Destra di Popolo.net

SALVINI GETTA LA SPUGNA SUL TERZO MANDATO E MOLLA AL LORO DESTINO I GOVERNATORI DELLA LEGA (ZAIA E FEDRIGA) CHE SPERAVANO IN UN COMPORTAMENTO PIU’ BATTAGLIERO DA PARTE DEL SEGRETARIO

Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile

SALVINI GIOCA A TIRARE LA CORDA CON GLI ALLEATI SENZA SPEZZARLA MAI…SI E’ SPESO IL MINIMO SINDACALE PER POTER POI DIRE, IN MODO PILATESCO: “IL TERZO MANDATO NON LO VUOLE NESSUNO TRANNE NOI. SE IN PARLAMENTO VOTA A FAVORE SOLO LA LEGA E TUTTE VOTANO CONTRO, DAL PD AL M5S, DA FDI A FORZA ITALIA, NE PRENDO ATTO” – TANTO A PRENDERLA IN SACCOCCIA SONO I SUOI COLONNELLI, NON LUI

È rassegnato quando invece i governatori lo vorrebbero, da Capitano quale si definisce, alla guida della battaglia per il terzo mandato. Matteo Salvini sostiene che non permettere a un presidente di Regione di candidarsi per la terza volta sia una «sottrazione di democrazia» ma poi si arrende: «Il terzo mandato non lo vuole nessuno tranne noi. Se in Parlamento vota a favore solo la Lega e tutte votano contro, dal Pd al M5S, da FdI a Forza Italia, ne prendo atto ma fanno un errore perché tolgono ai cittadini la possibilità di scegliere». Game over, insomma.
I governatori del Nord, tutti al secondo mandato, si aspettavano uno slancio in più. Ribollono. Il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga dice che «deciderà il consiglio regionale». Il governatore del Trentino Maurizio Fugatti, il cui statuto è stato impugnato dal Consiglio dei ministri di fronte alla Corte costituzionale, due giorni fa ha denunciato «la scelta politica» fatta da «illustri esponenti del governo» nell’ostinato no al terzo mandato.
Zaia si era già espresso sulla stessa scia, bocciando il diktat romano. Da Caivano parla Arianna Meloni, la sorella della premier: «Con la Lega abbiamo dei rapporti buonissimi ». Ma proprio a Trento, durante il festival dell’economia, interviene il ministro degli Affari regionali, Luca Ciriani. Accanto a lui c’è Francesca Gerosa, l’assessora di Fratelli d’Italia a cui il governatore Fugatti ha tolto la vicepresidenza della Regione dopo la decisione del governo. L’immagine è questa quando l’esponente di FdI
certifica l’isolamento dei governatori leghisti: «Due mandati ai massimi livelli sono sufficienti».
Poi personalizza l’argomento: «Non è un capriccio, non è qualcosa di inventato ai danni di Fugatti o Luca Zaia» del Veneto. E per finire affonda il colpo rivolgendosi a Fugatti, che a Trento è padrone di casa: «Noi non possiamo prendere schiaffi e non fare nulla», e preannuncia che «chi rompe paga e poi le conseguenze saranno tutte sue». Il riferimento è al ritiro della delega a Gerosa e agli accordi che erano stati presi tra gli alleati.
Parole che fanno il paio con le critiche del ministro alla sanità di Pordenone. Critiche che la settimana scorsa hanno innescato la crisi della giunta friulana guidata da Fedriga. Ma se qui lo strappo degli assessori di Lega e Forza Italia che hanno ritirato le deleghe, dovrebbe essere superato con una mozione di fiducia attesa a breve, in Trentino la ferita è ancora aperta.

