Dicembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
PD STABILE, SALE IL M5S
Ecco la Supermedia ‘natalizia’. In un quadro sostanzialmente stabile il nuovo sondaggio Agi/Youtrend presenta due tendenze di segno opposto: una sul M5S, che sembra confermare una traiettoria crescente, e l’altra sulla Lega che scende sotto la soglia del 9%, dato più basso dalla scomparsa di Silvio Berlusconi, evento che coincise con un picco negativo poi recuperato.
Il partito di Giorgia Meloni reduce dai quattro giorni di Atreju della scorsa settimana non si muove più di tanto. Anzi, registra un -0,1% e si attesta al 28,6% inseguito sempre dal Pd al 19,2%, rimasto stabile questa settimana.
Va meglio il M5S che è cresciuto di quasi un punto (+0,9%) e ora è al 16,5%, nella settimana dell’attacco di Meloni sul Mes a Giusepppe Conte che ha richiesto il giurì d’onore. Male invece la Lega che perde lo 0,6% e si attesta sotto il 9%, precisamente all’8,7. Praticamente invariato il dato di Forza Italia al 7,4% (-0,1). Lievi variazioni negli altri partiti: Azione è al 3,9% (+0,1); Verdi/Sinistra al 3,6% (+0,2); Italia viva al 3,1% (stabile); +Europa al 2,5% (-0,1); Italexit al 1,8% (stabile); Unione Popolare all’1,3% (-0,2); e Noi Moderati all’1,1 (-0,2).
Questa invece la Supermedia coalizioni: Centrodestra 45,8 (-0,9); Centrosinistra 25,3 (+0,1); M5s 16,5 (+0,9); Terzo Polo 7,0 (+0,1); Italexit 1,8 (=); Altri 3,6 (-0,2).
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
I SOVRANISTI NON RAPPRESENTANO LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI, E’ SOLO GRAZIE ALL’IMBECILLITA’ DELLE OPPOSIZIONI CHE NON FANNO COALIZIONE CHE SI PERMETTE LORO DI GOVERNARE
Se gli italiani dovessero tornare oggi a votare il risultato non sarebbe così diverso da quello dello scorso 25 settembre 2022: Fratelli d’Italia risulterebbe comunque primo partito nel Paese, a circa dieci punti di distanza dalla seconda forza politica, cioè il Partito democratico. È il quadro che emerge da un sondaggio di BiDiMedia sulle intenzioni di voto.
Fratelli d’Italia, partito guidato da Giorgia Meloni, risulta al 28,5%, mentre i dem del Partito democratico si fermano al 19,7%. A qualche punto di distanza troviamo il Movimento Cinque Stelle con il 15,3%. Tutti gli altri schieramenti si fermano sotto la doppia cifra: c’è la Lega all’8,7%, subito seguito da Forza Italia al 6,8%.
Dopo gli azzurri troviamo invece Azione al 4,4% e l’Alleanza di Verdi e Sinistra al 3,3%. Tutte le altre forze politiche si trovano invece al di sotto della soglia di sbarramento al 3% e pertanto non riuscirebbero a entrare in Parlamento. Non ce la farebbe per un filo Italia Viva, che si ferma al 2,9%. Stesso discorso per +Europa, che arriva solo al 2,7%.
MELONI SFIDUCIATA DAL 59% DEGLI ITALIANI
Il sondaggio indaga anche la fiducia nella presidente del Consiglio. Il 16% degli intervistati afferma di averne molta, il 22% di averne abbastanza, il 15% poca e il 44% nessuna.
Per quanto riguarda invece i ministri del suo governo, quelli che raccolgono più consensi sono Giancarlo Giorgetti (Economia), Guido Crosetto (Difesa) e Antonio Tajani (Esteri). Al contrario, quelli verso cui c’è meno fiducia sono Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente), Francesco Lollobrigida (Agricoltura) e – in ultima posizione – Daniela Santanché (Turismo).
