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LA LINEA SALVINI, “C’ERA IL GOVERNO DRAGHI”. MA NELLE CARTE DEI PM SULLE COMMESSE ANAS SI ARRIVA A TEMPI RECENTI

Dicembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

IN REALTA’ NELLE 77 PAGINE DELL’ORDINANZA DEL GIP SI ARRIVA AD APRILE 2023 E IN UNA INTERCETTAZIONE SI PARLA DI “ACCORDO CON LA LEGA”

Gli incontri, gli accordi, la presunta corruzione che hanno portato agli arresti domiciliari Tommaso Verdini – figlio dell’ex parlamentare Denis, cognato di Matteo Salvini – nascono e vengono coltivati tra il 2021 e la prima parte del 2022.
“C’era ancora il governo Draghi”, fa notare l’entourage di Salvini, per mettere al riparo il ministro di cui è titolare – quello dei Trasporti – da una bagarre. Bagarre che, politicamente, è stata alimentata non solo dalla parentela tra Salvini e Verdini ma anche per le multiple citazioni, all’interno dell’ordinanza con la quale sono stati disposti gli arresti di Verdini e altri indagati, del sottosegretario leghista Federico Freni (non indagato).
Ma leggendo con attenzione le carte dell’inchiesta sulle presunte commesse Anas assegnate a imprenditori amici in cambio di soldi e promozioni, ecco che si vede come i rivoli di quell’accordo si sono riverberati anche di recente. Quando l’attuale governo – estraneo ai fatti penalmente rilevanti, nessun esponente dell’esecutivo è indagato – era già insediato. E anche da un po’.
Lo spiega bene il Gip quando giustifica la necessità di porre agli arresti domiciliari alcuni degli indagati: “Sussiste il concreto pericolo di reiterazione del reato”, si legge nelle 77 pagine dell’ordinanza. Un pericolo, dice il giudice, basato sul fatto che fino ad aprile 2023 l’azienda dei Verdini, la Inver, riceveva ancora da alcune delle aziende coinvolte delle somme di denaro.
Formalmente sotto forma di retribuzione di alcune consulenze. Secondo il pm e il gip, però quelle consulenze non c’erano mai state.
Non solo: agli atti del Gip c’è un incontro tenuto nei primi mesi del 2023 e soprattutto un’informativa di maggio dalla quale emerge che gli indagati si sarebbero detti pronti a continuare con quel modus operandi, ma con un’altra società.
Insomma: stando all’accusa, questa triangolazione che avrebbe portato all’assegnazione degli appalti Anas a imprenditori amici, con l’intermediazione dei Verdini, non si sarebbe interrotta, se non per qualche mese. E sarebbe ripresa quando Salvini – estraneo ai fatti – era diventato ministro delle Infrastrutture e dei trasporti.
Ma se il corno giudiziario della vicenda avrà il suo corso – gli interrogatori ci saranno tra una settimana – il tema ora è tutto politico. Innanzitutto, perché dire che i Verdini collaboravano con i dirigenti Anas per pilotare le commesse significa dire che dei parenti di un ministro operavano in modo illecito con un’azienda che a quel ministro risponde. In secondo luogo, perché gli indagati citano spesso – e con disinvoltura – la Lega e suoi esponenti.
Salvini viene citato poco. A un certo punto un indagato si lamenta di un soggetto che aveva interrotto i rapporti con Verdini e che “guarda caso” aveva fatto un invito a cena “dopo che Salvini si è insediato” al ministero. “Che tempistica ragazzi – commenta il soggetto in questione – è vergognoso. La Lega, invece, viene citata di più: “Gli ha dato una mano quello della Lega, lui ha fatto un accordo con quelli della Lega di futura collaborazione con Matteo e con noi tramite Freni un rapporto di intermediazione…ci ha chiesto una lista di persone interne a quel gruppo da aiutare e noi gli abbiamo messo un pò di persone che ci hanno dato i nostri”, afferma, Fabio Pileri socio di Tommaso Verdini, in un’intercettazione.
Tanti i passaggi in cui si menziona il sottosegretario leghista al Mef, Federico Freni. Che – è il racconto degli indagati – avrebbe partecipato ad alcuni incontri (anche al ministero) e avrebbe parlato spesso al telefono con alcuni di loro.
Nessuno della Lega è indagato, segno che probabilmente il soggetto intercettato stava millantando. M per le opposizioni si apre un tema di opportunità politica. Nella mattinata M5s, Pd e Avs hanno chiesto un’informativa di Salvini. Il Pd ha chiamato in causa anche il governo perché, data la copiosa citazione del Mef, “sono coinvolti anche altri ministeri”.
Salvini, però, come anticipato da HuffPost, non pensa di andare a rispondere in Parlamento. Le richieste delle opposizioni vengono considerate pretestuose. Come quelle, è la versione che prevale nei ragionamenti dell’entourage di Salvini, fatte ai tempi dell’inchiesta sui fondi esteri della Lega. Quella questione – finita poi nel nulla – era però ben diversa dall’inchiesta della procura di Roma. Se non altro per i suoi risvolti politici. E per l’imbarazzo che sta creando al diretto interessato, ma anche a tutto il governo.
(da Huffingtnpost)

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QUALCHE MINUTO DI RECITA, POI VINCE LA MOZIONE TORRONE

Dicembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

SULL’INCHIESTA VERDINI, L’OPPPOSIZIONE POTEVA FORZARE LA RICIESTA DI CHIARIMENTO A STRETTO GIRO, CON MELONI GIA’ IN GRANDE IMBARAZZO DI SUO… INVECE NIENTE, VALIGE PRONTE E BUON ANNO A TUTTI