(ad agenzie)

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DOPO LA CONDANNA NEI CONFRONTI DEL PREMIER ISRAELIANO, BENJAMIN NETANYAHU, PARIGI E LONDRA POTREBBERO RICONOSCERE LO STATO DELLA PALESTINA, SEGUENDO L’ESEMPIO RECENTE DI SPAGNA, NORVEGIA E IRLANDA

Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile

E L’ITALIA CHE FA? GIORGIA MELONI, PER NON FAR INCAZZARE TRUMP (STORICAMENTE CONTRARIO AL RICONOSCIMENTO), CONTINUA A DIRE DI NO

Dopo le dichiarazioni di condanna nei confronti del premier israeliano Bibi Netanyahu, Francia e Gran Bretagna da inizio maggio stanno discutendo sulla possibilità di riconoscere lo Stato della Palestina in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite che si terrà dal 2 al 5 giugno a New York, presieduta proprio da Parigi con Riad.
La conferenza delle Nazioni Unite – a cui non parteciperanno capi di Stato e di governo e che si terrà alla vigilia del G7 in Canada – è stata convocata [… ]per discutere del tema della soluzione a due Stati per israeliani e palestinesi. Nello specifico la conferenza dell’Onu produrrà un documento di indirizzo sulla “risoluzione pacifica della questione palestinese e
l’attuazione della soluzione a due Stati”.
Ed è proprio a margine di questo evento che Gran Bretagna e Francia stanno discutendo con il governo saudita sulla possibilità di riconoscere lo Stato della Palestina, seguendo l’esempio recente di Spagna, Norvegia e Irlanda. Il ministro degli Esteri britannico David Lammy lo aveva confermato in Parlamento a fine aprile e lo stesso aveva fatto il presidente francese Emmanuel Macron.
In questi giorni però, come ha rivelato il Guardian, Downing Street ha qualche dubbio sull’eventualità che Macron possa decidere di fare questo passo già in occasione della Conferenza di giugno. Resta però il fatto che il governo italiano non sia intenzionato a seguire la mossa di Londra e Parigi. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha più volte ribadito di voler arrivare alla soluzione dei due popoli e due Stati senza però riconoscere unilateralmente la Palestina.
Posizione che viene confermata al Fatto da una fonte di primo piano dell’esecutivo alla luce della conferenza di New York: il governo italiano potrà riconoscere lo Stato palestinese solo al termine di un processo politico e diplomatico che porti alla riunificazione istituzionale di Gaza e Cisgiordania e al riconoscimento reciproco tra Israele e Palestina, è il ragionamento dell’esecutivo.
Un’ipotesi, al momento, del tutto irrealistica sia dal punto di vista politico che dal punto di vista diplomatico. La decisione di Macron e di Keir Starmer di riconoscere la Palestina potrebbe arrivare anche in contrapposizione con l’amministrazione americana di Donald Trump, storicamente contraria. Per quanto il presidente americano negli ultimi giorni si sia dissociato dalle decisioni del premier israeliano Bibi Netnyahu, la Casa Bianca non riconosce lo Stato della Palestina.
La scelta di Meloni di non riconoscere lo Stato della Palestina è anche un modo per seguire in scia l’amministrazione americana: non è un caso che nei giorni scorsi la presidente del Consiglio italiana non abbia ma
condannato esplicitamente il premier israeliano Netanyahu per il suo piano militare a Gaza, ma si sia limitata a dire in Parlamento di non condividere le sue ultime strategie sulla Striscia.

(da agenzie)

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IL GOVERNO MELONI NON SA CHE PESCI PRENDERE SUI DAZI DEL SUO AMICO TRUMP

Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile

PER GIORGIA MELONI, IL “NUOVO” PNRR DEVE DIVENTARE UN SALVAGENTE: ORA CHE LE ACQUE SI SONO FATTE AGITATE, IL SOCCORSO EUROPEO È DIVENTATO INDISPENSABILE