(da Fanpage)
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Dicembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“TI PERSEGUIRO’ NEL SONNO, VEDRAI LA FOTO DI MIO FRATELLO”
Yonatan Shamriz, il cui fratello Alon era tra i tre prigionieri israeliani uccisi dai militari a Gaza, dice di aver minacciato con rabbia il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant durante una telefonata.
“Gli ho detto che gli avrei dato la caccia finché non fosse stato sepolto sotto terra – lui e tutti quelli seduti lì”, ha detto al Canale 12 israeliano, secondo le citazioni pubblicate dal Times of Israel. “[Gli ho detto] che sono responsabili di quello che è successo.”
“Gli ho detto che non avrei riposato e che lo avrei perseguitato nel sonno, che quando si addormenterà, vedrà una foto di mio fratello”, ha aggiunto Shamriz.
Spiegando la sua rabbia, Shamriz ha detto che la sua famiglia era stata distrutta dalla morte di Alon.
“C’erano così tante cose che avevamo programmato di fare insieme che non saremo più in grado di fare, e ho un fratello eroico che ora sta… riposando.”
(da Globalist)
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Dicembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LA CNN: “NON SI VEDEVA DAI TEMPI DEL VIETNAM”… TRE INCHIESTE USA: “ISRAELE HA DELIBERATAMENTE COLPITO ABITAZIONI CIVILI”
Si tratta di ordigni quattro volte più pesanti di quelle che gli Usa hanno sganciato sull’Isis a Mosul, in Iraq: l’inchiesta dell’emittente americana sul primo mese di conflitto
Sono centinaia le bombe da 907 kg sganciate da Israele nel primo mese della sua offensiva a Gaza, dopo l’operazione di Hamas del 7 ottobre scorso. Molti di questi ordigni sono in grado di uccidere o ferire persone a più di 300 metri di distanza, rivela l’analisi della Cnn e della società di intelligence artificiale Synthetaic.
I circa 500 crateri da impatto, visionati dalle immagini satellitari, sono larghi 12 metri di diametro. Dimensioni coerenti con le esplosioni, sottolineano gli esperti, che questo tipo di arma produrrebbe. Si tratta di bombe quattro volte più pensati di quelle più grandi che gli Stati Uniti hanno sganciato sull’Isis a Mosul, in Iraq.
Il prezzo in termini di vite civili è però sproporzionato, soprattutto in un’area dove la popolazione stimata è di 1,8 milioni di persone e la densità abitativa della Striscia è pari a circa 5mila abitanti per chilometro quadrato. «Ci vorranno decenni prima che le comunità si riprendano», ha sottolineato John Chappell, difensore e membro legale di Civic, un gruppo con sede a Washington concentrato sulla minimizzazione dei danni alle popolazioni durante i conflitti.
ex analista dell’intelligence della difesa statunitense ed ex investigatore, specializzato in crimini di guerra, delle Nazioni Unite ha specificato come l’intensità del primo mese di bombardamenti di Israele a Gaza «non si vedeva dai tempi del Vietnam» e nemmeno «in entrambe le guerre in Iraq». Eppure, per gli esperti anche gli Stati Uniti «sono complici»: la maggior parte delle armi viene infatti fabbricata nel Paese a stelle e strisce. Non è tuttavia raro che Israele ricorra a questo tipo di bombe. Da un’inchiesta del New York Times di inizio novembre era emerso come Israele avesse sganciato due bombe di simile entità sul campo profughi di Jabalia, il più popoloso della Striscia di Gaza. In quell’occasione l’Alto commissario delle Nazioni Unite aveva condannato «gli attacchi sproporzionati» e avanzato l’ipotesi di accusa contro Israele per «crimini di guerra».
