FAMOLO STRANO
DAL BICAMERALISMO PERFETTO AL BICAMERALISMO CAZZARO
Evviva evviva, c’è l’accordo sul Senato. Merito del lodo Tonini, anzi del lodo Violante, pardòn del lodo Boschi, o meglio del lodo Finocchiaro, senza dimenticare il lodo Zanda, no! È il lodo Tatarella, che però è morto così diventa lodo Renzi, che invece è vivo.
Siccome purtroppo nessuno di questi lodi è mai stato scritto nero su bianco, ma solo annunciato e tramandato di bocca in bocca secondo la tradizione orale (lodo Omero), non si capisce cos’abbiano da esultare gli strateghi renziani e i calabraghe della sinistra Pd, visto che nessun contraente conosce i termini del patto.
Poi, se resta tempo, ci sarebbero gli elettori che vorrebbero sapere cosa ne sarà di loro il giorno delle elezioni.
Per tentare una risposta,non resta che interpellare gli aruspici. I quali, con l’ausilio delle viscere di civetta (gufino, please) mescolate a zampe di gallina, previa disamina dei fondi di caffè e delle maree nelle notti di plenilunio, sono giunti alle seguenti conclusioni.
Per mettere d’accordo le minoranze che vogliono il Senato eletto dal popolo e il trio Renzi-Boschi-Verdini che lo vuole nominato dai consigli regionali, cioè dalle segreterie dei partiti, i senatori saranno “designati” dagli elettorie“ratificati”dalle Regioni secondo le loro leggi elettorali (che sono 21: una per regione, più le province autonome di Trento e Bolzano).
Il modello è la legge “Tatarellum” per le elezioni regionali, che non esiste più: funzionò una sola volta, alle Regionali del 1995.
Stabiliva l’elezione diretta dei presidenti, che però non era prevista dalla Costituzione, che però non s’era fatto in tempo a modificare; dunque la prima volta si procedette alla designazione dei governatori, poi ratificati dai consigli regionali.
Oggi ne resta intatta la parte peggiore: i governatori si portano in Consiglio un pugno di fedelissimi che mai e poi mai verrebbero votati dai cittadini, infatti non sono eletti, ma stanno in un listino a parte ed entrano in Consiglio se il candidato governatore vince, se no ciccia.
È la norma che ha promosso a consigliera regionale della Lombardia la nota igienista dentale Nicole Minetti nel listino di Formigoni, che ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma B. no.
Ecco: trapiantando quella porcheria nel comma 5 dell’articolo 2 del d-dl Boschi (l’unico votato in modo difforme da Senato e Camera dunque, per il governo, il solo ancora modificabile), l’elettore si ritroverà in mano, alle elezioni regionali, una scheda, anzi un lenzuolo, con tre liste per partito.
1) La lista dei favoriti e delle favorite dell’aspirante governatore. 2) La lista dei candidati consiglieri regionali. 3) La lista degli aspiranti-consiglieri-regionali-che-faranno-anche-i-senatori.
L’elettore voterà tre volte: 1) il candidato governatore che, in caso di vittoria, si porterà appresso tutto il listino; 2) i candidati consiglieri regionali (con le preferenze, il cui numero varia da regione a regione); 3) i candidati-consiglieri-regionali-che-faranno-anche-i-senatori (come al punto 2).
Si dirà : ma così i senatori li eleggiamo noi, vittoria! Eh no, troppo comodo, ‘cca nisciuno è fesso.
Prima del comma 5 (modificabile, per Renzi) dell’articolo 2, c’è il comma 2 (intoccabile per Renzi, perchè già votato dalle due Camere con “doppia conforme”), che dice tutt’altra cosa: “I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno,tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori”.
Il “metodo proporzionale” vuol dire che i consiglieri-senatori devono rispettare i rapporti di forza fra i partiti rappresentati in Consiglio.
Ma chi vota gli aspiranti consiglieri-senatori del suo partito mica può sapere quanti ne usciranno in consiglio regionale, dunque non accadrà mai che in Consiglio regionale i consiglieri-senatori rispettino la proporzione del totale dei consiglieri dei singoli partiti. In ossequio al principio di proporzionalità (comma 2), il Consiglio dovrà eliminare qualche consigliere-senatore designato dagli elettori, a sua discrezione: tu vai in Senato perchè sei biondo, tu non ci vai perchè sei antipatico, cose così. Bella “designazione”, bella “ratifica”.
E tanti saluti alla designazione popolare (comma 5). Se invece un Consiglio vorrà rispettare il principio di designazione popolare (comma 5), dovrà violare quello di proporzionalità (comma 2).
E così i padri ricostituenti — per salvare la faccia a Renzi che non vuol darla vinta a Grasso e alla minoranza sull’emendabilità del comma 2 — già prevedono che la nuova Costituzione dovrà essere obbligatoriamente violata. Dunque è incostituzionale.
C’è poi un altro problemino da niente: siccome sette consigli regionali sono stati appena eletti e scadono fra cinque anni, mentre gli altri molto prima, che si fa?
Si azzera tutto e li si vota tutti insieme, anche quelli appena eletti?
O si parte con la nuova regola per quelli che muoiono prima e intanto gli altri si nominano i consiglieri-senatori come pare a loro, senza “designazione” dei cittadini? O tutti i Consigli nominano chi vogliono all’insaputa degli elettori designatori?
Ci pensa la “norma transitoria”, già votata con doppia conforme: il primo Senato lo nominano i Consigli regionali, senza interpellare gli elettori.
Quindi: o il primo Senato sarà incostituzionale, perchè viola il comma 5, oppure salta il totem della doppia conforme sulla norma transitoria (e allora non si vede perchè non riscrivere daccapo, e bene, tutta la riforma).
Il bicameralismo perfetto non andava bene: meglio il bicameralismo cazzaro.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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