Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile
LE RIVELAZIONI DEL NEW YORK TIMES
Tra droghe e drammi familiari il New York Times indaga sul privato dei mesi che Elon Musk ha passato accanto a Donald Trump. Ecstasy, funghi psichedelici e soprattutto ketamina, l’anestetico che in overdose ha ucciso l’attore Matthew Perry di Friends: l’uomo più ricco del mondo ne avrebbe fatto uso in modo “pericoloso”, scrive il giornale, che punta i riflettori anche sui numerosi figli – 14 appurati e altri la cui esistenza è emersa da indiscrezioni – nati con la fecondazione artificiale in virtù delle teorie nataliste che vedono il patron di Tesla in prima linea.
«Il consumo di droghe andava ben oltre l’uso occasionale. Musk ha parlato con diverse persone degli effetti della ketamina sulla vescica come capita in caso di uso cronico», scrive il media secondo cui Elon usa anche ecstasy e funghi allucinogeni e in viaggio porta «una scatola di farmaci con circa 20 pillole al giorno, compreso lo stimolante Adderall».
Non è chiaro se Musk usasse droghe quando quest’anno ha avuto da Trump carta bianca per ridurre la burocrazia federale.
In passato aveva ammesso di usare la ketamina un paio di volte al mese per la depressione e al suo biografo, Walter Isaacson, aveva detto che «non gli piace far uso di droghe illegali». Più di recente
però Musk avrebbe sviluppato «abitudini pericolose», scrive il Nyt, «prendendo la ketamina anche quotidianamente, mescolandola con altre droghe» anche mentre consigliava Donald Trump durante la campagna elettorale per un secondo mandato presidenziale..
Il «confine sfumato» tra uso medico e ricreativo ha suscitato timori tra persone vicine a lui, preoccupate anche «per i frequenti sbalzi di umore e la fissazione a fare più figli». Musk, che negli ultimi tempi si è avvicinato ai teorici del natalismo e dell’eugenetica Simone e Malcolm Collins, ha avuto sei figli dalla prima moglie (uno morto da piccolo) e altri tre dalla cantante Grimes (Claire Boucher), convinta di avere con lui una relazione stabile per poi andare su tutte le furie una volta appreso che, mentre una madre surrogata portava a termine il terzo bebè, Elon aveva avuto due gemelli da Shivon Zilis, una executive della sua società Neuralink, a cui negli ultimi due anni se ne sono aggiunti altri due. All’insaputa di Claire e Shivon, quest’anno è poi arrivato Romulus, figlio dell’influencer Ashley St. Clair.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile
GLI ERMELLINI RINVIANO OGNI DECISIONE SUL CASO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA… È LA PRIMA VOLTA CHE VIENE CHIESTO ALLE TOGHE DI LUSSEMBURGO DI VERIFICARE LA COMPATIBILITÀ DI UN SISTEMA DI ASILO EXTRATERRITORIALE CON IL DIRITTO DELL’UNIONE
Sul decreto Albania la Cassazione ci ripensa, e mette nei guai il governo. Per l’hotspot
di Gjader, e per l’intero impianto dell’operazione stilata sugli accordi Roma-Tirana, gli ermellini chiedono che sia la Corte di giustizia europea a decidere, di fatto compiendo un’inversione quasi completa rispetto a quanto stabilito dalla sentenza 17150 dello scorso 8 maggio.
E’ la prima volta che viene chiesto a quelle toghe di verificare la compatibilità di un sistema di asilo extraterritoriale con il diritto dell’Unione.
La Corte suprema italiana esprime infatti la riserva che l’operazione Albania, con l’equiparazione del polo di Gjader ai nostri Centri di permanenza per i rimpatri, possa essere compatibile con le norme e le tutele dei diritti fondamentali che si è data l’Europa.
Le motivazioni della Cassazione saranno depositate solo nei prossimi giorni, ma intanto è una decisione che pesa e che ha rischiato di creare divisioni anche all’interno del Palazzaccio. Peraltro, fino a quando non verrà sciolto il nodo, è poco probabile che Tribunali e Corti possano avallare le detenzioni nelle strutture albanesi.
Ma su cosa doveva esprimersi la Cassazione? I due provvedimenti appena emessi dalla Prima sezione penale (presidente del collegio Giuseppe De Marzo, relatori Daniele Cappuccio e Carmine Russo) riguardano i ricorsi del Viminale sui casi di due migranti per i quali la Corte d’appello di Roma aveva deciso di non convalidare i loro trattenimenti: le due persone erano trattenute in Albania e avevano proposto la domanda di protezione internazionale. Impugnazione quindi caduta nel vuoto.
