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“LA FRASE RICORRENTE DEL MIO PRIMARIO ERA: ‘’DOBBIAMO OPERARE PERCHÉ SENNÒ CI CHIUDONO” . “LE IENE” RACCOLGONO L’INCREDIBILE DENUNCIA DI FRANCESCO CARONIA, MEDICO DELL’OSPEDALE CIVICO DI PALERMO CHE HA REGISTRATO AUDIO IN REPARTO E PRESENTATO OTTO QUERELE PER DENUNCIARE I CASI DI MALASANITÀ

Maggio 7th, 2025 Riccardo Fucile

“HO ASSISTITO A FALSIFICAZIONI DI CARTELLE CLINICHE MIRATE ALL’OTTENIMENTO DI RIMBORSI SUPERIORI A QUELLI CHE DOVEVANO ESSERE PRESI DALLA REGIONE. HO VISTO OPERARE IN CASI NON STRETTAMENTE NECESSARI. HO ASSISTITO AL DECESSO DI PERSONE PERCHÉ OPERATE IN RITARDO E ALL’USCITA DI PAZIENTI MORTI REGISTRATI COME SE FOSSERO ANCORA VIVI”

Francesco Caronia è un dirigente medico chirurgo che ha deciso di rompere il silenzio. Per la prima volta in Italia, un medico ha scelto di denunciare pubblicamente ciò che – secondo le sue parole – accadeva ogni giorno nel reparto di chirurgia toracica dove lavorava presso l’ospedale Civico di Palermo, il più grande della Sicilia. Lo ha fatto in modo diretto, coraggioso e senza precedenti: registrando, documentando, raccogliendo prove di ciò che ha visto e sentito per anni e che normalmente è tenuto nascosto ai pazienti e ai loro familiari.
Nel servizio esclusivo di Gaetano Pecoraro e Marco Occhipinti – il primo di questa nuova inchiesta – in onda questa sera, in prima serata, su Italia1, il racconto shock di Caronia prende voce. Con lui, anche audio inediti, mai ascoltati prima, che se confermati racconterebbero una realtà difficile da ignorare.
Dopo aver provato inutilmente a far sentire la propria voce ai colleghi e ai vertici dell’ospedale, Caronia ha presentato diverse denunce alla Procura. Ma, secondo lui, tutto è rimasto fermo. È a quel punto che ha deciso di rivolgersi a “Le Iene”. Senza nascondersi, mettendoci la faccia, ha consegnato alla trasmissione molti casi che, a suo dire, rappresentano gravi episodi di malasanità. Ai microfoni dell’inviato il medico ha raccontato di aver registrato: “Tutto quello che potevo. Da luglio 2022 ho presentato otto querele. Nomi, cognomi e numero di cartelle cliniche. Tutto quello che potevo ho dato alla magistratura.”. Pecoraro gli chiede se, da quando ha cominciato a presentare queste querele, sia successo qualcosa. “Nulla. Assolutamente nulla.”, risponde Caronia.
Pecoraro: Ma allora com’è che ti è venuto in mente di fare una cosa che non ha precedenti nella sanità italiana
Caronia: L’alternativa qual era? Andare via? È una questione etica, di voler far
venire a galla la verità. Quello che mi dà più fastidio è che venga etichettato come il pazzo che rompe le scatole. Come se fossi io ‘lo sbagliato’, come se fossi il ‘cattivo’. Io penso che sia più cattivo uno che dice di voler aprire e chiudere un malato piuttosto che uno che si incavoli per il contrario.
Il dottor Caronia si riferisce a un’espressione brutale, stando a quanto dimostrerebbe in una delle registrazioni, che sarebbe stata pronunciata dal primario, il dottor Damiano Librizzi. Insieme ai due un terzo medico. L’espressione si riferirebbe alla necessità di aprire e chiudere, cioè operare, i malati, anche in casi non strettamente necessari, ma solo per l’esigenza di raggiungere gli obiettivi fissati dalla direzione dell’ospedale.
Questo l’estratto dell’audio:
Caronia: Poi una cosa, a proposito del discorso operare, non operare che il direttore generale ti ha richiamato.
Librizzi: No, ho capito. Guarda me ne sto fottendo quello che volevo fare faccio. Non è che mi può avvilire la vita per questa cosa.
Terzo medico del reparto: Siccome in un attimo di sclero capisco pure che, hai detto c’è il paziente, si devono operare a costo di aprire e chiudere.
Caronia: No, questo no. Ti prego.
Librizzi: Sì questo no, è una cosa che ho detto così.