Ti aspetti, forse per un riflesso condizionato legato al nome dell’eterno Denis Verdini, di trovare l’inferno in Parlamento. Potenza di un cognome, inabissato in due condanne in bancarotta, riapparso poi, con quell’aria da toscanaccio ribaldo sprezzante di ogni pericolo, nel ruolo di “suocero di governo” che, come ai tempi dei fasti berlusconiani, torna al centro dell’irresistibile gioco: dispensa consigli, risolve problemi, facilita affari.
Come in un remake, sempre lui, in versione più canuta e barbuta, che, secondo l’indagine della procura di Roma, nella nuova vita sarebbe impegnato ad attrarre imprenditori interessati a partecipare alle gare Anas: consulenze in cambio di informazioni riservate che agevolano la partecipazione alle gare. Arte, a quanto pare, tramandata da padre in figlio, finito ai domiciliari assieme a cinque imprenditori.
Insomma, c’è tutto per riaprire il grande teatro nella Repubblica che ha sempre ceduto al malcostume di utilizzare le inchieste come una clava, anche nel caso di indagini di cartapesta.
E c’è tutto – elementi e i protagonisti – per discettare di “opportunità politica” (e questo non è malcostume), a prescindere dalla vicenda giudiziaria, con annesso imperituro spartito del familismo italiano che intreccia, nella dimensione del potere, il “suocero” indagato, il “genero” ministro, a sua volta “cognato” dell’arrestato.
A maggior ragione quando trapela che Salvini non ritiene di dover chiarire alcunché perché i fatti contestati risalgono a un paio d’anni fa, che è vero solo a metà . O quantomeno non spiega perché dopo l’insediamento del nuovo governo, gli imprenditori non più disposti ad incontrare Verdini neppure per un caffè di colpo cambiano idea. Consiglio non richiesto a Salvini: se fosse millantato credito il ministro, piuttosto avvezzo alla forca nel caso degli avversari politici, avrebbe tutto l’interesse ad avviare, anche a tutela del sottosegretario Freni il cui nome compare nelle carte, un’inchiesta interna per poi riferire in Parlamento, senza alimentare la sensazione di un imbarazzo e di una sdegnata fuga dal caso.
Però succede che, una volta arrivato in Parlamento, il cronista sul taccuino registra il “non pervenuto dell’opposizione”, e inevitabilmente anche questa rischia di diventare una notizia. La sensazione è che più che di svolta garantista, nel senso di consapevole scelta di non utilizzare i processi come strumento di lotta politica, si tratti di clima vacanziero.
Le valigie sono pronte, i biglietti fatti, se ne riparla dopo Capodanno. Giusto tre interventi di prammatica per chiedere l’informativa di Salvini in Aula, da parte di Deborah Serracchiani, Angelo Bonelli, Federico Cafiero De Raho, con annesso litigio con Enrico Costa di Azione, poi la maggioranza fa spallucce e si passa gli ordini del giorno per arrivare al voto sulla manovra: c’è quello del Pd sostenere i comparti zootecnici, i verdi che, da bravi animalisti, chiedono lo stop dei finanziamenti alle attività circensi, c’è pure il momento di gloria di Soumahoro che sulle barche di pescatori a Lampedusa incassa il sostegno di Forza Italia.
Eppure l’occasione era di quelle ghiotte per anticipare i balli di fine anno e fare un po’ di scena. Con duecento ordini del giorno, in altri tempi, si sarebbe usato il minuto di intervento per ognuno di essi per ribadire, con voce indignata, la richiesta di un chiarimento immediato, minacciando, con aria intransigente, che, di fronte ai fatti emersi, qualunque accordo sui tempi di approvazione della manovra sarebbe stato disatteso fino a che non fosse arrivata la comunicazione che il genero-cognato-ministro sarebbe arrivato in Aula nel giorno X.
Bel problema anche per Giorgia Meloni che, già imbarazzata di suo sul caso, si sarebbe trovata a dover intervenire per evitare un Parlamento imballato al rush finale sulla manovra.
Morale della favola: la “mozione torrone” ha addolcito l’indignazione sull’Anas. E buon anno a tutti.
(da Huffingtonpost)

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I GIORNALI DI ANGELUCCI IMBOSCANO L’INDAGINE SU VERDINI: CASO STRANO IL PADRE ERA STIPENDIATO COME MANAGER DALL’EDITORE

Dicembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

PER I QUOTIDIANI SOVRANISTI NON E’ SUCCESSO QUASI NULLA, NOTIZIA RELEGATA A POCHE RIGHE

L’inchiesta che ha portato Tommaso Verdini ai domiciliari non è sembrata una grande notizia ai tre giornali nazionali editi dalla famiglia di Antonio Angelucci, parlamentare della Lega guidata da Matteo Salvini e incidentalmente grande amico – nonché già stipendiato come manager proprio dagli Angelucci – del padre Denis, “suocero” dello stesso leader del Carroccio.
La vicenda legata agli appalti Anas è stata letteralmente imboscata da Il Giornale, Libero e Il Tempo che fanno capo alla Tosinvest, di cui Denis Verdini (pure lui indagato) è tra l’altro stato manager fino al 2019.
Una questione di “area” politica, si dirà, ma anche una questione di relazioni: Verdini vanta da sempre una profonda sintonia con Antonio Angelucci, che gli prestò anche 10 milioni per ripianare un suo debito col Credito fiorentino.
Un groviglio armonioso arricchito dai rapporti familiari di Salvini con i Verdini: il ministro delle Infrastrutture è fidanzato con Francesca, la sorella di Tommaso. Fatto sta che di fronte all’inchiesta per corruzione che coinvolge Verdini jr. i tre quotidiani sembrano aver deciso una linea soft, molto soft.
Il Giornale – l’ultimo arrivato nella “famiglia” Tosinvest – ha scelto di non aver alcun richiamo della notizia in prima pagina. Un articolo a pagina 9 dà conto dei “nuovi guai” per i Verdini e nel catenaccio esplicita: “Il figlio dell’ex senatore ai domiciliari”. Scelta simile a quella di Libero che, sempre a pagina 9, in un più sobrio colonnino, spiega ai lettori: “Corruzione, indagato Verdini. Domiciliari al figlio”.
Tantissimo in confronto a Il Tempo. Il quotidiano romano piazza al notizia dell’inchiesta nella pancia di pagina 8 e prova ad annacquare la questione in ogni modo. Titolo: “Commesse Anas, cinque ai domiciliari”. Chi sono questi cinque accusati? Se proprio è caduto l’occhio su quel boxone, una volta che si è letto il titolo, bisogna scoprirlo dal catenaccio: “La procura di Roma ipotizza corruzione anche per Verdini junior”. Nella costruzione della pagina, sovrastata dall’Italia a letto con la febbre proprio a Capodanno, è stata privilegiata un’altra indagine certamente più rilevante per portata dei fatti contestati e presunto malaffare: “Ferragni sotto inchiesta pure a Prato”. E a essere precisi, l’imprenditrice digitale non è neanche indagata.
(da Il Fatto Quotidiano)

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DA LUPI A ITALIA DEI VALORI, SCATTA LA CACCIA AL TESORO DEI SOLDI PUBBLICI AI PARTITINI

Dicembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

MOLTI MICRO PARTITI POTRANNO ACCEDERE ALLA RIPARTIZIONE DELLE RIASORSE PUBBLICHE

C’è la carica dei piccoli partiti, pressoché sconosciuti, che riusciranno a raggranellare un po’ di risorse economiche. E c’è l’immancabile presenza di formazioni territoriali, dal Trentino alla Sicilia, in grado di muoversi nella giusta direzione e rafforzare le proprie casse. La corsa al due per mille, l’ultima forma di finanziamento pubblico ai partiti (attraverso la scelta dei contribuenti nella dichiarazione dei redditi), è fondamentale per la sopravvivenza delle forze politiche.
Nell’elenco, compilato dall’apposita commissione e visionato da Domani, sono presenti soggetti più abili con i regolamenti che con la conquista dei voti, come L’Italia c’è o Italia dei Valori. Per accedere al beneficio bisogna possedere dei requisiti minimi, come l’elezione in parlamento o nell’europarlamento di almeno un rappresentante. Ma basta anche l’apparentamento a una lista (depositando in comune il marchio al Viminale) che ha garantito un eletto alle ultime Politiche o alle Europee.
INGRESSI A SORPRESA
Tra le new entry spicca il movimento L’Italia c’è, fondato dall’imprenditore ed ex deputato renziano Gianfranco Librandi, che alle politiche del 2022 si è apparentato con +Europa.
Nella galassia moderata, tendenza centrodestra, è garantito il due per mille a Coraggio Italia, movimento del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e a Noi Moderati dell’ex ministro, Maurizio Lupi, e del presidente della regione Liguria, Giovanni Toti.
Il catalogo prosegue con all’Italia dei Valori, fondata dall’ex pm Antonio Di Pietro, oggi capitanato da Ignazio Messina e diventata parte integrante del contenitore di Lupi e Toti.
Dormono sonni tranquilli, sul lato centrosinistra, il Centro democratico di Bruno Tabacci, eletto alla Camera nelle liste di Impegno civico – il fallimentare progetto lanciato da Luigi Di Maio – e Demos, che conta sul deputato Paolo Ciani.
Ancora più a sinistra nessun problema per Possibile, fondato da Pippo Civati e guidato dall’ex deputata Beatrice Brignone, e per il Partito socialista italiano, che hanno usato al meglio la strategia degli apparentamenti elettorali.
STORIA BOCCIATA
Per tante sigle meno note che trovano spazio, sono esclusi altri partiti con una certa tradizione alle spalle. A cominciare da Rifondazione comunista, che ha addirittura rinunciato a presentare la richiesta.
Il Prc era stato già escluso lo scorso anno. Così ha avviato una battaglia per modificare la legge. «C’è un progressivo restringimento degli spazi democratici», ha denunciato il segretario di Rifondazione comunista, Maurizio Acerbo.
Nulla è cambiato, però. La commissione ha bocciato poi la richiesta della “vecchia” Democrazia cristiana, finita sotto il controllo dell’ex presidente della regione Sicilia, Totò Cuffaro.
Altri due partiti si sono arresi all’assenza dei requisiti, evitando di chiedere il due per mille: è il caso di Alternativa popolare, ex creatura di Angelino Alfano oggi nelle mani del sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, e per l’Italia con Paragone, partito iper personale del giornalista ed ex senatore del Movimento 5 stelle (poi fuoriuscito), Gianluigi Paragone.
Le prossime Europee saranno decisive per tornare in ballo con il due per mille, altrimenti rischiano di restare senza risorse pubbliche per molti anni ancora.
SUCCESSI LOCALI
Alla prossima ripartizione del beneficio, intanto, parteciperà senza dubbio Campobase, movimento trentino, che ha come segretario il sindaco di Folgaria, Michael Rech. Il profilo più noto, almeno sul piano nazionale, è quello di Lorenzo Dellai, storico presidente della provincia di Trento e deputato (eletto con Scelta civica) dal 2013 al 2018: è tra i registi politici dell’operazione. Campobase può garantirsi un gruzzoletto di risorse per il futuro grazie al due per mille.
E se questo movimento rappresenta una novità, viene confermata la presenza tra i beneficiari del finanziamento la Stella Alpina, partito regionale della Valle d’Aosta, guidato da Ronny Borbey, sindaco del comune di Charvensod, e che conta in totale due eletti nel consiglio regionale valdostano.
Dallo stesso territorio provengono gli autonomisti dell’Union valdotaine, che comunque vantano un pedigree più solido, avendo portato qualche eletto nel parlamento italiano. La questione non riguarda solo le regioni del nord. Sud chiama Nord, fondato dal sindaco di Taormina, Cateno De Luca, è presente nell’elenco per il secondo anno consecutivo. Una buona occasione per mettere risorse in cascina in vista delle elezioni di giugno.
Sul fronte dei big, invece, nessuna sorpresa: ci sono tutti da Fratelli d’Italia al Pd. Compreso il Movimento 5 stelle che ha scelto, sotto la leadership di Giuseppe Conte, per il secondo anno consecutivo di partecipare alla ripartizione del due per mille.
(da agenzie)

