IL GOVERNO SI METTE IN SICUREZZA
ALLA VIGILIA DEL VOTO DECISIVO SUL MES, L’ESECUTIVO CONVINTO DI AVER SUPERATO LE DIVISIONI INTERNE, TANTO DA ANNUNCIARE UNA RIPARTENZA A GENNAIO… CON QUALCHE RITOCCHINO ALLA SQUADRA?
Luigi Di Maio gongola: “Il punto di caduta sul Mes è ottimo, la risoluzione rispecchia la nostra proposta”. È la fine dell’ennesima lunga giornata per il governo giallorosso. Conclusasi con una richiesta di verifica e rilancio a gennaio da parte del Partito democratico, accolta al volo da Giuseppe Conte e con il capo politico M5s a ricordare come per primo il Movimento abbia lanciato la proposta un paio di settimane fa.
Una decisa schiarita dopo i nuvoloni neri che si erano addensati sul Palazzo nei giorni scorsi. Non basta un piovigginoso fine settimana per far sterzare il clima.
Le tensioni continuano a muoversi carsiche sotto l’ostentata superficie di ritrovata concordia, ma l’esecutivo respira pure una boccata d’aria, scacciando i venti di crisi imminente che soffiavano maligni e provando a mettersi in sicurezza nel complicato passaggio tra il voto sulle comunicazioni del premier e la manovra da varare.
C’è un episodio a raccontare meglio di qualunque ragionamento lo stato dell’arte dei rapporti ancora tutti da rinsaldare.
Enzo Amendola, ministro Dem degli Affari europei, convoca un vertice di buon mattino. Accorrono i rappresentanti di tutte le forze di maggioranza. Viene fatta circolare la bozza della risoluzione sul Consiglio Ue che il Parlamento dovrà votare mercoledì.
Il testo intercetta l’assenso più o meno di tutti, viene espressa qualche riserva, ci si stringe la mano.
Prima del rompete le righe la richiesta: riconsegnare le bozze cartacee, prego.
Uno dei presenti spiega all’Huffpost: “Una cosa da ridere, ma ci sarebbe da piangere. Di sicuro l’hanno chiesto i 5 stelle”.
Il mandato è quello di evitare la fuga di notizie, non dare modo ai pasdaran pentastellati di far maturare la propria contrarietà e mettere a rischio la tenuta dei numeri al Senato.
Il testo filtra, dà un sostanziale via libera alle modifiche del Fondo salva stati, chiedendo però di evitare l’automatismo che lega il prestito di ultima istanza con la ristrutturazione del debito, e legandole all’ormai famigerata “logica a pacchetto” insieme agli altri trattati europei da riformare, primo fra tutti quello sull’unione bancaria.
La questione è tutta politica, con il Pd che mette a segno la non messa in discussione del cuore del trattato, e i 5 stelle che possono agitare lo scalpo di un rinvio.
Chiuso il vertice (proseguito poi nel tardo pomeriggio senza scossoni) la bozza esce.
I 5 stelle soffiano veleno: “Una mossa del Pd o di Italia viva per destabilizzarci”. Il Nazareno nega.
Quale che sia la manina che ha spifferato tutto, se l’intenzione era quella di creare fibrillazioni nel Movimento ha colto nel segno.
Se Elio Lannutti si trincera dietro un “no comment”, assai più esplicito è il collega senatore Gianluigi Paragone: “Se il M5s ha deciso di giocare di rimessa con il Pd lo faccia – dice a Huffpost -. Io non lo voto, resto fedele al nostro programma”.
Gli fa eco dalla Camera Alvise Maniero. Al deputato Di Maio stesso aveva dato il compito di seguire il dossier, ma il giovane onorevole si è fin da subito segnalato per una posizione assai barricadera, al punto che è stato segnalato un contrasto piuttosto netto con Laura Agea, la sottosegretaria gialla co-intestataria del dossier.
“Così come è il Mes è invotabile”, spiega Maniero all’Adnkronos, tenendosi per il momento ben alla larga dall’esprimersi sulla risoluzione.
“La soluzione è un’ottima soluzione”, continua a ripetere chi ha sentito Di Maio nelle ultime ore. Il leader non ha preoccupazione sui numeri.
La risoluzione, per passare, non ha bisogno della maggioranza assoluta. Il centrodestra a Palazzo Madama può contare su 136 voti, servirebbero una ventina di voltafaccia per mettere a rischio l’approvazione del documento pro-Conte.
Almeno una decina per andare sotto la soglia psicologica dei 161, che pur non sarebbe indolore. Nel quartier generale del capo politico si stimano in quattro, massimo cinque i senatori ribelli. La stessa valutazione che va per la maggiore nei corridoi della Camera alta. Una fronda esigua, data già per disinnescata dai colonnelli 5 stelle.
Nel clima di rinnovata concordia, tutti i maggiorenti dell’esecutivo prendono la rincorsa per arrivare primi sul “tagliando” da fare a gennaio.
Al punto tale che dalla war room pentastellata viene lanciato un ramoscello d’ulivo agli alleati anche sul tema più identitario.
Sentite: “Noi sulla prescrizione teniamo il punto, Luigi insieme a Bonafede e Conte sono compatti. Ma se il Pd ha perplessità così forti ci faccia una proposta”. Ma l’apertura arriva a latitudini fino a qualche giorno fa impensabili: “La proposta di sospensione di due anni dopo la sentenza di primo grado non è di certo la soluzione, ma può essere una base su cui far partire la discussione”.
Dal Nazareno non si perde occasione per sottolineare la sintonia con il premier, e la comunanza di intenti su un nuovo cronoprogramma che abbia come orizzonte il termine naturale della legislatura.
I 5 stelle rivendicano il copyright: ”È finita la fase di rodaggio, da gennaio partiamo veramente”.
Disinnescata la mina del Fondo Salva stati e con la manovra su un binario diretto alla stazione, i giallorossi tentano di blindarsi anche in vista dello spinoso voto delle regionali di fine gennaio.
Anche se sono già partiti i sospetti incrociati. Troppo spesso, si osserva dall’una e dall’altra parte, sotto il termine “verifica”, “tagliando”, si nasconde la volontà di un rimpasto.
Per ora è uno scaricabarile, tutti negano, si puntano il dito l’un l’altro. Palazzo Chigi tace, il premier che ama definirsi “di garanzia” registra la discussione, e si guadagna qualche settimana in più.
(da “Huffingtonpost”)
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