Destra di Popolo.net

MELONI, SALVINI E TAJANI PARLANO DI “PIENA ARMONIA” DOPO IL LORO INCONTRO, MA SULLA POLITICA ESTERA EMERGE UNA CLAMOROSA SPACCATURA

Agosto 30th, 2024 Riccardo Fucile

LA LEGA PUBBLICA UNA NOTA “CONGIUNTA” IN CUI SI PARLA DI “APPOGGIO A KIEV MA DI “CONTRARIETA’ A OGNI IPOTESI DI INTERVENTI MILITARI FUORI DAI CONFINI UCRAINI’’. UN PASSAGGIO CHE POI SCOMPARE NEL TESTO DIFFUSO DA PALAZZO CHIGI E DA FDI – LA VERSIONE DEL CARROCCIO: “È STATO SOLO UN ERRORE MATERIALE, NESSUN PROBLEMA POLITICO”

Neanche il tempo di cominciare e già esplode la linea del governo sulla politica estera, che sulla carta – secondo la dichiarazione congiunta – avrebbe compattato Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani. E invece, Fratelli d’Italia e Lega mettono nero su bianco lo scontro, non si sa quanto consapevolmente.
Basta leggere la nota ufficiale trasmessa da Palazzo Chigi e da Fdi, nella quale il partito di Salvini assicura in un passaggio che c’è stata ‘’condivisione sulla crisi in Medio Oriente e sulla posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina’’. E poi confrontarla invece con quella diffusa dalla Lega, poi rimossa dopo alcuni minuti, in cui c’è invece scritto: ‘’condivisione sulla crisi in Medio Oriente e sulla posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina, con appoggio a Kiev ma contrari o ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini’’.
È un tema enorme, perché riguarda l’offensiva di Kursk, in cui l’esercito di Zelensky ha sfondato i confini russi entrando nel Paese e occupandone una porzione. Una scelta sostenuta in Europa, su cui Roma ha sempre mostrato cautela proprio a causa delle spaccature interne all’esecutivo. [.
Oggi l’incidente, frutto probabilmente dello scontro all’interno del vertice di maggioranza. Poco dopo, la Lega si scusa e fa sapere di aver inoltrato una versione poi modificata, a causa dei tempi stretti. E aggiunge che non si trattava di una modifica di contenuto. In realtà, è evidente la differenza delle due posizioni, a certificare il divario politico su questo decisivo dossier di politica estera.
(da La Repubblica)

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ORLANDO È VICINO A DIVENTARE IL CANDIDATO DEL CAMPO LARGO ALLA PRESIDENZA DELLA REGIONE LIGURIA

Agosto 30th, 2024 Riccardo Fucile

IL PENTASTELLATO PATUANELLI: “L’USCITA DEI RENZIANI DALLA GIUNTA BUCCI A GENOVA È IL REQUISITO MINIMO PER UN DIALOGO”… SCHLEIN PRAGMATICA: “CONTE E RENZI POSSONO COESISTERE? LE ALLEANZE NON SI FANNO DA NOME A NOME, MA DA TEMA A TEMA: SANITÀ, LAVORO POVERO, SCUOLA, CONGEDI PARITARI. L’AVVERSARIO DA BATTERE È LA DESTRA”

Alla fine il candidato del centrosinistra in Liguria sarà Andrea Orlando, su questo non ha dubbi più nessuno. Ma su come sarà questo centrosinistra, cioè se con dentro – e soprattutto come – i renziani c’è ancora da discutere.
Stefano Patuanelli, intervistato dal fattoquotidiano.it, rilancia la palla nel campo dem: “Renzi è più un tema del Pd, non un problema nostro, sceglierà Schlein cosa fare rispetto a lui”. Un punto di caduta che per il Movimento potrebbe diventare una linea a lungo termine.
E la Liguria? “L’uscita dei renziani dalla giunta è il requisito minimo per un dialogo, ma servirebbe la fiducia. Già il fatto che lui dica ‘la gronda di Genova si fa o non si fa?’ sapendo di toccare un elemento sensibile non particolarmente unitario nel centrosinistra, dimostra che il suo obiettivo è tornare centrale nel dibattito politico, per poi rompere tutto”.
Quelle parole sulla gronda, opera contro cui il M5S ha sempre lottato, confermano che il capo di Iv non verrebbe in pace. E indirettamente, che il quadro ligure è ancora instabile.
Ieri Orlando era a Genova, per capire da vicino lo stato delle cose e seguire le trattative con Avs e Azione. Ma se i rossoverdi sono dentro, Carlo Calenda “sta creando problemi”, raccontano gli sherpa. I suoi in Liguria stanno tutti con Orlando, ma l’ex ministro, estimatore entusiasta di Bucci, sta facendo storie: sempre in ottica anti-grillina pare. E poi, certo, c’è l’eterno nodo di Iv.
Fonti dem raccontano: “La verità è che è difficile capire con chi parlare per i renziani. Finora Raffaella Paita (spezzina, coordinatrice nazionale di Iv, ndr) è rimasta molto in disparte”. Però una cosa credono di averla capita nel Pd: “I renziani sono spaccati da questa vicenda. Tanto che ci avevano fatto intendere di voler prima capire l’esito delle trattative sulle Regionali prima di togliere l’appoggio a Bucci”.
Ma i dem pretendono un segnale di buona volontà per chiudere, ammesso che Renzi accetti di entrare senza simbolo. L’ennesima variabile in una partita già troppo lunga.
Conte e Renzi possono coesistere? Per Elly Schlein «le alleanze non si fanno da nome a nome, ma da tema a tema. Dobbiamo fare fronte unito per le nostre battaglie: sanità, lavoro povero, scuola, congedi paritari. Questo è il nostro metodo. Dobbiamo avere chiaro che l’avversario da battere è la destra. Per farlo gli italiani vogliono sapere qual è la nostra idea di società. Cosa faremo quando andremo al governo».
(da Il Fatto Quotidiano)