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CONFINDUSTRIA, È DERBY GENOVESE PER LA SUCCESSIONE A CARLO BONOMI ALLA GUIDA DELL’ASSOCIAZIONE DEGLI INDUSTRIALI: DA UNA PARTE IL PRESIDENTE DELLA ERG, EDOARDO GARRONE, DALL’ALTRA ANTONIO GOZZI, NUMERO UNO DEL GRUPPO DUFERCO

Dicembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

IL PRIMO HA DALLA SUA PARTE MARCEGAGLIA, TRONCHETTI PROVERA E DIANA BRACCO. IL SECONDO È APPOGGIATO DAGLI INDUSTRIALI LIGURI E DA ANTONIO D’AMATO

La guerra del pesto per Confindustria. A fronte della disponibilità di Antonio Gozzi, l’eventuale disponibilità di Edoardo Garrone a candidarsi alla successione di Carlo Bonomi è già bollata come derby genovese per la presidenza di viale dell’Astronomia. Una sfida che piace soprattutto ai sostenitori dell’emiliano Emanuele Orsini, il vice presidente di Bonomi che risulta in pole nella corsa, in vantaggio rispetto ad altri due vice, Alberto Marenghi e Giovanni Brugnoli.
Molti osservatori sono convinti che un’eventuale sfida Gozzi-Garrone premierà Orsini. I più espliciti sostengono che tra i più convinti sostenitori di Garrone ci sia la past president Emma Marcegaglia di cui Garrone è stato vice dal 2008 al 2012, “antagonista storica” del due volte leader di Federacciai Gozzi.
La situazione è ancora fluida, i giochi si faranno a gennaio. La potenziale disponibilità di Garrone ha spiazzato Gozzi, che però tira dritto, e provocato mal di pancia tra gli industriali liguri, schierati compatti a sostegno del patron di Duferco. I più arrabbiati sono i capofila: il presidente di Confindustria Liguria, Giovanni Mondini, e il numero uno di Confindustria Genova, Umberto Risso.
Mondini, che ventiquattrore prima aveva fatto endorsement per Gozzi, ha appreso da indiscrezioni di stampa dell’eventuale disponibilità del cugino e socio in Erg. E si è chiuso nel più assoluto e cupo dei silenzi.
Risso, ugualmente sorpreso e arrabbiato, pare abbia chiamato Garrone per avere chiarimenti, ma si sia sentito rispondere che arriveranno quando il presidente dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova tornerà da New York, dove è volato per trascorrere le vacanze natalizie.
Che cosa può aver fatto cambiare idea al presidente de Il Sole 24Ore, che ora si dice sia pronto a dimettersi dal cda per candidarsi alla presidenza di Confindustria, lasciando la guida del board del quotidiano economico a Carlo Bonomi?
«Garrone viene ciclicamente corteggiato per le successioni di viale dell’Astronomia, a questo giro il pressing deve essere aumentato perché Gozzi è un imprenditore di alto livello, ma divisivo in ambito confindustriale, gode di un forte consenso verticale, di settori, ma non trasversale ed è sostenuto da Antonio D’Amato», riflette una fonte vicina al dossier.
Gozzi e Garrone sono legati da reciproca stima e amicizia. Gira voce che Gozzi si sia affrettato a chiamare Garrone per un confronto, ma tale voce non trova conferma presso i diretti interessati. Gozzi ha confermato ai suoi amici di non essere intenzionato a fare passi indietro. Anzi, l’eventuale tentativo di arginarlo confermerebbe, a suo avviso, l’esigenza di un cambio di passo a Roma.
Una telefonata che invece trova conferma è quella fatta dal leader di Duferco a Enrico Carraro, potente presidente di Confindustria Veneto, dopo l’intervista rilasciata al Corriere della Sera in cui dice «no ai professionisti della rappresentanza» e sostiene l’esigenza di un presidente «capace di ripensare il modo di fare rappresentanza, che arrivi da una realtà medio-grande, multilocalizzata e con presenza sui mercati esteri»; qualcuno capace di attuare politiche per «aumentare la presenza in Europa» poiché «le questioni cruciali dell’industria si decidono là».
Identikit che si adatta al profilo dello stesso Carraro, da alcuni dato in corsa – lui a domanda specifica risponde «io una poltrona ce l’ho già e poi sono un uomo di fabbrica, ruvido, lontano dai salotti romani» – ma anche a Gozzi, che lo avrebbe chiamato condividendo la visione.
Il nome di Garrone si dice sia emerso dopo un incontro promosso da Diana Bracco cui hanno partecipato Marco Tronchetti Provera e Marcegaglia. Il presidente di Erg godrebbe dell’appoggio non solo dei big lombardi, vista la brillante carriera che lo ha visto a capo dei Giovani, vice di Marcegaglia e di Cordero di Montezemolo.
Oltre al supporto di D’Amato, Gozzi conta sul sostegno di Bergamo, Lecco e Brescia grazie al peso dell’amico Giuseppe Pasini (che quando scese in campo gli fu opposta la candidatura di Marco Bonometti e la spuntò Bonomi); persino della territoriale di Udine guidata da Gianpietro Benedetti, storico competitor, a fronte di un accordo per una vice presidenza ad Anna Mareschi Danieli; e poi di Roberto Callieri (Federbeton), Lamberti e Buzzella (Federchimica), Poli (Assocarta), Dal Poz (Federmeccanica), Zanardi (Assofond), Ignazio Capuano (Conai).
(da agenzie)