Spiazzato e diviso. ll giorno dopo l’annuncio di Donald Trump sui dazi al 50%, il governo si scopre in difficoltà. E rilancia l’idea di destinare i soldi del Pnrr alle imprese italiane colpite dalle barriere commerciali.
Le tensioni montano ai massimi livelli. I due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, vanno in rotta di collisione. Dal palco del Festival dell’Economia di Trento è il leader della Lega a spargere critiche sulla
capacità dell’Europa di trattare con l’amministrazione statunitense. «Il problema — dice — è chi sta trattando, conto che Bruxelles abbia la linea telefonica diretta con gli Usa».
Il paragone è con gli altri paesi, dall’India al Messico, impegnati a ridimensionare la portata dei dazi. «Se arriva un accordo con questi Paesi, persino con la Cina, e l’Ue resta fuori — insiste — il problema non è il modo di trattare, ma la mancanza di un’interlocuzione seria: l’impressione è che non ci sia nessuno a fare da contraltare».
Le parole di Salvini suonano ostili a Forza Italia. «Il trattato e le norme dicono che tratta l’Unione europea, quindi io lavoro per aiutare l’Ue a raggiungere il migliore obiettivo possibile», mette in chiaro il leader degli azzurri, Antonio Tajani. Poi la frecciata diretta al collega vicepremier: «Non mi ha mai convinto — dice — la retorica antieuropeista, io sono un convinto europeista». Fonti di partito sottolineano che lo strappo di Salvini è stato bollato come un doppio errore. Non solo per la contestazione del metodo, e quindi di una trattativa guidata dall’Ue, ma anche per i tempi, ritenuti «inopportuni dato che ora la priorità è capire se Trump alzerà davvero i dazi».
Le distanze tra Salvini e Tajani aggiungono una grana a Giorgia Meloni, che nelle ultime ore si è ritrovata di fronte un quadro complesso, molto diverso da quello che aveva messo in conto appena qualche giorno fa, quando un accordo sui dazi appariva a Palazzo Chigi come un obiettivo raggiungibile. La premier, raccontano fonti dell’esecutivo, confida ancora che si possa arrivare a un’intesa accettabile con gli Stati Uniti, e quindi sostenibile per l’economia italiana.
Da Fratelli d’Italia filtra che c’è ancora spazio per l’obiettivo «zero per zero» dazi, ma nel governo si starebbe puntando a un accordo come quello raggiunto tra Washington e Londra, e quindi dazi al 10%.
Prima la strategia. Recita così: bisogna continuare a trattare. Lavorare per un compromesso, quindi, evitando fratture. Dentro il governo tira anche
aria di smarrimento, seppure celato. Fonti dell’esecutivo ragionano così: «I dazi di Trump al 50% assomigliano a un modo per dire “i dazi ci sono”, dopo che la questione stava diventando una sorta di bolla che si stava sgonfiando». La premessa arriva a questa conclusione: «Siamo nel campo del non prevedibile».

(da agenzie)

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“L’AZIONE POLITICA DOVREBBE BASARSI SULL’EVIDENZA SCIENTIFICA E NON SUL PREGIUDIZIO IDEOLOGICO”: IL PROFESSOR FRANCO LOCATELLI, EX COORDINATORE DEL CTS, AZZANNA LA DUCETTA PER L’ASTENSIONE DELL’ITALIA DAL PIANO PANDEMICO DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ

Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile

“NON NE CAPISCO PROPRIO LA LOGICA. DOVEVAMO ESSERE I PRIMI A VOTARE SÌ, DOPO QUELLO CHE ABBIAMO VISSUTO CON IL COVID” – “IN NESSUN MODO VIENE CONFERITA ALL’OMS LA FACOLTÀ DI INTERVENIRE SULLE SCELTE POLITICHE DEI SINGOLI PAESI, NÉ DI IMPORRE PROVVEDIMENTI RESTRITTIVI”