La Cassazione congela tutto, e pone infatti alla Corte di giustizia europea due domande fondamentali. Gli accordi tra Roma e Tirana davvero rispettano l’impianto delle direttive europee? E proteggono diritti e tutela di chi richiede asilo?
La prima questione pone infatti il tema della compatibilità con il diritto dell’Unione di una disciplina, contenuta nella legge che ratifica il protocollo tra Italia e Albania (è la 14 del 2024), in cui si dispone un trattenimento senza “prospettive predeterminate” di rimpatrio (che sarebbe in violazione della direttiva 2008/115). La seconda, in via subordinata, intende verificare il rispetto del
principio, fondamentale, del diritto a rimanere nel territorio dello Stato, dopo che si propone domanda di protezione
(da La Repubblica)
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Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile
LE PIÙ NUMEROSE, TRA SOLDATI EFFETTIVI E RISERVISTI, SONO QUELLE DI POLONIA, FRANCIA E GRECIA… LE TRUPPE ITALIANE SONO INFERIORI A QUELLE TEDESCHE MA SUPERIORI A QUELLE BRITANNICHE…LO STRAPOTERE MILITARE DELLA TURCHIA, SIA IN UOMINI CHE MEZZI, E L’INSOSPETTABILE DOTAZIONE DI CARRI ARMATI DI ATENE
Su quali capacità militari possono contare i Paesi europei dell’Alleanza atlantica per difendere il continente in caso di attacco? In un dossier della tedesca Frankfurter Allgemeine Zeitung sono messi a confronto i pilastri su cui si sostengono le forze armate Europa: soldati, difesa terrestre, aerea e navale.
Secondo le ambizioni del cancelliere Merz le forze armate della Germania dovrebbero «diventare l’esercito convenzionale più forte d’Europa». Ma la distanza tra aspirazioni e realtà è grande. […] La Germania può contare su 182.000 soldati e 62.000 riservisti. Il piano è di arrivare entro il 2031 a 203.000 effettivi, mentre si aspira ad averne in tutto 460.000.
La Francia ha le forze armate più numerose tra i Paesi Nato della Ue con circa 202.000 unità, mentre la Polonia ha lo stesso numero di soldati ma può contare su 300.000 riservisti. Secondo Varsavia gli effettivi nei prossimi anni saliranno a 300.000 e dal 2027 ogni anno circa 100.000 persone dovrebbero sottoporsi a un training militare volontario. L’Italia conta su 170.000 soldati, seguita da Regno Unito con 141.000, Grecia con 132.000 e Spagna con 122.000.
La grandezza degli eserciti però non riflette necessariamente la situazione delle capacità militari. Ad esempio, la leadership circa il numero di carro armati da combattimento tra i Paesi Nato in Europa (Turchia esclusa) è della Grecia, seguita da Polonia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Francia, Finlandia e Italia. Il nostro Paese ha la metà dei panzer di cui dispone la Germania, e Berlino a sua volta ne ha un quarto di quelli della Grecia.
Atene può contare su oltre 1300 veicoli corazzati da combattimento in gran parte per via della competizione con il vicino turco (che ne ha 2378), tra cui 170 modelli di Leopard 2 costruiti ad hoc e 183 Leopard 2A4. A questi si aggiungono 500 vecchi Leopard 1 e 375 M48 americani. Secondo il Military Balance, la Polonia è al secondo posto con 662 veicoli corazzati da combattimento, alcuni di fabbricazione tedesca (200 Leopard 2), altri americana (oltre 100 M1A1) e altri ancora sudcoreana (71 K2). La Germania è terza in classifica con 300 panzer Leopard 2. Nel corso dell’anno Berlino
potrebbe avere ancora 209 Leopard 2A5/A6 e 104 Leopard 2A7v, riporta l’International institute for strategic studies.
E altri 105 Leopard 2A8 di seconda generazione arriveranno entro il 2030. La Spagna segue a ruota la Germania con 274 Leopard 2. Ancora dietro la Francia con 200 Leclerc e la Gran Bretagna con 213 Challenger 2 mentre la Finlandia ha 200 Leopard (100 2A6 e 100 2A4). L’Italia dispone di oltre 150 Ariete.
Sulla difesa aerea il Paese messo meglio è la Francia.