Caronia: La cosa mi arriva da medici e infermieri, ti prego per favore non dire più questa frase apriamo e chiudiamo i malati.
Librizzi: Va bene, va bene.
Caronia: È una cosa di una tale gravità che rischi l’ergastolo per una cosa del genere.
Nel servizio, il discorso continua tra Pecoraro e Caronia:
Caronia: Onestamente mi sembrava giusto dissociarmi, per rispetto dei pazienti e dell’ospedale.
Pecoraro: Ma quali sono esattamente i fatti gravi che ti hanno spinto a denunciare?
Caronia: Ho assistito a scelte chirurgiche che hanno determinato il decesso di alcuni pazienti. Pazienti operati in ritardo che sono deceduti. Ci sono circa 277 casi segnalati di cartelle cliniche falsificate, di pazienti operati a mio avviso in maniera non corretta. Pazienti introdotti in sala operatoria solo per colmare delle sedute operatorie.Pecoraro: Da quello che tu hai visto ci sono persone che sono andate effettivamente sotto i ferri senza alcun motivo?
Caronia: Sì, e le ho rappresentate tutte alla Procura.
Questa, se fosse appurata, sarebbe una cosa gravissima, ma ci sarebbe anche dell’altro per non lasciare inutilizzata la sala operatoria. Circostanza che sarebbe confermata e aspramente criticata anche da un’infermiera che lavora in quel reparto:
Infermiera: È follia. Neanche per scherzo si devono dire certe cose. Né dire né pensare. Fortunatamente gli altri medici più giovani hanno fatto esperienza e adesso lo contrastano. Sono cose che raramente se ne sente parlare, sono cose che non dovrebbero esistere.
E sempre ragioni economiche, secondo il medico che ha denunciato i fatti, avrebbero comportato anche ulteriori anomalie.
Caronia: Ho assistito a falsificazioni di cartelle cliniche mirate all’ottenimento di rimborsi superiori a quelli, che effettivamente dovevano essere effettuati.
Questo perché ad ogni prestazione medica corrisponde un rimborso da parte della regione: più la prestazione è complessa e più sono le prestazioni erogate, maggiori sono i rimborsi percepiti dall’ospedale. Ma ci sarebbe dell’altro:
Caronia: L’uscita di pazienti deceduti come se fossero vivi, con la classica scritta uscita contro il parere dei sanitari.
Pecoraro: In che senso? Non ho capito.
Caronia: Nel senso che un paziente deceduto in ospedale viene fatto uscire dal reparto in barella, come se fosse vivo.
Pecoraro: E per quale motivo?
Caronia: Secondo alcuni medici, per evitare che il deceduto sosti per molte ore in ospedale che i parenti debbano stare lì, a vivere questo disagio nella camera mortuaria e di aspettare quelle ore prestabilite dalla legge perché possa andare via.
Pecoraro: Invece in questo caso se lo sono portato direttamente a casa…
Caronia: In qualsiasi minuto, senza nessun vincolo.
A sentirla così sembra qualcosa di incredibile, oltre che fuori dalle regole, ma esiste un audio in cui il primario in persona ammetterebbe di averlo fatto, anche lui.
Librizzi: France, in ospedale, succedono determinate cose, a me è capitato tante volte di mandare a casa una paziente che è morta, perché i familiari me lo chiedono, è una questione di disponibilità nei confronti dei pazienti, dei parenti, quello che vuoi tu…
Ma torniamo alla casistica denunciata, che sembra certamente la più grave:
Caronia: Scelte chirurgiche che hanno determinato il decesso di alcuni pazienti.
Caronia si riferisce ai decessi che, secondo chi denuncia, si sarebbero potuti evitare. Come nel caso di Nadia, 37 anni, che ha lasciato una figlia e un marito.
Caronia: Sì mi ricordo con grandissima tristezza perché questa era una giovane donna che era giunta nel nostro reparto per un tumore presente tra i due polmoni. Questo tumore aveva bisogno di una diagnosi veloce perché questa massa comprimeva la trachea e si è perso molto tempo nella diagnosi. È stata fatta una prima biopsia che è risultata negativa, poi è stata ricoverata nuovamente, ma ricordo assolutamente che ci fu una diatriba sulla gestione della paziente perché io non volevo assolutamente e l’ho detto davanti ai
