COME FUNZIONANO LE ELEZIONI AMERICANE
QUEI 270 VOTI CHE SERVONO PER LA CASA BIANCA… SI PUO’ PERDERE ANCHE CON TRE MILIONI DI VOTI IN PIU’
Un sistema elettorale molto maggioritario, in cui i singoli Stati e i loro rapporti di forza contano tanto quanto, e forse più secondo un certo punto di vista, del voto degli elettori.
Un sistema che è stato creato alla fine del ‘700, ma che ancora oggi decide chi sarà l’uomo più potente del mondo: il Presidente degli Stati Uniti d’America.
Il sistema elettorale per scegliere il presidente Usa è peculiare e per i cultori della materia molto affascinante. Ma anche controintuitivo per molti aspetti. Proviamo, andando per ordine, a spiegare come funziona.
Come funzionano le elezioni americane? Con l’Electoral college
I cittadini dei 50 Stati (a cui si aggiunge il Distretto di Columbia, ovvero la città di Washington) il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre – quest’anno cade il 3 – votano per il nuovo presidente, oltre che per la Camera dei Rappresentanti e per un terzo del Senato (i senatori sono eletti per 6 anni, e ogni biennio si rinnova un terzo dell’assemblea).
Il sistema elettorale assegna a ogni Stato un peso, i ‘voti elettorali’. In tutto i voti elettorali che i candidati si devono spartire sono 538. Per ottenere la presidenza, un candidato deve ottenere quindi 270 voti elettorali.
Ogni Stato ha un numero di voti elettorali pari al numero di deputati dello Stato (che sono in proporzione alla popolazione) più il numero di senatori (2 per ogni Stato, senza differenze di popolazione).
In più, il District of Columbia elegge tre grandi elettori, tanti quanto lo Stato più piccolo.
L’elezione presidenziale funziona come tante grandi elezioni uninominali: il candidato presidente più votato in ogni Stato, anche se di un solo voto, ottiene tutti i voti elettorali di quello Stato.
Biden vince in California? Ottiene tutti i 55 rappresentati della California nell’Electoral College. Trump vince in Texas? Ottiene tutti i 38 voti elettorali del Texas. E così via.
I voti elettorali si sommano via via che lo spoglio dei singoli Stati è definito nel corso della lunga notte elettorale: a causa dei fusi, le urne nei vari Stati chiudono in orari diversi, partendo dall’1 di notte ora italiana e fino alle nostre 7.
Uno Stato, un vincitore. Con due eccezioni
Sono due le eccezioni alla regola maggioritaria: Maine e Nebraska. Ogni Stato è infatti libero di scegliere la propria legge elettorale.
Il Nebraska elegge 5 grandi elettori, il Maine 4. Due grandi elettori vengono assegnati al candidato più votato a livello statale, mentre gli altri 2 (nel Maine) o 3 (in Nebraska) vengono assegnati al più votato al livello delle circoscrizioni elettorali che formano lo Stato.
Storicamente, il risultato è quasi sempre che un candidato conquista tutti i voti elettorali di quello Stato. Eccezioni ci sono state solo nel 2008 (4 voti del Nebraska a McCain e 1 a Obama) e nel 2016 (3 voti del Maine a Clinton, 1 a Trump)
Cosa sono i grandi elettori e che ruolo hanno
C’è anche da aggiungere che da un punto di vista puramente formale il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti sono in realtà eletti con un sistema indiretto, ovvero non sono eletti direttamente dal popolo.
In realtà con il voto del 3 novembre i 538 voti elettorali non sono altro che 538 rappresentanti (i grandi elettori) che hanno ‘promesso’ di sostenere il candidato al quale sono collegati.
I 270 voti elettorali rappresentano quindi 270 grandi elettori o rappresentanti nell’Electoral college.
Saranno questi grandi elettori a metà dicembre, a formalizzare l’elezione del presidente degli Stati Uniti.
Si tratta di fatto quasi sempre di una formalità : i grandi elettori votano sempre per il candidato che hanno promesso di sostenere. Ci sono stati dei casi in cui questo non è successo (ma non in numeri tali da non far eleggere un presidente) ma sono molto rari.
(da agenzie)
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