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BRUXELLES PROVA A TUTELARE L’INFORMAZIONE LIBERA, IL GOVERNO MELONI LA BERSAGLIA

Dicembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

IN EUROPA C’È L’ACCORDO SULLA LEGGE CONTRO LE DENUNCE TEMERARIE MA PALAZZO CHIGI FA L’OPPOSTO… L’ITALIA HA IL PRIMATO PER LE “SLAPP”, LE QUERELE-BAVAGLIO CONTRO I CRONISTI, E IL GOVERNO SPINGE PER LEGALIZZARE LO SPIONAGGIO DEI GIORNALISTI

Sin dall’esordio di questo governo, il rapporto di Giorgia Meloni con i media / indipendenti è stato uno dei primi e inequivocabili segnali di erosione dello stato di diritto e di antieuropeismo. Gli attacchi ai giornalisti hanno subito destato sconcerto nelle istituzioni europee. Adesso però quella distanza tra Palazzo Chigi e Bruxelles sta diventando una voragine. Da una parte c’è una Unione europea che fa quel che le è possibile per tutelare la libertà giornalistica: proprio di recente le istituzioni Ue hanno trovato l’accordo sia per la legge Ue contro le querele bavaglio (le “slapp”) che sul regolamento europeo per la libertà dei media.
E, da una parte che più opposta non si può, c’è il governo Meloni che a Bruxelles preme per lo spionaggio dei giornalisti e che a Roma li querela e manda a processo. C’è l’emendamento Costa […] C’è «quella insofferenza verso la libera informazione tipica di una “populista contro il popolo” che prova a indebolire i contropoteri, come ha già fatto Viktor Orbán prima di lei», dice il segretario generale della Federazione europea dei giornalisti (Efj) Ricardo Gutiérrez.
Per capire la distanza ormai abissale che separa Chigi da Bruxelles si può partire da due date estremamente ravvicinate: il 30 novembre le istituzioni europee hanno raggiunto un accordo sulla legge europea anti slapp; il 14 dicembre l’Europa è tornata in allerta per i bavagli del governo, con il j’accuse del sindacato europeo dei giornalisti (Efj) per l’ennesimo atto di Durigon contro Domani. Mentre Bruxelles prova a tutelare l’informazione libera, il governo Meloni la bersaglia
Con la “legge anti slapp”, l’Unione europea, facendo leva sul carattere transfrontaliero delle querele volte a inibire giornalisti e difensori dei diritti, mostra capacità di reazione su un tema per il quale altrimenti non avrebbe specifiche competenze per intervenire; lo fa con la consapevolezza che quasi il 43 per cento di querele temerarie parte da esponenti politici, e che non sempre i governi nazionali intervengono.
Un recente studio commissionato dall’Europarlamento mostra che l’Italia ha il primato in fatto di slapp: il 25,5 per cento, ovvero un caso su quattro, si configura come querela bavaglio. Da quando Meloni è al governo, la Federazione europea dei giornalisti, che fa le sue allerte su una apposita piattaforma del Consiglio d’Europa, ha visto a sua volta i numeri impennarsi. Che una premier porti a processo i giornalisti – come ha fatto con Roberto Saviano e come succederà poi quest’estate al direttore di Domani – ricorda precedenti allarmanti.
Il caso dei carabinieri che si presentano nella redazione di Domani per sequestrare un articolo online dopo una querela di Durigon ha fatto rumore in Ue, tra interrogazioni di eurodeputati e interventi delle organizzazioni per la libertà di informazione: da allora, in Europarlamento gli attacchi di Meloni contro i giornalisti sono entrati nella storia.
Verso fine anno, dopo che il sottosegretario ha diffidato Domani dal pubblicare altre notizie e ha chiesto la rimozione degli articoli («Per ogni giorno che passa dovete darmi 500 euro in più»), l’eurodeputata liberale olandese Sophie in’t Veld ha chiamato in causa ancora una volta la Commissione europea, allertandola perché «ancora una volta un membro del governo italiano attacca i media».
Il sindacato europeo ha a sua volta stigmatizzato l’episodio: «Ecco l’ennesimo tentativo di silenziare il lavoro giornalistico di inchiesta!»
Il 15 dicembre le istituzioni Ue hanno trovato l’accordo sullo European Media Freedom Act (Emfa).
Nasce come tentativo della Commissione di far leva sulle proprie competenze regolatorie del mercato comune per puntellare con regole europee il pluralismo. Il governo Meloni si è accodato ad altri sei stati membri – con la Francia di Emmanuel Macron in testa – per provare a usare l’Emfa come un cavallo di Troia volto a legalizzare lo spionaggio dei giornalisti (l’alibi era la sicurezza nazionale).
Ma a Bruxelles questa linea liberticida non è passata. Quando Emfa entrerà in vigore, operazioni come la presa della Rai – il «cambio di narrazione», per usare l’espressione meloniana – strideranno ancor più con le regole europee. Basti ricordare l’articolo 5 della bozza: parla di «imparzialità e pluralità» per il servizio pubblico, imponendo procedure «aperte e trasparenti» per la nomina dei vertici. Cosa farà Meloni quando l’Ue passerà dalle raccomandazioni agli obblighi?
(da agenzie)