colleghi, al mio primario, che non fosse addormentata e fosse fatta una biopsia in anestesia locale.
Pecoraro: Invece?
Caronia: Invece il primario voleva portarla in sala operatoria per fare questa biopsia.
Pecoraro: Per quale motivo tu non volevi addormentarla?
Caronia: Perché questo tipo di pazienti possono presentare delle complicanze legate al fatto appunto che una biopsia, un’incisione della massa effettuata in anestesia generale con intubazione può determinare delle complicanze respiratorie gravi.
Pecoraro: E lui invece, perché voleva operarla?
Caronia: Voleva portarla in sala operatoria. La mia idea è perché purtroppo non lo dico io, ma lo dice lui e lo dicono anche gli infermieri. Spesso vuole riempire le sedute operatorie con qualsiasi paziente gli capiti davanti.
Pecoraro: In che senso vuole riempire…?
Caronia: Ma guardi, la frase ricorrente nei corridoi, del mio primario, è quella appunto ‘’Dobbiamo operare perché sennò ci chiudono, dobbiamo trovare dei pazienti da operare”.
Quale sia stato il motivo che avrebbe portato a scegliere di operare in anestesia totale la donna che poi è morta, dovrà essere l’autorità giudiziaria a stabilirlo. Quella avanzata dal chirurgo è chiaramente solo una sua personale ipotesi, dopo un confronto avuto con il suo primario.
Pecoraro: Tornando alla nostra ragazza di 37 anni, era giovane, che speranze aveva di vita?
Caronia: Nella fattispecie la signora aveva un linfoma, una patologia curabile tra l’altro, una delle forme più tra virgolette benigne, sebbene fossimo nell’ambito della malignità, quindi, sicuramente aveva grandi possibilità di cura
Ma purtroppo dopo aver scelto di sottoporre la paziente ad un’operazione con anestesia totale, le cose sono andate diversamente.
Caronia: La paziente è stata trasferita in rianimazione e non si è più risvegliata è deceduta.
Pecoraro: Ma per quale motivo è stata mandata rianimazione?
Caronia: Beh perché non riuscivano più a sturbarla per complicanze respiratorie.
Pecoraro: Ma ci sono delle linee guida?
Caronia: Sì, sì.
Pecoraro: Oppure è un tuo approccio contro un altro approccio?
Caronia: No, sono delle linee guida.
Pecoraro: Questa ragazza era entrata con le sue gambe in ospedale.
Caronia: E, soprattutto, aveva delle grandi chance di guarigione. S’immagini a vivere nello stesso reparto con l’impotenza di non poter far nulla.
Pecoraro: Ma dopo hai discusso con il tuo capo?
Caronia: Sì sì certo, ne abbiamo parlato tante di quelle volte, in una riunione in particolare ho ricordato questo caso.
Pecoraro: Ce l’hai questo audio?
Caronia: Sì sì, c’è questo audio.
Pecoraro: Metti play.
Audio tra Caronia e Librizzi sulla tragica sorte di Nadia, registrato da Caronia durante una riunione:
Caronia: Costanzo Nadia, la ragazza, questa io ti giuro…
Librizzi: Questa è una mia angoscia.
Caronia: Io ci ho pianto perché…la signora, anche qui, ti avevo detto facciamo una biopsia al collo, in anestesia locale e mettiamoci una protesi. Con questa cosa di aspettare sempre perché non ti vuoi inimicare i broncoscopisti, è una cosa tua personale, non la puoi ricondurre a noi, è giusto?
Librizzi: Giusto.
Caronia: Comunque la paziente alla fine, l’hai portata in sala, Io so che tu non la volevi addormentare ma se l’anestesista ti dice addormentala tu ci devi sbattere i pugni e c’ha diri, tu non la devi addormentare e lo facciamo in locale perché la paziente muore. Minchia e muriu, cazzo di Eva, scusa la volgarità ma a 37 anni ragazzi non è…. e siamo fortunati che non ci ha denunciato, siamo fortunatissimi.
Qui interviene anche un collega medico presente alla riunione. Caronia commenta così:
Caronia: Un medico del reparto dice ‘ci abbiamo marciato’ nel senso che l’idea era quella di condizionare i parenti a pensare che comunque la paziente avesse perso tempo a decidere per l’intervento perché aveva paura, quindi riconducendo un po’ la responsabilità del decesso a lei.
