CON LA CULTURA CI SI MANGIA, SGARBI PURE TROPPO: SANGIULIANO NON CE LA FA PIU’ E PASSA LA GRANA ALLA MELONI
ANCHE FORZA ITALIA LO SCARICA: NON E’ IN QUOTA NOSTRA, LO HA VOLUTO LA MELONI
Per dire quanto si vogliono bene, Gennaro Sangiuliano e Vittorio Sgarbi, basti ricordare che nel totogoverno di ottobre il critico d’arte pressò a più riprese il Cavaliere, pur di arrivare a capo del Collegio Romano. “Volevo fare il ministro della Cultura. Volevo un placet di Berlusconi, ma lui ha in mente solo la Ronzulli”, si lamentò poi Sgarbi.
Al suo posto trovò Gennaro Sangiuliano. Che aveva il placet di Giorgia Meloni. Così fu che il critico d’arte dovette acconciarsi a fare il cadetto. E’ l’inizio di una convivenza movimentata.
A Sgarbi, il neoministro dà deleghe pesanti – a partire dai musei e dai parchi archeologici, e poi l’arte contemporanea e la sicurezza – e uno staff consistente, di otto persone. Ma lo obbliga a riferire ogni iniziativa. “Il Sottosegretario di Stato, prof. Vittorio Sgarbi informa il Ministro in ordine alle attività svolte in ragione delle funzioni delegate”. Raccomandazione non rispettata, evidentemente. Tra i due inizia una fitta corrispondenza di amorosi sensi.
Così quando Sgarbi, forse pensando di interpretare il sangiulianesimo con una tirata a favore dei direttori italiani, mette al bando i direttori stranieri. “Adesso se ne vanno. Siamo arrivati noi e se ne vanno loro”, dice. Pochi minuti e Sangiuliano lo stoppa. “Gli stranieri non vanno discriminati. Se sono bravi devono poter lavorare da noi”.
Oppure quando Sgarbi, novello sottosegretario, vorrebbe l’amico Morgan a capo di un dipartimento della musica. Il ministro: “Non so se Morgan ha i titoli”. Sgarbi lancia i musei gratis. E Sangiuliano: “Sono assolutamente contrario”. Deng, deng, deng.
A giugno il caso più noto, quello del turpiloquio al Maxxi. Fatti noti: Sgarbi e Morgan sul palco, ospiti di Alessandro Giuli, show con battute da bar, offensive al punto che le dipendenti scrivono una lettera di protesta. Sangiuliano lo sconfessa pubblicamente. “Sono da sempre e categoricamente lontano da manifestazioni sessiste e dal turpiloquio”, scrive a sua volta.
Nulla a che vedere col muro contro muro di queste ore. Il Fatto Quotidiano scrive che Sgarbi avrebbe incassato per varie consulenze 300mila euro in nove mesi, fatturate da due società gestite dal portavoce e dalla compagna. Lui smentisce, con una nota dettagliata. Ma quel che più conta è che Sangiuliano si è già mosso per mettere in mora il sottosegretario. Il ministro, in un colloquio col Fatto, taglia i ponti. Si dice “indignato, mai avrei pensato che Sgarbi si facesse pagare per queste cose”.
Annuncia di aver mandato le carte all’Antitrust, che ha aperto un dossier. E di aver segnalato i fatti a Giorgia Meloni, che ha nominato Sgarbi. “Deve essere lei a intervenire”. Quanto a lui, Sangiuliano mette in chiaro: “Non l’ho voluto io, lo tengo a debita distanza, mi tocca rimediare ai guai che fa in giro. Lo vedo una volta ogni tre mesi, perché voglio averci a che fare il meno possibile”.
Il sottosegretario prova a edulcorare. Ai giornalisti racconta che l’intervista di Sangiuliano “e’ un falso, che sono generiche parole di circostanza tradotte in un’intervista”. Altro che j’accuse del ministro, Sangiuliano con lui è stato “straordinariamente affettuoso”. A Bologna, dov’è in visita ispettiva alla torre Garisenda, dopo il terremoto in Emilia, Sgarbi rassicura sulla torre – nessun danno – e sul suo destino: “Ho sentito Sangiuliano 12 ore fa, e mi ha fatto venire a Bologna dimostrando un affetto straordinario. E’ tutto falso”, dice, e mostra anche un biglietto ricevuto dal ministro.
