CREPE NEL GRANITO DI ORBAN A UN ANNO DAL VOTO
PASSI FALSI SU ALCUNE LEGGI E ALL’ESTERO… NEL 2022 AVRA’ CONTRO L’OPPOSIZIONE UNITA E I SONDAGGI LI DANNO ALLA PARI
Venerdì Viktor Orban ha provato anche ad andare fino a Londra alla ricerca di “nuovi rapporti bilaterali” per la ‘sua’ Ungheria. Ma non deve essergli andata bene.
Fino a sera, il premier Boris Johnson, pur avendolo accolto, non rilascia dichiarazioni, nell’imbarazzo più totale per aver ricevuto un premier che a turno si è distinto per antisemitismo, razzismo, discriminazione per le minoranze e i movimenti Lgbtq e che, poco prima del viaggio in Gran Bretagna, ha parlato di “invasione di musulmani”, tanto per aggiungere carne al fuoco delle polemiche nel Regno.
Stiamo parlando di un Orban in difficoltà? Nonostante fonti qualificate dell’opposizione ungherese invitino alla cautela in vista delle elezioni dell’aprile 2022, stavolta il leader di Fidesz, premier al potere dal 2010, carica che aveva ricoperto anche tra il 1998 e il 2002, non ha davanti a sé una strada liscia per l’ennesimo successo.
Se le elezioni in Germania a settembre sono di fatto elezioni di portata europea, se le presidenziali in Francia del prossimo anno pure ci diranno molto del futuro del continente, per l’ennesima volta col fiato sospeso di fronte ai sondaggi generosi con la nazionalista Marine Le Pen, l’appuntamento elettorale 2022 in Ungheria non è da meno, con le dovute proporzioni.
Una riconferma dell’ultradestra di Orban, membro del Ppe fino all’addio di qualche mese fa, dopo anni di scontri con la parte moderata del centrodestra europeo che pure però lo aveva accolto in squadra, ci direbbe che il vento anti-europeista e sovranista non si è fermato anche dopo la sconfitta di Donald Trump negli Stati Uniti.
Diversamente, se Orban perdesse le elezioni, si chiuderebbe un ciclo non solo per lui, ma anche per la sua creatura Fidesz e per i suoi alleati europei, a cominciare da Matteo Salvini.
Perché in questi anni Orban è stato il punto di riferimento dell’ultradestra europea forse più della francese Le Pen, in quanto al governo nel suo paese e dunque con potere contrattuale nei consessi europei.
E poi per via dell’inquadramento nel Ppe, la più grande famiglia politica europea, fino a quando è durato. Può essere che la sua buona stella abbia intrapreso la fase discendente proprio dopo l’addio ai Popolari? Di fatto, da allora, Orban ri-cerca Salvini con maggiore intensità, parla di nuovi gruppi europei che però non sono ancora nati, accoglie a Budapest Santiago Abascal, leader della destra spagnola Vox dato in ascesa dopo le elezioni a Madrid, va fino a Londra alla ricerca di nuovi ‘amici’.
Cosa è successo?
I sondaggi danno il suo Fidesz più o meno alla pari (49 per cento) con la coalizione di sei partiti che l’anno prossimo vogliono sfidarlo alle elezioni (48 per cento).
Alleanza eterogenea, per carità, che ha annunciato le primarie per decidere la leadership. Figura di spicco il sindaco di Budapest, Gergely Karácsony, leader di Dialogo per l’Ungheria, noto oppositore di Orban, lui più di tutti punta alla candidatura per la premiership. Ma ci sono altri segnali che parlano di un potere con più di qualche problema da risolvere.
Di recente, la maggioranza in Parlamento è stata costretta a rivedere la legge sulle ong voluta da Orban contro i presunti finanziamenti dall’estero, per effetto della sentenza della Corte di giustizia europea che l’ha bocciata lo scorso giugno.
È vero che, secondo la nuova legge, la Corte dei Conti ungherese manterrà il controllo sulle organizzazioni non governative, ma il governo comunque ha dovuto saltare un ostacolo.
