Maggio 24th, 2025 Riccardo Fucile
I CALI DI ATTENZIONE POSSONO PORTARE A UNA MAGGIORE INTROSPREZIONE, UN’AUMENTO DI CREATIVITÀ, UNA RIDUZIONE DELLO STRESS E POSSONO RAFFORZARE IL NOSTRO PENSIERO CRITICO – L’IMPORTANTE È ANNOIARSI A PICCOLE DOSI
Tutti noi abbiamo sperimentato la noia. Il tempo sembra passare lentamente e potremmo persino iniziare a sentirci irrequieti. Che si tratti di guardare un film deludente, di un bambino che si lamenta dicendo “non c’è niente da fare” o di un adulto che si distrae durante una riunione, la noia è un’esperienza universale.
In generale, è definita come la difficoltà a mantenere l’attenzione o l’interesse per un’attività in corso, ed è comunemente vista come uno stato negativo da evitare o da cui proteggerci. Ma se ci fosse un altro modo di vedere la noia, come uno stato positivo? Potrebbe essere utile imparare ad accettare la noia?
La rete cerebrale è un sistema di aree interconnesse che lavorano insieme per supportare diverse funzioni. Possiamo paragonarla a una città, dove i quartieri (le aree del cervello) sono collegati da strade (i percorsi neurali), tutti al lavoro per permettere all’informazione di circolare in modo efficiente.
Quando proviamo noia – ad esempio guardando un film – il nostro cervello attiva reti specifiche. La rete dell’attenzione dà priorità agli stimoli rilevanti mentre filtra le distrazioni, ed è attiva all’inizio del film.
Tuttavia, quando la nostra attenzione diminuisce, anche l’attività di questa rete cala, riflettendo la nostra capacità ridotta di concentrarci su un contenuto poco coinvolgente. Allo stesso modo, si riduce l’attività della rete frontoparietale, o di controllo esecutivo, perché fatichiamo a restare coinvolti nel film.
Contemporaneamente, si attiva la rete del “default mode” (modalità predefinita), che sposta l’attenzione verso i pensieri interiori e l’autoriflessione. Questa funzione – chiamata introspezione – è centrale per questa rete e rappresenta una strategia per affrontare la noia.
Questa complessa interazione tra reti coinvolge diverse aree cerebrali chiave che “collaborano” durante lo stato di noia. L’insula è un nodo fondamentale per l’elaborazione sensoriale ed emotiva. Mostra un aumento di attività quando rileva segnali interni del corpo – come i pensieri legati alla noia – indicando che il film non ci coinvolge più. Questo processo è noto come “interocezione”.
L’amigdala può essere vista come un sistema d’allarme interno. Elabora informazioni emotive e ha un ruolo nella formazione della memoria emotiva. Durante la noia, elabora le emozioni negative associate, e la corteccia prefrontale ventromediale ci motiva a cercare attività alternative
e stimolanti.
Viviamo in una società che ci espone a un sovraccarico di informazioni e a un alto livello di stress. Di conseguenza, molti di noi hanno adottato uno stile di vita frenetico, pianificando ogni momento per restare occupati. Da adulti, cerchiamo di conciliare lavoro e famiglia. Se abbiamo figli, l’abitudine di riempire la giornata con scuola e attività extrascolastiche ci consente di lavorare più a lungo.
Nel tempo libero, se ce n’è, restiamo spesso incollati agli schermi: organizziamo, aggiorniamo, scorriamo… semplicemente per restare occupati. Così facendo, gli adulti finiscono per dare l’esempio ai più giovani, trasmettendo l’idea che bisogna essere sempre “attivi”.
Questa stimolazione costante può avere un costo – soprattutto per il nostro sistema nervoso. L’iperpianificazione può portare a una sovrastimolazione. Il sistema nervoso simpatico, che regola la risposta “attacco o fuga”, è progettato per affrontare momenti di stress.
Ma quando siamo costantemente sotto pressione, assorbendo nuove informazioni e gestendo attività diverse, questo sistema può restare attivo troppo a lungo, a causa dell’effetto cumulativo dell’esposizione continua a diversi stress. Questo fenomeno è chiamato “sovraccarico allostatico”. In pratica, il sistema nervoso va in tilt, mantenendoci in uno stato di allerta prolungato, aumentando il rischio di ansia.
