Carlo Rimini – e cercare di definire un perimetro del patrimonio da distribuire, una cosiddetta riunione fittizia tra ciò che è stato lasciato cui si possono aggiungere alcune donazioni di cui si ha contezza. E magari cercare una divisione delle azioni e delle proprietà che meglio si addice ai desiderata di ognuno di loro.
Se i figli Berlusconi riuscissero ad arrivare a questo traguardo si avrebbe un punto fermo da cui partire anche per definire chi deve pagare i “legati”, 230 milioni che Silvio attraverso due diversi scritti ha voluto lasciare a Marta Fascina (100 milioni), al fratello Paolo (100 milioni) e a Marcello Dell’Utri (30 milioni). Perché anche su questo fronte le incertezze e i dubbi giuridici sono molti. In primo luogo nell’ultimo scritto presentato da Marta Fascina al notaio Arrigo Roveda, non compare il nome del figlio Luigi. Si è parlato di una dimenticanza in un momento convulso (Silvio stava per essere ricoverato in ospedale) ma alcune fonti riferiscono che Luigi è colui che più si era opposto a un riconoscimento testamentario alla Fascina, quando il padre l’ha paventata. E dunque, se questa teoria fosse vera, Silvio avrebbe volutamente escluso Luigi dal pagamento del legato a Fascina non menzionandolo nel suo ultimo scritto.
Ma a parte il caso di Luigi, è da vedere se anche Barbara ed Eleonora, menzionate nello scritto, dovrebbero pagare la loro parte della somma ai legatari (Fascina, Paolo Berlusconi, Dell’Utri). Ai tre figli si secondo letto, infatti, spetta solo la legittima, cioé un quinto a testa dei due terzi del patrimonio mentre il restante terzo Silvio l’ha devoluto ai due figli di primo letto, Marina e Pier Silvio. Poiché per legge la legittima non si può intaccare, essendo un valore minimo, è da stabilire se Barbara, Eleonora e Luigi nel conteggio complessivo della riunione fittizia riceveranno solo la legittima o qualcosa di più. Se ricevono più della legittima allora possono partecipare pro quota al pagamento del legato, se ricevono solo la legittima non possono partecipare proprio per non intaccare quest’ultima.
E’ molto probabile che nell’accordo che i figli Berlusconi stanno studiando possa essere compreso il modo in cui devono essere pagati i legati, anche se finora non risulta che nessuno si sia rifiutato di onorare questo o quell’altro impegno. Al momento prevale il senso di compattezza, un messaggio che si vuole in tutti i modi trasmettere all’esterno. Quindi è possibile che Luigi si sia messo al fianco degli altri fratelli senza cercare trattamenti privilegiati. Ma sempre con il vincolo di non intaccare la legittima.
Dunque vi è anche la possibilità che a pagare i legati spetti solo a Marina e Pier Silvio e in questo caso qualche problemuccio potrebbe insorgere. Nelle quattro holding attraverso cui Silvio controllava il 61,2% di Fininvest non c’è infatti molta liquidità, di certo non 230 milioni. I due figli maggiori dovrebbero dunque attingere dalle proprie disponibilità liquide (i legati vanno pagati cash) presenti nelle loro holding a monte di Fininvest, oppure potrebbero procedere alla vendita di qualche bene presente nell’asse ereditario.
E se l’accordo tra i figli Berlusconi non vedesse la luce in tempi ragionevoli, che cosa succederà? Tutto diventerà più difficile, gli avvocati delle parti potranno contestare qualsiasi cosa perché gli scritti sono molto generici e interpretabili da diversi punti di vista. E sarebbe molto più difficile delimitare l’intero patrimonio e di conseguenza la dimensione della legittima e quindi anche chi dovrà pagare i legati. E i legatari, a un certo punto, se la questione andasse per le lunghe, potrebbero anche rivolgersi al tribunale per chiedere la nomina di un curatore per l’eredità giacente.
