“HO SCELTO DA CHE PARTE DELLA STORIA STARE”: A BORDO DELL’AQUARIUS CON GLI EROI DELL’EUROPA DEL FUTURO
GIOVANI DA TUTTA EUROPA PER SALVARE VITE: “QUI SI SCRIVE LA STORIA DELL’UMANITA'”
“In una settimana qui sono morte 900 persone, a cui avrei potuto tendere la mano, a cui avrei potuto sorridere, a cui avrei potuto dare un avvenire dall’altro lato di questo cimitero solo con la forza dei miei muscoli”.
Non si dà pace Antoine Laurent, 25 anni, nato a Lorient in Bretagna, ufficiale della Marina mercantile che ha preferito l’Aquarius alle navi di ricerca petrolifera su cui lavorava prima.
“Qui si scrive in parte la storia dell’umanità . Verranno ricordate le tragedie, l’indifferenza di massa, ma anche le mani tese. Io ho scelto da che parte stare”.
I soccorritori dell’Aquarius sono come angeli in un inferno d’acqua.
Navigano grazie a un gigantesco crowdfunding. L’operazione costa 11 mila euro al giorno, si prevede che serviranno 3,6 milioni di euro per tutto il 2016, di cui oltre un milione deve essere ancora trovato.
A bordo ci sono tre squadre diverse: Sos Mèditerraneè composta soprattutto da marinai che si fanno carico del salvataggio, Medici senza frontiere che si occupa della cura delle persone a bordo, distribuendo vestiario, coperte, cibo e fornendo assistenza medica, e l’equipaggio della nave che va dal ponte di comando alle cucine.
Vengono da Libano, Canada, California, Francia, Germania, Inghilterra, Ghana, Ucraina, Bielorussia, Italia, Olanda, Polonia, Eritrea.
Eppure agiscono come un unico corpo affiatato. Come gli ingranaggi che girano a ritmo in una macchina di soccorso che si sta rodando con l’esperienza.
A differenza dei corpi specializzati della Guardia Costiera o dei militari, nessuno ha insegnato loro come salvare un gommone di rifugiati in pericolo.
Si sono preparati in via teorica, hanno fatto delle esercitazioni. Passano lunghi e snervanti giorni d’attesa e quando alla fine il comando della Guardia Costiera rilancia un Sos, nessuno sa come andrà a finire.
Con il passare delle ore, i fax dell’Mrcc da Roma si moltiplicano.
Le imbarcazioni in pericolo diventano due, tre, cinque. A questo punto il battello arancione si dirige senza esitazione sulla linea del fronte.
Nelle tre settimane passate a bordo, assistiamo al salvataggio di oltre seicento persone, fra cui 124 minor.
La maggioranza di questi viaggia senza famiglia e la bimba più piccola ha appena due mesi. I soccorritori non sono volontari, vengono retribuiti, ma hanno scelto di propria iniziativa di partecipare alla missione, spesso rinunciando a incarichi pagati molto meglio.
“Abbiamo cinque donne gravide, di cui una all’ottavo mese e anche una minorenne incinta. Poi ci sono diverse ragazze nigeriane, forse vittime di tratta, ma è difficile dirlo qui a bordo”.
Con nonchalance, Angelina Perri, ostetrica piemontese di Medici senza frontiere e unica italiana imbarcata in questo momento sull’Aquarius, fornisce il bollettino dello ‘shelter’, il rifugio coperto in cui vengono sistemate le donne, insieme ai minori e ai feriti. Per lei che ha lavorato in Sudan, a Lampedusa e nei centri di detenzione per migranti in Grecia, la prima esperienza a bordo di una nave di soccorso in mare è comunque “toccante”.
Il suo collega Amanuel Tekle, il mediatore di Msf, è un eritreo, rifugiato prima in Inghilterra e poi a Stoccolma, dove vive con la moglie e i suoi tre bambini.
Ha una motivazione in più per essere nel Mediterraneo.
Nel 2001 ha fatto lo stesso tragitto, approdando su una spiaggia di Noto a bordo di una barca da pesca, in fuga dal regime eritreo.