Cosa che, sempre il medico del reparto nell’audio registrato da Caronia, spiega bene ammettendo esplicitamente il ruolo avuto nel convincere i parenti della paziente deceduta:
Medico del reparto: Abbiamo, tra virgolette, con un minimo pizzico di malizia e malignità, giocato sul fatto che fu Nadia, che disse più volte che stava ritardando perché aveva paura di fare diagnosi. È chiaro che l’errore è stato anche nostro…
Caronia: No, l’errore è stato nostro e soprattutto, perdonatemi, lui che non si è imposto con l’anestesista.
Pecoraro prova a parlare con il primario del reparto in questione, il dott. Librizzi.
Pecoraro: Librizzi buongiorno, sono Gaetano Pecoraro, le Iene. Abbiamo raccolto una denuncia molto importante da parte di un suo collega. Le
volevamo chiedere…
Librizzi: Chi è il mio collega?
Pecoraro: Il dottor Caronia.
(Librizzi resta in silenzio, ndr.)
Pecoraro: Le volevamo chiedere…
Librizzi: E lo ha fatto alla Procura?
Pecoraro: Anche, sì. Le volevamo chiedere: ci spiega come ha fatto a diventare primario?
Librizzi: Ho fatto un concorso e sono diventato primario
Pecoraro: Dottore, le dobbiamo fare tante domande. Guardi che sono cose gravissime quelle che sono state raccolte. Se fossero reali… Io le voglio dare l’opportunità di parlare, non è che voglio accusarla.
Librizzi: Sì sì, davanti al Procuratore della Repubblica.
Pecoraro: Ok, però Il fatto è che sono passati anni e qua non è successo ancora niente. Com’è possibile che un primario dica una frase del tipo: ‘Dobbiamo operare a tutti i costi a costo di aprire e chiudere le persone, se no ci chiudono il reparto’?
Librizzi: Questo non l’ho detto io.
Pecoraro: Non l’ha detto? Ne è sicuro? Guardi che abbiamo una registrazione, abbiamo anche la registrazione di lei che dice ‘non lo dirò mai più’. Come fa a dire che non l’ha detto? È una cosa gravissima detta da parte di un medico un primario.
Librizzi: Ne parliamo davanti al Procuratore della Repubblica.
Pecoraro: Eh sì, il problema…
Librizzi: Io, tra l’altro, non sono abilitato a dare interviste.
Pecoraro: Non è abilitato a dare interviste?
Librizzi: No.
Pecoraro: Ma davanti ad accuse così gravi, si ricorda della signora Costanzo Nadia, 37 anni?
Librizzi: Sì.
Pecoraro: E ci può spiegare come è possibile che una ragazza con il suo caso muoia?
Librizzi: Ve lo spiegherò a tempo debito.
Pecoraro: No no, ce lo spieghi ora.
Librizzi: No, no.
Pecoraro: Perché ha paura di spiegarlo?
Librizzi: Assolutamente.
Pecoraro: E allora ci spiega perché in una conversazione di cui abbiamo la registrazione voi dite che ‘con malignità’ avete fatto credere alla signora alla famiglia una cosa…
Librizzi: Questo lo sta dicendo lei.
Pecoraro: Non lo dico io, lo dice la registrazione.
Librizzi: Eh va bene.
Pecoraro: Dott. Librizzi, eccolo qua guardi, guardi qua. Si fermi perché è una cosa che per lei è importante.
Librizzi: L’ha detto il dottore Caronia? Di solito quando ci sono problemi si defila…
Pecoraro: Noi queste cose le abbiamo fatte analizzare anche a un luminare. Però si fermi dottore, io lo dico per lei, insomma…noi le stiamo dando l’opportunità di parlare.
Librizzi: No, io non parlo di queste cose così.
Pecoraro: Dobbiamo ‘operare dei pazienti a costo di aprirli e chiuderli’, cioè è terrificante una roba del genere, dottore?
Librizzi: Guardi che il GOM, è una cosa multidisciplinare se decide è così.
Dopo le otto querele presentate dal dott. Caronia sulla questione delle spese gonfiate c’è stata un’archiviazione, inoltre Caronia ha perso la causa di lavoro, riguardo al concorso per diventare primario. E per quanto riguarda i casi di presunta malasanità, dopo tre anni si aspetta ancora che la magistratura decida se procedere oppure no. Il caso di Nadia non sarebbe l’unico.
(da Le Iene)