L’aeronautica francese dispone in tutto di 240 caccia a cui si aggiungono i 60 della Marina. Per lo più si tratta di diversi modelli di Mirage, che sta cercando di sostituire con i più moderni Rafale (142). La seconda è la Grecia, con 230 velivoli da caccia, tra cui 20 Rafale, 32 Phantom F4 e 164 F-16 americani. L’aeronautica tedesca è terza con 266 velivoli (non solo da combattimento), di cui 138 Eurofighter e 93 Tornado. Questi dovrebbero essere sostituiti dal 2026 con 35 aerei da combattimento F-35 americani e nuovi Eurofighter. L’Italia è quinta dopo la Gran Bretagna, con 92 Eurofighter e 26 F-35 destinati ad aumentare. La leadership della difesa navale è ancora della Francia, seguita da Italia, Gran Bretagna e Grecia.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile
”UN CAMPUS APERTO ALLA CITTA’, MA BISOGNA MIGLIORARE I SERVIZI E L’OFFERTA CULTURALE”
“Mi piacerebbe che finissero rapidamente le grandi opere e che non ci fossero più
ritardi, e vorrei lavorare subito per l’ampliamento della metropolitana, visto che in otto anni non è stata aperta nessuna nuova stazione. Ma quello che manca è un vero studentato, un campus che possa attrarre studenti da fuori e fare diventare Genova davvero una città universitaria”.
Al primo giorno di lavoro ufficiale a Tursi, Silvia Salis, neo sindaca di Genova, inizia a svelare l’agenda della sua amministrazione, mettendo in fila quelli che secondo lei potrebbero essere i primi progetti a cui mettere mano. Tra questi la realizzazione di un vero e proprio campus universitario sul modello delle grandi città europee.
“Non una cosa con 20 posti qua e trenta di la – spiega – ma un vero luogo che possa essere usato dagli studendi per vivere e studiare ma anche per tutta la città – spiega a margine del suo insediamento – ci
sono dei luoghi che stiamo individuanto ma dobbiamo lavorarci bene, senza la frenesia dei primi giorni. Dobbiamo ricordarci che il mandato dura cinque anni. E dopo questi cinque anni dobbiamo lasciare una eredità reale e non fittizia”.
“Siamo la sesta città d’Italia e non abbiamo un vero studentato – sottolinea poi Salis – è difficile rendersi attrattivi per chi ci vive e per chi viene da fuori. Costa tanto venire a Genova, costa tanto viverci. Mancano servizi, offerta culturale. Anche questi sono temi che devono essere portati avanti in quest’ottica”
(da Genova24)
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Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile
LA LEGA HA COSTRUITO SÉ STESSA COME UN PARTITO TRIBALE. PRIMA IL NORD, POI L’ITALIA (MA SOLO QUELLA CHE “LAVORA”), SEMPRE CONTRO QUALCOSA O QUALCUNO. E NON IMPORTA SE QUEGLI UOMINI FORTI TRASCINANO I LORO PAESI NEL BARATRO
In un Paese dove la politica somiglia sempre più a un talk show, i sondaggi, come oracoli svogliati, ci regalano scorci inquietanti del nostro subconscio elettorale. L’ultima rivelazione arriva da Demos: tra gli elettori dei maggiori partiti italiani, sono i leghisti quelli che più di tutti tifano per Donald Trump (52 per cento), per Vladimir Putin (40 per cento) e per Benjamin Netanyahu (36 per cento).
Ora, non serve Sigmund Freud per capire che l’innamoramento per l’uomo forte — persino quello guerrafondaio — ha radici profonde e antiche. L’elettore leghista, abituato a un mondo semplice fatto di padroni e sudditi, di confini invalicabili e leggi granitiche, ritrova in questi leader il mito virile del capobranco. Uno che non chiede il permesso, che mena le mani (o le bombe), che parla alla pancia più
che alla testa. Il prototipo perfetto per chi vede nel compromesso un tradimento e nella diplomazia una debolezza.
Trump è l’incarnazione del maschio alfa di destra: rozzo, impunito, miliardario e incazzato. Il fatto che la sua presidenza sia un circo tragicomico, che sta facendo traballare le economie dell’intero Occidente, poco importa: l’elettore leghista non cerca un amministratore, ma un gladiatore.
Putin, invece, è l’uomo delle nevi e dei silenzi. Freddo come un polonio nel tè [Per l’elettore leghista, abituato a vedere il mondo come una continua invasione (di migranti, di euroburocrati, di gender, persino di zanzare globaliste), Putin è il doganiere con le chiavi del destino.
Se bombarda l’Ucraina, lo fa per difendere la sua patria. Se reprime, è per mettere ordine. Se mente, è per applicare la sua strategia. Il cinismo viene scambiato per lucidità. Il disprezzo per l’Occidente, per autenticità.
Netanyahu è un caso a parte È il Trump col cervello e il Putin col sostegno della Casa Bianca. Ha fatto del “nemico permanente” un collante identitario. Ma la domanda è: perché proprio i leghisti? Perché non i meloniani, che per la loro storia dovrebbero subire più di tutti il fascino dell’uomo forte? La risposta è in una parola: identità. La Lega, più di tutti, ha costruito sé stessa come un partito tribale.