(da La Repubblica)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL FRATELLO DEL GIUDICE PAOLO BORSELLINO, SALVATORE, ATTACCA LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA DEL GOVERNO: “E’ L’ENNESIMO SEGNALE DI UN GRAVISSIMO ATTACCO ALL’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA E ALLA RICERCA DELLA VERITÀ. L’ANNUNCIATA RIFORMA SULLE INTERCETTAZIONI PORTERÀ UN GRAVE DANNO ANCHE ALLA LOTTA ALLA MAFIA”
“Smantellare il concorso esterno in associazione mafiosa, come
annunciato da Nordio, vuole dire sconfessare apertamente la legislazione voluta da Falcone e Borsellino”. Così in una intervista a Repubblica il fratello del giudice Paolo, Salvatore. “Depotenziare il concorso esterno – dice ancora – vuol dire colpire i nostri martiri, quelli che il governo di destra dice di voler commemorare”.
“E’ l’ennesimo segnale di un gravissimo attacco all’indipendenza della magistratura e alla ricerca della verità – prosegue – l’annunciata riforma sulle intercettazioni porterà un grave danno anche alla lotta alla mafia. Partendo da un reato minore si possono ad esempio scoprire le mosse dei nuovi mafiosi. La questione è semmai relativa a registrazioni riguardanti terze persone che finiscono sui giornali. Credo che questo reato abbia rappresentato uno strumento fondamentale per ottenere condanne importanti, poi passate in giudicato. Voglio ricordare i processi che hanno portato alle condanne degli ex senatori Marcello Dell’Utri e Antonino D’Alì. Il concorso esterno resta fondamentale per colpire i colletti bianchi che colludono con l’organizzazione mafiosa”.
Alle manifestazioni per il 31° anniversario dell’eccidio di via D’Amelio “spero che non venga nessun politico impresentabile, come il sindaco Lagalla, che presiede una giunta sostenuta da Cuffaro e Dell’Utri. Se accadrà, manifesteremo il nostro dissenso come sempre abbiamo fatto, in modo pacifico, dandogli le spalle e alzando le agende rosse”.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
LA SORELLA DEL GIUDICE UCCISO A CAPACI PARLA ALLA VIGILIA DELL’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI PAOLO BORSELLINO
“Uno schiaffo alla memoria e al lavoro di Giovanni. Mi auguro che il Guardasigilli ci ripensi e si fermi”, dice la sorella del giudice ucciso dalla mafia in un’intervista a Repubblica.
“La considero un’offesa gravissima perché ricordo bene il grande lavoro di Giovanni per arrivare a questo primo passo importantissimo per poter indagare sui fatti di mafia. Nordio forse non conosce, o forse non ricorda le tante sentenze della Cassazione che hanno consolidato il reato rendendolo uno strumento fondamentale per tutti coloro che indagano sulla mafia – spiega -. Mi auguro che il Guardasigilli ci ripensi e si fermi. Modificare adesso il concorso esterno significa terremotare i processi. E sarebbe un segnale negativo rispetto ai risultati raggiunti con tanti sacrifici in questi anni”
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
PERCHÉ, A LUGLIO 2022, DIMITRI KUNZ SI LANCIA NELL’ACQUISTO DI UN IMMOBILE COSI’ COSTOSO QUANDO GIA’ AVEVA I CREDITORI DI “VISIBILIA” ALLE CALCAGNA E L’AZIENDA (DI CUI ERA PRESIDENTE) RISCHIAVA IL CRAC? … A DISTANZA DI DUE MESI È SBUCATO UN IMPRENDITORE AMICO DISPOSTO A PAGARE UN MILIONE IN PIÙ PER LA VILLA
Coi russi in fuga per via delle sanzioni, tra ville abbandonate e yacht
sotto sequestro, a Forte dei Marmi c’era chi temeva un crollo del mercato immobiliare. Macché, il mattone tira ancora, e alla grande. Lo dicono le statistiche che raccontano di un netto aumento delle compravendite negli ultimi 12 mesi. Ma per chi avesse ancora dei dubbi è arrivata la notizia, svelata da Domani, dell’incredibile affare realizzato da Dimitri Kunz, fidanzato di Daniela Santanchè, e Laura De Cicco, moglie del presidente del Senato, Ignazio La Russa.
Come abbiamo scritto ieri, i due soci hanno comprato una villa per 2,45 milioni di euro per poi rivenderla subito dopo a 3,45 milioni. Un milione di plusvalenza, a cui vanno detratti circa 250 mila euro di imposte, guadagnati con un’operazione lampo che più lampo non si può.
