“CHIUDIAMO TUTTI I CONTI”: LA RABBIA DEI RISPARMIATORI DELLA BANCA ETRURIA
NEL FORTINO DI AREZZO SCATTA L’ASSEDIO AGLI SPORTELLI: “RITIRATI 700.000 EURO AL GIORNO”
Arrivano alla banca coi foglietti in mano, passo svelto, conoscono la strada.
«Tolgo tutto, chi si fida più di questi?» dice uno e si infila nel palazzone austero, facciata ottocentesca, marmi in terra e mobilio antico, fra via Crispi e corso Italia.
È la sede storica di Banca Etruria, ad Arezzo, dal 1881, la banca dell’oro, quella che ha sostenuto e fatto crescere il distretto prima di precipitare nel buio degli ultimi anni. «Trasferisco il conto corrente, non mi convinceranno » promette un’insegnante in pensione che sosta all’ingresso.
Rabbia e diffidenza, mille sospetti: il fortino di Etruria è sotto assedio.
«Li capisco, è una tragedia, ho visto ritirare in un solo giorno fino a 7-800mila euro. Ma quale salva- banche, se andiamo avanti così non si salva nessuno» racconta un dipendente con trent’anni di servizio.
I numeri ancora non certificano la grande fuga, ma soltanto i brividi della paura.
«È un fenomeno assurdo – ammette l’amministratore delegato della nuova banca, Roberto Bertola – chi ha obbligazioni senior qui trova rendimenti fra il 2 e il 5 per cento, adesso siamo una banca sana e senza sofferenze. Quale altra in Italia è senza sofferenze? Dico ai clienti di restare».
Il problema è distinguere, fra ciò che è stato e ciò che è. Ma le ferite sono troppo fresche per essere archiviate, il via vai agli sportelli consegna facce ancora sgomente. «Riconquisteremo la fiducia dei risparmiatori – promette Bertola, manager bancario di lungo corso, richiamato dalla pensione dal presidente Roberto Nicastro – torneremo ad essere la banca del territorio ».
Un passo alla volta, un giorno dopo l’altro, ma quelli che si sono visti azzerare i risparmi? Pensionati, impiegati, cuochi, insegnanti, parrucchieri, meccanici, un esercito di brava gente, mica lupi di Wall Street.
«Stiamo lavorando con il governo per trovare una soluzione. Non sarà un rimedio totale e nemmeno indifferenziato. Non sarà qualcosa del tipo – prosegue Bertola – riconosciamo un x per cento a tutti quelli che avevano le subordinate e non potrà essere un aiuto di Stato».
Quindi? «Ci sarà un ristoro per le fasce deboli»
Eppure questa storia dove tutto sembra essere precipitato all’improvviso, non è stata un cataclisma, lo ricorda Alessandro Mugnai, segretario della Cgil di Arezzo: «Non ci sono cause naturali in questo terremoto sociale, bisognerà che qualcuno indaghi sulle colpe di chi ha portato Banca Etruria fino a qui».
La Federconsumatori di Arezzo annuncia che la prossima settimana presenterà un esposto in procura.
«Il collocamento del 2013 è stato fatto in buona fede sperando di salvare la banca» assicura Bertola dal quartiere generale dell’Etruria, vicino all’Autosole e assolve i dipendenti agli sportelli.
Fra loro uno racconta: «Eravamo sotto pressione. I dirigenti insistevano, ci facevano anche 2 o 3 telefonate al giorno: le hai vendute? Quante ne hai vendute di subordinate? Credevamo di offrire titoli sicuri, li abbiamo dati anche ad amici e ai parenti. In ufficio facevano la classifica di chi ne vendeva di più: si andava da “sei un mito” a “sei un incapace”. E non avevamo premi di produzione».
Si ferma e aggiunge: «Ho visto miei colleghi allo sportello piangere. La nostra credibilità è a pezzi, con quale faccia domani consiglieremo un investimento a un cliente?».
Laura Montanari
(da “La Repubblica”)
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