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“LA DISCUSSIONE SULLA LEGGE ELETTORALE RIVELA CHE GIORGIA MELONI È GIÀ ENTRATA IN MODALITÀ ELETTORALE”. LA STAMPA: “LA PREMIER SA CHE, A DIFFERENZA DELLA VOLTA SCORSA, GLI ALTRI TROVERANNO UN MODO PER METTERSI ASSIEME. CON L’ATTUALE LEGGE ELETTORALE LA VITTORIA PER IL CENTRODESTRA NON È AFFATTO SCONTATA, PERCHÉ, CON GLI ALTRI CHE SI UNISCONO, DIVENTA CONTENDIBILE IL GROSSO DEI COLLEGI NEL CENTROSUD

Maggio 7th, 2025 Riccardo Fucile

DA QUI L’IDEA MELONIANA, COERENTE CON IL PREMIERATO, DI UNA LEGGE ELETTORALE PROPORZIONALE CON UN PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE”

Sarà anche l’argomento più noioso del mondo, ma va presa sul molto serio questa chiacchiera sulla legge elettorale. Rivela che Giorgia Meloni è già entrata in modalità elettorale. Del resto, coi tempi e la percezione della politica di oggi, la primavera 2027 non è un’eternità. E la questione è semplice. La premier sa che, a differenza della volta scorsa, gli altri troveranno un modo per mettersi assieme. Le prossime sono elezioni troppo importanti: si vota per il governo ma il futuro Parlamento sarà chiamato anche ad eleggere il successore di Sergio Mattarella.
Il centrodestra ha sempre vissuto quel Palazzo, dai tempi di Oscar Luigi Scalfaro in poi, come un “ostacolo”.
Ebbene, a legge elettorale vigente la vittoria per il centrodestra non è affatto scontata, perché, con gli altri che si uniscono, diventa contendibile il grosso dei collegi nel centrosud. Di qui l’idea di un cambio di regole: via i collegi, legge elettorale proporzionale con un premio di maggioranza alla coalizione che supera una soglia (attorno al 40-42 per cento).
Chi la raggiunge ottiene il 55 per cento dei seggi che garantisce la governabilità. Last but not least, indicazione del premier sulla scheda, questione con ricadute politiche non banali. Va presa dunque sul serio dunque la chiacchiera, innanzitutto perché conviene al centrodestra che ha da solo, in Parlamento, i numeri per approvarla. È vero: con un meccanismo siffatto gli alleati si consegnano a Giorgia Meloni. Però è anche vero che la premier ha convincenti motivazioni per esercitare la sua forza persuasiva.
Dirà: signori cari, qui non è questione di filosofia, senza la legge che dico io balliamo sia per il governo sia, quando sarà, per il Colle; come dico io invece, stiamo più tranquilli su entrambi i fronti.
E in fondo l’impianto è coerente col premierato, che sarà approvato alla fine di questa legislatura, per poi andare a referendum dopo il voto. Va presa sul serio perché la riforma pensata ha una sua logica – è così in molti paesi europei – ed è costituzionale. Non lo era il famigerato Porcellum, che non aveva una soglia per attribuire il premio di maggioranza. E infatti fu bocciato dalla Corte. Ma quel criterio “soglia-premio” non fu affatto messo in discussione dalla medesima Corte quando si pronunciò sull’Italicum, legge che saltò per altri motivi dopo la bocciatura nelle urne della riforma costituzionale di Matteo Renzi. E va presa sul serio perché, politicamente, è un dito nella principale piaga del centrosinistra. Ovvero squaderna in quel campo la principale contraddizione che, finora, era stata risolta con un trucco furbesco.
Quel “lodo Franceschini”, secondo cui si può stare assieme nei collegi senza essere una coalizione in termini politici con un programma comune e un candidato premier sulla scheda. Nell’euforia si citò Mao (“marciare divisi, colpire uniti”), in verità lo schema è di una banale accozzaglia: ogni orchestrale suona la sua musica e poi si vede chi farà il direttore d’orchestra. Se sarà approvata la riforma che ha in mente Giorgia Meloni, il centro-sinistra sarà
costretto, come ai tempi di Romano Prodi, ad essere cioè una coalizione vera con un “capo” che, si presume, dovrà esprimere una posizione comune sui temi più spinosi, dall’Europa alle armi.
C’è da scommettere che Giuseppe Conte non vorrà incoronare Elly Schlein, che qualcuno proporrà le primarie, che qualcun altro lancerà l’idea di un “Papa straniero” e che mettere a punto un programma sarà un’impresa. Anche qui: conviene mettersi assieme, ma per la prima volta non basta essere solo “contro”.
De Angelis
per la Stampa