Prima il Nord, poi l’Italia (ma solo quella che “lavora”), sempre contro qualcosa o qualcuno. E in questa narrativa perennemente barricadera, l’uomo forte è l’eroe perfetto. Non si piega, non dialoga, non si scusa. Esattamente ciò che l’elettore leghista vorrebbe dal suo leader ideale. Questo afflato virilista ha anche una componente nostalgica: ricorda un tempo in cui l’autorità non andava giustificata, ma solo obbedita.
Eccoli lì, gli elettori leghisti, romanticamente aggrappati a un’idea di forza che ha poco a che vedere con la democrazia e molto con il comando. Non importa se quegli uomini forti mentono, manipolano o trascinano i loro Paesi nel baratro
(da L’Espresso)
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Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE DI BANKITAIA SPRONA IL GOVERNO: “INVESTIRE SUI GIOVANI E RILANCIARE LA PRODUTTIVITA’ PER FAR CRESCERE I SALARI”
Sono tempi di profonda incertezza per l’economia mondiale. C’entra ovviamente la
politica commerciale aggressiva, ma pure altalenante, della Casa Bianca. Ma pure i conflitti e sconquassi planetari.
Una «profonda crisi degli equilibri economici», la definisce oggi nelle sue Considerazioni finale il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta. In un contesto già «in rapida trasformazione», sottolinea Panetta, le politiche protezionistiche di Donald Trump hanno dato il colpo di grazia. Ma a patirne le conseguenze strutturali più dolorose, avverte il capo di Bankitalia, potrebbero essere gli stessi Stati Uniti, nel loro ruolo di leader dell’economia mondiale: a farne le spese può essere il simbolo stesso della forza degli Usa nel mondo: il dollaro. «Ci sono interrogativi sul ruolo centrale della divisa americana come valuta di riserva», scolpisce nella sua relazione Panetta.
L’errore di Trump sui dazi: «Minaccia alla concorrenza»
Per recuperare una forma di stabilità, secondo Panetta, è necessario tornare alle origini, a quello stretto legame di collaborazione tra Stati Uniti e Unione europea: «Le affinità culturali e i legami economici che ci uniscono dovranno alla fine prevalere sugli attriti presenti». Anche perché le stime, e le evidenze, parlano di un sistema economico che vive nella totale incertezza e la cui crescita potrebbe essere penalizzata «di quasi un punto percentuale nell’arco di un biennio». I dazi, ha spiegato il governatore di Bankitalia, mettono a rischio il 5% del commercio globale ma sarebbero completamente immotivati. Quel deficit commerciale che gli americani lamentano nei confronti dell’Ue e di altri partner, infatti, sarebbe controbilanciato dall’«ampio surplus» che gli Usa possono vantare in termini di servizi e tecnologie. Una forza che porta con sé un enorme rischio: «Poche grandi imprese globali controllano enormi volumi di dati e minacciano la concorrenza».
L’importanza dell’Ue: «È baluardo del libero scambio, ma non resti ferma»
Proprio in questo momento di flessione dei mercati, dove la compravendita di merci è messa a repentaglio dal muro delle tariffe, Panetta ha evidenziato la necessità di «investire adeguatamente e semplificare le procedure per nuovi impianti energetici». Un intervento che permetterebbe, «in Italia più che altrove in Europa», di abbattere il costo dell’energia sempre tenendo presente le tre direttrici fondamentali: fonti pulite, contratti a lungo termine e consolidamento delle infrastrutture. Una presa di coscienza
un’attività che l’Italia non deve prendere da sola ma di concerto con l’Unione europea, «il baluardo dello stato di diritto e dell’apertura agli scambi e alle relazioni internazionali». Proprio da Bruxelles, ha insistito il governatore della banca centrale italiana, dovrebbe arrivare la spinta a «superare i particolarismi nazionali», perché ora più che mai «non può permettersi di rimanere ferma».
L’invecchiamento della popolazione e i conti pubblici
Su questo punto si instaura anche il discorso italiano. A partire dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che con gli ultimi interventi previsti nei prossimi due anni potrebbe «innalzare il prodotto dello 0,5%». La strada è quella giusta, ma nei prossimi anni l’Italia sarà sottoposta a ulteriori stress a causa soprattutto dell’invecchiamento della popolazione, della bassa natalità ma anche degli investimenti su difesa e transizione verde e digitale. Per questo, nell’ottica di un progressivo risanamento dei conti pubblici, serve «una politica prudente», che insista sui «segni di una ritrovata vitalità economica». Per esempio, tentando di trattenere i giovani che fuggono all’estero con «opportunità di occupazione attrattive». Oppure sfruttando l’apporto che «l’immigrazione regolare può fornire».