Eliminare del tutto la noia ci priva di un modo semplice e naturale per resettare il nostro sistema nervoso simpatico.
A piccole dosi, la noia è il contrappeso necessario al mondo sovrastimolato in cui viviamo. Può offrire benefici unici al nostro sistema nervoso e alla salute mentale. Questo è diverso dalla noia cronica o prolungata, in cui un’eccessiva attività della rete “default mode” può essere collegata alla depressione.
Ecco alcuni benefici del concederci ogni tanto la possibilità di annoiarci:
migliora la creatività, permettendo alla mente di fluire più liberamente
favorisce l’indipendenza di pensiero e spinge a cercare nuovi interessi, senza dipendere sempre da stimoli estern rafforza autostima e regolazione emotiva, perché i momenti non strutturati ci aiutano a stare con le nostre emozioni, fondamentali per gestire l’ansia, incoraggia periodi senza dispositivi digitali e interrompe il ciclo della gratificazione istantanea, che alimenta l’uso compulsivo di smartphone e simili, riequilibra il sistema nervoso e riduce gli stimoli sensoriali, aiutando a calmare l’ansia.
L’ansia è in aumento in tutto il mondo, soprattutto tra i giovani. Diversi fattori contribuiscono a questa tendenza. Siamo sempre “connessi”, impegnati a organizzare ogni momento. Ma così facendo, rischiamo di privare cervello e corpo del tempo di riposo necessario per ricaricarsi.
Dobbiamo accogliere la pausa. È uno spazio in cui la creatività può fiorire, le emozioni possono essere gestite, e il sistema nervoso può rimettersi in equilibrio.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2025 Riccardo Fucile
L’AGENZIA DI STAMPA RIA NOVOSTI SOSTIENE UN SOLO E UNICO ESITO DEL CONFLITTO: LA VITTORIA DI MOSCA SULL’EUROPA
Mentre si continua a invocare negoziati di pace tra Ucraina e Russia, la propaganda del
Cremlino alimenta con forza una retorica di guerra sempre più estrema, che va ben oltre i confini ucraini. Dietro il linguaggio apparentemente “diplomatico”, Mosca promuove in patria un’escalation simbolica e ideologica che trasforma il conflitto in una battaglia culturale e identitaria. Un esempio evidente arriva dagli articoli pubblicati da RIA Novosti, accompagnati da immagini cariche di simbolismo bellico, in cui il nemico non è solo Kiev, ma l’intera Unione Europea rappresentata come un’entità da eliminare.
L’Europa come un topo morto ucciso dall’orso russo
Il 19 aprile 2025, RIA Novosti pubblica un articolo firmato dalla giornalista e propagandista russa Viktoria Nikiforova. Il pezzo, intitolato Un cessate il fuoco irrealistico: il mondo ha ascoltato il nyet russo, viene accompagnato da un’immagine simbolica: un orso, rappresentazione della Russia, che tiene per la coda un topo morto, dipinto di blu con le stelle gialle, chiaro e inequivocabile riferimento all’Unione Europea.
Nikiforova orso ratto propaganda russa
L’articolo è un attacco frontale contro Kiev e Bruxelles, accusati di «non saper accettare la sconfitta» e di voler ancora imporre negoziati «a condizioni inaccettabili». Nikiforova sostiene inoltre che l’Unione Europea rappresenti un nemico comune per Russia e Stati Uniti, arrivando a ipotizzare uno scontro armato diretto contro Bruxelles, considerata vulnerabile dopo il ritiro delle armi americane dal territorio europeo. Pur fingendo un interesse per la pace in Ucraina, l’articolo si conclude con un chiaro messaggio bellicista: «Continueremo a schiacciare i nazisti di Kiev».