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POSTE ITALIANE: 26 VITE SPEZZATE E 32.500 INFORTUNI IN SEI ANNI

Maggio 7th, 2025 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DEI “PRECARI IN RETE”

L’Associazione “Precari in Rete – Poste Italiane” ha lanciato oggi un accorato e dettagliato appello al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Governo, al Parlamento e agli organi di controllo e vigilanza sul lavoro, denunciando le gravi criticità che affliggono i lavoratori precari di Poste Italiane, con particolare attenzione alla drammatica situazione dei portalettere.
Il documento, trasmesso anche alle segreterie nazionali dei sindacati di categoria (SLC CGIL, SLP CISL, UIL Poste, CONFSAL Com.ni, FAILP-CISAL, FNC UGL Com.ni) e alla stampa, rivela una realtà sconcertante: un precariato divenuto prassi strutturale, con oltre 100.000 assunzioni a tempo
determinato concentrate nel settore del recapito dal 2017; un bilancio inaccettabile di 32.500 infortuni in soli sei anni, culminato nella tragica perdita di 12 vite tra il 2021 e il 2023, e 14 nel triennio precedente; e, aspetto ancor più grave, sistematiche irregolarità retributive, denunciate direttamente dai lavoratori precari, costretti in molte province a rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro per ottenere la giusta retribuzione.
Dietro l’immagine di eccellenza di Poste Italiane, “Precari in Rete” denuncia una gestione del personale basata su contratti a termine di breve durata, eludendo la normativa sulle causali e mantenendo un elevato numero di lavoratori in una condizione di instabilità cronica. A ciò si aggiunge il part-time involontario, che colpisce circa 10.000 addetti del recapito, prevalentemente donne, con gravi ripercussioni sul loro benessere economico e sociale.
Nonostante le numerose assunzioni a tempo indeterminato, l’associazione sottolinea come solo una minima parte dei precari abbia visto concretizzarsi la stabilizzazione, portando a un preoccupante calo dell’organico a tempo indeterminato di ben 22.000 unità dal 2017. La prospettiva della scadenza delle graduatorie per le stabilizzazioni, fissata al 31 dicembre 2026, intensifica l’apprensione per il futuro di migliaia di dipendenti in attesa di un impiego stabile.
L’appello denuncia inoltre i costi sociali ed economici insostenibili derivanti dal continuo turnover del personale, i conseguenti disservizi per i cittadini e la carenza di formazione che contribuisce all’allarmante numero di infortuni. Vengono citate le rivelazioni dell’inchiesta “Il postino” di Report, che ha portato alla luce inquietanti situazioni di sfruttamento ai danni dei lavoratori precari.
Secondo l’associazione, la chiave per comprendere la diffusione del precariato nel recapito risiede nel bilancio negativo del settore, con perdite che superano i
2 miliardi di euro dal 2017. Questo suggerirebbe una scelta aziendale volta a contenere i costi attraverso l’impiego di personale precario. In tale contesto, l’ipotesi di un’ulteriore privatizzazione di Poste Italiane suscita forti timori sull’effetto che un investitore privato, inevitabilmente orientato al profitto, potrebbe avere sulla qualità del servizio pubblico e sulle condizioni lavorative.
I rappresentanti di “Precari in Rete” dichiarano inaccettabile la situazione e sollecitano un intervento urgente del Governo e delle istituzioni per tutelare i diritti dei lavoratori precari che, con il loro impegno quotidiano, assicurano un servizio essenziale per la collettività. In particolare, l’associazione chiede la definizione di un piano di stabilizzazione con tempistiche per il personale precario in graduatoria, la verifica e la sanzione delle irregolarità retributive con il dovuto risarcimento, e una riforma della disciplina dei contratti a termine che introduca l’obbligo di specifiche causali anche per brevi periodi. Si auspica inoltre di promuovere il passaggio a tempo pieno per i dipendenti con part-time involontario e di garantire una vigilanza costante sul rispetto dei diritti di tutti i dipendenti. L’associazione sottolinea anche la necessità di migliorare la sicurezza sul lavoro attraverso formazione adeguata e misure di prevenzione efficaci, richiedere piena trasparenza sul numero di infortuni tra lavoratori precari e valutare l’impatto della privatizzazione sul servizio universale e sulle condizioni di lavoro, anteponendo l’interesse pubblico.
(da agenzie)

