BERLUSCONI E BOSSI, I ROTTAMATI IN CASA
PER LA PRIMA VOLTA VENGONO CONTESTATI ALL’INTERNO DEI LORO STESSI PARTITI
Fino a poco tempo fa erano semplici pensieri, da classificare nella categoria “sconci”. Poi i pensieri sono diventati bisbigli, magari da condividere solo tra colleghi molto fidati.
Dalle amministrative prima, dai referendum poi, quei bisbigli si sono trasformati in un vociare scomposto e diffuso tra Transatlantico, cellulari e chiacchiere di cortile. Parole gravi: “Sono vecchi”, “non ci prendono più”, “uno si addormenta ovunque, non ha più la testa e pensa solo ai giudici, mentre l’altro non si muove quasi più e punta solo a sistemare il figlio”.
Tutta colpa del “Trota”? Come no.
Capitolo Berlusconi
Sono pensieri, parole e accuse rivolte a Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, il nuovo duo da rottamare per big, seconde linee e aspiranti rincalzi, tutti uniti nel decretare la fine del vecchio asse tra Pdl e Lega.
Di “pietà ” poca, di incazzatura molta. E sempre più forte.
Così diventa un caso interno alla maggioranza anche lo sfogo dello stesso premier al termine del funerali del senatore Pdl, Romano Comincioli: “Ma dove trovo i soldi se i giudici mi condanneranno?”, le parole di Berlusconi agli ex compagni di classe, riferite alla sentenza sul Lodo Mondadori.
Silenzio. Nessun sostegno.
“Ecco, giusto ai suoi vecchi amici può ancora rompere con queste manfrine — sibila un deputato del Pdl —. Pensi piuttosto a quello che sta accadendo dentro il partito, invece di perdere tempo con collanine e farfalline…”.
A dire il vero lui ci prova pure: ieri ha incontrato una delle prime pasionarie del Pdl, la deputata del Pdl Micaela Biancofiore, per tentare di addolcire le sue critiche.
Poi parla con il solito Gianni Letta, cerca di coinvolgere Angelino Alfano, si appoggia a Denis Verdini. Basta.
Anche il pio Sandro Bondi sembra iniziare a storcere il naso.
Altra storia con chi gli ha aperto una fronda dai contorni giornalistici espliciti, con neo alleanze impensabili fino a poco tempo fa.
Ecco il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, e il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.
I due si sentono, si lanciano liane attraverso i collaboratori , sondano i possibili alleati. Fanno i conti su quanti deputati e senatori possono contare.
Insomma, sembrano lontanissime le polemiche di quando la Capitale voleva scippare a Monza il Gran Premio di Formula1.
Dietro il primo cittadino di Roma, si muove il senatore Andrea Augello, da tempo impegnato a ricucire con i dissidenti finiani, quindi Adolfo Urso, Andrea Ronchi e chiunque altro si senta stretto in Fli.
Senza dimenticare il ministro Giorgia Meloni, sempre lacerata dalla rottura dell’anno scorso tra il premier e il suo padre politico, Gianfranco Fini.
Con Formigoni, compatta, si muove Cl, ancora accusata di non aver svolto in toto il proprio dovere durante le comunali di Milano.
E ancora i “cani” sciolti: da Stefania Craxi al deputato Gerardo Soglia, che intervistato ieri da Repubblica risponde (terrorizzato): “Il capo si faccia da parte”.
Capitolo Bossi.
Per il Senatùr la situazione è anche peggiore. I nemici sono insidiosi e più forti.
Da una parte il blocco veneto composto da Flavio Tosi (sindaco di Verona) e Luca Zaia (governatore del Veneto) dall’altra il ministro Roberto Maroni, Matteo Salvini e altri collaterali.
Il referendum e le comunali lo spartiacque, i sondaggi negativi la loro forza, l’evidente insoddisfazione della base la chiave di volta (per verifiche andare su padania.org  …). La perenne presenza di Renzo Bossi-Trota, il delfino designato alla successione “dinastica”, causa ultima scatenante nelle guerre interne, ma anche grimaldello o incudine su cui battere con gli indecisi.
“Umberto tratta il partito come se fosse un monarca pronto alla successione. Ma che siamo impazziti? — urla un deputato del Carroccio —. Questa storia deve finire”.
Sì, ma come? In molti danno Pontida come chiave di volta, dove far emergere i punti di forza e di debolezza.
Certo fa un po’ impressione sentire attribuire a un fedelissimo del Senatùr, come Marco Reguzzoni, una battuta che sarebbe l’emblema della sfaldamento: “Quello non può comandare neanche se diventa un salmone”. Chi l’ha ascoltata ha riso, molto.
Meno risate arrivano da i Reponsabili.
Loro aspettano, ascoltano, sondano il terreno per capire se ci sono i margini per ottenere qualche altra cosa. In sottosegretariato là , magari un posto di un qualunque cda dell’altra parte.
Questione di soldi e prestigio, di capitalizzazione di una sconfitta ormai conclamata. Moffa sarà capogruppo dal primo luglio e ha annunciato che cambierà il nome .
Della serie: i tempi sono maturi.
Esattamente come quelli che stanno per annunciare una “manovra economica” epocale, per la drammaticità .
In questo caso la paura fa ancora da collante, il timore di affrontare tagli gela il sangue a tutta la coalizione, e non solo: anche l’opposizione non vorrebbe trovarsi nell’ingrato ruolo di spiegare agli italiani perchè è necessario sorridere poco.
Alessandro Ferrucci e Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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