Cinque giorni fa, la Corte Costituzionale ungherese ha bocciato la legge voluta da Orban nel 2018 che obbligava di fatto i dipendenti a fare straordinario al lavoro e permetteva ai datori di lavoro di non pagarglielo.
E per citare un’altra circostanza che ha a che fare con la politica estera, lunedì scorso, quando tutti i leader europei riuniti all’Europa building hanno intavolato la discussione sulle sanzioni contro la Bielorussia per il caso del dirottamento aereo e l’arresto del dissidente Roman Protasevich, Orban si è dovuto accomodare senza eccepire alcunché. Pur amico di Lukashenko, non ha esercitato diritti di veto, come ha fatto invece qualche settimana fa sul Medio Oriente per difendere Israele nello scontro con i palestinesi.
C’è che il caso Minsk è indifendibile: se ci avesse provato, sarebbe finito in netta minoranza anche rispetto agli altri Stati dell’est.
Lo scontro sul Medio Oriente invece gli ha offerto l’arma tattica di far leva sulle naturali simpatie per Israele prevalenti in gran parte d’Europa, dalla Germania per motivi storici, fino all’est.
Ad ogni modo, il caso Bielorussia lo ha costretto a nascondersi, togliendogli quel palcoscenico che di solito un leader come lui non si fa mai mancare. Nessuna dichiarazione sulle sanzioni decise in Consiglio, né a favore, né in dissenso.
L’ultima vera levata di scudi di Orban, insieme all’alleato polacco Mateusz Morawiecki, risale alla fine dell’anno scorso, quando Ungheria e Polonia ventilarono il veto contro il Recovery fund per difendere la libertà di declinare lo stato di diritto a loro piacimento. Vinsero, ottenendo una sorta di lasciapassare, impacchettato da Angela Merkel, tanto che poi Budapest e Varsavia si sono pure sbrigate a ratificare in Parlamento e presentare i loro piani nazionali: i soldi di ‘mamma Europa’ non si rifiutano mai.
Ma all’opinione pubblica ungherese evidentemente non basta. O non basta più, nonostante la chiusura di media anti-governativi, come Klubradio, per opera di un sofisticato sistema di incastri burocratici elaborato ad arte da Fidesz.
C’è un’altra questione che potrebbe avere il suo peso, anche se stiamo parlando di elezioni tra un anno e dunque il tutto va considerato ‘cum grano salis’. Trattasi dei viaggi degli ungheresi all’estero quest’estate.
Sembra un tema faceto e invece è molto serio. A metà maggio, metà della popolazione ungherese era già vaccinata, compresi molti ventenni. La campagna vaccinale è stata un fiore all’occhiello per Orban, rispetto alle lentezze europee. Il punto è che il governo di Budapest ha scelto di incentrarla sul vaccino russo Sputnik e il cinese Sinovac, più che su quelli autorizzati dall’Ema.
Lo stesso Orban si è vaccinato con l’anti-Covid di Pechino. Ma il ‘covid pass europeo’ che dovrebbe essere operativo da luglio e dovrebbe consentire a chi è vaccinato di viaggiare nell’Unione, non è valido per chi si è immunizzato con prodotti non autorizzati dall’Ema. A meno che gli Stati membri non decidano diversamente, con appositi provvedimenti nazionali che Bruxelles gli permette di adottare, in caso.
La questione è così cruciale nei consensi di Fidesz che il ministro degli Esteri Péter Szijjártó si è organizzato un tour nelle capitali dei paesi che sono mete di vacanza preferite dagli ungheresi. Mission: implorare il consenso a lasciarli entrare.
In questi giorni, Szijjártó sarà a Lisbona, Madrid, Malaga e Londra, dove si recato lo stesso Orban in persona, a perorare la causa ‘vacanze all’estero’.
È un tema molto considerato anche da Merkel nella campagna elettorale per il voto di settembre: pare che la cancelliera si stia dedicando solo a soddisfare desideri ed esigenze dei tedeschi, per battere la concorrenza dei Verdi.
Orban lo sta curando già da ora, a distanza di un anno dal voto, convinto evidentemente che, quanto avrà fatto per il relax post-pandemico dei suoi elettori, verrà ricordato a lungo. E magari il resto scomparirà?
(da Huffingtonpost)
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