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È IL FITTO DAY. MA C’È POCO DA FESTEGGIARE, MELONI HA ASPETTATO L’ULTIMO MOMENTO PER COMUNICARE A URSULA VON DER LEYEN LA CANDIDATURA DEL SUO FEDELISSIMO PER IL RUOLO DI COMMISSARIO EUROPEO. MA LA PARTITA PER OTTENERE UNA DELEGA DI PESO È ANCORA TUTTA DA GIOCARE

Agosto 30th, 2024 Riccardo Fucile

L’ITALIA DIFFICILMENTE OTTERRÀ UNA POLTRONA DA VICEPRESIDENTE ESECUTIVO, SU FITTO LA DUCETTA HA DECISO TUTTO DA SOLA MA HA PRETESO CHE ANCHE SALVINI E TAJANI CI METTESSERO LA FACCIA

Una candidatura silenziosa, in linea con il profilo del prescelto. Essenziale, come le righe scarne che serviranno solamente ad espletare una procedura formale arrivata a scadenza. «Cara Ursula, l’Italia indica Raffaele Fitto» per il ruolo di commissario europeo. Firma e volontà di Giorgia Meloni.
Ha deciso tutto lei. Persino di tenere spente le luci rosse delle telecamere della sala stampa di Palazzo Chigi al termine del Consiglio dei ministri che all’ora di pranzo prenderà atto della designazione del suo fedelissimo. Un passaggio dettato da ragioni interne, per sentirsi dire sì di nuovo dai vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, a suggello di una scelta che deve apparire collegiale, non un atto da solista.
Di certo non ostacolerà la batteria di comunicati stampa che i parlamentari di Fratelli d’Italia, il suo partito, hanno già iniziato a scrivere, ma è un’eccezione che non cambia il senso della regola aurea decisa a Palazzo Chigi. Ecco la regola: metodo formale e scenografia ridotta all’essenziale per il Fitto day.
C’è poco da festeggiare e tanto, ancora, da giocare. La posta in palio è una poltrona da vicepresidente esecutivo della Commissione.
L’esito della partita aperta con Ursula von der Leyen può cambiare il “vestito” di Fitto. Ma soprattutto il peso che l’Italia avrà nella nuova squadra di governo dell’Europa. A cascata la possibilità di avere un occhio di riguardo sui dossier casalinghi che scottano. Uno in particolare: il Pnrr. I 113,5 miliardi incassati fino ad ora sono un titolo fragile.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza si muove lento, con una spesa che a fine luglio ha toccato quota 52,2 miliardi. Più della metà delle risorse incassate è al palo. È vero, come riporta l’ultima Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione, che sono state attivate gare per 122 miliardi, ma il nodo è proprio qui. E cioè nella difficoltà di passare velocemente dai bandi ai cantieri.
In ogni caso la tabella di marcia è diventata insostenibile: l’Italia dovrà spendere 142,2 miliardi in meno di due anni considerando che l’importo totale del Pnrr ammonta a 194,4 miliardi. Fitto ha già messo in conto la richiesta di “mini-proroghe”, ma nel governo c’è chi spinge per un allungamento generalizzato del Piano oltre la dead line del 30 giugno 2026. La missione del commissario Fitto inizia da qui.
Fare da scudo all’Italia significherà anche tenere a bada una maggioranza bellicosa che spesso e volentieri tuona contro Bruxelles. Come sulle concessioni balneari, che si vogliono allungare ancora, oltre a prevedere indennizzi generosi e prelazioni vantaggiose.
La lista è lunga e ben conosciuta da Fitto che da ministro con quattro deleghe (proprio Pnrr, poi Coesione, Sud e Affari europei) ha già sperimentato cosa vuol dire convincere Ursula von der Leyen della lealtà europeista dell’Italia. Dovrà farlo ancora nelle prossime settimane.
Di nuovo sui balneari e sempre da ministro perché lascerà l’incarico solo a fine ottobre, appena una settimana prima dell’insediamento della nuova Commissione. A quella data conoscerà già le deleghe che riceverà da von der Leyen. Di fatto sono già decise, manca solo l’ufficializzazione attesa il 10 settembre. Sarà, Fitto, il commissario al Pnrr e alla Coesione. Balla ancora la delega al Bilancio, ma per Meloni non è fondamentale. «Il Bilancio – ragionano a Palazzo Chigi – non è l’Economia ». Una delega più pesante, è il non detto oramai metabolizzato.
A Fitto spetterà un portafoglio da oltre 1.500 miliardi: ai 750 miliardi del Recovery vanno aggiunti infatti gli 800 miliardi delle due programmazioni dei fondi di Coesione (2021-2027 e 2028-2034). Ma solo la vicepresidenza esecutiva gli permetterebbe di “gestire” 3-4 commissari di punta. «Di contare e comandare davvero nella Commissione », è la speranza coltivata in ambienti di governo. La partita è in salita. Nessun cenno alla questione nella lettera che Meloni invierà oggi a von der Leyen.
(da la Repubblica)

