Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile
CINQUE ANNI FA, A UN EVENTO, LO VOI STRINGEVA LA MANO A UN SORRIDENTISSIMO MATTEO SALVINI, CHE POI AVREBBE INDAGATO NEL CASO OPEN ARMS (FACENDO IL SUO DOVERE)
Di certo, tutto è Francesco Lo Voi tranne che una toga rossa. Alla Procura di Palermo prima e a quella di Roma poi è arrivato come peso massimo della corrente di destra dell’Anm, Magistratura indipendente, capace di aggregare i consensi di Area e Unicost. Eppure è riuscito ad entrare nel mirino della premier Giorgia Meloni che ieri lo ha sostanzialmente additato come un nemico del governo.
L’ormai famosa foto che a gennaio di cinque anni fa immortalò ad una cena organizzata a Roma dalla giornalista Annalisa Chirico la cordialissima stretta di mano tra l’allora procuratore di Palermo e Matteo Salvini, da pochi mesi suo indagato nell’inchiesta Open Arms, è finita nel dimenticatoio.
Per Giorgia Meloni, Francesco Lo Voi è «lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona». Parole che arrivano in un momento di già elevata tensione tra Palazzo Chigi e la Procura per l’indagine che ha portato l’Aisi, il Servizio di sicurezza interno, ad effettuare accessi alle banche date societarie e fiscali su Gaetano Caputi, capo di gabinetto di Giorgia Meloni.
Con una relazione firmata dal direttore dell’Aisi Valensise messa agli atti e finita negli atti a disposizione della difesa degli indagati di quell’inchiesta, quattro giornalisti de Il Domani, autori di un’inchiesta su Caputi.
E ora quello che Giorgia Meloni ha evidentemente scambiato come un atto di ostilità nei suoi confronti e che erroneamente rende pubblico come avviso di garanzia ma che invece è una comunicazione di iscrizione della premier, del suo sottosegretario Mantovano e dei ministri Nordio e Piantedosi nel registro degli indagati con conseguente ( e immediato) passaggio degli atti al tribunale dei ministri.
Un cosiddetto atto dovuto che Lo Voi firma concludendo con un “Porgo distinti ossequi”. Tirandosi comunque addosso una valanga di accuse di esponenti del centrodestra ( e non solo) per un «uso politico della giustizia».
Feroci ( e ironiche) poi le critiche per l’esito del processo a Matteo Salvini di cui ( erroneamente) Lo Voi è considerato la mente. In pochi ricordano infatti che ad iscrivere l’allora già ex ministro dell’Interno sul registro degli indagati a novembre 2019 con l’ipotesi di reato di sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio nei confronti dei migranti bloccati da settimane a bordo della Open Arms non fu Francesco Lo Voi, ma Luigi Patronaggio, allora procuratore di Agrigento.
A quel punto, la procedura impose il passaggio degli atti alla Procura distrettuale competente, quella di Palermo. E Lo Voi si ritrovò sul tavolo il fascicolo con iscritti i nomi di Salvini e del suo allora capo di gabinetto Matteo Piantedosi. Lo Voi chiese al tribunale dei ministri di procedere. Il dibattimento, finito solo a dicembre scorso, si conclude per ora con l’assoluzione di Salvini in primo grado: così Lo Voi, nel frattempo diventato procuratore di Roma, per la destra si è trasformato in un nemico,
(da La Repubblica)
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Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile
“DA PREMIER HO RICEVUTO MOLTI AVVISI DI GARANZIA, NON SONO MAI ANDATO IN TV A LAMENTARMI, MI SONO DIFESO NELLE SEDI OPPORTUNE”
“Sapete voi da presidente del Consiglio quanti avvisi di garanzia ho ricevuto?
Un’infinità. Sapete quante volte sono stato denunciato? Sapete quante volte mi sono dovuto occupare nei ritagli di tempo durante il periodo Covid? Lavoravo di giorno e di notte, per cercare di confezionare misure e di inventarci una rivoluzione per far andare avanti il Paese, per proteggere il Paese, assicurare la tenuta economica e sociale e nelle stesso tempo mi sono dovuto difendere. Mi avete sentito qualche volta andare e fare un video in cui denunciavo la magistratura per questo attacco proditorio, dicendo che non sono ricattabile e che non mi lascio intimidire dagli attacchi della magistratura? Mai”. Lo ha detto il presidente del M5S, Giuseppe Conte, durante una diretta social.