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI SPENDONO 24,4 MILIARDI NEL PERIODO DELLE FESTE, TRA REGALI, CIBO E ALTRI ACQUISTI
Più di 52 miliardi di euro di impatto totale, oltre 24 miliardi di euro di spesa. I numeri del Natale, in Italia, sono questi. Uno studio di OpenEconomics, sviluppato a partire dai dati di Confartigianato, analizza l’economia di quest’anno per ciò che riguarda il periodo di festa. A dicembre il valore delle vendite al dettaglio è superiore del 28,3% rispetto alla media annuale – rispettivamente più 20,4% nel caso dei prodotti alimentari e più 34,8% nel caso di quelli non alimentari – mentre per il 2023 il totale della spesa previsto ammonta a poco più di 24,4 miliardi di euro di cui 15,9 miliardi di euro per prodotti alimentari. Cibo a parte, i restanti 9 miliardi vanno in abbigliamento, calzature, mobili e arredi, tappeti, tessili, cristalleria, stoviglie, utensili, giochi, giocattoli, articoli sportivi, libri, gioielli e orologi. Insomma, i regali.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, invece, le province con spesa prevista maggiore sono Roma (1,8 miliardi), Milano (1,5 miliardi) e Napoli e Torino (1 miliardo). In coda ci sono quelle meno popolose o in territori con redditi più bassi: Isernia (32 milioni), Vibo Valentia (57 milioni), Aosta (58 milioni) e Crotone (62 milioni).
L’impatto che la spesa genera sull’economia italiana supera i 52 miliardi di euro in termini di Pil, pari a circa il 3% del prodotto interno lordo italiano. Le Regioni in cui l’impatto è maggiore sono la Lombardia (11,7 miliardi), il Lazio (5,9 miliardi) e il Veneto e l’Emilia-Romagna (4,8 miliardi). A livello provinciale, invece, Milano super Roma per impatto, seguono sempre Napoli e Torino.
Infine, per ciò che riguarda l’occupazione, l’effetto si traduce in 608mila unità di lavoro equivalenti a tempo pieno annuali, mentre complessivamente il contributo ai redditi delle famiglie italiane è pari a 49,5 miliardi di euro. La spesa gonfia anche le casse dello Stato, grazie al gettito: il valore complessivo è di 15,6 miliardi di euro.
(da Fanpage)
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Dicembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“LE PROPOSTE DI MELONI RICORDANO IN MODO INQUIETANTE LA LEGGE ACERBO DI MUSSOLINI”…“UNA CONCENTRAZIONE DI POTERE SENZA PRECEDENTI CHE VIOLA IL PRINCIPIO DI DEMOCRAZIA SANCITO DAL TRATTATO DELL’UE, ED È IL SEGNO DISTINTIVO DEI SISTEMI AUTORITARI. ACCETTARE UN SISTEMA DEL GENERE CREEREBBE UN TERRIBILE PRECEDENTE IN EUROPA”
Le prospettive sono terribili: Il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha avanzato proposte di riforma costituzionale che ricordano in modo inquietante un’altra modifica costituzionale apportata un secolo fa da Benito Mussolini.
Adottata nel novembre del 1923, la famigerata Legge Acerbo di Mussolini stabilì che il partito che avesse ottenuto la maggior parte dei voti – anche se solo il 25% – avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi in Parlamento. E dopo che il suo partito vinse le elezioni successive – anche se l’intimidazione e la violenza si rivelarono più importanti della manomissione della legge elettorale – la strada verso la dittatura era spianata
L’attuale proposta della Meloni fa ora eco alla Legge Acerbo: il leader italiano vuole infatti assegnare automaticamente al partito con la percentuale di voti più alta una quota del 55% dei seggi in Parlamento. In altre parole, quando un partito otterrà più voti di tutti gli altri – anche se fosse, ad esempio, il 20% del voto nazionale – sarà premiato con il controllo assoluto del Parlamento.
Se questo suona strano, è perché è così. Per esempio, se la Polonia avesse usato questo sistema elettorale nelle sue ultime elezioni, il partito uscente Diritto e Giustizia controllerebbe ancora il Parlamento polacco, nonostante abbia ricevuto solo il 35% dei voti nazionali contro il 52% dell’opposizione.
