CASO SANTANCHE’: QUANDO MELONI GRIDAVA AI MINISTRI DI DIMETTERSI
QUANDO ERA ALL’OPPOSIZIONE URLAVA PER FAR DIMETTERE BOSCHI, LOTTI, GUIDI, CANCELLIERI E AZZOLINA… ORA CHE GOVERNA PROTEGGE L’INDIFENDIBILE SANTANCHE’
“Le dimissioni da ministro sarebbero un gesto importante e significativo, un forte segnale di rispetto verso le Istituzioni”. Parola di Giorgia Meloni che non usa mezzi termini precisando comunque di essere “certa della sua buona fede” ma “un atto di responsabilità dopo quanto è accaduto è auspicabile”. La presidente del Consiglio però non sta parlando di Daniela Santanchè.
Queste frasi sono datate 20 giugno 2013: Meloni, da presidente dei deputati di FdI, interveniva per chiedere le dimissioni di Josefa Idem, ministra alle Pari opportunità del governo Letta, al centro di una bufera dopo un accertamento disposto dal Comune di Ravenna che le contestava l’Ici non pagata per quattro anni e irregolarità edilizie.
Fatti sicuramente meno rilevanti di quelli che riguardano oggi Santanchè: ma per Meloni necessitavano di un “atto di responsabilità”. Addirittura anche la stessa Santanchè interveniva per chiedere a Letta di “sostituire la ministra”. Josefa Idem si dimetterà poco dopo.
Questo non è l’unico caso di un esponente del governo coinvolto in scandali o vicende giudiziarie, al quale Meloni ha chiesto di rimettere l’incarico.
C’è per esempio Federica Guidi, ministra dello Sviluppo economico nel governo Renzi. Negli atti dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata dell’aprile 2016, vengono depositate alcune intercettazioni nelle quali Guidi (non indagata) informa il compagno, Gianluca Gemelli (poi archiviato), dei progressi di un emendamento che potrebbe favorirlo. “Un caso abbastanza inquietante”, lo definisce Meloni per la quale, dopo le “doverose” dimissioni di Guidi, “tutto il governo” dovrebbe “andare a casa perché in eterno conflitto di interessi”.
Meloni è dura. Lo sarà anche con altri ministri che però non si dimettono. È il caso di Annamaria Cancellieri: ministra della Giustizia finita, nel novembre 2013, nella vicenda Ligresti per le sue telefonate ai familiari del costruttore. “Obiettivamente il suo comportamento è stato totalmente inopportuno, credo che il ministro non abbia più la possibilità di avere un mandato pieno”, dice Meloni annunciando il suo voto a favore della mozione di sfiducia (poi bocciata) presentata dal M5S. Come nel 2017 con il ministro dello Sport Luca Lotti coinvolto nell’inchiesta Consip. “Io voterei la mozione di sfiducia, ma la farei a tutto il governo”, lo sfogo di Meloni.
Stesso periodo, altro attacco. “Lo scandalo delle banche popolari è una sorta di bignami del renzismo”, accusa nel dicembre 2015 Meloni alla Camera, nell’annunciare il voto di sfiducia contro la ministra delle Riforme Maria Elena Boschi dopo il decreto “salva banche” dove figurava anche Banca Etruria, di cui il padre di Boschi era vicepresidente al momento del commissariamento. Più recente la sfuriata contro Lucia Azzolina, ministra dell’Istruzione M5S accusata da Repubblica di aver copiato parte della propria tesi: “Sarebbe inammissibile – è la nota del partito – Un ministro non può copiare, non può avere nel suo palmares una così grave irregolarità. Azzolina venga in Parlamento a spiegare”.
Il “rispetto verso le Istituzioni” viene però accantonato quando sono protagonisti rappresentanti di destra. Come Nunzia De Girolamo e Maurizio Lupi.
La prima, alle Politiche agricole con Letta, si dimette nel gennaio 2014 dopo lo scandalo delle nomine all’Asl di Benevento dove non è indagata, ma presente in alcune intercettazioni. Lupi, citato più volte nelle carte dell’inchiesta “Grandi opere”, lascia a marzo 2015 le Infrastrutture. “Si è dimesso pur non essendo indagato e ha avuto la stessa sorte di De Girolamo – commenta Meloni – entrambi sacrificati da Ncd per non mettere in discussione il governo e l’alleanza col Pd”.
Nel maggio del 2019, infine, la leader di FdI difende Armando Siri poco prima che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, gli revochi l’incarico di sottosegretario perché indagato per corruzione: “Non ci sono gli elementi per farlo dimettere”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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