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COSA C’È DIETRO ALLO STRANO FEELING TRA GIORGIA MELONI E ELON MUSK? IL “WALL STRET JOURNAL” DEDICA UN ARTICOLO ALLE SMANCERIE TRA LA PREMIER E IL PATRON DI TESLA

Dicembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

“È FACILE CAPIRE COSA TRAGGA LEI: L’ACCESSO A UN MONDO ACCATTIVANTE. È MENO CHIARO È COSA CI GUADAGNI LUI. ALCUNI RITENGONO CHE STIA CERCANDO ALLEATI POLITICI IN EUROPA, PROPRIO MENTRE L’UE CERCA DI REGOLAMENTARE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E ESAMINA LA PROPRIETÀ DI X”

Elon Musk e il primo ministro italiano Giorgia Meloni hanno formato una delle più improbabili alleanze transatlantiche del 2023. Dietro la loro nascente amicizia si celano interessi comuni su questioni politiche come l’immigrazione e la demografia, nonché sulla regolamentazione del settore tecnologico e sui rischi associati all’intelligenza artificiale.
Musk, il 52enne miliardario dietro Tesla, SpaceX e X, ha visitato l’Italia diverse volte quest’anno e questo mese è stato l’ospite di punta di un festival politico a Roma ospitato dal partito di destra Fratelli d’Italia della Meloni.
A giugno, la Meloni ha ospitato Musk nella sede ufficiale della Presidenza del Consiglio a Roma, dove i due hanno parlato di IA e hanno mostrato la loro chimica ridendo e abbracciandosi. La maggior parte dei visitatori riceve una stretta di mano.
Musk ha dichiarato di aver parlato con la Meloni, 46 anni, all’inizio di quest’anno, quando stava cercando un antico luogo romano dove lui e Mark Zuckerberg avrebbero potuto organizzare un combattimento. A ottobre, Musk ha messo like a un post della leader italiana su X in cui annunciava la fine della sua relazione decennale con il padre di sua figlia.
“Per la Meloni, Musk è un grande visionario, quindi è facile capire cosa tragga dalla relazione: l’accesso a quello che per lei è un mondo nuovo e accattivante”, ha dichiarato Stefano Quintarelli, ex legislatore italiano diventato imprenditore tecnologico e investitore in capitale di rischio. “Ciò che è meno chiaro è cosa ci guadagna lui”.
Alcuni in Europa ritengono che Musk stia cercando alleati politici nella regione mentre l’Unione Europea cerca di regolamentare l’IA. Musk sta anche affrontando un esame da parte dell’UE per la sua proprietà di X. La piattaforma sta affrontando un’indagine dell’Unione europea sulla sua gestione di contenuti illegali e disinformazione. Se si scoprisse che ha violato le regole comunitarie sui contenuti online, X rischia una pesante multa in un momento in cui i ricavi sono stati colpiti dal ritiro di alcuni inserzionisti insoddisfatti di alcuni post di Musk.
Musk e Meloni non hanno risposto alle richieste di commento. La Meloni, che ha conquistato il potere alle elezioni italiane del 2022, si è fatta un nome come personaggio di destra nelle guerre culturali italiane sull’immigrazione e sui valori tradizionali della famiglia.
Per anni, la sua promessa politica più importante è stata quella di fermare l’immigrazione clandestina attraverso il Mar Mediterraneo, dall’Africa all’Italia, anche se da quando è entrata in carica ha lottato per impedire un aumento degli arrivi di migranti.
Quest’autunno, quando la Meloni ha denunciato la Germania per aver finanziato le organizzazioni non governative che soccorrono i migranti nel Mediterraneo, Musk è intervenuto su X. “Sicuramente è una violazione della sovranità dell’Italia il fatto che la Germania trasporti un gran numero di immigrati clandestini sul suolo italiano”, ha postato, aggiungendo: “Sento vibrazioni di invasione…”.
I due hanno anche trovato un terreno comune nell’aumento delle nascite e nella lotta contro quello che lui ha definito il “virus della mente sveglia”. Entrambi i temi hanno avuto un ruolo di primo piano al festival politico di Roma di questo mese.
“Ogni anno guardo i tassi di natalità ed è piuttosto deprimente”, ha detto Musk all’evento romano, a cui ha partecipato con uno dei suoi figli. “Non si può dipendere da altri Paesi per l’immigrazione. L’Italia è il popolo italiano”.