“Eppure questa cosa è stata molto pesante, perché le denunce sono state tantissime. Lei vuole alludere che si tratta di denunce politiche, che è la politica che viene attaccata sul piano politico. A me sul piano politico mi ha attaccato Fratelli d’Itali. Oggi la vicepresidente della Regione di Lazio di FdI è quella che mi fece un esposto mettendo vigliaccamente in mezzo la mia compagna, diffondendo una fake news, che la mia compagna aveva usato la macchina di servizio a mia disposizione: cosa falsa. E sapete Meloni che cosa ha fatto in quel caso? Mi ha attaccato in modo violento e aggressivo, che non dovevo difendermi pubblicamente e che dovevo andare a parlarne nelle sedi opportune. Cosa che ho sempre fatto. L’ho fatto con dignità, senza frignare”, ha aggiunto.
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile
LA ANGELILLI (FDI) PRESENTO’ UN ESPOSTO INFONDATO SULL’USO DELLA SCORTA E LA MELONI ATTACCO’ IN MODO VIOLENTO CONTE
Evidentemente ci sono denunce e denunce, inchieste e inchieste, se Giorgia Meloni e tutto il centrodestra intravedono un attacco della magistratura dietro l’iscrizione nel registro degli indagati della stessa presidente del Consiglio, dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano.
Nonostante si tratti di un atto dovuto che segue l’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti sulla vicenda del mancato arresto e rimpatrio con un volo di Stato di Osama Almasri.
Esistono quindi denunce e denunce, inchieste e inchieste, visto che quattro anni e qualche mese fa, nella stessa identica situazione si trovò un altro presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
L’allora premier venne indagato dalla procura di Roma per peculato (uno dei due reati oggi contestato alla premier e agli altri) e gli atti vennero trasferiti al Tribunale dei ministri in seguito a un esposto. E chi fu a presentarlo? Una esponente, non di secondo piano, di Fratelli d’Italia. La firma era quella di Roberta Angelilli, all’epoca componente dell’Esecutivo nazionale del partito e oggi vice-presidente della Regione Lazio.
Fu lei, nell’autunno, a chiedere alla procura di Roma – come oggi ha fatto Li Gotti – di valutare la posizione di Conte per un episodio accaduto il 26 ottobre precedente: l’intervento della scorta del premier per fare uscire da un supermercato Olivia Palladino, compagna del presidente del Consiglio, vista la presenza all’esterno di un inviato della trasmissione le Iene.
Anche all’epoca i magistrati – come ha fatto il procuratore Francesco Lo Voi – iscrissero Conte nel registro degli indagati e trasmisero gli atti al Tribunale dei ministri. Il pubblico ministero Carlo Villani ascoltò anche l’inviato della trasmissione, Filippo Roma, come persona informata sui fatti.
Conte parlò della vicenda solo il 3 dicembre durante una conferenza stampa, rispondendo a una domanda di un giornalista: “Un esponente di Fdi mi accusa per un uso improprio della scorta, è completamente falso – disse – la mia compagna non ha preso l’auto di scorta, non ho mandato la scorta, la scorta era lì per me, era in attesa che scendessi. L’uomo della scorta è intervenuto perché ha visto concitazione e trambusto”.
Il 30 marzo 2021, il Tribunale dei ministri archiviò il procedimento nato dalla denuncia di Fratelli d’Italia. Nessuno strepitio, nessun attacco della magistratura, nessun complotto. Un atto dovuto, poi l’inchiesta e, in quel caso, l’archiviazione.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile
LA RIUNIONE DELLO STAFF PER LE RIPRESE SUI SOCIAL E L’IMPUT AI MEDIA ASSERVITI AL GOVERNO
Succede attorno alle 13.30, secondo la ricostruzione del cerchio magico meloniano.
L’ufficiale di polizia giudiziaria della procura di Roma varca il portone di Palazzo Chigi per recapitare l’avviso a Giorgia Meloni. In quel momento la premier non c’è. Bastano però pochissimi minuti perché il lampo diventi tuono. I plichi consegnati nella sede dell’esecutivo sono due: anche Alfredo Mantovano conosce il suo destino di indagato. Contatta subito la presidente del Consiglio: c’è una lettera sulla sua scrivania. Non è difficile immaginare di cosa si tratti.