Per quanto strano, il calcolo della Meloni non è difficile da capire. Il suo partito, Fratelli d’Italia, può avere un comodo vantaggio nei sondaggi, ma è lontano da una maggioranza schiacciante.
In sostanza, questa proposta tratterebbe l’intera Italia come una singola circoscrizione elettorale, in una specie di maggioritario a turno unico in cui il partito di maggioranza relativa, per quanto piccola, rivendica il controllo sicuro del Parlamento. Si tratterebbe di una forma estrema di “chi vince piglia tutto”, con una massiccia sproporzione incorporata.
E non è tutto. La proposta prevede anche che ogni partito designi un candidato a primo ministro prima delle elezioni, e il candidato del partito vincente diventerebbe automaticamente premier – considerato eletto direttamente dal popolo.
La proposta di Meloni combina le idee di un sistema di governo presidenziale e parlamentare in modo da consentire una massiccia concentrazione di potere. In un sistema presidenziale, il presidente è forte perché viene eletto direttamente e rappresenta un forte contrappeso al ramo legislativo del governo.
In un sistema parlamentare, i rami esecutivo e legislativo sono meno separati. Il capo dell’esecutivo (il primo ministro o il cancelliere) rappresenta la maggioranza del potere legislativo. Tuttavia, anche loro dipendono da questa maggioranza, fornendo un certo equilibrio tra questi due rami del potere.
Il piano della Meloni combinerebbe quindi la legittimità e il potere delle elezioni presidenziali dirette (“Il popolo ha votato per me!”) con la debole divisione dei poteri di un sistema parlamentare. La vedrebbe comandare l’esecutivo come primo ministro eletto direttamente, nonché il parlamento attraverso la sua rappresentanza del 55%.
È inoltre molto preoccupante che la Meloni e il suo partito abbiano cercato di farlo di nascosto. Il comunicato stampa del governo che annunciava il piano lo definiva un approccio “minimalista”: è tutt’altro.
Quando si tratta di modifiche costituzionali, la qualità non ha alcun rapporto con la quantità. E sebbene la riforma modifichi solo due articoli della Costituzione, altera completamente i rapporti di forza della Repubblica italiana.
Quindi, come giustifica la Meloni questo piano? Il suo argomento principale è che l’Italia ha bisogno di governi più stabili – una preoccupazione legittima. Negli ultimi tre decenni, i governi italiani sono durati in media solo due anni
A dire il vero, l’idea di un bonus di seggi per il partito vincente fa parte delle discussioni costituzionali in Italia da molto tempo, non è solo un’idea di Mussolini. Tali bonus hanno attualmente un ruolo nelle elezioni locali e regionali. Tuttavia, anche se questo interesse per la stabilità del governo è legittimo, il piano della Meloni è di buttare via il bambino con l’acqua sporca.
I commentatori italiani hanno fatto molte proposte valide su come aggiustare il sistema per rendere i governi più stabili – la cementificazione di una maggioranza creata artificialmente e guidata da un primo ministro eletto direttamente non è una di queste. Anche la comunità giuridica italiana è molto critica nei confronti del piano.
Non deve sorprendere che non esista un esempio analogo di questo sistema. Pochissimi Paesi hanno bonus di maggioranza – quelli che ce l’hanno, hanno premi molto più piccoli – e nessun Paese ha un primo ministro eletto direttamente.
Nel frattempo, per l’Unione Europea, la proposta non potrebbe essere meno gradita. Finora, il centrodestra europeo ha accolto la Meloni, che non è contraria all’UE e rimane favorevole alla difesa dell’Ucraina contro la guerra della Russia. Ma sarebbe un errore distogliere lo sguardo.
Il blocco sta pagando un prezzo molto alto per aver ignorato gli sviluppi in Ungheria all’inizio del 2010, quando il partito di governo Fidesz ha revisionato la costituzione del Paese senza nemmeno chiedere agli ungheresi – non è stato indetto alcun referendum.
