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BILL EMMOTT: “IL GROSSO INTERROGATIVO PER L’UE, A FRONTE DEL TRADIMENTO AMERICANO E DEL PERDURARE DELL’AGGRESSIONE RUSSA, È SE RIUSCIRÀ AD APPRENDERE QUALCOSA DALL’OCCASIONE PERDUTA DELL’ITALIA CON IL PNRR E A TRASFORMARE LA PROSSIMA FASE DELL’ESPANSIONE ECONOMICA ALIMENTATA DAL DEBITO IN UNA RIPRESA A LUNGO TERMINE”

“LA RICETTA DA SEGUIRE È GIÀ STATA ILLUSTRATA DA DRAGHI NEL SUO RAPPORTO SULLA COMPETITIVITÀ. SCOPRIREMO SE LE SUE IDEE SONO STATE PORTATE AVANTI CON MAGGIORE EFFICACIA DA BRUXELLES E DA BERLINO, RISPETTO A COME HA FATTO PALAZZO CHIGI”

Bene, la geopolitica non ci solleverà il morale, a meno di considerare una forma di intrattenimento il caos, le stupidaggini e i voltafaccia che stanno arrivando dall’Amministrazione Trump.
Il funerale del Papa e il conclave raccontano emozioni diverse, anche se – come scuse per guardare Ralph Fiennes e Stanley Tucci recitare in Conclave o, ancora meglio, il più divertente Habemus Papam di Nanni Moretti del 2011 – di fatto ci offrono qualche diversivo. Lasciate però che vi dia un sorprendente motivo di ottimismo, quanto meno parziale: l’economia.
Il motivo per essere ottimisti sull’economia europea, e quindi italiana, non riguarda il breve periodo. Quest’anno, le previsioni di crescita dei posti di lavoro e delle entrate sono misere, tenuto conto dell’impatto nell’immediato delle tariffe doganali di Donald Trump sulle nostre esportazioni, e tenuto conto anche della pervasiva sensazione di insicurezza che sta influenzando ovunque le decisioni di investire.
Con il governo tedesco che prevede che il 2025 rappresenterà il terzo anno consecutivo di recessione, l’Europa è priva di una “locomotiva” economica che ne traini la crescita nel continente. La prospettiva non è quella di un disastro, bensì di una stagnazione in gran parte dell’Europa e nella stessa Italia. Il Regno Unito si trova in una situazione simile
Se guardiamo oltre il 2025, però, possiamo avvistare alcuni segnali decisamente più luminosi. Il primo è la programmata espansione degli investimenti pubblici in Germania che il nuovo governo, che si insedierà subito dopo il 6 maggio, intende realizzare. La Germania è l’unica grande economia europea con un ampio margine per una sostanziale espansione fiscale, e lo ha grazie alla
parsimonia dei suoi governi passati.
Ora che il governo entrante ha rilasciato il “freno dell’indebitamento” che ha prodotto quella parsimonia, la sua pianificata spesa supplementare – perlopiù per la Difesa e le infrastrutture – di circa mille miliardi di euro nel giro dei prossimi dieci anni verosimilmente rappresenterà un aumento della domanda che gioverà a un’ampia varietà di Paesi, tra cui l’Italia settentrionale e centrale, dove molte aziende fanno parte delle catene di approvvigionamento della Germania. Si prevede che a questa espansione tedesca si accompagneranno nuovi meccanismi comuni di prestito per finanziare l’aumento delle spese per la Difesa da parte di tutti i membri Nato dell’Ue e anche da parte del Regno Unito, in base a un accordo UK-Ue per la Difesa la cui firma è attesa entro le prossime due settimane.
Gli analisti economici che guardano a un orizzonte di tre o quattro anni hanno il complesso compito di cercare di controbilanciare gli effetti negativi dei dazi americani con le altre forze note o probabili, oltre che con l’aumento della domanda derivante dalla spesa pubblica extra: l’ascesa dell’euro nei confronti del dollaro, che sta rendendo le esportazioni dell’Ue meno competitive; la possibilità concreta che le aziende europee riescano a guadagnare quote di mercato da quelle americane in Paesi come la Cina, dato che le loro merci non dovranno far fronte a dazi ritorsivi; il calo dei costi dell’energia dovuto alla diminuzione dei prezzi di petrolio e gas derivante dalla recessione americana; e, infine, l’impatto teoricamente negativo sui tassi di interesse a lungo termine prodotto dall’aumento del debito pubblico europeo.