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DIETRO IL RITORNO DEL FIGLIOL PRODIGO RENZI NELL’AREA DI CENTROSINISTRA C’E’ LO ZAMPONE DI BETTINI

Agosto 30th, 2024 Riccardo Fucile

SI RAGIONA NON SOLO SULL’USCITA DI ITALIA VIVA DALLA GIUNTA DI BUCCI A GENOVA, MA DELL’INGRESSO IN QUELLA DI GUALTIERI A ROMA

Domanda senza crederci troppo: Renzi è davvero il ritrovato factotum della città “Campo largo” come il “Barbiere di Siviglia” di Rossini, altro figlio nobile di queste parti? A interrogare la sua nota vanità – che non va in ferie e non conosce default – la risposta sarebbe scontata.
C’è però da registrare un dato di cronaca: l’altra sera, nell’insenatura pavarottiana di Baia Flaminia, non solo ha fatto il pieno di curiosi in modalità nessun dorma. Ha strappato risate. Il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia è stato applaudito, più e più volte.
Non solo quando attaccava il direttore del Fatto Marco Travaglio ma, soprattutto, quando ha iniziato a bombardare il leader del M5s Giuseppe Conte, velocissimo ad alzare il braccio come certi difensori di una volta, per richiamare l’attenzione dell’arbitro (gli elettori) sul fuorigioco da fischiare: “Ci fa perdere voti”.
Alla fine dell’evento di Pesaro – si capirà se grande o piccolo – non ci sarà nemmeno una contestazione, un urlaccio. Niente. Manco una mezza pernacchia o un ululato dal fondo della platea: tutte eventualità che erano state messe in conto dalla giornalista Myrta Merlino, moderatrice del dibattito con l’europarlamentare del Pd Matteo Ricci, sindaco ad honorem e anguilla capace di navigare fra mille correnti in questi ultimi dieci anni, nonché architetto dell’operazione reunion.
Ricci lo fa per il centrosinistra nazionale, ma anche per quello regionale visto che sarà candidato – con molta probabilità – alla carica di governatore (alle europee ha preso nelle Marche 51.996 preferenze). Così assicurano tutti, e anche lui lo sa.
Ricci ha fatto da gruppo spalla al rientro sul palco del centrosinistra del capo di Iv in questo contesto democratico (tocca citare di nuovo gli Oasis?). La star non è mai stata fischiata dai loggionisti del Pd, pubblico che di solito non le manda a dire e che se la lega al dito.
Matteo Renzi, dopo una notte impastata di euforia, dice agli amici che “è andata decisamente meglio di qualsiasi più rosea previsione. Pieno di gente, abbracci prima e dopo, applausi à gogo. Anche dagli schleiniani, non solo dagli ex renziani. Bene bene bene”.
E così è stato. Una sorpresa, e dunque una notizia ascrivibile alla categoria “strano, ma vero”.
Impossibile sostenere che Ricci avesse addomesticato, messaggiato e massaggiato il pubblico locale in vista dell’evento: troppa gente. Oltre 1.500 persone. Un record per gli addetti alle cucine che alla fine sono stati costretti a dare indietro i soldi a chi aveva già fatto lo scontrino alla cassa e si era messo in fila. Tagliatelle stirate a mano con ragù di piselli, grigliata mista, pasticciata alla pesarese con erbe cotte: tutto terminato. E’ l’indotto economico dell’evento che non ha creato mal di pancia al pubblico.
Eppure la schiera di inviati dei giornali arrivati qui sull’Adriatico – gli stessi che ieri sono andati a seguire la riapparizione dopo le ferie della segretaria Schlein alle feste dell’Unità di Abbadia San Salvatore e a Campiglia Marittima – si aspettavano, forse, un momento tipo De Gasperi alla Conferenza di pace di Parigi (“Prendo la parola in questo consesso e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa ritenere un imputato, l’essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione”).
Non è stato così: non eravamo al Palais de Luxembourg e Renzi ha fatto Renzi, sempre all’attacco e mai di rimessa, guascone e autocritico quanto basta (cioè: zero). Ma allora come si spiega tutto questo? La sfiducia verso un politico in grado di far saltare premier, alleanze e patti come tappi di lambrusco viene comunque dopo la voglia di Fronte popolare anti Meloni? Esiste un’eterogenesi dei fini? Siamo già ai purchessia e nonostante?
Sono domande che restano dopo una serata vissuta con una certa apprensione dallo stato maggiore di Italia viva, questo va detto.