Il partito ha poi apportato molte modifiche legali per consolidare il proprio potere, compresi gli accordi elettorali per garantire a Fidesz una maggioranza di due terzi in parlamento.
L’UE non dovrebbe ripetere quel compiacimento. Una concentrazione di potere senza precedenti nel governo viola il principio di democrazia sancito dal Trattato dell’UE (articolo 2, articolo 10) ed è il segno distintivo dei sistemi autoritari.
Accettare un sistema del genere in qualsiasi Paese membro creerebbe un terribile precedente, mettendo ulteriormente in ridicolo l’idea di una comunità di democrazie.
L’Europa ha istituzioni che si occupano di questioni costituzionali – in particolare la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa – e dovrebbe rivedere questa proposta di modifica costituzionale. Anche il governo italiano potrebbe chiedere ufficialmente tale revisione. Se questa modifica venisse approvata senza revisione, un altro conflitto indesiderato all’interno dell’UE potrebbe essere inevitabile.
Michael Meyer-Resende e Nino Tsereteli
(da Politico. eu)
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Dicembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LA DUCETTA È STATA MESSA SPALLE AL MURO DA SALVINI E HA AVUTO PAURA DEGLI EFFETTI SULLA CAMPAGNA ELETTORALE PER LE EUROPEE
Dopo la sorpresa del Patto di Stabilità, non poteva essercene un’altra sul Mes, il meccanismo salva banche che l’Italia era rimasta la sola in Europa a non aver ratificato. Così ieri mattina alla Camera, prima in commissione, poi in aula, il Mes è stato affossato, com’era nell’aria da tempo, per la gioia di Salvini, che non vedeva l’ora di dimostrare che lui e la Lega non si piegano ai diktat dell’Unione, per la conseguente sottomissione di Meloni, che ha cercato fino all’ultimo la strada di un compromesso senza trovarla, e per la prima seria spaccatura della maggioranza di destra centro, dato che Forza Italia, insieme a Noi moderati, s’è astenuta.
In un certo senso Meloni s’è trovata con le spalle al muro: se avesse approvato la ratifica, in forza del suo ruolo da premier e delle sue frequentazioni con i vertici europei, […] si sarebbe trovata lo stesso con la maggioranza spaccata e in più a votare con il Pd. Inaccettabile per Fratelli d’Italia. E poi sarebbe stato un regalo a Salvini che con la campagna elettorale già cominciata per le europee di giugno non si poteva permettere.
Su Meloni ha pesato soprattutto l’incubo di Salvini. Questa del rapporto con il Capitano leghista, per metà suo alleato, per metà suo avversario, resta la questione aperta sul cammino della premier.
Nel senso che se per andargli dietro finisse per rimangiarsi tutti gli sforzi che ha fatto per costruirsi una credibilità in Europa, alla fine della campagna, e anche in presenza di un buon risultato elettorale che tanto per lei è scontato, il bilancio per Meloni sarebbe negativo.
Solo qualche settimana fa, al Capitano leghista che si presentava a braccetto con Marine Le Pen, la premier, grazie all’amicizia sviluppata in questi mesi, poteva opporre Ursula Von der Leyen, che aveva accettato di fare insieme a lei una visita-lampo a Lampedusa. Oggi forse la presidente della Commissione non sarebbe così convinta di accettare lo stesso invito. Infine, resta da vedere, oggi, quali saranno le reazioni sugli spread dei mercati internazionali: su quelle non si scherza.