«Non ne capisco proprio la logica», dice subito il professor Franco Locatelli, a proposito dell’astensione dell’Italia sul piano pandemico dell’Organizzazione mondiale della sanità. «Dovevamo essere i primi a votare sì, dopo quello che abbiamo vissuto con il Covid», aggiunge l’oncoematologo del Bambin Gesù di Roma e presidente uscente del Consiglio superiore di sanità (il suo mandato è scaduto a marzo).
Ma, soprattutto, per un anno, tra il 2021 e il 2022, coordinatore del Comitato tecnico scientifico e principale consulente del premier Mario Draghi e del ministro della Salute, Roberto Speranza, nella gestione della seconda fase della pandemia. […] «Non si può negare che questo accordo pandemico sia un passo avanti significativo».
Anche se, dopo lunghe trattative, il documento è stato ridimensionato in alcuni passaggi?
«Il risultato è comunque positivo per migliorare la capacità di prevenzione e l’organizzazione di una risposta condivisa alle future minacce pandemiche. Si prevede una maggiore sinergia fra i Paesi, anche per quanto riguarda la produzione e l’approvvigionamento di vaccini. E poi un
coordinamento internazionale dell’attività di ricerca, per mettere in rete tutte le informazioni utili su nuovi agenti patogeni che dovessero emergere».
Il governo italiano ha deciso di astenersi per «riaffermare la sovranità degli Stati nell’affrontare le questioni di salute pubblica». Che ne pensa?
«Mi pare che l’accordo sia assolutamente rispettoso della sovranità nazionale. In nessun modo viene conferita all’Oms la facoltà di intervenire sulle scelte politiche dei singoli Paesi, né di imporre provvedimenti restrittivi, come il lockdown o il divieto degli spostamenti».
Quindi, il ministro Schillaci e la premier Meloni hanno letto male?
«Non so cosa ci sia davvero alla base della scelta di chiamarsi fuori. Ma da medico, da scienziato, da rappresentante della sanità pubblica è una decisione che mi lascia molto perplesso. Perché non ci sono critiche specifiche, non c’è la richiesta di modificare questo o quel passaggio: tutto è perfettibile, per carità, ma a mio avviso c’erano le condizioni per approvare il documento».
Invece non l’abbiamo fatto, al pari di Russia e Iran o, restando in Europa, di Polonia e Slovacchia.
«Tutti i più importanti Paesi europei hanno votato a favore, un minimo di coerenza avrebbe consigliato di fare altrettanto. Siamo stati uno dei Paesi più colpiti dal Covid, con un altissimo numero di vittime, la lezione della pandemia non può assolutamente essere dimenticata».
C’è chi, come la Lega, vorrebbe uscire dall’Oms, sulla scia degli Stati Uniti di Donald Trump. Come giudica questa idea?
«Penso che l’azione politica debba basarsi sull’evidenza scientifica e non sul pregiudizio ideologico. Ovviamente non sono per nulla d’accordo sull’ipotesi di uscire dall’Oms: è una struttura sovranazionale fondamentale, per tutelare soprattutto chi vive nei Paesi più svantaggiati».

(da agenzie)

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IL GOVERNO MELONI CI VUOLE LEGARE MANI E PIEDI A ELON MUSK: NON SOLO IL MINISTERO DEI TRASPORTI BY SALVINI, ANCHE IL MINISTERO DELLA DIFESA DI CROSETTO STA PENSANDO A UN ACCORDO AVERE IL PRIMA POSSIBILE A DISPOSIZIONE I SATELLITI DI STARLINK, PER LE COMUNICAZIONI INTERNE E PER LA TRASMISSIONE DATI

Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile

L’AERONAUTICA STA LAVORANDO A UNA SPERIMENTAZIONE SUI CACCIA F35, FAVORITA DA UN’INTEGRAZIONE GIÀ AMPIAMENTE AVVIATA CON I SISTEMI DI DIFESA E LA TECNOLOGIA AMERICANA