La mattina, d’altra parte, non prometteva nulla di buono. Meloni è costretta a leggere l’intervista a Daniela Santanchè, una sfida aperta al suo potere decisionale. Nulla, rispetto a quello che la aspetta.
Alle 11, si presenta al Quirinale per celebrare il Giorno della memoria. Ascolta Liliana Segre e Sergio Mattarella, il ricordo struggente dei sopravvissuti dell’Olocausto. Meloni è seduta tra Matteo Piantedosi (un altro degli indagati nel caso Almasri) e Ignazio La Russa. Non è escluso che l’indiscrezione inizi a circolare in qualche modo, ma comunque: nulla di ufficiale. Qualche minuto prima delle 11 anche Mantovano si allontana da Palazzo Chigi: è in una chiesa romana per partecipare al funerale della madre del segretario generale della Presidenza del Consiglio, Carlo Deodato.
Attorno alle 12.40, Meloni lascia il Colle. La incrociano alcuni cronisti. Fa capire di non avere voglia di parlare e concede solo due brevi battute sulla Shoah. Sulla carta, ancora non sa dell’indagine. Pranza fuori da Palazzo Chigi. Mantovano, intanto, è rientrato. Tocca a lui, dunque, riceve la notizia dell’indagine che lo riguarda e contattare la leader, che fa rientro a palazzo poco dopo. Nel suo ufficio, prende visione dell’atto. La tensione è evidente.
Nel frattempo, attorno alle 14.30, anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio riceve l’avviso e si chiude in ufficio con i suoi collaboratori. Anche al Csm la notizia inizia a circolare. L’agitazione è massima. Meloni, intanto, riunisce d’urgenza lo staff. È un gabinetto di guerra. A premere per lo scontro è Giovanbattista Fazzolari. Al termine, la leader comunica come intende reagire: attaccando. In pochi minuti viene abbozzato un testo. È il copione da recitare per un video che finirà prima sui social e poi su tutti i tg. La tesi, riferiscono dal cerchio magico, è questa: «Respingere l’attacco della magistratura, ribaltarne gli effetti». Tradotto: la presidente del Consiglio è convinta che convenga mostrarsi «vittima» di decisioni politicizzate per poter cavalcare lo scontro. E lucrare consensi.
Il messaggio è un avvertimento chiarissimo alle toghe. La tesi è che esistano alcune «correnti politicizzate» che non accettano la separazione delle carriere e reagiscono provando ad «abbattere il governo». Ribaltare quanto accaduto, allora, diventa anche un modo per mobilitare gli elettori — con slogan che ricordano quelli del berlusconismo — in vista del referendum costituzionale sulla riforma della giustizia.
Il bersaglio numero uno è Francesco Lo Voi. A lui, la premier imputa anche il fatto che la Procura di Roma da lui guidata abbia inserito nel fascicolo a disposizione dei quattro giornalisti indagati del Domani la notizia degli accertamenti dell’Aisi sul suo capo di gabinetto, Gaetano Caputi. Una circostanza riservata che, secondo fonti dell’esecutivo e dell’intelligence, doveva restare fuori dagli atti. Sarà dunque battaglia con i giudici. E se mai gli attacchi dovessero intensificarsi, non va esclusa neanche la reazione più drastica: un “grande reset” elettorale. Una minaccia ciclica, certo. Ma evocarla è già un segnale.
(da La Repubblica)
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Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL DEM MATTEO ORFINI SMONTA IL VIDEO IN CUI LA DUCETTA COMUNICA DI ESSERE STATA INDAGATA: “NON È VERO CHE IL GUARDASIGILLI NON ERA STATO INFORMATO (IL MINISTERO ERA STATO RIPETUTAMENTE SOLLECITATO). UNA COSA PERO’ E’ VERA: GIORGIA MELONI È RIUSCITA IN UN VIDEO DI APPENA 2 MINUTI E 16 SECONDI A DIRE UNA SERIE DI FALSITA’”
A proposito del video della Meloni di oggi:
1. Non è vero che Nordio non era stato informato (il ministero era stato ripetutamente sollecitato)
2. Non è vero che l’avvocato che ha fatto l’esposto è legato a Prodi e nemmeno che è di sinistra. Peraltro viene da una lunghissima militanza nel Msi e in An (come la Meloni) e poi nel partito di Di Pietro
3. Non è vero nemmeno che Meloni, Nordio, Piantedosi, Mantovano abbiano ricevuto un avviso di garanzia. Hanno ricevuto una comunicazione di iscrizione, che è una cosa diversa.