(da La Stampa)
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Dicembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
VISTO CHE L’ITALIA HA DOVUTO INGOIARE UN PATTO DI STABILITA’ DECISO DA FRANCIA E GERMANIA, CON GIORGETTI A FARE DA SPETTATORE NON PAGANTE, LA RITORSIONE DEL GOVERNO E’ ARRIVATA CON LA BOCCIATURA DEL MES… MA A SPINGERE FRATELLI D’ITALIA AL NO E’ STATA ANCHE LA RIGIDITA’ DELLA LEGA: I MELONIANI NON VOLEVANO LASCIARE A SALVINI UN ARGOMENTO DA USARE IN CAMPAGNA ELETTORALE PER LE EUROPEE…IL NERVOSISMO DI TAJANI CHE SPERAVA IN UN RINVIO
Tutto è già chiaro il 14 dicembre, quando Giorgia Meloni a Bruxelles si presenta di fronte ai giornalisti al termine del Consiglio europeo. È lì che sostiene che il link tra i negoziati sul Patto di Stabilità e il via libera alla riforma del Mes non esisterebbe . Un’affermazione sorprendente che si spiega alla luce della clamorosa bocciatura del Mes avvenuta ieri in Parlamento. Per mesi Meloni ha difeso in prima persona la cosiddetta “logica di pacchetto”. Era stata lei più volte a dichiarare di considerare il Mes un’arma negoziale intrecciata alla partita in corso sulle nuove regole fiscali europee.
Meno di dieci giorni fa, Meloni aveva già chiaro che le chance di far passare la riforma del fondo salva-Stati senza spaccare la maggioranza erano nulle. La Lega non lo avrebbe mai votato. Non solo: il 14 dicembre Meloni aveva anche intuito che l’esito delle trattative sul Patto non sarebbe stato così favorevole all’Italia. Sente Salvini, e si consulta con Giorgetti sul Patto. Tutti sperano in un rinvio al nuovo anno. Addirittura Giorgetti dal palco di Atreju, la festa di FdI, assicura che non avrebbe mai dato l’ok a un accordo durante un Ecofin – la riunione dei ministri finanziari – in streaming. E invece. L’intesa si trova. A Parigi. Tra Francia e Germania. L’Italia è tagliata fuori. È la sera di martedì.
Meloni viene presa di sorpresa, contesta il metodo dell’asse franco-tedesco. Non vuole apparire debole. Non dopo mesi passati a cercare di accreditarsi come una leader forte Ma non mette il veto: non può fare altro che firmare. La mattina dopo richiama Salvini.
È questa la vera giornata decisiva. Il 20 dicembre. Meloni deve fare i conti con lo smacco europeo. Il governo ha perso su più fronti, ha prevalso il rigore tedesco. Lo ammetterà lei stessa l’indomani, con una nota di Palazzo Chigi, in cui si dice «rammaricata». Al telefono con Salvini commentano questo epilogo e decidono come muoversi di conseguenza.
Meloni sonda il leghista sul Mes. Lui risponde: «Così non possiamo votarlo». La premier capisce che non c’è altro da fare. In cuor suo ha già maturato la decisione, nonostante dal partito continuino a cercare una strada alternativa Chi in quelle ore interroga Giorgetti dal Senato si sente rispondere: «Il Mes va votato entro dicembre sennò l’Europa s’incazza».
Sono settimane che Fratelli d’Italia dichiara il proprio orientamento, quasi per inerzia, e addossa le responsabilità del no alla Lega. Sembra in linea con il nuovo volto europeista di Meloni. L’eurodeputato Nicola Procaccini ne parla apertamente in un’intervista.
Il sottosegretario Giovambattista Fazzolari propone di votarlo con la clausola di vincolare la richiesta di accesso al fondo del Mes solo con maggioranza parlamentare qualificata. Gli uomini di Salvini si mostrano molto più tranquilli. Maliziosamente sostengono di attendere il segnale di Meloni.
Meloni capisce come può finire. Mai influenza fu più provvidenziale: annulla la conferenza di fine anno con i giornalisti, prevista per ieri, che l’avrebbe costretta a mettere la faccia il giorno stesso del voto, e si consulta con Fazzolari: «Questi – riferito ai leghisti – ci vogliono lasciare con il cerino in mano». Il braccio destro le suggerisce di non rinviare più: «Ci logoreranno durante i mesi della campagna elettorale».