Non c’è certezza sul risultato finale. Un punto cruciale da tenere bene a mente è che la spesa pubblica aggiuntiva rappresenta sì un’opportunità di rinascita economica, ma non rende inevitabile una rinascita prolungata. La prosperità sostenibile non si può creare semplicemente aumentando il debito pubblico: se così fosse, l’Italia sarebbe il Paese più ricco del pianeta. Un aumento del debito tedesco, unitamente a un nuovo ciclo di prestiti collettivi erogati dalla Commissione Europea, darà slancio sul breve periodo, ma potrà creare una
crescita a lungo termine soltanto se il denaro sarà utilizzato per migliorare efficienza e produttività, e se a ciò si accompagneranno riforme destinate a sostenere l’intero processo.
L’esperienza dell’Italia con i Recovery Fund dell’Ue per il PNRR lo illustra chiaramente. Gli oltre duecento miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti dell’Ue in arrivo in Italia nel quinquennio che si concluderà con il 2026 sicuramente hanno sorretto la crescita economica. Nulla prova, però, che la spesa risultante abbia fatto una differenza significativa ai fini della capacità produttiva del Paese o del suo dinamismo. È probabile che il beneficio sarà temporaneo, non a lungo termine.
Ciò nonostante, l’Italia ha dato un contributo alquanto positivo al dibattito europeo sui prestiti collettivi. Il contributo italiano sta nella sua buona, seppur lenta, gestione dei fondi del PNRR, senza quel tipo di corruzione o di sprechi che alcuni scettici dell’Europa settentrionale avevano minacciato che ci sarebbero stati.
Essendo un piano finalizzato ad alimentare la crescita sul lungo periodo, il PNRR è una delusione, ma nel dibattito europeo conta come una rassicurazione. Mario Draghi prima e Giorgia Meloni adesso hanno fatto apparire meno rischiosi i prestiti collettivi europei, e questo rende più fattibile l’ulteriore utilizzo del debito dell’Ue.
La percezione internazionale della gestione dell’economia italiana da parte del governo Meloni è enigmaticamente contraddittoria: la buona notizia è che Meloni e il suo ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti hanno fatto molto poco per intervenire nell’economia. La cattiva notizia è la stessa: hanno fatto molto poco.
Il governo è stato prudente, abbastanza disciplinato e poco ambizioso, e questo atteggiamento ha fatto sì che restasse popolare presso l’elettorato e altresì nei mercati finanziari. Eppure, tutto questo significa che delle riforme strutturali promesse in connubio con il PNRR dal governo Draghi in ambito giudiziario, in quello della competitività e in quello dell’amministrazione pubblica ne sono
state concretizzate o portate avanti pochissime dal suo successore. I rischi sono stati ridotti, ma si è persa un’occasione.
Il grosso interrogativo per l’Europa – al di là della sfida immediata e cruciale del sostegno all’Ucraina, a fronte del tradimento americano e del perdurare dell’aggressione russa – è se riuscirà ad apprendere qualcosa dall’occasione perduta dell’Italia con il PNRR e a trasformare la prossima fase dell’espansione economica alimentata dal debito in una ripresa a lungo termine.
La ricetta da seguire è già stata illustrata all’Europa da Draghi nel suo importante rapporto sulla competitività dell’anno scorso per la Commissione Europea, nel quale si auspicava quel tipo di rilancio degli investimenti pubblici e privati adesso in arrivo. Scopriremo se le sue idee sono state portate avanti con maggiore efficacia da Bruxelles e da Berlino, rispetto a come ha fatto Palazzo Chigi. Se così sarà, per l’Europa un luminoso futuro economico potrebbe durare una generazione. In caso contrario, sarà solo per quattro o cinque anni, forse.
Bill Emmott
per “La Stampa

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