L’Europa come una vipera velenosa da annientare
Il 7 maggio, sempre su RIA Novosti, Nikiforova pubblica un ulteriore articolo dal titolo La Russia attende una nuova vittoria su un vecchio male, in cui il linguaggio diventa ancora più esplicito. La guerra viene intesa come una battaglia per la sopravvivenza stessa della civiltà russa, arrivando a proporre un confronto inquietante legato all’Olocausto: «A differenza delle vittime ebree del nazismo, i russi di oggi hanno qualcosa con cui difendersi».
L’immagine scelta per accompagnare il testo rafforza ulteriormente il messaggio: un soldato russo armato punta il fucile contro una vipera che richiama la bandiera dell’Unione Europea. Il messaggio è chiaro: l’UE,
definita «nazista» e desiderosa di vendicarsi dei russi per la vittoria del 1945, non è soltanto un avversario politico o diplomatico, ma un nemico velenoso da annientare.
Il simbolismo della propaganda russa contro l’Unione Europea
Entrambe le immagini, come molte altre diffuse da RIA Novosti, descrivono le fondamenta della propaganda russa, in linea con il comunicato pubblicato ad aprile dal Servizio di Intelligence Estera della Federazione Russa (SVR).
Nikiforova propaganda russa contro eu ucraina von der leyen
Il topo morto e la vipera evocano disprezzo e pericolo, contribuendo a deumanizzare l’Unione Europea agli occhi del pubblico russo e filorusso. Al contrario, l’orso e il soldato armato simboleggiano la forza della Russia e il suo impegno in una guerra non diplomatica ma armata, alimentando l’idea di un “conflitto giusto”, inevitabile e totale da concludersi con un solo esito accettabile: la vittoria di Mosca sull’Ucraina e l’Unione Europea.
Chi è la propagandista russa Viktoria Nikiforova
Viktoria Nikiforova non è una giornalista qualunque. Nel 2022, l’Unione Europea l’ha identificata come una «propagandista e editorialista russa di RIA Novosti» e «figura centrale nella propaganda governativa». È stata inoltre accusata di aver «negato il diritto dell’Ucraina a esistere, nonché la capacità del popolo ucraino di decidere autonomamente», promuovendo l’invasione russa su vasta scala attraverso i suoi interventi. Emblematico in tal senso l’articolo Per cosa combatte la Russia in Ucraina, pubblicato il 6 aprile 2022 e a pochi giorni dopo la scoperta della strage di Bucha, nel quale diffonde numerose falsità di regime.
propagandista russa Viktoria Nikiforova articoli
Il riferimento a Bucha è esplicito. Nikiforova adotta una narrazione negazionista delle responsabilità dell’esercito russo, scrivendo: «In Russia non torturiamo i prigionieri. I nostri soldati non uccidono i propri cittadini per poi trasformare i loro cadaveri in installazioni per il divertimento dei giornalisti occidentali. Noi non mentiamo: questa, tra l’altro, è proprio la
“debolezza” della nostra propaganda militare. Sappiamo come smascherare i falsi, ma realizzarli è impossibile e disgustoso». Purtroppo, siamo ben consapevoli di quante falsità risultano diffuse dalla Russia riguardo la Strage di Bucha, anche presso l’Onu.
Secondo la narrazione della propagandista russa, inoltre, in Russia «le persone che la pensano diversamente non vengono imprigionate, torturate o uccise». E aggiunge: «Abbiamo la libertà di pensiero e di parola, libertà del tutto irraggiungibili per i Paesi occidentali, per le quali gli ucraini pregano con tanto fervore». Una visione che nega la ben nota e documentata posizione della Russia nelle classifiche internazionali sulla libertà di stampa, come quella stilata da Reporters Sans Frontières (RSF), che da anni colloca la Federazione russa tra i Paesi più repressivi al mondo in questo ambito.