L’imprenditore ha detto che si preoccuperebbe di investire in un Paese con il basso tasso di natalità italiano. “Ci saranno abbastanza persone per lavorare lì?”. Ha detto Musk durante l’evento. “Per favore, fate più italiani, è quello che sto dicendo”.
La Meloni, che è una conservatrice convinta, da tempo chiede che la società italiana torni ad avere più figli, sostenendo che la “cultura dominante” progressista ha denigrato la paternità.
L’apparizione di Musk è stata anche un colpo per la Meloni, che cerca di aumentare le sue credenziali tecnologiche. L’Italia è destinata a presiedere le riunioni del G7 nel 2024 e la Meloni vuole fare della regolamentazione dell’IA uno dei suoi temi centrali per le discussioni del G7. Ha detto che l’IA potrebbe essere “la più grande sfida della nostra epoca”.
Musk ha lanciato una società di IA, definendo la tecnologia una delle maggiori minacce per l’umanità. Il potere di Musk in tutto ciò che riguarda la tecnologia e la sua disponibilità a pontificare liberamente sui benefici e le potenziali insidie dell’IA, potrebbero favorire lo sforzo della Meloni di inserire la tecnologia nell’agenda politica internazionale.
La Meloni è la prima donna leader in Italia e il primo Presidente del Consiglio proveniente dall’estrema destra anti-establishment. Le sue radici politiche affondano in un partito post-fascista chiamato Movimento Sociale Italiano, fondato dopo la Seconda Guerra Mondiale da ex membri del Partito Fascista di Benito Mussolini. Il gruppo ha trascorso decenni ai margini della politica italiana, ma alla fine ha cercato di diventare un movimento democratico di destra.
La Meloni ha preso le distanze dal suo passato di estrema destra, abbracciando politiche conservatrici tradizionali in materia di economia e affari esteri, tra cui il sostegno all’adesione dell’Italia all’euro, all’alleanza di sicurezza con gli Stati Uniti e alla difesa dell’Ucraina contro l’invasione della Russia.
Continua a fare appello alla sua base di estrema destra sulle guerre culturali italiane, con posizioni dure contro l’immigrazione illegale e la genitorialità omosessuale. Ha inveito contro la maternità surrogata, dicendo che “i bambini non vanno comprati e venduti”. Il suo governo vuole rendere la maternità surrogata un cosiddetto reato universale, il che significa che gli italiani che ricorrono a una madre surrogata potrebbero incorrere in accuse penali anche se lo fanno all’estero. Questa categoria è solitamente riservata ai crimini più efferati, come la schiavitù, il genocidio e la pedofilia.
La maternità surrogata è una questione su cui lei e Musk non sono d’accordo. Musk sostiene la pratica, ha avuto almeno un figlio attraverso la maternità surrogata. Ha dichiarato: “Nascono già troppi pochi esseri umani”.
A luglio, un legislatore italiano dell’opposizione, Alessandro Zan, ha urlato in Parlamento che Meloni dovrebbe guardare Musk negli occhi e dirgli che è un criminale. Meloni non ha risposto.
Il governo di Meloni sta anche cercando di convincere le case automobilistiche a costruire veicoli e batterie in Italia per contribuire a compensare il declino produttivo del Paese. La Fiat, casa automobilistica a lungo dominante in Italia, è ora una forza in via di estinzione nell’economia del Paese, poiché il suo proprietario, Stellantis, ha spostato la produzione altrove. Finora Musk non ha indicato che potrebbe prendere in considerazione l’Italia per una fabbrica Tesla.
Quest’anno Musk si è recato in Europa per diversi viaggi di alto profilo, incontrando, oltre alla Meloni, anche i leader del Regno Unito e della Francia. I frequenti viaggi in Europa rappresentano un cambiamento per il miliardario, che negli ultimi anni ha trascorso la maggior parte del suo tempo in Texas e in California.
Dopo la sua apparizione sul palco dell’evento della Meloni, è partito per un vorticoso tour privato di Roma con il ministro della Cultura italiano, postando su X una clip di dipinti di Caravaggio e un’altra dal tetto del Pantheon.
Eric Sylvers e Margherita Stancati
(da Wall Street Journal)

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NON C’E’ PIU’ PARAGONE: L’ADDIO DEL GIORNALISTA ALLA POLITICA, STRAPPO DEFINITIVO CON ITALEXIT

Dicembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

“TORNO A FARE IL GIORNALISTA, NON USATE PIU’ IL MIO NOME”