Bastava osservarli. Prima che Renzi si presentasse alla festa sono spuntate le sue truppe in modalità bonificatori del territorio: il deputato ed ex tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, il consigliere regionale del Lazio e già numero due del Pd di Roma nonché ex parlamentare Luciano Nobili, il dirigente romano di Iv Marco Cappa, e Mattia Peradotto, direttore generale dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) presente forse quindi per lavoro e già segretario particolare della ministra Elena Bonetti (ora con Carlo Calenda). Tutti arrivati prima, con due auto civetta, per annusare l’aria e salutare Lucia Annibali, pesarese, ex deputata, presente anch’ella.
“Tutto tranquillo, capo. Negli stand si raccolgono firme sul referendum contro l’autonomia e per la legge sul salario minimo. Passo”. “Ok, arrivo. Passo”. Nessun problema, anzi. Anche un buon numero di selfie (ne abbiamo contati dodici). Ritorno sereno, non nell’accezione renziana, filato via liscissimo.E così sarà con le dichiarazioni dell’amico ritrovato, o ospite gradito, prima delle 20 per i tg più importanti dietro lo stand del Pd. “Sembra di essere tornati indietro nel tempo”, dice Nobili.
Sbrigato il rito le telecamere, e prima dell’intervista sul palco, la compagnia delle opere renziane con Ricci e Merlino andrà a fare l’aperitivo in uno stabilimento balneare, quello dei Gemelli, intorno a una vecchia barca spiaggiata. Bollicine per l’ospite e Spritz a nastro per gli altri. Lunga tavolata queer con il figliol prodigo al centro. “Vieni qua seduta vicino a me, così ti rovino la carriera”, dirà Renzi alla trentenne Chantal Bomprezzi, segretaria regionale del Pd, mozione Bonaccini, ma ora a capo del partito con un vice tendenza Elly. “E’ una bella iniziativa, è il senso della nostra festa: allargare e discutere. Non a caso ci saranno anche Landini, D’Alema ed Elly, ovviamente, in chiusura domenica”.
All’aperitivo si aggiunge, ormai al tramonto, anche Claudio Mancini, deputato romano del Pd, regista delle scelte di Roberto Gualtieri ma anche animatore di “Rete democratica”, nuova corrente del Pd per gli amanti del genere, che conta anche teste pensanti come Goffredo Bettini e pezzi da novanta à la Andrea Orlando. E poi: Arturo Scotto, Gualtieri e di sicuro Ricci, soprannominato “il pupillo”. E’ un’operazione romana, questa. Com’era chiaro. Un pezzo di Pd vuole costruire e dialogare con una gamba centrista e liberal con Renzi, ma magari anche con Calenda e, obiettivo, Beppe Sala, sindaco smart di Milano e finora grande mistero della politica italiana: gli piace, ha i numeri per farla, pensa solo a un bosco largo verticale?
Prima del palco Mancini era curioso e forse un po’ preoccupato. Anche lui la mattina seguente sarà “colpito” dall’accoglienza, segno che l’esperimento è andato più che bene. C’è ancora una connessione sentimentale fra l’ex leader e la sua ex base al grido “ricacciamo il melonismo dentro Colle Oppio?”. E’ davvero così o siamo davanti a quelle partite del calcio agostano che fanno sognare le curve prima di iniziare di nuovo a giocare per la lotta salvezza? “E’ l’inizio di un percorso: in autunno faremo nuove iniziative”, dicono Ricci e Mancini.
Due tipi da spiaggia incontrati il giorno dopo sul lungomare, fuori da un ristorante a pranzo: in infradito di gomma l’europarlamentare, e con le Birkenstock, ceto medio riflessivo, il parlamentare romano. “Adesso lavoreremo per far parlare, grazie anche a Bettini, Renzi e Conte”, dice ancora Mancini, a cui vanno sentiti auguri. Ricci a questo proposito dice che se si indebolisce Conte, poi torna Grillo o peggio Alessandro Di Battista e addio tentativo di alleanza larga.
Alcune cose potrebbero accadere per scrollare ancora di più l’albero del campo largo. E da qui uno scenario molto interessante su cui si sta lavorando e che il Foglio è in grado di anticipare: se il centrosinistra vuole un pegno d’amore da Renzi potrebbe arrivare a Genova dove Iv ha due consiglieri in maggioranza ed esprime un assessore.
Si studia un’uscita dalla giunta e dalla maggioranza che sostiene il sindaco Marco Bucci. In compenso si ragiona in un ingresso nella coalizione e forse giunta di Gualtieri, appoggiato da Iv (ma anche da Azione) in Aula Giulio Cesare su un argomento fatale e qualificante per la capitale come la costruzione del termovalorizzatore inviso alla sinistra-sinistra (oltre che al M5s di Virginia Raggi che sta all’opposizione).
(da il Foglio)