La linea ufficiale arriverà al termine del voto senza una dichiarazione della premier: «Ci siamo rimessi al Parlamento. La modifica del Mes era di relativo interesse per l’Italia perché prevedeva l’estensione delle salvaguardie a banche in difficoltà e il sistema bancario italiano è solido. Questa è l’occasione per avviare in Europa una riflessione su nuove modifiche al trattato» È la rivendicazione di una scelta nazionalista ben sapendo, però, che resta in piedi l’opzione di ripresentare alla Camera un nuovo testo di ratifica dopo sei mesi.
Così facendo Meloni e Salvini potranno scavallare il voto delle Europee. La premier ha scelto di tornare capo partito e di riprendere in mano lo spirito del sovranismo, per non lasciarlo solo all’alleato leghista. Tanto più se sul Patto l’Italia è rimasta delusa. In questo senso la logica di pacchetto, paradossalmente, regge. Ma al contrario.
Quando glielo chiederanno i suoi collaboratori, dopo il voto, Meloni spiegherà che la decisione «è stata presa insieme a Salvini» Quel che è certo è che nella notte tra mercoledì e giovedì tutti gli scenari sembravano aperti. Tanto che Forza Italia, conferma il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli, ha creduto davvero al rinvio, confidando nella promessa di Meloni di non voler spaccare la maggioranza. E invece ieri mattina, prestissimo, la premier dà ordine di votare contro. Sente Antonio Tajani e gli comunica la decisione. Il ministro degli Esteri prova a protestare, le chiede un supplemento di riflessione. Ma è ormai del tutto inutile.
(da La Stampa)
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Dicembre 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“CHI PUO’ E’ GIA’ FUGGITO DAL SETTORE”
Passeggiando per le vie dello shopping delle maggiori città italiane i cartelli di ricerca personale affissi sulle vetrine dei negozi si sprecano. Uno dopo l’altro, sembra che nessuno voglia più lavorare nel settore e le associazioni di categoria da tempo lamentano difficoltà nel reperimento di personale in tutto il Paese. Identica situazione per i supermercati, nonché per il sempreverde settore del turismo che da anni ormai denuncia un giorno sì e uno no sui giornali di non riuscire più a trovare giovani disposti a lavorare. Ma quali sono le ragioni di questo fuggi fuggi generale?
“Sono scappata dopo anni di lavoro in negozio perché non avevo più una vita. Non esistono domeniche, non esistono feste, non esiste programmazione di riposi perché tutto può cambiare ed essere annullato con preavvisi minimi. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è quando ci hanno comunicato che avremmo aperto anche il Primo gennaio. In quel momento ho deciso di dire basta e cercare altro”, racconta Giovanna a ilfattoquotidiano.it. “Ora lavoro come segretaria in un ufficio di spedizioni, fortunatamente parlo due lingue e questo mi ha permesso di rivendermi in un altro campo. Lo stipendio non è alto, ma lavoro 8 ore al giorno per 5 giorni a settimana. Impagabile a livello di vita privata”.
Oltre 5 milioni di lavoratori del terziario da anni sono in attesa dei rinnovi dei contratti nazionali di categoria e di miglioramenti rispetto alle condizioni professionali nel settore, dal turismo al commercio, e per questo motivo i sindacati confederali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno indetto uno sciopero unitario per il 22 dicembre per chiedere aumenti salariali adeguati, nonché protestare contro la riduzione dei permessi retribuiti e degli scatti di anzianità proposta dalle controparti datoriali, il ricalcolo dell’importo della tredicesima (turismo) e al metodo di ricalcolo della quattordicesima (commercio), l’aumento della flessibilità e dell’utilizzo dei contratti a tempo determinato.