Non è solo un addio al partito che lui stesso ha fondato, ma sembra proprio un ritiro dalla politica quello di Gianluigi Paragone. In una lunga lettera pubblicata sul sito di Italexit, Paragone annuncia le dimissioni da segretario «irrevocabili». Finisce dopo tre anni l’avventura di Paragone da leader politico. Nel 2020 era stato espulso dal M5s, con cui era entrato in Parlamento, dopo aver votato contro la Legge di Bilancio. Convinto No Green Pass e No Vax, ha fondato «Italexit con Paragone», poi diventato semplicemente Italexit a fine 2022, dopo diversi scontri interni sulla sua leadership.
Paragone ha ribadito che da ora in poi il partito non potrà più usare il suo nome e cognome per ogni tipo di attività. Sui motivi della rottura, lui stesso non si sbilancia: «Non c’è una sola ragione che può motivare una scelta così radicale. Ci si arriva perché il tempo fa maturare alcune idee e alcuni pensieri. Intanto avevo sempre detto che non sarei rimasto segretario a lungo: è giusto che altre persone si carichino l’impegno di elaborare, con rinnovato entusiasmo, tesi politiche. Penso che sia arrivato questo tempo: energie nuove per sfide da rilanciare a tempo pieno».
Paragone dice di voler tornare di fatto alle origini, quando cioè faceva il giornalista. Già direttore della Padania, poi vicedirettore di Libero e infine passato in Rai e su La7, dove ha condotto diversi programmi di approfondimento, Paragone dice che continuerà a elaborare il mio pensiero nelle vesti che mi sono più proprie, ossia quelle giornalistiche e di saggista. Avendo accresciuto il mio impegno professionale (com’era normale che fosse non volendo campare di politica), non intendo generare confusione nell’elettore, nel telespettatore e nel lettore laddove guardandomi o leggendomi possa pensare: parla il politico o il giornalista?»
L’addio quindi sarebbe totale e definitivo: «Ecco, anche nel massimo rispetto altrui, è giusto che io sciolga totalmente il mio rapporto con il partito. Che da questo momento in avanti non potrà più avvalersi del mio nome e del mio cognome per le proprie attività: questione di correttezza. Pertanto ho dato mandato affinché sul sito scompaiano i miei riferimenti personali così da non generare confusione; chiederò inoltre alle società di sondaggio di eliminare il mio cognome dal nome del partito. Sono stati anni di intense battaglie, che rifarei tutte. Per questo le tengo nella mia memoria e nel mio cuore. Grazie a tutti coloro che ci hanno dato fiducia e sostegno. A tutti auguro buona strada».
(da agenzie)

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IL PRESIDENTE DELLA CAMERA, LORENZO FONTANA, SCOMUNICA LA LINEA DI SALVINI E SI OPPONE ALL’ALLEANZA IN EUROPA CON MARINE LE PEN E LE SVASTICHELLE TEDESCHE DI AFD

Dicembre 29th, 2023 Riccardo Fucile

“DOPO IL VOTO SI POSSONO RIVEDERE LE ALLEANZE. LA LEGA DEVE ESSERE PARTE DEL PROCESSO DI CAMBIAMENTO A BRUXELLES ED ENTRARE NELLE DECISIONI SULLA PROSSIMA PRESIDENZA DELLA COMMISSIONE EUROPEA. MANTENERE I VOTI IN CONGELATORE FUNZIONA POCO” … IL VETO SU VANNACCI: “NON CONDIVIDO LE FRASI CONTENUTE NEL SUO LIBRO”

Le Europee sono sempre più vicine e la Lega non può permettersi di passare altri cinque anni a Bruxelles da emarginata. Questo è il messaggio inviato ai vertici del partito, sotto forma di «auspicio», dal presidente della Camera Lorenzo Fontana in occasione dei tradizionali saluti di fine anno con la stampa parlamentare.
La Lega deve «essere parte del processo di cambiamento a Bruxelles» ed entrare «pienamente nelle decisioni sulla prossima presidenza della Commissione europea e sul futuro presidente del Parlamento europeo», dice Fontana. Insomma, l’invito a Matteo Salvini è di «mettersi in gioco. Mantenere i voti in congelatore funziona poco».
Resta però uno scoglio da superare: il veto posto dal Partito popolare europeo sugli alleati di Matteo Salvini, a partire dai francesi di Marine Le Pen e dai tedeschi dell’Afd. I Popolari non ne vogliono sapere di un’intesa con l’intero gruppo dei sovranisti di “Identità e democrazia”, ma lasciano la porta aperta alla Lega, se mai volesse sganciarsi dai suoi ingombranti alleati. Ed è in questa direzione che sembra spingere anche il presidente della Camera, quando ricorda a tutti che «non ci sono veti nei confronti della Lega».
E se il centrodestra europeo ha il terrore degli alleati di Salvini, è anche vero che «a Bruxelles nessuno ha paura di noi». In fondo, fa notare Fontana, «le vere alleanze si fanno il giorno dopo le elezioni». E quel «vere» viene volutamente sottolineato con il tono della voce, per far intendere che, tutto sommato, non si tratta di legami indissolubili. Oggi si è alleati, domani chissà. A scanso di equivoci, Fontana precisa ulteriormente: «Dopo il voto si vedrà davvero quali partiti nazionali aderiranno a quali gruppi europei».
Le geometrie costruite in questi anni potrebbero quindi sgretolarsi un minuto dopo le elezioni. Questo è lo scenario che ipotizza Fontana, mentre Salvini è costretto a tenere una linea diversa e insistere sulla possibilità di portare i suoi “scomodi” alleati, tutti insieme, nella stanza dei bottoni di Bruxelles, seduti allo stesso tavolo con Popolari, Conservatori e Liberali europei. Una posizione alternativa, quella di Fontana, che si estende anche al giudizio sul generale Vannacci.
Tra i fedelissimi di Salvini c’è chi, come il vicesegretario Andrea Crippa, sostiene che Vannacci parli «come un leghista» […] il presidente della Camera rispondere che «no, non condivido quelle frasi di Vannacci e non ho letto il suo libro», anche se «quello sulle candidature – puntualizza – è un discorso che faranno i vertici della Lega». È un periodo, questo, in cui emergono alcuni distinguo all’interno del partito. Oggi Fontana sulla strategia in vista delle Europee, ieri il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti favorevole al Mes.
(da La Stampa)

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