La piaga degli stipendi fermi
Entro un quadro comunque a tinte positive, i salari rimangono una nota dolente. In termini reali, ha scritto ancora Fabio Panetta, sono cresciuti «molto meno che negli altri principali Paesi europei» e rimangono sotto il livello del 2000. Nonostante il lieve aumento rispetto allo scorso anno, definito comunque come «incoraggiante», per il governatore i Bankitalia «è indispensabile rilanciare la produttività e la crescita tramite l’innovazione, l’accumulazione di capitale e un’azione pubblica incisiva». Solo così sarà possibile «garantire un aumento duraturo delle retribuzioni».
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile
LE STORIE DI CAPORALATO DI TRE RAGAZZI VENTENNI PARTITI DAL MAROCCO E SFRUTTATI IN ITALIA
Ahmed, Kamal e Omar (nomi di fantasia) sono tre ragazzi poco più che ventenni partiti dal Marocco per raggiungere l’Italia. Hanno attraversato boschi a piedi, camminato per chilometri, o hanno intrapreso viaggi sotto ai tir solo per arrivare in un Paese dove speravano di poter trovare un futuro migliore di quello che la loro terra d’origine avrebbe potuto dare.
Tutti e tre però, una volta in Italia, sono finiti nella rete dello sfruttamento lavorativo e del caporalato: turni massacranti, condizioni di vita degradanti, minacce e vessazioni e il tutto per pochi euro. Ahmed, Kamal e Omar sono riusciti a uscire da queste condizioni e si sono rivolti alla Cooperativa Lule, che li sta guidando in un percorso di integrazione sociale e lavorativo.
La storia di Ahmed
“Ho scelto l’Italia perché cercavo un’opportunità lavorativa. Sono partito in compagnia di altri due ragazzi. Ho fatto diverse ore di viaggio. Quando sono arrivato in Italia, ho iniziato a chiedere in giro se qualcuno avesse un lavoro. Mi serviva sia per avere un sostegno economico che per pagare i debiti”, ha spiegato Ahmed in un’intervista a Fanpage.it.
Il ragazzo ha poi trovato lavoro in Sicilia e precisamente nella
raccolta degli agrumi: “Mi svegliavo alle 5 del mattino, facevo un viaggio di qualche chilometro e poi iniziavo a lavorare alle 7.30 e fino alle 3 del pomeriggio. Non c’erano pause e andavo a lavorare a prescindere dal mio stato di salute altrimenti avrei perso il posto di lavoro”.
È poi arrivato in Lombardia dove ha trovato lavoro in un panificio: “Iniziavo alle 18 e finivo alle 5 del mattino. Mi trattavano come fossi un animale. Quando chiedevo la paga, mi davano solo acconti di circa 200 euro sempre con moneta e mai con contanti. Mi hanno chiuso il bagno per non usarlo e quando prendevo il pane per mangiare, mi trattenevano i soldi dalla paga”.
“C’era un socio del datore di lavoro che era molto aggressivo: mi ha minacciato un paio di volte. Diceva che avrebbe chiamato i carabinieri perché ero lì senza documenti. Un giorno ho perso il pullman e ho avvisato che sarei arrivato in ritardo. Quando sono arrivato, ho trovato un’altra persona che lavorava al posto mio. Ho dovuto aspettare che finissero il loro turno”.
Ahmed dormiva in una stanza del panificio: “La stanza era molto piccola. C’era cattivo odore, era molto calda e umida”. A un certo punto, grazie a un video che gli aveva mostrato un suo amico, ha scoperto il Numero Verde Nazionale Anti Tratta: “Li ho contattati e piano piano sono entrato nel progetto”. Adesso sta studiando italiano e sta seguendo alcuni corsi che parlano di diritti sul lavoro e sicurezza: “Vorrei rimanere in Italia. Anche se ho subito tutto ciò, non significa che tutta Italia sia così. Spero di poter trovare lavoro e costruire qui il mio futuro”.
La storia di Kamal
La sua storia, per certi versi, è simile a quella di Ahmed. Anche lui ha lasciato il Marocco, ma perché ha deciso di abbandonare l’esercito: “Per questa mia decisione, ho avuto alcuni problemi con la
mia famiglia. A me però questo lavoro non piaceva. Preferivo studiare: quando sono andato via, ero al secondo anno di Diritto Internazionale all’università. A me piace la vita, la libertà lì non potevo avere queste cose”.