(da Open)
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Maggio 24th, 2025 Riccardo Fucile
IN ATTESA DEI PERITI PER IL SANGUE E IL MATERIALE BIOLOGICO. GLI ERRORI NELLE INDAGINI DEL 2007 POSSONO AIUTARE OGGI LA PROCURA
Che l’impronta n. 33 di Garlasco contenga sangue o materiale biologico lo decideranno gli esperti. Così come la sua possibile attribuzione. Ma che risalga ai giorni dell’omicidio di Chiara Poggi è quantomeno molto probabile. Grazie a un carabiniere senza guanti. Che è entrato nella villetta di via Pascoli solo il 13 agosto, durante i rilievi per l’omicidio. E lo ha fatto senza le protezioni necessarie per non inquinare la scena del crimine. Ma anche l’intervento dei Ris che l’ha rimossa dalla parete grattandola con un bisturi sterile potrebbe alla fine aiutare i pm che accusano Andrea Sempio. Perché forse l’intonaco è stato conservato. E quindi è possibile scovare tracce biologiche.
Traccia di interesse dattiloscopico
Dall’inizio. La «traccia di interesse dattiloscopico» già repertata nel 2007 si trova nella parete a destra alla fine delle scale che portano alla tavernetta. È lì che è stato trovato il corpo di Chiara. L’impronta appartiene al palmo della mano di Andrea Sempio. E il procuratore capo di Pavia Fabio Napoleone, l’aggiunto Stefano Civardi e le pm Valentina De Stefano e Giuliana Rizza sono convinti di poterla datare. Grazie alla storia dattiloscopica delle due pareti che delimitano la scala che porta alla cantina. Sulla parete opposta infatti c’è un’altra impronta. Che appartiene a un carabiniere di Vigevano ed è stata repertata come numero 37. Il militare ha lasciato anche le tracce 44 e 46. E se «è logico-fattuale che l’impronta sulla parete delle scale appartenga all’assassino», ecco che è anche logico che sia stata lasciata il 13 agosto.
Cosa non torna
Ma la procura dovrà anche spiegare qualcosa che non torna. Per esempio l’assenza di impronte di scarpe lungo le scale. All’epoca del processo nei confronti di Alberto Stasi la circostanza era stata spiegata con il fatto che il corpo fosse stato lanciato dall’altro. Ma se non c’erano impronte di scarpe, non c’erano nemmeno impronte di scarpe di Sempio. C’è anche un’altra traccia significativa. È la numero 10. Che è stata trovata nella porta d’ingresso vicino alla maniglia. Ma questa non è certamente dell’attuale indagato. I carabinieri scrivono: «L’eventuale comparazione positiva di questo contatto n. 10 (se fosse sangue) con quello di Stasi potrebbe fornire un ulteriore indizio a suo carico». Ma anche qui a costo di smentire il processo. Dove si disse che l’assassino si era lavato le mani nel lavandino.
Il complice
Per questo, oltre al Dna, ancora oggi la procura di Pavia ipotizza la presenza di un secondo uomo sul luogo del delitto. E per questo nell’avviso di garanzia a Sempio si ipotizzava che fosse complice di Stasi. Anche se l’ipotetico materiale biologico fosse di Chiara Poggi ci sarebbe un problema. Perché per lo stesso motivo precedente non potrebbe averlo portato Stasi. Nell’incidente probatorio deciso dalla Gip Daniela Garlaschelli i periti Denise Albani e Domenico Marchegiani dovranno definire una volta per tutte il materiale biologico trovato sotto le unghie di Chiara. Ma anche su altro materiale: il tappetino del bagno, le bustine di tè, lo yougurt. E i para-adesivi di tutte le impronte. Alla ricerca di un match. Con il dna delle gemelle Paola e Stefania Cappa, quello dell’amico di Alberto Stasi, Marco Panzarasa, o quello di Mattia Capra, Roberto Freddi e Alessandro Biasibetti, gli amici di Sempio.
Pasquale Linarello
Intanto Pasquale Linarello, responsabile della sezione genetica di Eurofins Genoma e consulente della difesa di Stasi, spiega a Libero perché presenterà una relazione (firmata da Oscar Ghizzoni) sulla traccia. «La traccia è stata testata con il conbur test (che serve per chiarire se c’è sangue in generale, ndr) che ha fornito esito dubbio e con l’OBTI test (che serve per capire se c’è sangue umano, ndr) che ha fornito esito negativo», è scritto nella relazione. C’era un alone o un qualche altro elemento che ha indotto gli investigatori a fare il test del sangue, ma il problema è che non abbiamo fotografie, nella relazione del Ris, dello stato del muro prima del trattamento per esaltare le impronte, per capire se c’erano aloni o macchie rosse», risponde Linarello.