La notizia del sorprendente affare è arrivata mentre Santanchè è costretta difendersi dalle accuse di malagestione delle sue aziende affiancata anche in più di un’occasione proprio dal suo vecchio amico La Russa, che di mestiere fa l’avvocato tra le due famiglie c’è una vecchia consuetudine di rapporti, ma le rivelazioni sulla plusvalenza gettano una luce diversa sull’amicizia dei due colleghi di partito, uniti anche dagli affari
Ebbene, stando ai documenti ufficiali l’acquisto e la rivendita sono avvenuti a 58 minuti di distanza uno dall’altro, tra le 9.20 e le 10.18 del 12 gennaio scorso. «Il mercato a Forte va così», si è giustificato, interpellato da Domani, l’imprenditore Antonio Rapisarda.
Rapisarda investe da anni in immobili ed è un habitué della Versilia, ma di fronte a un guadagno del 40 per cento nell’arco di un’ora si fa comunque fatica a credere alla versione minimalista, quella che attribuisce il merito della maxispeculazione alle insondabili forze del libero mercato.
Fatta la doverosa premessa che dalle carte consultate da Domani non emerge nulla che faccia pensare alla minima irregolarità, conviene allineare numeri e date per capire se davvero, come ieri ha ipotizzato Sandro Ruotolo, responsabile informazione del Pd, l’affare milionario svelato da Domani sarebbe una sorta di «recupero credito» avvenuto mentre le aziende del gruppo Visibilia di Daniela Santanchè, amministrate anche da Kunz, affondavano nei debiti.
Bisogna quindi tornare all’estate dell’anno scorso
Risale al 20 di luglio il contratto preliminare tra, da una parte, il compagno della ministra affiancato dalla moglie del presidente del Senato, e dall’altra il sociologo Francesco Alberoni, 93 anni, rappresentato dall’avvocato Elisabetta Nati.
In quell’occasione era stato concordato un prezzo di 2 milioni e 450 mila euro per la villa, una palazzina immersa nel verde del parco della Versiliana di 350 metri quadrati su tre livelli, con ampio giardino e piscina.
Nulla di strano, se non fosse che in quegli stessi giorni Kunz vedeva avvicinarsi a gran velocità la macchina infernale dei debiti e delle perdite di Visibilia editore, di cui era stato nominato presidente e amministratore delegato alla fine del 2021, dopo l’uscita di scena della fidanzata Santanché.
A giugno del 2022, i revisori di bilancio si erano rifiutati di esprimere un giudizio sui conti della società. E a stretto giro di posta era anche arrivata la denuncia di «gravi irregolarità» da parte dei soci guidati da quel Giuseppe Zeno, con residenza alle Bahamas, destinato a trasformarsi nel più accanito accusatore della imprenditrice ministra del Turismo. In altre parole, Kunz e la compagna erano chiamati a far fronte a importanti impegni finanziari per salvare le aziende di famiglia, ma si impegnano comunque in un affare immobiliare dagli esiti incerti. Questo almeno è quello che emerge dai documenti consultati da Domani.
A questo punto però la storia prende una svolta improvvisa. Tempo tre mesi e spunta all’orizzonte Antonio Rapisarda, un imprenditore che, come ha confermato a Domani, conosce da una vita Kunz e ha rapporti anche con i La Russa. A tempo di record viene quindi stipulato un nuovo contratto preliminare, questa volta per vendere la villa al nuovo pretendente. Il prezzo? No problem. Rapisarda è pronto a sborsare un milione in più di quanto promesso (e non ancora versato) dalla coppia Kunz-De Cicco.
Anche la vicenda Visibilia prende velocità. A novembre arriva la richiesta di fallimento da parte della procura di Milano. I debiti, a cominciare da quelli con il Fisco, pregiudicano il futuro della società editrice, è il giudizio dei pm. Per evitare il crac Santanchè sarà quindi costretta a fare cassa in gran fretta, tra l’altro mettendo in garanzia dei pagamenti ai debitori anche la sua casa milanese, valutata sei milioni. Prima ancora, però, è il suo compagno Kunz, mentre è ancora al timone di Visibilia editrice, a fare il pieno di denaro fresco.
Il 12 di gennaio i due contratti, l’acquisto e la successiva vendita, vengono firmati a distanza di un’ora uno dall’altro.