Invece è arrivato in Italia passando dalla Turchia, Bulgaria, Serbia, Ungheria e poi Austria. Una parte del viaggio l’ha affrontata a piedi e un’altra chiedendo passaggi in macchina a persone che lui ha poi pagato. Dopo aver trascorso qualche giorno in Toscana, è arrivato in Lombardia.
In Lombardia ha lavorato come lavapiatti, cameriere e barista. Tutti i lavori che ha trovato, gli sono stati segnalati da persone che frequentavano la moschea: “Ho iniziato a lavorare in un albergo dove la cucina era stata trasformata in stanze per il personale. Io dormivo in una di queste: era piccolissima, 2 metri per un metro e mezzo. Non c’erano finestre e la porta veniva chiusa tutta la notte per poi essere aperta al mattino da chi iniziava il turno o dalla responsabile”.
Kamal aveva due responsabili di riferimento: “Uno era italiano e un altro marocchino. Quest’ultimo caporale non dava niente per niente. Dovevi infatti pagare per qualsiasi cosa chiedevi”.
“Una volta è caduto in cucina un ragazzo che lavorava in nero come lavapiatti. Il responsabile non ha nemmeno chiamato l’ambulanza. Lo ha portato con la sua automobile in ospedale e lo ha lasciato lì. Non l’ho più visto. Ma subito dopo è arrivato un altro. I responsabili trovano sempre sostituti perché girano con l’automobile alle fermate dell’autobus, fuori dalle stazioni e sono sempre in cerca di persone senza documenti”.
Anche Kamal è seguito da Lule: “Adesso studio la lingua italiana. Il mio futuro è qui in Italia dove voglio pagare le tasse e lavorare”.
La storia di Omar
Quella di Omar è una storia più complessa: “Quando è morta mia madre, ho scelto di partire. Non potevo più vivere in Marocco. Non riuscivo a trovare un lavoro dignitoso e, insieme ad altri sei ragazzi che vivevano nel mio quartiere, sono partito”, ha spiegato. Dopo aver raggiunto la Turchia con un aereo, ha attraversato la Grecia a piedi in un viaggio che è durato sei giorni. Una volta in Bulgaria, ha raggiunto l’Austria attaccato all’asse di un camion insieme a un amico. Il conducente non sapeva nulla della loro presenza.
Inizialmente è arrivato a Milano. Poi si è trasferito a Bari: “Un mio amico mi ha detto che potevo lavorare nella raccolta delle olive e così l’ho raggiunto”. Poi è stata la volta della Sicilia, il Veneto e infine la Lombardia dove ha iniziato a lavorare in un panificio: “Dormivo nella stessa stanza in cui lavoravo. Guadagnavo molto poco e venivo anche trattato male. Lavoravo dalle 6 alle 5 del mattino e quando arrivava la fine del mese, mi dicevano che non c’erano mai soldi per pagare. Dopo quindici giorni, mi davano un accanto in moneta. Erano circa 200-300 euro”.
“Non è stato un periodo facile. Ti senti impotente. Non riesci a reagire. Sai che quelle modalità sono ingiuste, ma non è facile uscirne”. Ma dopo diverso tempo, ha trovato un’associazione a Catania a cui ha chiesto aiuto. È stato poi indirizzato verso Lule Onlus. Anche Omar sogna di rimanere in Italia e trovare un lavoro qui.
Lo sfruttamento lavorativo in Lombardia
L’Ente Anti-Tratta ha identificato 128 casi di vittime di gravissimo sfruttamento. La maggior parte, come nel caso di Ahmed, Kamal e Omar sono uomini tra i 26 e i 32 anni. Tra gli sfruttati potrebbero esserci anche diversi minori stranieri che arrivano in Italia non accompagnati e che è difficile rintracciare.
Su questi 128 casi, 36 sono in campo agricolo, 23 nel settore edile
poi segue quello alberghiero, commerciale, industriale, manifatturiero. All’apparenza potrebbero sembrare pochi casi, ma in realtà non è molto semplice rintracciare le vittime di sfruttamento.
La difficoltà è data da diversi fattori. In primis, la mobilità: “Serve che la manovalanza a basso costo sia estremamente mobile”, ha spiegato a Fanpage.it un operatore di Lule. “Una persona potrebbe lavorare in Lombardia per alcuni mesi, poi potrebbe essere spostato in un’altra zona. E anche il campo di sfruttamento non è detto che rimanga lo stesso”.
Per spostare persone, esistono cooperative senza terra che chiedono inoltre il pagamento di un’abitazione, del trasporto sul luogo di lavoro e di eventuali pseudo avvocati: “C’è una grossa organizzazione”. Oltre alla mobilità, a complicare l’attività è il fatto che spesso si lavora in strutture private in cui è difficile entrare.