4. Non è vero che la comunicazione di iscrizione è una rappresaglia delle terribili toghe rosse per la riforma della giustizia. È un atto dovuto in caso di un esposto. Le carte poi vanno al tribunale dei ministri che deciderà se archiviare o no
5. Non è vero che la scelta di rimettere in libertà Almasri era inevitabile. Bastava appunto che Nordio rispondesse alle ripetute sollecitazioni e attivasse la procedura prevista in questo caso, invece di stare 3 giorni inerte a guardare il soffitto.
6. Non è nemmeno vero che una volta rilasciato convenisse all’Italia caricare Almasri su un volo di stato e riportarlo in Libia perché pericoloso. C’erano tantissime altre opzioni che avrebbero impedito di rimandarlo nell’unico luogo al mondo dove ha l’assoluta garanzia di immunità
7. Non so nemmeno se sia vero che la Meloni non è ricattabile. Perché tutta questa storia il sospetto che il governo sia sotto ricatto dei ras libici lo fa venire
8. Una cosa però è vera: Giorgia Meloni è riuscita in un video di appena 2 minuti e 16 secondi a dire tutte queste falsità.
Ci vuole una certa capacità, bisogna riconoscerlo.
Restiamo in attesa che venga prima o poi in Parlamento a spiegare per bene e nel dettaglio cosa hanno combinato
Matteo Orfini
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Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile
LA VOLONTA’ DI EVITARE DI RISPONDERE ALLE DOMANDE E IL TENTATIVO DI ADDOSSARE UN ATTO DOVUTO AL SOLITO “GOMBLOTTO” DEI MAGISTRATI
Il video con cui Giorgia Meloni ha rivelato l’indagine a suo carico per favoreggiamento e
peculato è senza dubbio un’abile mossa propagandistica. Rientra nel canone inaugurato da Matteo Salvini con il processo per sequestro di persona, ma in fondo l’ispirazione vera è il Berlusconi d’antan, che aveva fatto del vittimismo giudiziario un’arte.
Non si parla più di cosa è successo, ma si attaccano i pubblici ministeri, poi si prova a screditare l’autore dell’esposto, fino a immaginare una grande cospirazione ai danni del governo italiano con al centro la Corte penale internazionale.
Per questo è necessario diradare la nebbia della propaganda e provare a dare un senso a una mossa politica che porta allo zenit lo scontro con la magistratura in un momento delicatissimo.
Meloni avrebbe infatti potuto affidarsi al Tribunale dei ministri per la valutazione di quello che sembra, a tutti gli effetti, un atto dovuto a fronte di un esposto. E serenamente rispettare il proprio ambito istituzionale. Se invece ha deciso di percorrere la strada opposta, quello dello scontro frontale con un altro potere dello Stato, è evidente che alla base c’è qualcos’altro.
L’uscita di ieri (martedì 28 gennaio) non può non essere messa in relazione con quanto avvenuto nei distretti giudiziari di tutta Italia sabato 25 gennaio, con la protesta delle toghe contro il progetto di riforma costituzionale del ministro Nordio.
Un’opposizione che ha unito tutte le varie sensibilità presenti nella magistratura, tutte le sigle, le correnti di destra, di sinistra e di centro. Una mobilitazione come non si vedeva da anni, confermata dalla rilevante affluenza (oltre l’ottanta per cento) alle urne per il rinnovo dell’Associazione nazionale magistrati.
Spiazzata da questo muro, lei che proviene da un partito di tradizione giustizialista e che ha sempre rivendicato di ispirarsi a Falcone e Borsellino, deve aver visto come una benedizione la comunicazione recapitatole dalla Procura di Roma. Quale miglior regalo per “buttarla in politica” e far apparire la notifica come l’ennesimo colpo di una magistratura politicizzata che vuole evitare la separazione delle carriere. Ma le cose stanno davvero così?
E qui veniamo al merito della questione, il rimpatrio di Almasri, che deve tornare in primo piano nonostante lo sforzo del governo sia quello di girare pagina il più velocemente possibile. Cosa chiede infatti l’avvocato Luigi Li Gotti (che non è un amico di Prodi e non è nemmeno di sinistra, anzi ha militato per trent’anni nel Msi-An) nel suo esposto?