La ninindrina
L’impronta è stata trattata con la ninidrina. Ovvero il reagente che serve a esaltare le impronte latenti e responsabile del colore rosso. «L’impronta è stata così reattiva alla ninidrina perché forse c’era del sangue: c’è una parte della traccia molto più rossa, che è quella cerchiata nella relazione, che è stata asportata per fare ulteriori analisi, ma va considerato anche che la
ninidrina inibisce il sangue. Sarebbe interessante trovare una fotografia del muro con quella traccia prima che venisse trattata: la stiamo cercando tra le oltre 500 a disposizione, perché anche solo un’immagine potrebbe far capire molte cose», chiosa ancora l’esperto.
L’altra impronta
Poi c’è l’altra impronta, ovvero la numero 10. «Il sangue, che è verosimilmente di Chiara Poggi, ha fatto “da inchiostro” evidenziando un’impronta sulla parte interna della porta d’ingresso della casa. Su questo elemento, però, non sono mai state fatte ulteriori analisi per capire se sotto c’è del Dna e se l’eventuale Dna è maschile o femminile. E, ancora, se appartiene a qualcuno che frequentava la casa oppure no. Se oltre al sangue di Chiara ci fosse il Dna di qualcuno, quella sarebbe la firma dell’assassino. O meglio, la certezza che sulla scena del crimine c’erano più soggetti». E si torna al delitto in concorso. Per il quale bisognerà trovare però un movente solido.
(da Open)
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Maggio 24th, 2025 Riccardo Fucile
ANCHE GLI STUDENTI STRANIERI DOVRANNO TROVARE UNA NUOVA COLLOCAZIONE, IL CAMPUS NON E’ PIU’ SICURO
Non è una fake, come parrebbe per forma e sostanza. È la drammatica realtà
dell’America di Trump: la ministra della sicurezza Kristi Noem (quella che ha sparato al suo cane perché “inefficiente”, quella che si mette in posa davanti ai migranti stipati come pollame in un gabbione) ha confermato che l’università di Harvard non potrà più avere studenti stranieri – neppure quelli attualmente iscritti – perché è “un campus non sicuro”. Gli studenti non americani che già studiano a Harvard (quasi seimila) dovranno trovare “una nuova collocazione” o saranno espulsi.
Perché? Per “sradicare il male dell’antiamericanismo”. Una notizia del genere si autocommenta.
È una specie di sunto perfetto della teoria e della prassi maccartista, dunque nazionalista e allofoba in senso paranoico, oggi al potere in America. Ma vale ricordare che il senatore McCarthy era solamente il presidente di una commissione parlamentare. Trump è il presidente degli Stati Uniti, Noem un suo ministro di punta. L’atto politico è quello di “purgare” una delle più prestigiose università del mondo, dopo avergli già tagliato i fondi. Poiché niente al mondo è più cosmopolita e più transnazionale del mondo dell’università e della ricerca, il veto agli studenti stranieri è l’atto più violento che l’amministrazione Trump potesse adottare contro Harvard, cioè contro una delle massime istituzioni americane.
È presto per sapere le reazioni negli Stati Uniti, ma è da escludere che questo atto di violenza culturale e politica rimanga senza conseguenze. La notizia apre i principali siti di tutto l’Occidente. Speriamo ci rimanga a lungo.
(da La Repubblica)
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Maggio 24th, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP ANNUNCIA NUOVI DAZI AL 50% SULLa UE, LE BORSE EUROPEE CROLLANO E I SOVRANISTI SPARISCONO NEL SILENZIO
Ieri Donald Trump ha tuonato da Truth Social: dazi del 50% contro l’Unione Europea a partire dal primo giugno. Ed è bastata quella minaccia, sgrammaticata e brutale, per fare crollare le Borse europee: Milano ha perso il 3%, Parigi il 2,7%, Francoforte il 2,5%. Una scossa tellurica economica scatenata da un uomo che tratta le relazioni internazionali come un rodeo personale, incurante dei danni collaterali.