I documenti ufficiali lasciano supporre che la plusvalenza è stata spartita a metà tra il compagno di Santanchè e la signora La Russa. Mezzo milione ciascuno, al lordo delle tasse. Mentre creditori e dipendenti di Visibilia potrebbero dover attendere ancora anni, prima di ricevere il dovuto.
(da Domani)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO CHIEDE ALLE NAVI ONG DI AGIRE IN DEROGA RISPETTO AL DECRETO CUTRO CHE IMPONE “UNA MISSIONE, UN SALVATAGGIO”… ORA NE POSSONO FARE DI PIU’
Se l’azione legislativa sembrava tesa ad altro, cioè rendere meno copiose le operazioni di salvataggio da parte delle navi ong – dopo ogni singolo intervento, recarsi nel porto indicato dalle autorità, anche se la piena capienza a bordo non è stata raggiunta, effettuando l’approdo anche in località molto distanti dalla zona di recupero – i fatti degli ultimi giorni mostrano un’altra realtà.
Durante il governo Meloni, le organizzazioni non governative sono tornate a salvare più migranti. Con il paradosso che Open Arms, la stessa che ha mandato Matteo Salvini a processo, è diventata un’indispensabile alleata della Guardia costiera.
Succede lo scorso 6 luglio: alla ong viene chiesto di effettuare ben sei operazioni di salvataggio, in coordinamento con il Comando generale delle capitanerie di porto di Roma. E non è un caso isolato.
«Una situazione di normalità»
«Una situazione di normalità», la descrive al Foglio Veronica Alfonsi, portavoce dell’ong spagnola. Una normalità che, pensando al decreto Cutro e all’annunciata «caccia ai trafficanti su tutto il globo terracqueo», crea dei cortocircuiti logici con la sbandierata politica dei porti chiusi e la tolleranza zero verso le ong. «I taxi del mare», venivano definite da membri di questo governo. Con buona pace dell’assioma post Cutro, «una missione, un salvataggio», il 6 luglio scorso la nave di Open Arms ha recuperato prima 110 migranti nella zona sar maltese, poi altri 14 alla deriva dopo essere salpati dalla Tunisia. Operazioni coordinate e autorizzate da Roma.
La richiesta
Nonostante il numero di persone a bordo superasse il centinaio, è arrivata un’altra richiesta dalle autorità italiane: «Ci hanno chiamato e ci hanno dato le coordinate dove erano state localizzate altre sei barche sovraccariche di migranti. Una volta arrivati sul posto, abbiamo chiesto all’Italia come muoverci e ci hanno detto di soccorrere quante più persone possibile, senza superare il limite massimo della nostra capacità di bordo, pari a 300», spiega la portavoce. In totale, altri 175 naufraghi salvati tra cui 90 minori.
«Roma ci ha anche chiesto di restare a presidiare le altre persone in difficoltà, in attesa dell’arrivo delle motovedette della Guardia costiera. Cosa che abbiamo fatto in attesa che ci assegnassero il porto di Brindisi per lo sbarco».
La pressione migratoria
Sarebbe la stessa pressione migratoria, con particolare rilievo il flusso che si muove dalla Tunisia, a rendere inapplicabile parte del decreto Cutro. Tra l’altro, a poca distanza dai salvataggi multipli di Open Arms, altre 700 persone sono state recuperate grazie a più operazioni in serie compiute da altre ong: quattro soccorsi di fila per la Geo Barents, cinque per Humanity, in piena deroga rispetto alle disposizioni dello stesso governo. Alfonsi, sempre nel colloquio con il Foglio, definisce «paradossale il fatto che Salvini sia in un governo che ci chiede aiuto per fare salvataggi.
Il processo a Salvini
Ma in fondo lo è l’intera storia dei salvataggi in mare degli ultimi sette anni». Il leader della Lega è a processo nell’aula bunker dell’Ucciardone, a Palermo, per il reato di omissione di atti d’ufficio e sequestro di persona: Open Arms è parte lesa nell’inchiesta che lo vede accusato di aver negato lo sbarco a Lampedusa di 149 migranti, quando era a capo del Viminale. Quei migranti erano a bordo di Open Arms, la ong alla quale oggi la Guardia costiera chiede di salvare quanti più migranti possibile. Qual è il ministero da cui dipende il Corpo delle capitanerie di porto? Quello delle Infrastrutture, guidato proprio da Salvini.
(da agenzie)
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