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AEROPORTO DI FIUMICINO, TASSISTA RIFIUTA UNA CORSA A UNA COPPIA DI NON VEDENTI: “IN AUTO NON PUO’ SALIRE IL CANE GUIDA”

Agosto 30th, 2024 Riccardo Fucile

INTERVIENE LA POLIZIA, MULTA DI 2.700 PER L’AUTISTA

Truffe a turisti stranieri ma non solo. I tassisti in servizio all’aeroporto di Fiumicino continuano ad essere protagonisti della cronaca romana, per comportamenti decisamente poco ortodossi.
Dopo il caso della conducente di un’auto bianca che ha triplicato la tariffa (fissa) prevista per una corsa dall’aeroporto di Fiumicino al Colosseo, a far parlare di sé è un collega che mercoledì sera ha negato una corsa a due persone non vedenti dallo scalo Leonardo Da Vinci. L’uomo è stato fermato intorno alle 21.30 da una pattuglia della polizia di Roma Capitale e sanzionato: dovrà pagare circa 2700 euro.
L’intervento
L’alt del conducente alla coppia, formata da una donna di 47 anni e un uomo di 39 anni, in evidente difficoltà e con la necessità di un taxi per poter tornare a casa sarebbe scattato per via del loro cane guida. Gli agenti della polizia locale, con il personale di AdR, hanno aiutato la coppia a trovare un altro taxi che li ha accompagnati a destinazione. Dell’accaduto è stata inviata segnalazione al Dipartimento Mobilità Sostenibile e Trasporti di Roma Capitale che si occuperà di ulteriori provvedimenti amministrativi a carico del tassista sanzionato.
Le nuove licenze
Intanto a breve verranno rilasciate mille nuove licenze per taxi a Roma: si tratta di una misura studiata dai tecnici capitolini in confronto con i sindacati di categoria per coprire il fabbisogno della città e far scomparire le interminabili code per le auto bianche che in stazioni come Termini sono diventate la normalità.
Il 2 settembre il bando per le nuove licenze sarà pubblicato sul sito del Comune e su quello di Formez PA, l’ufficio della presidenza del Consiglio che si occupa di concorsi pubblici. L’obiettivo è di mettere in circolazione sulle strade tutte le nuove auto bianche entro inizio febbraio. La licenza i tassisti dovranno versare 73mila euro, 58mila i 200 che si candidano al servizio di trasporto di passeggeri con mobilità ridotta
(da Il Corriere della Sera)

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NUOVI SONDAGGI USA: KAMALA HARRIS SUPERA TRUMP NEGLI STATI CHIAVE E HA SPERANZE ANCHE AL SUD

Agosto 30th, 2024 Riccardo Fucile

ALLA BASE DELLA RIMONTA IL PROGRAMMA ECONOMICO… LO STAFF DI TRUMP SUI SONDAGGI: “SONO ATROCI”

Secondo le ultime misurazioni continua la «luna di miele» di Kamala Harris con gli elettori, e Trump perde quasi tutto il suo vantaggio. Ingrediente base della rimonta: il programma economico
Secondo molti analisti erano dati per persi quando il candidato democratico era Joe Biden; oggi, con Kamala Harris, i sette Stati in bilico sono di nuovo contesi tra i due candidati con margini serrati. E anche negli Stati del Sud la vicepresidente uscente può giocarsela. Lo dicono alcuni sondaggi pubblicati nelle ultime ore, a poco più di due mesi dalle elezioni.
I sette stati chiave e il sorpasso
È di ieri un sondaggio di Emerson College, per la testata online The Hill, che rileva che: Harris ha superato Trump in Georgia (49% contro 48%), Michigan (50% contro 47%) e Nevada (49% contro 48%).
Trump resta leggermente in vantaggio in Arizona (50% contro 47%), Carolina del Nord (49% contro 48%) e Wisconsin (49% contro 48%).
In Pennsylvania, i due sono in parità al 48% ciascuno.
Margini molto bassi, che gli analisti concordano di considerare – al netto della variabilità dei sondaggi nel tempo – in sostanziale parità.
Gli Stati della «Sun Belt» nel Sud
Anche in quattro stati della cosiddetta «Sun Belt» in cui Joe Biden era in difficoltà poco prima di abbandonare la corsa, secondo un sondaggio di Fox News di mercoledì, la sua vicepresidente ha un leggero vantaggio.
Si tratta ancora della Georgia e del Nevada, dell’Arizona (+1 per cento su Trump) e della Carolina del Nord (ancora + 1 per cento). Nella «Sun Belt», fascia di Stati meridionali, Trump era in vantaggio su Joe Biden anche del 5-6%
Dallo staff di Trump arriva un commento solo: sondaggi «atroci».
La rimonta di Harris, secondo la statistica, è guidata da un ampio margine, il 79%, tra gli elettori neri, un gruppo demografico chiave in cui il sostegno a Biden si è eroso dal 2020.
(da agenzie)