Semplicemente quello che si chiedono tutti gli italiani di buon senso da giorni, gli italiani che non si bevono la versione raccontata dal ministro Piantedosi in Parlamento e ripetuta da Meloni.
Ovvero che il capo della milizia libica Rada, il generale Najem Osama Almasri, sia stato rimandato a Tripoli perché minacciava la sicurezza nazionale. La ricostruzione di quanto accaduto presenta tali “buchi” logici che è impossibile non vederci dietro altro.
Ripetiamo qui alcune delle domande rimaste senza risposta. Perché Almasri è stato in tutta fretta riportato in Libia da un aereo dei servizi segreti invece che arrestato di nuovo visto che rappresentava una minaccia?
Perché il ministero della Giustizia è rimasto inerte, costringendo i giudici a scarcerarlo, nonostante per due volte, prima dalla polizia giudiziaria e poi dalla stessa Corte, Nordio era stato coinvolto nel caso?
§Perché la pratica Almasri non è stata trasmessa per tempo a Roma dalla rappresentanza diplomatica che l’aveva ricevuta dalla Cpi?
Un’inerzia collosa, un muro di gomma troppo evidente per non sospettare una precisa volontà politica, motivata dalla ragion di Stato, che siano le forniture di gas dalla Libia o il blocco dei migranti (non a caso, nei giorni di detenzione di Almasri, gli sbarchi dalla Libia sono ripresi). Entrambe motivazioni configurabili, queste sì, come “ricatti” a cui Meloni si è piegata.
Così torniamo al punto. La volontà di evitare di rispondere in maniera precisa a queste domande, insieme al tentativo di contropiede rispetto alla protesta della magistratura, appaiono al momento le uniche ragionevoli spiegazioni al polverone sollevato dalla premier.
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile
LA MANCANZA DI SENSO DELLO STATO NELL’ERA SOVRANISTA
Alla fine, la macchina della propaganda torna sempre utile. E non si può certo negare che, all’occorrenza, il governo Meloni sia abilissimo a manovrarla. Così, mentre si scopre che a gennaio di quest’anno gli sbarchi sono più che raddoppiati, con un balzo del 135% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ecco che scatta l’operazione di distrazione di massa degna dell’Istituto Luce.
E invece di parlare dei 3.074 migranti approdati sulle nostre coste in meno di un mese, a tenere banco sono i 49 disperati imbarcati su una nave della Marina Militare per essere spediti in Albania.
Pazienza se, come peraltro già avvenuto, un giudice dovesse stabilire che anche stavolta quei trasferimenti non si potevano fare. Il rischio è calcolato: sarebbe un altro assist alla propaganda del governo, con la grancassa dei media amici al seguito, per accusare la magistratura di remare contro la volontà popolare per il solo fatto di disapplicare norme in contrasto con la legislazione e la giurisprudenza europee.
Del resto i sondaggi continuano a sorridere alla premier Giorgia Meloni e a Fratelli d’Italia. Ma il consenso e l’uso che se ne fa non sempre viaggiano sullo stesso binario. La vicenda Almasri, il capo della polizia giudiziaria libica, arrestato in Italia su ordine della Corte penale internazionale dell’Aja per una serie agghiacciante di crimini contro l’umanità ma poi rilasciato e rispedito in Libia su un Falcon dei nostri Servizi, è emblematica.
La premier Meloni ha archiviato il caso addossandone la responsabilità alla Corte d’Appello di Roma che ne ha deciso la scarcerazione. Omettendo, però, un passaggio chiave della decisione dei magistrati. Quello sul “ministro interessato da questo Ufficio in data 20 gennaio u.s. immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito”. Un’inerzia che non ha lasciato ai giudici altra scelta se non quella di ordinare “l’immediata scarcerazione” di Almasri.
E ora che per quella vicenda la premier Meloni è stata indagata, insieme ai ministri Nordio, Piantedosi e al sottosegretario Mantovano, per favoreggiamento e peculato, riecco la propaganda: “Non sono ricattabile e non mi faccio intimidire”, ha tuonato la premier. Come se l’indagine, a seguito di una denuncia, non fosse un atto dovuto.
È il senso dello Stato nell’era sovranista: l’investitura popolare, peraltro opinabile in una Repubblica parlamentare, e il consenso prevalgono su tutto. Peccato non bastino per considerarsi al di sopra della legge. Almeno finché l’azione penale sarà obbligatoria, per il comune cittadino come per il capo del governo. Riforma sulla separazione delle carriere permettendo.