Non è solo il ministero dei Trasporti, e cioè Matteo Salvini, che spinge per un accordo con Starlink. Agli Esteri, ma di più alla Difesa, considerano essenziale avere il prima possibile a disposizione i satelliti di Elon Musk, per le comunicazioni interne e per la trasmissione dati.
Altre fonti vicine ai negoziati con Starlink raccontano di progetti allo studio per attrezzare le navi e gli aerei militari. Dal ministero di Guido Crosetto non confermano. Da quanto risulta, però, l’Aeronautica sta lavorando a una sperimentazione sui caccia F35, favorita da un’integrazione già ampiamente avviata con i sistemi di difesa e la tecnologia americana.
Prima di lasciare, lo scorso 10 maggio, il posto di Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, il generale Luca Goretti ha fatto il suo endorsement a favore di Musk: «Non dico che l’Italia ha bisogno di Starlink, dico che c’è bisogno di alcune capacità per poterci espandere, come avere ovunque comunicazioni in tempo reale. Poi, la scelta del prodotto dipende dalla politica». Goretti ha parlato margine dell’Aerospace Power Conference, a Roma, un convegno organizzato dall’Aeronautica finito al centro di un’interrogazione del Pd per la presenza, tra gli invitati, di Stephanie
Bednarek, vicepresidente vendite commerciali di SpaceX.
Crosetto dovrà chiarire fino a dove è arrivata l’interlocuzione con un’azienda Usa che è inserita pienamente nelle attività del Dipartimento della Difesa Usa, principale partner dei vertici militari di Roma. AirBaltic è stata la prima compagnia a offrire una connessione satellitare a bordo aereo in ambito civile. Starlink garantisce una velocità di download tra i 40 e 220 Mps. I test dell’Us Air Force sugli F35 sono stati definiti un successo.
Parliamo di aerei che sono piattaforme informatiche, che interagiscono con settori a terra, carrarmati e singoli soldati, per i quali la trasmissione satellitare per la comunicazione è fondamentale. Sarebbe un salto di qualità rispetto all’uso standard che è avvenuto con abbonamenti ad hoc in presidi militari, sedi diplomatiche e anche navi della Marina (a bordo di una Fremm nell’Indopacifico e dell’Amerigo Vespucci durante il suo tour globale).
Il puzzle è composito, anche perché SpaceX, ha una gamma di prodotti molto più avanzata di qualsiasi altro concorrente, e che ovviamente fa gola a chi non vuole farsi trovare impreparato nella grande sfida dello spazio. Anche attraverso soluzioni commerciali a tempo, che possano fare da ponte a quando arriveranno i satelliti made in Europe. Il contratto con Musk, sponsorizzato dalla premier Giorgia Meloni, è rimasto congelato dopo l’inchiesta per corruzione su Sogei, in cui è finito sotto indagine anche Andrea Stroppa, referente in Italia del multimiliardario.
Le interferenze elettorali di Musk in Europa e gli attacchi di Stroppa ai parlamentari e ai ministri italiani hanno solo contribuito a complicare di più il quadro. Il Quirinale ha espresso dubbi sulla sicurezza e sul controllo nazionale dei dati lasciati a un privato che lavora per il presidente americano Donald Trump, e l’Unione europea ha iniziato un pressing su Roma per tenere l’Italia agganciata ai progetti satellitari comunitari.

(da La Stampa)

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GRILLO STA LAVORANDO A UN DOCUFILM SULLE SUE BATTAGLIE (REDDITO UNIVERSALE, LAVORO E AMBIENTE) CON CUI TORNARE IN TV

Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile

ACCANTONATA (PER ORA) L’IDEA DI UNA CAUSA GIUDIZIARIA SULLA PROPRIETÀ DEL SIMBOLO DEL MOVIMENTO CINQUESTELLE

Che fine ha fatto Beppe Grillo? Lo avevamo lasciato sull’uscio del Movimento, con un post che citava anche iconograficamente il finale di The Truman Show: «Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buona sera e buona notte». E lui, l’ex garante, cacciato a colpi di clic dalla sua creatura, il M5S, è davvero scomparso, come in un colpo di teatro. Ora però potrebbe riapparire. In tv.
Molti movimentisti che lo hanno sostenuto e che ancora lo sostengono sperano in una sua mossa per riprendersi il simbolo con le cinque stelle. Grillo a onor del vero per un po’ ci ha pensato, ha covato vendetta, o meglio «ha accarezzato l’idea di riprendersi ciò che gli appartiene», ossia il famoso logo del partito, registrato a suo nome e a più riprese in anni lontanissimi (e legato a doppio filo al Movimento dallo statuto e da una manleva firmata dal garante).
La delusione a dicembre era forte. Il voto degli attivisti chiamati a pronunciarsi sul ruolo del garante, gli applausi scanditi con Giuseppe
Conte sul palco nel momento in cui veniva sancita la sua fuoriuscita, la distanza del nuovo corso contiano dai valori delle origini, il «tradimento» — a suo avviso — di big che aveva protetto a lungo sotto la sua ala: tutte cicatrici che hanno lasciato il segno.
Lo scontro sul logo sarebbe stato giudiziario e non politico, un finale a carte bollate, che, però, non ha convinto lo showman. Troppi dubbi su ricadute, costi, immagine: da qui la scelta di «congelare» l’idea, almeno per il momento. Non un dietrofront, ma uno stallo, anche perché all’ex padre nobile stellato era stato suggerito (anche per una questione di opportunità) di avviare la causa prima del voto della Costituente. La strada è ancora percorribile e potrebbe riservare sorprese
Oggi come sei mesi fa Grillo preferisce attendere. I suoi fedelissimi dicono che ormai si è «distaccato dalla politica» e che «è tornato a occuparsi delle sue passioni». […] Lui, sul blog, è tornato a scrivere e a occuparsi delle sue vecchie battaglie, principalmente reddito universale, lavoro e ambiente. L’ultima stoccata? Pochi giorni fa, sulla riduzione dell’orario di lavoro. «Quando nel 2011 lanciai la proposta delle 20 ore settimanali retribuite sembrava una provocazione», ha postato il fondatore del Movimento. Per poi proseguire: «Nel 2050 lavorare 20 ore a settimana potrebbe non solo essere possibile, ma necessario».
Ma il blog non è l’unico canale di comunicazione che Grillo sta esplorando. Lo showman sta lavorando all’ipotesi di un docufilm in cui istrioneggiare tra temi cari e risvolti personali. Secondo diverse voci, il progetto sarebbe già avviato. E Grillo ci si starebbe dedicando con passione e attenzione. «Beppe si è isolato, ha scelto questa strada, ma è e resta inarrestabile», dice chi lo conosce bene. «Quando è il momento si farà sentire e dirà ciò che deve». Grillo […] ha messo la politica in freezer. Da uomo di spettacolo si riserva la scena per il gran finale, che potrebbe non essere nelle aule di un tribunale, ma in un luogo a lui più congeniale: il piccolo schermo delle tv degli italiani.

(da agenzie)

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I DESAPARECIDOS DI CASA NOSTRA, OGNI GIORNO IN ITALIA SCOMPAIONO 64 MINORI: NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI SI TRATTA DI RAGAZZI CHE SPARISCONO DOPO ESSERSI ALLONTANATI DA UNA FAMIGLIA DISFUNZIONALE, MA NON SONO RARI I CASI IN CUI FINISCONO IN TRAPPOLE LANCIATE SUI SOCIAL DA MALINTENZIONATI

Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile

PIÙ DELLA METÀ DELLE SEGNALAZIONI RIGUARDA MINORENNI STRANIERI, MENTRE IL 43% RIGUARDA GLI ITALIANI – IL RAPPORTO DI “TELEFONO AZZURRO”: “DOVE NON CI SONO PROTEZIONI ADEGUATE I MINORI DIVENTANO OGGETTO DI MERCATO”