Le richieste dei lavoratori e rappresentanti sindacali sono disattese da tempo e, anzi, le condizioni negli anni sono addirittura andate via via peggiorando, complici da un lato l’altissima incidenza di irregolarità nelle piccole realtà del settore terziario, come testimoniato dall’ultimo rapporto annuale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, e il ricorso a forme di flessibilità, contratti precari e ricorso a stagisti a rotazione nelle grandi aziende. Il quadro è estremamente nefasto in tutta Italia e, anche complice la pandemia, sono decine di migliaia i lavoratori che hanno deciso di abbandonare posti in negozi, ristoranti, alberghi, bar e supermercati nel corso degli ultimi anni, preferendo settori che garantiscono contratti più solidi e una maggiore tutela di diritti ed equilibrio tra vita privata e lavorativa. Oppure direttamente l’estero.
Da un lato, dunque, il problema dei salari bassi e ormai inadeguati al costo della vita e all’inflazione, dall’altro la piaga dell’irregolarità che sembra attanagliare in particolar modo il settore del turismo e del commercio in tutto il Paese, che rimane pur sempre fondato sulle piccole attività e non sulle grandi catene: secondo l’INL, infatti, l’incidenza sfiora il 70% a livello nazionale, soprattutto in relazione ad attività gestite da micro o piccoli imprenditori e in particolar modo al Sud. Insomma, quasi 3 imprese del settore su 4 stando ai controlli propongono forme di lavoro irregolari, non rispettando le norme in materia di rispetto degli orari di lavoro, adeguati livelli contrattuali rispetto alle mansioni svolte, contratti in grigio che mettono in regola i lavoratori solo per una piccola parte del monte orario effettivamente lavorato.
“Ora sono in Australia e sono ben felice della scelta che ho fatto”, si sfoga Giacomo, 28 anni, che ora vive a Melbourne. “In 8 anni da cameriere in ristoranti di fascia media e alta non ho mai, e dico mai, avuto un contratto davvero regolare. Orari estenuanti, anche fino a 13/14 ore al giorno su doppio turno, per una busta paga regolare che non ha mai superato le 30 ore settimanali. Sì, spesso ho preso un adeguamento fuori busta, ma che comunque non era mai adeguato alla mole di lavoro. Cosa sono 1500 euro al mese per non avere una vita? E i mancati contributi? Poi dicono che prenderemo pensioni basse, sempre se le prenderemo. E grazie, non mi sorprende affatto vista la situazione”.
Per chi all’estero non può andare, la situazione appare estremamente grama, invece. Soprattutto se fa parte di una delle categorie di lavoratori più vessata: quella delle madri lavoratrici. Gaia ha 35 anni, è sposata e mamma di due figli, ma la sua famiglia non riesce a godersela praticamente mai. “Quando racconti di lavorare in un negozio la gente quasi ti invidia, ma solo quelli che in un negozio non hanno mai messo piede se non come clienti. Lavorare in un punto vendita di una grande catena significa avere molto spesso contratti part-time, ovviamente a tempo determinato finché possono fartelo, e poi fare straordinari di continuo, dicendo sempre di sì nella speranza che prima o poi quel contratto si trasformi in un indeterminato dalla minima sicurezza. E mica questi straordinari sono sempre retribuiti. Se finisci in un’azienda che propone la banca ore sei spacciato. Ho un marito e due figli, ho perso il conto dei compleanni a cui non ho potuto essere presente, delle domeniche in cui non ho potuto fare una passeggiata al parco, delle Feste dei Lavoratori passate in negozio. Perché lavoro ancora in negozio? Perché non mi posso permettere di perdere il lavoro, ho delle spese da pagare e due figli piccoli. Se vado a fare un colloquio mi guardano male appena capiscono che sono madre”.
E quindi, tornando alla domanda iniziale, ascoltando le testimonianze dei lavoratori dei settori coinvolti dallo sciopero raccolte da ilfattoquotidiano.it nel corso di questi mesi, le motivazioni di questa mancanza di giovani e meno giovani disposti a lavorare in commercio e turismo appare essere semplicemente e inequivocabilmente una: le condizioni di lavoro, tra salari bassi, sfruttamento e precariato. Non una novità, purtroppo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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