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LO SCOOP DI DOMANI FA INFURIARE ORBÁN «SULLA VILLA NOTIZIE FALSE, QUERELO TUTTI»

Maggio 7th, 2025 Riccardo Fucile

LA VILLA IN PROVINCIA DI VARESE ACQUISTATA DA UN FONDO UNGHERESE

Azioni legali contro la stampa: ecco in che modo Viktor Orbán, il / primo ministro ungherese amico e alleato della destra di governo italiana, ha reagito questo lunedì pomeriggio dopo che lo scoop di Domani è stato ripreso da svariate testate ungheresi.
La rivelazione che una neonata società ungherese, controllata da un fondo di private equity controllato fino a pochi anni fa dal ministro della difesa del suo governo, ha da poco fatto un acquisto eccezionale sulle sponde del lago di Varese – una villa da 4,3 milioni di euro, a due passi dal confine con la Svizzera – è diventata nel giro di poche ore un argomento di dibattito in Ungheria, scatenando la furia del premier
La dichiarazione di guerra (legale) è arrivata dall’autocrate in persona, che ha consegnato sul social Facebook il seguente messaggio: «Oggi la stampa delle fake news si è inventata che, oltre alle zebre, avrei anche una villa italiana. Gyozike non basterà stavolta. Partono le azioni legali!». Il tutto accompagnato dalla emoticon di una zebra.
Gyozike è un musicista, volto conosciuto del mondo dello spettacolo ungherese, noto per il suo stile trash e per essere fan delle zebre, al punto da indossare abiti che ne ricordano il pellame. Ma perché il premier tira fuori le zebre e il cantante?
Lo “ZebraGate” – lo scandalo delle zebre – non ha nulla a che fare con il caso della villa di Varese. Orbán allude al fatto che il suo competitor Péter Magyar – che già da tempo supera Fidesz nei sondaggi – aveva riferito la presenza di zebre nella tenuta di Hatvanpuszta, considerata una lussuosa residenza della famiglia Orbán.
Il tormentone delle zebre era considerato dall’opposizione come un simbolo dell’opulenza che il sistema orbaniano si concede. In quel caso il premier – oltre a negare di possedere zebre – aveva scelto la via del sarcasmo, progettando di prendere davvero una zebra, con la “consulenza” del musicista (“Orbán adotta una zebra allo zoo di Budapest”, titolavano i giornali a fine marzo). Ma «stavolta Gyozike non basterà», scrive ora nel post, lanciando così la guerra a colpi di attacchi legali contro i media che avrebbero osato riportare lo scoop.
Nel frattempo il caso della villa italiana fa discutere non solo sui siti di informazione ma anche nelle sedi politiche.
Il parlamentare di opposizione Gergely Arató – membro di Coalizione democratica, il partito dell’ex premier Ferenc Gyurcsány – si è rivolto a Viktor Orbán con una provocazione che sottintende anche un interrogativo sul caso della villa: «L’alternativa all’Unione europea oggi è la dipendenza dalla Russia,
ed è questo che Lei desidera, signor Primo Ministro…
Ma nemmeno di questo sono sicuro, visto che i suoi prestanome hanno comprato per Lei una villa in Italia e non a Mosca», ha detto Arató in aula.
Nell’edizione di ieri, Domani aveva rivelato l’affare della villa in questione. Oltre mille metri quadrati divisi su quattro piani, con giardino, piscina, palestra, ascensore interno, garage da 256 metri quadrati.
È stata acquistata per 4,3 milioni di euro da un fondo di private equity collegato a due fedelissimi di Orbán: il suo storico consigliere, Árpád Habony, e l’attuale ministro della Difesa del governo ungherese,Kristóf Szalay-Bobrovniczky. I rogiti analizzati dal nostro giornale raccontano nel dettaglio quello che è successo. La villa si trova davanti al lago di Varese, in leggera collina. A venderla sono stati Margherita Maccapani Missoni, stilista ed erede della nota casa di moda, ed Eugenio Amos, imprenditore e pilota.
L’identità dell’acquirente è meno chiara. Il contratto preliminare è stato firmato il 28 dicembre del 2023 dalla Praedium Property Kft, società ungherese costituita un mese prima.
Il contratto di acquisto definitivo è stato siglato sette mesi dopo da un’altra società ungherese da poco costituita, la Influentia Ktf. Entrambe fanno capo al TripleHill Capital, ed è analizzando questa società che gestisce fondi di private equity in Ungheria che si arriva ad Habony e Szalay-Bobrovniczky, due fedelissimi del premier.
Attualmente il registro commerciale ungherese dice che TripleHill, cioè il proprietario della villa di Varese, è amministrata e controllata da Renata Tiszolczi.
L’Ungheria, però, permette ai fondi di private equity di non dichiarare […] i beneficiari ultimi di questi fondi, cioè i reali proprietari (motivo per cui è sotto procedura d’infrazione in Ue)
Renata Tiszolczi è una manager che ha lavorato in passato per le società private di Habony e Szalay-Bobrovniczky. Di più. Fino a prima di diventare ministro (2022), Szalay-Bobrovniczky era azionista di Triple Hill, come scritto da lui stesso nella dichiarazione patrimoniale al parlamento.
Infine, i 4,3 milioni sborsati per la villa sono arrivati via bonifico dalla Granit Bank, di proprietà del genero di Orbán. Tutti indizi che portano alla cerchia stretta del premier, alleato di Salvini (che condivide con lui anche il gruppo europeo) e di Meloni.
Francesca De Benedetti e Stefano Vergine
per “Domani”

