ADDIO DON RIBOLDI, PRETE DEI TERREMOTATI E VESCOVO ANTICLAN: “MAI IN GINOCCHIO, SE NON DAVANTI A DIO”
FU VOCE DELLE VITTIME DEL BELICE, POI IN PRIMA LINEA CONTRO MAFIA E CAMORRA, AVEVA 94 ANNI, UNA VITA PER LA GIUSTIZIA E PER I PIU’ POVERI
Si fece voce dei terremotati del Belice, in Sicilia, che vivevano al freddo nelle baracche. Fu pastore in terra di camorra, in anni in cui i morti si contavano a centinaia.
Prete-terremoto, vescovo anticamorra: è morto monsignor Antonio Riboldi, per tutti don Antonio, vescovo emerito di Acerra (Napoli).
Il decesso oggi, 10 dicembre 2017, all’alba, a 94 anni, a Stresa, in Piemonte, presso la casa dei Rosminiani dove si trovava dalla scorsa estate. A darne l’annuncio la curia di Acerra.
Si è sempre lasciato guidare dalla «volontà di Dio». Antonio Riboldi, nato il 16 gennaio 1923 in Tregasio, frazione di Triuggio, Brianza profonda, prete rosminiano dal 1951, avrebbe voluto insegnare.
Mentre progetta una carriera accademica, lo spediscono a fare il Parroco nel cuore della Sicilia. Lui punta i piedi: non voglio andare, ho pregato lo Spirito Santo. Risposta del superiore generale: «Non so quale Spirito Santo abbiate pregato: il mio ha detto che partiate entro quarantott’ore».
Il luogo è Santa Ninfa, valle del Belice. Ci resterà vent’anni, dal 1958 al 1978. In realtà doveva andarsene nel 1968. Ma arriva il terremoto. Resta, diventando ancor più di prima il pastore, la guida, la speranza di quella gente abbandonata.
Ci si mette anche la mafia: lui grida forte contro i soccorsi mancati e contro chi ruba sulla pelle dei poveri.
Porta i terremotati a Roma da Paolo VI e davanti ai palazzi della politica. Sposta macerie, rilascia interviste, guida marce di protesta. Ammetterà : «Ci fu un tempo che era scomodo portare in giro il nome Riboldi. Mi piovevano addosso insulti, insinuazioni, sospetti. Chi è questo prete? Cosa vuole? Perchè non la smette?».
Dieci anni in prima linea, senza soste.
Nel 1978, passata l’emergenza più grave, dovrebbe tornare al nord. Ma di nuovo c’è per lui un altro disegno. il futuro beato papa Paolo VI lo nomina vescovo di Acerra, nel napoletano, diocesi da anni senza guida. Terra di camorra e di povertà estrema.
Una Chiesa da ricostruire, sullo sfondo di una sorta di terremoto permanente, fatto di degrado, paura, omertà .
Il brianzolo che sognava l’insegnamento si ritrova a guidare un popolo smarrito, bisognoso di tutto, ma profondamente buono. E lui, con il profeta Isaia, «non tacerà ». Si mette al lavoro per riportare speranza, per strappare i giovani alla camorra, per vincere le paure.
Prima la mafia, adesso la camorra. Riceve minacce, avvertimenti, attacchi. Lo Stato gli assegna la scorta.
Un vescovo sotto scorta nel sud dell’Italia. Non è facile vivere così, il suo è un popolo schiavo. E lui spiega: «Quelli del Nord queste cose le capiscono poco. Fanno di tutte le erbe un fascio, condannano. Ma non sanno che cosa significa aver coraggio, qui. Per capire queste cose bisogna viverle. Io so, per esempio, che se uno sa non lo fanno neanche respirare. Lo zittiscono prima che parli».
Altri vent’anni così, fino al ritiro per i raggiunti limiti di età , nel 2000.
Ma non tace nemmeno allora, continua a viaggiare ovunque lo invitino, a scrivere e a parlare. Non tacerà mai, fino alla fine, il Vescovo Antonio, pastore di mafia, terremoto e camorra.
Non immaginava e non cercava una vita così. Lo Spirito Santo ha deciso per lui. S’è lasciato guidare, sempre.
Convinto che Dio non abbandona i suoi fedeli. Neanche nei luoghi più difficili e feroci.
Il Prete brianzolo — come amava definirsi — ha testimoniato il Vangelo con il coraggio di un antico profeta.
Non inginocchiandosi mai, se non di fronte a Dio.
Perchè — ha scritto Charles Peguy — «un mondo di inchini non vale la genuflessione diritta di un uomo libero».
(da “La Stampa”)
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