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RONDE NOTTURNE A TORINO, INDAGATI TRE ESTREMISTI DI DESTRA

Agosto 30th, 2024 Riccardo Fucile

ACCUSATI DI USURPAZIONE DI FUNZIONI PUBBLICHE, PERQUISIVANO PRESUNTI SPACCIATORI PER POI FARSI BELLI SUI SOCIAL… UNO E’ STATO CANDIDATO DELLA LEGA A SETTIMO TORINESE (CON 14 VOTI)

Avevano fermato presunti spacciatori durante una ronda notturna e li avevano allontanati dopo una perquisizione improvvisata postando poi il filmato dell’operazione sui profili social.
Tre militanti di estrema destra sono stati indagati per usurpazione di funzioni pubbliche per «aver effettuato ronde in quartieri periferici al fine di allontanare soggetti asseritamente dediti allo spaccio, pubblicizzandole sul web».
Questa mattina, alla vigilia di una nuova ronda in programma domani, sono scattate le perquisizioni nei loro confronti, eseguite dagli investigatori della Digos su delega della Procura.
Gli agenti hanno sequestrato l’abbigliamento utilizzato dagli indagati nel corso delle azioni illecite, un tirapugni, una pistola a salve con relativo munizionamento, una placca con porta-placca simile a quello in uso alle forze di polizia e diversi dispositivi informatici, che verranno successivamente analizzati.
Gli indagati
Il più giovane dei tre indagati ha 38 anni, quello più “anziano” ne ha 55 e abitano tutti in provincia di Torino, a Settimo Torinese, Alpignano e Leinì. Fra loro c’è anche Franco Masciandaro, per tutti Frank Mascia, 42enne di Settimo, commerciante di frutta e verdura nell’azienda agricola di famiglia.
L’avventura elettorale
Pugile dilettante di buon livello, tiktoker molto seguito negli ambienti di destra, ha tentato l’avventura politica durante le scorse elezioni comunali di Settimo, candidandosi nella lista della Lega (senza essere però tesserato), ma ha raccolto solo 14 voti e non è stato eletto in Consiglio. Dopo un suo video in cui faceva il saluto fascista e diceva «Il saluto romano lo facciamo e della legge Scelba ce ne freghiamo», il Carroccio ha preso le distanze, ma Mascia non si è perso d’animo ed è tornato a organizzare ronde serali nelle zone «difficili» di Torino, come aveva già fatto nel 2023 con gli «Angeli del Bene».
Ha sempre detto di non essere un fascista: «Sono un patriota – ha spiegato in un’intervista al Corriere – che difende i valori della nostra tradizione». Ma lo scorso 29 luglio, un’ora dopo la conclusione della camminata contro il degrado a parco Sempione, organizzata proprio da Mascia, una decina di «teste rasate» hanno aggredito un gruppo di pusher con manganelli e spray al peperoncino. Un ragazzo è finito in ospedale: «Non c’entriamo nulla – si è difeso il tiktoker– Non so chi possa essere stato».
Le clip su Tik Tok
Sono cominciate le indagini della Digos e nel mirino degli investigatori sono finiti i tanti video postati da Mascia su Tik Tok. Compreso quello che riprende la «perquisizione» in via Balbo, durante la quale Mascia e altri due uomini, tutti vestiti di nero, obbligano alcuni pusher a «svuotare tutto e non farsi più rivedere». E nel filmato si sente anche una voce che dice: «Adesso arriva una pattuglia».
(da Il Corriere della Sera)

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BEPPE SALA: “LO DICO DA SINDACO DI MILANO, L’AUTONOMIA E’ UN DANNO ANCHE PER IL NORD DEL PAESE”

Agosto 30th, 2024 Riccardo Fucile

LA LETTERA DEL PRIMO CITTADINO AL “CORRIERE”: “AUMENTA IL DIVARIO TRA REGIONI, NON SONO STATE ASCOLTATE LE GRANDI CITTA'”