“Conosco tutte le lotte che queste persone devono fare, sono passato dal Sahara e dal mare e sono felice di aiutare quelli che arrivano ora — dice commosso — Credo che arriveranno molti eritrei, perchè la dittatura ha fatto del nostro paese una grande prigione e la situazione sta peggiorando”.
Il raggio d’azione dell’Aquarius è a circa 20 miglia a nord di Tripoli, da est a ovest. All’inizio la nave si posizionava in direzione di Az Zuwiya, una zona da cui si erano verificate molte partenze.
Ma poi il flusso di profughi ha cambiato direzione e così anche l’Aquarius si è spostata più ad occidente.
Nelle giornate di buona visibilità , dal ponte della nave si vede la costa libica, sembra di distinguere le ombre dei palazzi, le luci sul fare dell’alba. Ma di notte si torna indietro, a 30 miglia, a distanza di sicurezza dalla guardia costiera libica.
E tutte le porte, tranne quella del ponte di comando, vengono chiuse dall’interno per rallentare la penetrazione di un eventuale commando armato che potrebbe salire a bordo. Sono solo precauzioni, nessun segnale concreto di pericolo.
“Non voglio esagerare questo problema”, afferma il capo delle operazioni di soccorso per Sos Med Mathias Menge mentre istruisce tutti su come comportarsi in caso di abbordaggio. Sono però misure prese dopo un episodio preciso.
Ad aprile la nave dell’Ong tedesca Sea Watch è stata abbordata da una motovedetta della sedicente guardia costiera libica, armata fino ai denti, con la minaccia di essere condotta in un porto libico. Praticamente quasi un sequestro. “Siamo intervenuti noi dal comando operativo di Roma e tutto è rientrato”, spiega il capitano Nicola Carlone, a capo del reparto Piani operativi della Guardia Costiera italiana.
Carlone conferma che in seguito la Guardia Costiera libica ha detto di non volere queste navi private nelle acque di ricerca e soccorso di sua competenza.
“Una cosa completamente illegale”, secondo Menge. “Davanti al loro disappunto, abbiamo spiegato che sono imbarcazioni di soccorso coordinate da noi e abbiamo trovato un modus operandi per continuare ad avvalerci di queste navi delle Ong – ribadisce Carlone – perchè ci stanno dando un aiuto incredibile con delle barche capaci di intervenire velocemente per salvare più persone possibile”.
E così l’Aquarius continua a fare la spola, da fin sotto la Libia fino a Trapani, portando a terra anche i migranti soccorsi dalle navi militari.
Come la Spica della marina italiana, da cui vediamo trasferire 114 persone. O le “European warship” come si definisce la nave da guerra tedesca Frankfurt che ce ne consegna altri 115.
A bordo avevamo già 137 persone di un primo gommone salvato e 116 di un secondo. Con 368 passeggeri in più, la nave fa rotta verso l’Italia, mentre cala la sera. I migranti stanno appallottolati nelle coperte fornito da Medici senza frontiere.
Alcuni guardano ancora il mare ed è uno sguardo carico di gratitudine per chi li ha salvati e per la sorte che è stata, una volta tanto, benigna
L’Europa è ancora a quasi due giorni di navigazione.
Si respira un’atmosfera di gioiosa, una stanchezza piena di soddisfazione. È un momento in cui ci si rilassa e si può parlare con i nuovi arrivati che trovano la forza di raccontare l’indicibile vissuto in Libia.
“Ho passato sei mesi in una prigione di Tripoli — racconta un ragazzo del Gambia — ci picchiavano come se fossimo animali, chi ha la pelle nera non può sopravvivere là . Per uscire si devono pagare mille dinar libici ai poliziotti. Poi i trafficanti sulla spiaggia ci hanno rinchiusi in 85 in un buco nella terra, sotto la minaccia delle armi. Per cinque giorni siamo stati lì, prima di partire. Non sapevamo che la barca fosse un gommone malmesso”.
Le donne nigeriane intonano un inno a Gesù. Sono fuggite da Boko Haram e sono passate attraverso stupri e sevizie.
È questa l’umanità che l’Europa vorrebbe chiamare “migranti economici” da selezionare negli Hotspot all’arrivo.
Ma le loro storie sono di migranti forzati, quelli che non hanno avuto scelta.
Raffaella Costantino
(da “La Repubblica“)
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