(da La Notizia)
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Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile
“DI FRONTE A UN MANDATO D’ARRESTO DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE NON SI PUO’ RIMANERE INERTI, POTREBBE AGGIUNGERSI ANCHE IL REATO DI OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO”
È stato l’avvocato Luigi Li Gotti a presentare in procura a Roma la denuncia da cui è
nato il procedimento che vede indagata la premier Giorgia Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano.
«Come cittadino – dice contattato da La Stampa – mi sono sentito ingannato. L’inerzia e il silenzio del ministro era programmata. E lo dimostra il Falcon dei servizi già pronto prima che si decidesse la scarcerazione».
«Non mi andava di essere preso in giro – ha sottolineato al Tg1 –, ritenevo un fatto gravissimo che venisse scarcerato uno che secondo l’accusa è un boia». La denuncia è stata presentata due giorni dopo la scarcerazione del comandante della polizia giudiziaria libica Almasri, il 23 gennaio scorso.
Cosa dice la denuncia di Li Gotti
L’avvocato Li Gotti, nella sua denuncia, ha ipotizzato il favoreggiamento (nel 2022, nella norma è stato inserita come oggetto passivo del reato anche la Corte penale internazionale) e il peculato. «Potrebbe esserci anche l’omissione di atti d’ufficio – sottolinea –. Di fronte a un mandato d’arresto della Cpi non si può rimanere inerti. E in questo caso, oltre all’inerzia, è stato posto anche il silenzio».
«Io ho fatto una denuncia ipotizzando dei reati e ora come atto dovuto, non è certo un fatto anomalo, la Procura di Roma ha iscritto nel registro la premier e i ministri – spiega Li Gotti –. Ora la Procura dovrà fare le sue valutazioni e decidere come proseguire, se individuare altre fattispecie o inviare tutto al tribunale dei Ministri. Io mi sono limitato a presentare una denuncia».
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile
UN PENALISTA AFFERMATO CHE SI E’ FATTO LE OSSA NELLO STUDIO DI FRANESCO BARBUTO, SEGRETARIO PROVINCIALE DII CROTONE DEL MSI
Luigi Li Gotti è un “ex politico di sinistra”, dice Giorgia Meloni nel video in cui cita l’avvocato che ha presentato l’esposto che ha portato all’avviso di garanzia per peculato e favoreggiamento per il rimpatrio del comandante libico Almasri. La premier aggiunge che Li Gotti è “molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per avere difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi”.
Peccato però che Li Gotti può essere definito molte cose meno che di sinistra, anzi, l’avvocato ha cominciato a fare politica nel crotonese negli anni Sessanta proprio nel Msi – come la premier – partito del quale è diventato successivamente segretario di federazione e che ha rappresentato in Consiglio comunale dal 1972 al 1977.
Scriveva il Giornale nel 2007: Li Gotti “come avvocato ha debuttato nel grosso studio crotonese di Francesco Barbuto, federale del Msi. Il socio principale di Barbuto era uno dei 101 che, dopo lo sbarco in Sicilia del ’43, resistettero – per patriottismo e fedeltà a Mussolini – alle truppe Usa davanti allo stretto a Villa San Giovanni. Insomma, come si vede, Luigi, stava proprio nel cuore del neofascismo meridionale. Il suo leader in quegli anni era Franco Servello, calabrese pure lui, ma trapiantato a Milano”.
Comunque come la premier anche Li Gotti è passato ad Alleanza nazionale dopo la svolta di Fiuggi. Dalla creatura di Gianfranco Fini esce nel 1998 per passare poi nel 2022 in Italia dei valori di Antonio Di Pietro.
Li Gotti con Idv diventi sottosegretario alla Giustizia del Prodi II (2006) sotto il ministro Mastella. Nel 2008 terminata l’esperienza dell’Unione, l’avvocato crotonese ritorna in Senato sempre con Di Pietro e ci resta un’intera legislatura.
Per quanto riguarda la difesa dei pentiti di mafia, invece, poco da obiettare: da Buscetta a Contorno a Giovanni Brusca i suoi assistiti. Da aggiungere che ha rappresentato le parti civili nel processo per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, ha assistito le famiglie delle vittime della strage di piazza Fontana e quelle degli uomini della scorta di Aldo Moro trucidati dalle Br.
(da La Repubblica)
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