Una volta che gli enti anti-tratta riescono a individuare le possibili vittime e, dopo aver accertato che sussistano gli indicatori per riconoscere lo sfruttamento lavorativo (paga scarsa o assente, misure di sicurezza praticamente inesistenti, niente pause o ferie e fino alla violenza o al ricatto nei casi più estremi), Lule propone un percorso di protezione: “Questo prevede un’abitazione lontana dalla situazione di pericolo, un servizio di mediazione linguistico-culturale, visite sanitarie per agire tempestivamente su problemi fisici causati dalle condizioni di vita degradanti e usuranti e psicologiche per affrontare sia il trauma migratorio o i possibili episodi di violenza subiti . Successivamente è previsto un percorso di assistenza legale per far ottenere il permesso di soggiorno. Ci vogliono specialisti sanitari, aziende di inserimento lavorativo, specialisti per la formazione, per i corsi di italiano e per gli psicologi”.
“Dopodiché cerchiamo di capire la storia della persona: se ha denunciato per esempio dove è stato reclutato. Cerchiamo di creare
una relazione di fiducia. Il percorso è poi finalizzato a rendere la persona autonoma sul territorio e ad autodeterminarsi. Saranno quindi erogati corsi di italiano, verrano approfondite le competenze. L’obiettivo è permettere nell’arco di un anno e mezzo di far raggiungere un’autonomia personale, abitativa e lavorativa”.
In tutto questo, quindi, il lavoro multi-agenzia è fondamentale: “A un sistema si risponde con un sistema, non come singolo attore. La Lombardia rappresenta una singolarità. Ci sono due progetti Antitratta: Mettiamo Le Ali, Lombardia 2 che vede come capofila Lule onlus e opera su 7 province (Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Lecco, Pavia, Mantova), l’altro ha come capofila il Comune di Milano e si chiama Derive e Approdi su Milano e provincia, Varese, Monza e Brianza e Sondrio. In altre regioni, come per esempio in Veneto, c’è un progetto regionale che vede la Regione come capofila”.
Il punto è che bisogna imparare a parlarsi e confrontarsi: “A Mantova e Lodi siamo in co-progettazione con le Prefettura e i risultati sono ottimi. Questi progetti dimostrano che è possibile creare sistemi virtuosi dove vi è una comunicazione fluida con tutti gli Enti coinvolti”.
(da Fanpage)
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Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile
IL LEADER DEL CARROCCIO SI PRESENTA ALLA RINASCENTE DI ROMA PER IL LANCIO DI UNA STARTUP MODAIOLA CHE REALIZZA ACCESSORI DEDICATI AI SEGNI ZODIACALI… TESTIMONIAL DELL’EVENTO È IL SUO CONSIGLIERE ECONOMICO ARMANDO SIRI, EX SOTTOSEGRETARIO, MA LA TRUPPA LEGHISTA È NUMEROSA: TRA UN CALZINO E UNA CRAVATTA, SPUNTANO I SOTTOSEGRETARI CLAUDIO DURIGON E LUCIA BORGONZONI, I PARLAMENTARI ALESSANDRO MORELLI, SIMONETTA MATONE E LAURA RAVETTO
Matteo Salvini in blu elettrico (o Cina? O estoril?, vai a capirlo, ci vorrebbe un esperto
alla Giambruno per scoprirlo!) guida una piccola schiera di Leghisti freschi e tosti alla Rinascente di via del Tritone. Pomeriggio di shopping? Macchè! Nato sotto il segno dei Pesci, Matteo (mai visto così disponibile e cordiale con tutti sarà che era contento di aver visto approvata la legge “Salva Animali”, sua battaglia storica) non poteva non accorrere a dare manforte all’amico Armando Siri, suo Consigliere per le politiche economiche e già senatore della Lega.
Uno che, nato sotto il segno del Leone, si è appassionato all’astrologia di cui è diventato grande studioso tanto da fare proseliti: ha “contagiato” persino due giovanissimi, Matteo Alessi e Leonardo Gatto, ideatori della startup modaiola “Elios Milano” che sforna accessori made in Italy lussuosetti dedicati ai segni zodiacali: cravatte, pashime, T-shirt, foulard, ribon e calzini con ricami in filo dorato che rappresentano il glifo dei vari segni. Costano dai 100 euro in su ma nel packaging ti ritrovi una piccola pergamena con la descrizione del segno scelto. Capperi!
Il ministro e vice presidente del Consiglio Salvini, in ottima forma e sorridente, è arrivato puntualissimo alle 19 al cocktail modaiol-astrologico: ha bevuto un calice di vino bianco, assaggiato stuzzichini, parlato e scherzato posando anche per molti selfie.