Nel silenzio spettrale dell’Europa, due assenze pesano più di tutte: quella di Matteo Salvini, che di solito commenta anche la variazione del vento, e quella di Giorgia Meloni, che riesce a esultare per uno zero virgola in più di PIL ma non dice nulla quando crolla tutto. Eppure parliamo del loro amico, del loro modello, del Trump che ha ispirato slogan, campagne e selfie. Ieri non c’erano. Non pervenuti. Il capitano Salvini, che ogni giorno predica sovranismo tra una diretta e una direzione, ha improvvisamente perso la voce. Lui che riesce a far arrivare puntuali solo le sventure dei suoi alleati.
Meloni, che da mesi si vanta di essere la donna forte d’Europa, ha perso
l’occasione di dirci qualcosa su una crisi che colpisce in pieno il cuore del continente. L’Europa? Sta precipitando sotto i colpi di un presidente americano che gioca alla guerra commerciale mentre rilegge i suoi tweet. L’Italia? Assente ingiustificata.
E poi ci sono Israele, Orbán, l’autocrate amico di tutti i sovranisti: una linea di credito politica che si sta trasformando in voragine. Quando si tratta di giustificare chi bombarda ospedali, chi spezza trattati, chi infrange regole comuni, il silenzio torna a essere la più comoda forma di complicità. Perché sono temi che fanno paura. Perché per la destra italiana, oggi al governo, Trump e compagnia non sono alleati: sono criptonite.
Intanto, a pagare saranno i lavoratori, le imprese, le famiglie. Mentre Apple brucia 100 miliardi e i listini affondano, le destre europee si trincerano dietro la propaganda. Salvini, Meloni e i loro amici sono esperti nel lanciare allarmi immaginari. Ma davanti al disastro reale, scompaiono.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2025 Riccardo Fucile
IL 35,7% DI ADDETTI NEL PRIVATO NON RAGGIUNGE I 15.000 EURO LORDI ANNUI
Il lavoro povero, e più in generale i bassi salari, sono una delle principali problematiche
dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia. Secondo uno studio dell’ufficio economia della Cgil nazionale sono 6,2 milioni (35,7%)
i dipendenti del settore privato che nel 2023 hanno percepito un salario inferiore ai 15 mila euro lordi annui, guadagnando nel migliore dei casi 1.000 euro netti al mese. Nel complesso, i lavoratori che guadagnano meno di 25mila euro lordi annui sono circa 10,9 milioni di dipendenti (62,7%).
Come si analizza nello studio, tra gli elementi più penalizzanti della questione salariale vi sono la tipologia contrattuale e il tempo di lavoro. I lavoratori con contratti a termine e part time hanno salari lordi annuali medi rispettivamente di 10,3 mila e 11,8 mila euro. I lavoratori che cumulano le due condizioni vedono ridursi ulteriormente il loro salario lordo annuale medio a 7,1 mila euro.
Basse qualifiche e discontinuità tra le cause
Gli altri fattori che determinano i bassi salari sono l’alta incidenza delle qualifiche più basse nel mercato del lavoro italiano e la forte discontinuità lavorativa, basti pensare che l’83,5% di tutti i rapporti di lavoro cessati ha avuto una durata inferiore all’anno, di cui il 51% fino a 90 giorni.
Ancora, nello studio si evidenzia come a incidere negativamente sui salari sia anche la bassa retribuzione oraria, che per circa 2,8 milioni di lavoratori dipendenti è inferiore a 9,5 euro lordi.
“Precarietà, discontinuità, part time involontario, alta concentrazione di dipendenti nelle più basse qualifiche di inquadramento sono i fattori della tempesta perfetta che colpisce le lavoratrici e i lavoratori italiani – commentano Christian Ferrari e Francesca Re David, della segreteria confederale di Cgil – la maggior parte dei quali – anche a causa di un’alta inflazione cumulata e non ancora recuperata – sono sempre più poveri pur lavorando”.