Gent.mo Direttore,
ha raggiunto il quorum di firme la proposta di referendum per abrogare la legge sull’Autonomia differenziata, elaborata dal ministro Calderoli e approvata dalla maggioranza lo scorso giugno. Vedremo il parere della Corte costituzionale, ma intanto va evidenziato che, nel giro di soli due mesi dall’approvazione della legge, già più di mezzo milione di italiane e italiani avanzano la richiesta di un referendum che si pone l’obiettivo di bocciare la riforma, a dimostrazione di quanto questo tema sia sentito in tutto il Paese. Il ministro Calderoli ha sostenuto qualche giorno fa che il referendum abrogativo spaccherebbe il Paese tra Nord e Sud. Un’affermazione paradossale, per due motivi: è questa profonda e squilibrata Autonomia che semmai aumenta il divario tra Regioni e aree dell’Italia; e non è né scontato né vero che il Nord del Paese approvi una riforma così sperequata, come invece spera il suo autore. Da sindaco di Milano, vorrei esprimere e motivare la mia contrarietà rispetto a questo disegno legislativo, che ritengo iniquo sotto più punti di vista.
Il tema
Ci tengo a sottolineare che la mia non è affatto una posizione ideologica, originata dal rifiuto preventivo di quanto viene proposto dagli avversari politici. E nemmeno ritengo che la Costituzione non si possa giovare delle riforme, anzi — purché siano riforme giuste ed equilibrate, capaci di fare il bene della collettività—. Ma, da amministratore di una metropoli come Milano, così come da persona con lunga esperienza nelle politiche private e pubbliche, mi sento di intervenire su un tema che giudico estremamente delicato e plausibilmente dannoso per l’Italia. Sono per vocazione e formazione molto legato alla concretezza e propongo quindi un’analisi tecnico-politica. I punti del mio ragionamento, dunque.
1. La costituzione delle Regioni risale al 1970. Sono passati più di cinquant’anni. Mezzo secolo è sufficiente per trarre un bilancio della loro storia. È una storia di successo? Non ne sono per niente certo. Si tratta di istituzioni che, soprattutto, non sempre sono state in grado di affievolire i divari in termini di qualità della vita, innalzando piuttosto criticità note a tutti nei settori che riguardano economia, lavoro, trasporti, sanità, welfare. Ora si pensa a un potenziamento del decentramento. Saranno in grado le Regioni di garantire un percorso di miglioramento nell’erogazione dei servizi ai cittadini in mancanza di un prerequisito fondamentale per poterlo fare e cioè le risorse economiche?
I tempi
2. In ogni caso, c’è da chiedersi come si possa immaginare una riforma delle autonomie senza avere consultato o ascoltato la voce delle grandi città, che sono il principale traino dell’economia e della giustizia sociale del Paese. In tutto il mondo va affermandosi la centralità delle città metropolitane, per capacità di vedere il futuro e di programmarlo. Una riforma dell’autonomia e del decentramento che aumenta il divario non solo tra regione e regione, ma tra regioni e grandi città, nasce già cariata. Della riforma del Testo unico delle autonomie locali (Comuni, Città metropolitane, Province), nel frattempo, nessuno parla.
3. La legge sull’Autonomia differenziata è tecnicamente un processo che, per svilupparsi secondo i disegni dei suoi promotori, prenderà molto, molto tempo. Ora, per giungere ad attuazione ed evoluzione, bisogna intervenire da principio con una pianificazione di lungo periodo che sia all’altezza dell’arduo compito. Chiunque segua la politica ha imparato in questi mesi il senso della sigla Lep: sono i Livelli essenziali delle prestazioni che vengono erogate. Ovvero i requisiti minimi di servizio necessari ad assicurare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, in modo da garantire uguaglianza sui diritti sociali e civili, come la Costituzione sancisce. Poiché sulla misura, la forma e la mappatura dei Lep siamo ancora in alto mare, viene proposto di partire con le materie che non richiedono Lep. Non va bene. Non si parte sulla base di un «partiamo e poi si vedrà». (Per chi non ne fosse informato, il governo si è preso due anni per definire questi benedetti Lep. A partire da lì si procederà alla definizione — e soprattutto alla ricerca — dei fondi necessari).
Le risorse
4. E torniamo quindi sul punto fondamentale: siamo ancora in attesa che qualcuno spieghi agli italiani quali e quante risorse economiche servono, nella cruda realtà, affinché questi ineludibili livelli essenziali siano garantiti. Dobbiamo essere onesti: non è pensabile che si tratti di una riforma a costo zero. Per i Lep che richiedono copertura e finanziamento, si possono impegnare risorse solo nei limiti permessi dai ben noti vincoli di finanza pubblica e ciò deve peraltro venire assicurato a tutte le Regioni e non solo a quelle che fanno richiesta di maggiori competenze. Senza queste coperture, le funzioni rimangono prerogativa statale, non regionale. E questa disposizione la dobbiamo a un emendamento presentato da FdI: nemmeno la maggioranza era o rimane compatta di fronte al rischio che i cittadini perdano uguaglianza nei diritti. Quindi, di quali risorse economiche parliamo? Certamente di miliardi. (Nota a margine. Mentre scrivo queste righe leggo che il governo, ragionando di Finanziaria 2025, ipotizza misure per favorire uscite in pensione anticipata, estensione della flat tax, sgravi al ceto medio, pensioni minime più elevate. E poi verranno i Lep. Hanno trovato la pianta dei soldi?).
Le materie
5. Torno su un tema che ho pubblicamente già affrontato. Forse non a tutti è chiara l’ampiezza delle materie che le Regioni possono chiedere di gestire in proprio. Si va dall’istruzione alla salute pubblica, dall’ambiente a competenze fiscali. E l’energia. Ora, immaginiamo venti Regioni che vanno a trattare all’estero dai fornitori di energia, per strappare un prezzo inferiore a quello che riesce a ottenere uno Stato. Pura fantasia. E voglio essere estremo nel ragionamento (non provocatorio, estremo): a mio giudizio le politiche energetiche del futuro dovranno necessariamente essere continentali più che nazionali, e qui si pensa invece di regionalizzarle!
Il Paese
6. A riprova che la mia non è una posizione ideologica, bensì pratica, riconosco volentieri che nel dibattito iniziale non mi sono espresso aprioristicamente contro l’Autonomia. Ma in quel momento, le materie toccate dal ddl Calderoli non erano affatto quelle che poi si sono rivelate nella pratica. Come ha ricordato l’ex presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ora europarlamentare, «si è stati favorevoli a un allargamento del decentramento che riguardasse solo alcune delle 23 materie potenzialmente previste e con lo scopo fondamentale di sburocratizzare e dare risposte efficaci e rapide ai cittadini» (oltre al fatto che prima di procedere si riteneva indispensabile che fossero garantiti e stabiliti i Lep in tutto il territorio nazionale e che fosse assicurato il coinvolgimento del Parlamento). Per tutti questi motivi, e poiché stiamo parlando di un danno che evidentemente non riguarda solo il Sud, ma tutta l’Italia, Nord compreso, da Milano dico no alla legge sull’Autonomia differenziata. E dico però, anche, lavoriamoci assieme affinché il Paese possa individuare la via più giusta per garantire un’uguaglianza vera e concreta a tutte e tutti.
Giuseppe Sala
(da il Corriere della Sera)