Scompaiono nel nulla dopo essersi allontanati da una famiglia disfunzionale o da un istituto a cui erano stati affidati per la loro protezione e accoglienza. Oppure spariscono perché sottratti da un genitore in guerra con l’altro dopo una separazione difficile. Ma non sono rari i casi in cui finiscono in trappole lanciate sui social da malintenzionati.
A fotografare i “bambini invisibili” per la Giornata internazionale dei minori scomparsi, che si celebra oggi, è Telefono Azzurro in un dossier che sarà presentato domani alla Camera con un convegno a cui partecipano esperti e rappresentanti delle istituzioni.
Stando ai dati, nel primo semestre del 2024 sono state registrate in Italia 11.694 denunce di scomparsa, con una media giornaliera di 64 casi. La maggior parte riguarda minori di età inferiore ai 18 anni, che rappresentano il 69,6% del totale per un totale di 8.143 casi. Più della metà delle segnalazioni è di minorenni stranieri, mentre il 43% gli italiani. Tra i bambini migranti (5.773 casi), il fenomeno riguarda in modo preponderante i maschi (88%). Mentre i ritrovamenti risultano più frequenti tra le ragazzine (58,1%) e la fascia d’età più colpita è quella tra i 16 e i 17 anni (oltre il 70% dei casi).
«Sono dati significativi perché raccontano una fascia importante di popolazione minorile che non ha identità, non ha tutele e che quindi sparisce – sottolinea il presidente di Telefono Azzurro, Ernesto Caffo -. Quella dei bambini scomparsi è una piaga in tutto il mondo. Dove non ci sono protezioni adeguate i minori diventano oggetto di mercato, merce per forme di sfruttamento di ogni tipo».
Preoccupa il fenomeno dei bambini fuggiti da guerre, povertà e catastrofi naturali che, quando non sono accompagnati, rischiano di finire vittime della tratta o di subire abusi durante il viaggio.
«Ma sono sempre più numerosi in Italia i casi di scomparsa e di fuga da casa per situazioni familiari complesse o di violenza, per condizionamenti sociali che agiscono in maniera sempre più negativa – continua Caffo -, complice anche la spinta di strumenti digitali invasivi che stanno influendo in maniera drammatica sulle personalità sempre più fragili di bambini e adolescenti».

(da la Stampa)

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TRUMP SI TIRA LA ZAPPA SUI PIEDI E XI NE APPROFITTA: LA CINA CONDANNA LA GUERRA DI DONALD TRUMP CONTRO HARVARD E APRE LE PORTE AGLI ALUNNI CHE SARANNO COSTRETTI A RINUNCIARE ALL’ISCRIZIONE O FERMARE I LORO STUDI ALL’ATENEO, DOPO LA CROCIATA DEL TYCOON: “VENITE A STUDIARE DA NOI”

Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile

CON I SUOI TAGLI ALL’ISTRUZIONE, IL CALIGOLA DI MAR-A-LAGO STA ACCELERANDO L’ASCESA DEL DRAGONE: LE UNIVERSITÀ AMERICANE PERDERANNO SIA ENTRATE CHE TALENTI…HARVARD HA GIÀ PERSO QUASI 1.000 BORSE DI STUDIO, PER UN VALORE DI OLTRE 2,4 MILIARDI DI DOLLARI

«Per gli studenti internazionali interessati dalla politica di ammissione degli Stati Uniti il nostro Dipartimento ha invitato tutte le università di Hong Kong a offrire misure di agevolazione». Così la segretaria all’Istruzione dell’ex colonia britannica, Christine Choi, che esorta dunque gli atenei della città ad aprire le porte a coloro che saranno costretti a rinunciare ad iscriversi, o a proseguire i loro studi, ad Harvard a causa della nuova crociata di Donald Trump.
C’è chi non ha perso tempo, come l’Università di Scienza e Tecnologia di Hong Kong che aveva già invitato venerdì gli iscritti ad Harvard a proseguire i loro studi presso l’ateneo di Hong Kong, promettendo «procedure di ammissione semplificate e sostegno accademico per facilitare una transizione senza intoppi per gli studenti interessati ». Lo stesso hanno fatto anche altre quattro università della città.
La Cina ha prontamente condannato venerdì la mossa di Trump — ora temporaneamente sospesa da un giudice — denunciando la «politicizzazione dell’istruzione », una decisione che «danneggia l’immagine e la reputazione internazionale degli Stati Uniti». Trump ha accusato Harvard, tra le altre cose, di legami col Partito comunista.
E però forse Pechino tanto dispiaciuta non è in fondo se l’America dandosi la zappa sui piedi da sola perde un po’ del proprio soft power. A lungo termine la Cina potrebbe trarne vantaggio. Due anni fa Xi Jinping, assieme all’ex presidente Usa Joe Biden, annunciò un piano per attrarre 50 mila studenti americani per programmi di scambio culturale nell’arco di cinque anni. […] Per qualcuno ora la prospettiva di accettare la proposta cinese potrebbe diventare un po’ più allettante.
In alcuni commenti sui social mandarini c’è chi afferma che così Trump sta accelerando l’ascesa della Cina: le università americane perderanno sia entrate che talenti, alcuni dei quali potrebbero finire proprio qui. Non c’è solo la Cina: pure l’Europa vuole diventare un rifugio per scienziati e ricercatori in fuga dagli Usa. A inizio maggio Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen hanno annunciato un programma da 500 milioni di euro per attrarre i migliori cervelli.
(da “la Repubblica”)