Declino industriale da 26 mesi
“Per rimediare a una situazione diventata ormai intollerabile, confermata anche dai recenti dati Istat – continuano i due dirigenti sindacali – occorre azionare tutte le leve disponibili: cancellare la precarietà, rinnovare i contratti già scaduti, mettere in campo politiche capaci di invertire il declino industriale che prosegue ininterrottamente da ben 26 mesi, dire basta alla competizione di costo e puntare su una frusta salariale che favorisca una via alta allo sviluppo, approvare una legge sul salario minimo”.
“I referendum dell’8 e 9 giugno puntano a rimettere al centro del modello sociale e di sviluppo italiano un lavoro stabile, ben retribuito, realmente libero e sicuro, che – concludono Ferrari e Re David – consenta a tutte e tutti di realizzarsi e di concorrere al progresso della nostra società”.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2025 Riccardo Fucile
TREVISO E’ UNO DEI LUOGHI PIU’ COLPITI: CON LA NUOVA RIMOLUDAZIONE PERDE DUE TERZI DEI FONDI CHE GLI SPETTAVANO
Colpiti e affondati dal proprio ministro. Almeno fino ad ora. È la sensazione che trapela parlando con i leghisti del Veneto, precisamente della zona di Treviso, per la stramba manovra voluta dal Ministero dell’Infrastrutture e dei Trasporti, guidato dal loro segretario di partito, che in quattro e quattr’otto ha dirottato i fondi destinati alla manutenzione e messa in sicurezza delle strade, su altre opere infrastrutturali. «Un brutto scivolone», lo definisce qualcuno. «Un taglio incomprensibile», rincarano altri amministratori locali.
Tagli fino al 70%
Province, Regioni e Comuni sono tutti in allarme. E il Veneto è tra le regioni più colpite, con tagli fino al 70% dei fondi, che corrisponde a una perdita di oltre 13 milioni di euro. Risorse che sarebbero servite, tra le altre cose, per il rifacimento del manto stradale e la messa in sicurezza di arterie locali sempre più compromesse. Treviso, in particolare, risulta una delle province più colpite: al capoluogo veneto, che è una roccaforte della Lega, erano stati destinati 3.200.211 milioni di euro. Con la nuova rimodulazione, vengono tagliati 2.269.241 milioni di euro, lasciando al
territorio appena 930.970 euro. In pratica, perde oltre due terzi dei fondi originari.
«C’è aria di preoccupazione»
«C’è un’aria di preoccupazione – riferiscono ad Open – preoccupazione che abbiamo espresso anche in sede di assemblea Upi (Unione delle province italiane) perché le risorse del bilancio 2025 erano già impegnate, e in alcuni casi anche spese». E ancora: «Non si tagliano risorse già previste nel bilancio 2025 per compensare aumenti di costi su altre opere. Questa cosa non esiste». Parola di leghisti. Il vero problema, infatti, risiede nel fatto che buona parte dei cantieri a cui sarebbero stati destinati quei fondi, sono già stati avviati.
«Si assuma le sue responsabilità»
«Bisogna pensarci in fretta – insistono – perché quei soldi sono già stati impegnati». Quanti cantieri salterebbero? Gli chiediamo. «Trattandosi di lavori di asfaltatura, non è facile fare un conteggio preciso, ma è una riduzione importante». E alla domanda se si fossero già messi in contatto con il Mit, riferiscono: «Sì, abbiamo scritto, ma finora ci è arrivata solo una risposta tecnica. Ora restiamo in attesa di capire quali provvedimenti saranno presi». Ma un filo di speranza c’è? «Conoscendo Salvini, ci aspettiamo che si assuma le sue responsabilità».
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2025 Riccardo Fucile
AD APRILE SONO STATE 7.231 (+169% RISPETTO AL 2024), CONTRO LE 1.165 DELL’AZIENDA AMERICANA (-49%)… SE IL COSTRUTTORE DI SHENZHEN MANTENESSE QUESTO RITMO DI CRESCITA, TRA UN ANNO POTREBBE ESSERE IL PRIMO BRAND EUROPEO DI AUTO ALIMENTATE A BATTERIA, DAVANTI A VOLKSWAGEN
La cinese BYD in aprile ha sorpassato per la prima volta Tesla per numero di elettriche
pure (Bev) vendute in Europa. Anche se la differenza tra i totali di vendita mensili dei due marchi è minima, 7.231 unità (+169%) per BYD rispetto a 7.165 unità per Tesla (-49%), il dato che ne deriva si potrebbe considerare, secondo le rilevazioni dell’Istituto britannico Jato Dynamics, un possibile spartiacque per il mercato europeo.