Con lui anche i senatori leghisti Claudio Durigon, Sottosegretario al Lavoro, la pimpante Sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni, l’ex direttore di “Radio Padania” Alessandro Morelli, senatore e Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla programmazione e al coordinamento della politica economica. Insomma, tutti pezzi grossi.
Arrivano anche la coloratissima nel look Simonetta Matone, magistrata ed onorevole della Lega, seguita poco dopo da Giorgia Latini, vicepresidente Commissione Cultura alla Camera. Come si sarà sentito l’unico col cuore a sinistra, il 25enne Federico Lo Buono, “alieno” del Pd, presidente dell’associazione “La Giovane Roma” con cui è stato il più giovane candidato Sindaco della Città eterna della storia. Federico nel 2021 ha pubblicato il romanzo “Un alieno a Roma”.
“Lascia il segno” il titolo dell’happening per lanciare la nuova collezione di accessori nel segno delle stelle. Tanto che ad accogliere tutti è stato l’enorme “Cerchio dello Zodiaco”, una grande ruota con i 12 segni zodiacali. E pronta a sfornare il tema natale di ognuno che ne facesse richiesta (e la fila era bella lunga) c’era l’astrologa Betty Gatti, visto che Siri era troppo occupato a fare gli onori di casa e intrattenere gli amici accorsi, anche se figurava solo come testimonial dell’evento che battezzava la startup.
A dare il benvenuto nel rooftop al sesto piano, ecco la cantautrice e conduttrice radiofonica Silvia Salemi, sorridente nel suo look casual, che ha aperto la serata con un saluto. “L’astrologia è sempre stata una disciplina un po’ da parrucchiere, ci credo e non ci credo”, ha rotto il giaccio Siri che ha avuto una serie di vicende giudiziarie poi archiviate.
“Ma non c’è bisogno di credere a nulla perché lo zodiaco non chiede di credere, bensì di conoscere! In un mondo che spesso ci appare pesante e greve, lo zodiaco vuole offrire un po’ di quella sana spensieratezza e di quella leggerezza, da non confondere con frivolezza ma, anzi, essenziale e fondamentale per vedere le cose da una prospettiva di ottimismo e di fiducia”.
E tra finger food, brindisi, dj set dal vivo arrivano via prezzemolini dello spettacolo, del giornalismo e delle istituzioni. Ecco l’inviato delle Iene Filippo Roma con la sua Liliana Chiaranello, gli attori Marco Cocci, Romano Reggiani, Eleonora Puglia, l’astrologo Rino Jupiter, le giornaliste tv Alessandra Viero, Maria Letizia Modica, Lucia Pioppi, Ylenia Buonviso, la mondanissima direttrice di “Grazia” Silvia Grilli, le onnipresenti Veronica Ursida e Maria Monsè minigonnatissima con stivaloni argentati.
E altra varia umanità. Per ultimo, alle 21, quando già Salvini e company erano andati via ecco apparire Claudio Lotito, senatore anche lui ma di Forza Italia e mitologico presidente della Lazio. Che si è fatto subito tentare da un cesto di ciliegie che, si sa, una tira l’altra. Che dire? Che i nostri politici si affidano alle stelle…
(da Dagospia)
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Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile
A REALIZZARE L’ATTREZZATURA PER I SOLDATI A STELLE E STRISCE SONO RIMASTE SOLO DUE AZIENDE. E UNA DI QUESTE, CON SEDE IN CAROLINA DEL NORD, HA UNA FORZA LAVORO COMPOSTA PER IL 30% DI IMMIGRATI PROVENIENTI DA UCRAINA E NICARAGUA, CON TUTELE LEGALI TEMPORANEE E QUINDI A FORTE RISCHIO DI ESSERE CACCIATI DAL PAESE
Solo due aziende producono i paracadute per l’esercito americano, ma oggi una di queste, la Mills Manufacturing, rischia il collasso a causa delle deportazioni ordinate da Donald Trump.
Come riporta il Wall Street Journal, gli immigrati provenienti da Ucraina e Nicaragua, che mantengono in funzione una fabbrica nella Carolina del Nord, sono tra gli 1,8 milioni di lavoratori con tutele legali temporanee, e il Ceo John Oswald avverte che, “se perdessimo questi lavoratori, sarebbe devastante per la nostra attività e metterebbe a rischio il resto della forza lavoro”.
L’azienda, con i suoi 90 anni di storia, è una delle sole due imprese rimaste qualificate per la produzione dell’MC-6 e del T-11, i principali paracadute per l’esercito statunitense, e il 30% dello staff si trova ora in bilico dopo che la Corte Suprema ha concesso a
Trump di revocare le protezioni legali temporanee
(da agenzie)
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