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DILAGANO IN TUTTO IL MONDO LE DISCOTECHE “SOLO DONNE”, DOVE I MASCHI NON SONO ACCETTATI: SI INIZIA A BALLARE ALLE 18 E NON ESISTE DRESS CODE (CI SI PUO’ PRESENTARE ANCHE IN TUTA O CON IL CLASSICO “STILE DA GATTARA”)

Maggio 25th, 2025 Riccardo Fucile

I PRIMI SPAZI PER SOLE DONNE SONO NATI NEGLI STATI UNITI, POI LA MODA È ARRIVATA IN EUROPA E PERSINO IN ITALIA – NEGLI USA LE SERATE SONO SOLD OUT

Le regole d’ingaggio della discoteca “women only” sono sempre le stesse: si inizia a ballare alle sei, massimo sette, del pomeriggio per essere riposate e fresche la mattina dopo, quando c’è da badare ai figli o andare al lavoro. Entrano solo le donne e le persone che si identificano come donne. Non esiste un dress code: ci si può presentare con gli strass o in tutona, nulla cambia
Musica vintage o da millennial nostalgica: classiconi degli anni Ottanta e Novanta, al massimo si arriva ai primi Duemila. Altra caratteristica comune: che siano a New York o Parigi, Brisbane o Roma, i party per donne collezionano un sold out dopo l’altro.
Negli Stati Uniti l’idea è di Laura Baginski e Susie Lee, che si auto-descrivono come «due amiche di lunga data che si sono incontrate alla rimpatriata del liceo» e «chiacchierando di maternità e carriera» hanno realizzato quanto a entrambe mancasse ballare, ma quanto fosse per loro ormai impossibile.
Da un piccolo evento da un centinaio di persone organizzato nella loro città, Chicago, si è trasformato in fretta un lavoro a tempo pieno e in un marchio – Earlybirds Club – che ora propone lo stesso pacchetto in giro per il mondo. Il claim: party per donne che hanno shit to do, “roba da sbrigare”, la mattina.
La discoteca al pomeriggio in Australia si chiama DiscoClub e l’hanno creata due podcaster, Sarah Wills e Lise Carlaw, che spiegano: «Lo scopo non è togliere lo spazio agli uomini, ma offrire alle donne uno spazio che mancava». In Germania è “Mama Geht Tanzen”, “Mamma va a ballare” e nel Regno Unito “Mums That Rave”, comunità creata dalla produttrice discografica Nikki Beatnik. A Parigi i party “Diva” si fanno al Club Raspoutine, accanto agli Champs-Elysees.
Anche l’Italia ha il suo tardo pomeriggio in discoteca: si chiama “Non farcela party” e l’hanno organizzato Francesca Fiore e Sarah Malnerich, autrici e fondatrici di “Mamma di Merda”.
Se i party per donne hanno così tanto successo vuol dire che di uno spazio al femminile che somigli a calcetto, fanta calcio, club della caccia o qualsiasi altro passatempo-da-maschi ne avevamo bisogno.

(da La Stampa)

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