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LA TECNOLOGIA STA RINCOGLIONENDO I BAMBINI (E LI TIENE CHIUSI IN CASA): IL GOVERNO INGLESE VUOLE INTRODURRE UNA “STRATEGIA NAZIONALE DEL GIOCO”, PER FAR SÌ CHE I BAMBINI PASSINO PIÙ TEMPO A GIOCARE ALL’APERTO E LE SCUOLE SARANNO OBBLIGATE A FORNIRE OPPORTUNITÀ DI QUESTO DIPO DURANTE L’INTERVALLO

Maggio 7th, 2025 Riccardo Fucile

TRA TV, TELEFONINI E VIDEOGIOCHI, ORMAI I RAGAZZINI SONO SEMPRE PIÙ RINTANATI IN CASA: SOLAMENTE UNO SU QUATTRO HA DICHIARATO DI AVER GIOCATO PER STRADA

A Londra hanno deciso di introdurre il «diritto alla ricreazione»: da maggio verrà lanciato a Westminster un gruppo parlamentare inter-partitico che ha l’obiettivo di indurre il governo a mettere in atto una «strategia nazionale del gioco» per far sì che i bambini passino più tempo a giocare all’aperto.
In Scozia e in Galles il diritto alla ricreazione è già sancito per legge, il che significa che le scuole sono obbligate a fornire opportunità di giochi all’aperto durante l’intervallo: una simile disposizione non esiste però in Inghilterra ed è per questo che adesso sono scesi in campo i deputati.
Il declino è stato drammatico: se nella fascia dei 55-64 anni oltre l’80% ricorda di aver giocato per strada e di essere stato libero di esplorare il mondo, oggi
solo un quarto dei bambini dichiara di essere in grado di farlo.
C’entra un atteggiamento più apprensivo da parte dei genitori odierni — e qui chi è senza peccato alzi la mano — ma il risultato è che i più piccoli passano più tempo in casa incollati a uno schermo, di tv o telefonino, di quanto non sia mai avvenuto in passato: e la conseguenza è una minore indipendenza e capacità di relazionarsi con gli altri.
(da agenzie)

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