Se si considera che Tesla è stata in testa per anni, mentre il costruttore di Shenzhen ha iniziato ufficialmente l’importazione di Bev alla fine del 2022, cominciando da Norvegia e Paesi Bassi.
Quel +169% può fare paura anche a tutti gli altri attori del mercato continentale: in sostanza se BYD mantenesse questo ritmo di crescita tra soli 12 mesi potrebbe essere il primo o secondo brand europeo Bev, testa a testa con Volkswagen (23.500 unità ad aprile, +61%).
Se Tesla ha riportato un altro calo mensile del 49% ad aprile su base annua, BYD al contrario ha fatto registrare un aumento del 359% sommando alle auto elettriche anche le plug-in: un binomio grazie al quale è già leader mondiale e quest’anno punta al record di oltre 5 milioni di vetture vendute.
La rapida espansione di BYD ha già consentito al colosso cinese di superare marchi europei come Seat in Italia, Fiat e Seat in Francia, Fiat in Spagna e Dacia, Fiat e Seat nel Regno Unito. Una crescita incredibile, quella di BYD. E lo stabilimento in Ungheria sarà operativo solo dopo l’estate.
Bev e plug-in pesano per il 26% In aprile le vendite di elettriche e di ibride plug-in, insieme, hanno rappresentato il 26% delle immatricolazioni di nuove auto in Europa. Un record che si spiega anche con le immatricolazioni record fatte registrare dei sempre più numerosi marchi cinesi.
In particolare le vetture a batteria hanno rappresentato il 17% del totale venduto, rispetto al 13,4% fatto registrare ad aprile 2024, mentre i modelli ibridi plug-in hanno di fatto rappresentato il 9% delle registrazioni totali, rispetto al 6,9% del corrispondente mese dello scorso anno.
Nonostante le tariffe doganali imposte dall’Ue, le immatricolazioni di elettriche prodotte dalle case cinesi sono aumentate del 59%, raggiungendo quota 15.300 unità. Le case di Europa, Giappone, Corea e Stati Uniti hanno tuttavia registrato anch’esse un incremento sostenuto, pari al 26%.
Le plug-in, che consentono di evitare dazi aggiuntivi, hanno visto un grande sviluppo dei brand cinesi, sulla base dei volumi, in crescita del 546%, da 1.493 a 9.649 unità dell’aprile 2024, il che consente ai marchi automobilistici cinesi di rappresentare il 10% delle vendite Phev in Europa.
La Skoda Elroq (Gruppo Vw) ha guidato, da debuttante, la classifica dei Bev, con 7.998 unità. Quattro le Vw nelle classifiche: la Vw ID.7, terza fra le elettriche, ha aumentato i volumi del 640%. Nel ranking generale, poi, oltre a Tiguan quarta, ottava è la Golf e non la T-Roc. Renault ha venduto
5.600 unità della 5, la sesta elettrica in classifica, mentre la Kia EV3, lanciata di recente, è già al quinto posto.
I volumi di Tesla Model 3 e Y e di Volvo EX30 sono diminuiti rispettivamente del 41%, del 53% e del 57%. Guardando solo le variazioni percentuali, Porsche è la numero uno tra i marchi Bev con +309% e 2.759 unità vendute (ma le vale solo un ventunesimo posto). Segue la cinese Xpeng, +268% e 1.649; Citroen +246% e 6.133; Ford +240% e 6.539; Skoda +214% e 13.598 unità vendute.
E poi ancora: Mini + 190% e 3.912, Byd + 169% e 7.231 (è già decima), Dacia +135% e 2.252. Infine Cupra (Gruppo Vw) + 133% e 6.536 unità vendute.
(da agenzie)
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