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“LAVORO DA 20 ANNI IN CUCINA, PER 13 ORE AL GIORNO E SPESSO SENZA RIPOSO PER 800 EURO AL MESE”

Agosto 30th, 2024 Riccardo Fucile

L’ITALIA DEGLI SFRUTTATORI: “SE NON ACCONSENTI NON MANGI, VORREI SOLO UN LAVORO CHE RISPETTASSE LA MIA DIGNITA'”

Ho 36 anni e lavoro da quando ne avevo 17. Ho frequentato l’alberghiero con un corso di formazione obbligatoria di 2 anni. Il mio primo posto di lavoro assicurato è stato a 18 anni, dove svolgevo il compito di aiuto cuoco. Lavoravo dalle 14/16 ore al giorno, 6 giorni su 7, per una paga di 200 euro a settimana. Il titolare, nonché capo cuoco, ha abusato di me sia sul posto di lavoro che fuori, proponendomi del lavoro al di fuori dell’azienda di famiglia e con ingenuità ho accettato. Ho continuato a lavorare lì nonostante mia madre sapesse.
Per la mole di lavoro una sera mi addormentai sul motorino e faci un incidente, dove colpii violentemente la testa sull’asfalto e fui ricoverata in ospedale. Avevo problemi ad abbassare la testa e a tenerla chinata, ma nonostante questo fui spinta sempre da mia madre a continuare a lavorare, portandomi anche allo svenimento mentre lavoravo. Decisi di lasciare dopo un mese ma non fu facile.
Di lì il mondo del lavoro si è aperto e non è mai più cambiato. Ho operato in questo settore su molti fronti, come cameriera, come barista, commessa al banco gastronomico, pasticceria, forno, ma soprattutto in cucina, che è il mio settore. Ma nessuno, e dico nessuno, in 19 anni mi ha fatto un contratto regolare, con ferie e contributi versati. Su 19 anni avrò di contributi 5 anni e sinceramente me ne vergogno.
Vivo da sola dall’età di 17 anni e sopravvivo con fatica e umiliazione. Sono sola, dalla famiglia non ho aiuti e nonostante tutto ho sempre cercato di essere regolare con le tasse ma è difficile. Vorrei riuscire a pagare i miei insoluti ma con una busta paga di 800 euro al mese non mi vengono detratti dallo stipendio le rate per pagare. Ovviamente, non ho mai potuto prendere un piccolo finanziamento, neanche di 2000 euro, perché pagando affitto e il resto le banche ti chiudono le porte. Ogni datore di lavoro ti propone dai 1300 euro ai 1600 euro al mese ma la busta è sempre di 800€/900€ con le ore ovviamente dimezzate. Per questo mi ritrovo così pochi contributi.
In questo settore lavori 12/13 ore al giorno e durante i periodi buoni pretendono anche che tu non abbia giorni di festa. Sennò non lavori, e se non acconsenti non mangi. Se provi a fare una vertenza vieni etichettata e le aziende vicine ti chiudono le porte perché pretendi dei diritti. Nella mia zona, soprattutto le aziende di ristorazione si aiutano a vicenda passandosi la voce su chi ha fatto vertenza, sui controlli della finanza ecc. Proteggendosi a vicenda. Basta una telefonata e se sei fuori. E soprattutto voglio dire che non solo bisogna stare zitti e lavorare senza pretendere diritti contrattuali ma si subisce molestie, mobbing e discriminazioni da parte dei datori. Per lo meno per me è sempre stato così.
Nel mio curriculum ci sono molti posti di lavoro che ho frequentato e tanti si chiedono il perché. Il motivo è che cerco un lavoro dove io possa avere una dignità come persona. Dove io possa crescere nel mio settore, lavorativamente parlando e soprattutto economicamente. Ci vogliono più controlli a tappeto e più serietà da chi la pretende. La zona di cui parlo è la Toscana, zona Montecatini terme – Pistoia. Ci tengo a precisare che il nostro governo non ci aiuta, anzi aiuta chi ha un’azienda allo sfruttamento e porta noi poveri stolti a sopravvivere senza diritti, senza considerarsi persone ma animali.
(da Fanpage)

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