Molto meno affettuosamente il titolare dei Beni culturali pochi minuti dopo lo smentisce ancora una volta su tutta la linea. “Non ho scritto a Sgarbi nulla. Non l’ho sentito al telefono. La nostra ultima telefonata è anteriore ai fatti raccontati dal Fatto”, dice.
Punto e a capo. Mentre Sgarbi ispeziona con l’aiuto del drone la Torre Garisenda, in Parlamento il M5s presenta una mozione di sfiducia e il Pd chiede a Sangiuliano di riferire in aula e di sospendere le deleghe al sottosegretario. Tecnicamente lui deve rassegnare le dimissioni nelle mani del presidente del consiglio, non in Parlamento. Ma le aule possono impegnare il governo a revocare il mandato. Una possibilità non remota. Al momento, nessuno sembra prendere a cuore la causa del sottosegretario.
Alla buvette del Senato Antonio Tajani strabuzza gli occhi: “Oddio e mo’ che ha fatto Sgarbi?”. Anche un uomo abituato alle mediazioni come il ministro dei Rapporti col Parlamento Luca Ciriani, di Fdi, svicola: “Non mi occupo di cultura, sono un uomo terra terra”, scherza.
Il capodelegazione di Fdi Francesco Lollobrigida se ne farebbe una ragione. “E’ un sottosegretario solo. Ce ne sono in tutto 65”.
Sgarbi sebbene non nominato in quota Berlusconi, potrebbe diventare la pietra di scambio nello scontro tra Forza Italia e Fratelli d’Italia. Lui a scanso di equivoci tiene a chiarire che non c’è “nessuna possibilità che si dimetta”. Vuole passare per il voto dell’aula. E a chi gli ricorda che nel caso delle consulenze è implicata anche la compagna, Sabrina Colle, fa un riferimento al caso Giambruno. “Il rapporto che c’è tra una cosa che riguarda una persona e quello che riguarda un’altra, è quello che il premier ha dimostrato sul suo compagno. Io non rispondo per Sabrina Colle”, dice.
Giorgia Meloni fa sapere di aver preso in mano il dossier “per approfondirlo”. Poi valuterà. Il duello Sangiuliano-Sgarbi è al primo atto. Se le opposizioni attaccano, Forza Italia non si straccia le vesti.
Il partito di Berlusconi non vuole politicizzare il caso. Come fece Sgarbi dopo il Maxxi, quando cominciarono a circolare voci su sue possibili dimissioni: “Sarebbe un atto fascista. Il ministero dovrebbe chiudere le porte per sempre”, disse. Oggi tra gli azzurri circola una valutazione diversa: “Sgarbi è Sgarbi. Non può essere incasellato. A onore del vero, non è al governo in quota Forza Italia ma per volere di Meloni”.
Più precisamente, Sgarbi è il leader di un partito meteora ma perfettamente in linea con l’incarico di sottosegretario: Rinascimento italiano. In virtù di questa leadership è entrato in maggioranza nel raggruppamento che fa capo a Maurizio Lupi, Noi moderati. In seno ai moderati potrebbe nascere una soluzione che eviti le dimissioni. Quando Lupi era al ministero delle Infrastrutture ebbe come sottosegretario Vincenzo De Luca, sottosegretario ma senza deleghe, perché il Pd era contrario a concederle.
Ora quel modello potrebbe essere rispolverato per Vittorio Sgarbi. Ma sono puntualizzazioni al limite della perversione. Deciderà Giorgia Meloni. In Transatlantico, a sera, il ministro Gennaro Sangiuliano sembra deciso ad andare avanti. “Io Sgarbi non l’ho chiamato e non gli ho scritto neanche un biglietto”, conferma. Ma allora come finisce? “Datemi qualche giorno e vedrete. E ora parliamo di Immanuel Kant e della critica della ragion pura…”. Ogni riferimento a Sgarbi è del tutto casuale.
(da Huffingtonpost)
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