I FURBETTI DI UNIPOL-FONSAI
INDAGATO PER AGGIOTAGGIO L’AD CIMBRI… IL GRUPPO CROLLA IN BORSA PER L’INDAGINE DEI PM DI MILANO: CONTESTATI I CONTI ALLA BASE DELLA FUSIONE CON LA COMPAGNIA DEI LIGRESTI
E se il salvatore fosse più malmesso del salvato? Se il medico fosse più malato del paziente?
Quando Unipol “salvò” Fonsai, questa era solo un’ipotesi giornalistica, aspramente contrastata dai protagonisti.
Ora è diventata atti d’indagine: ieri i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria di Roma, guidati dal colonnello Giuseppe Bottillo, sono andati a perquisire gli uffici bolognesi di Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol-Sai, la supercompagnia d’assicurazioni nata dalla fusione di Unipol (area coop rosse) e Fonsai (gruppo Ligresti).
Hanno chiesto documenti anche alla Consob di Giuseppe Vegas, l’Autorità di controllo che avrebbe dovuto vigilare sulla fusione.
Cimbri è indagato dalla Procura di Milano, pm Luigi Orsi, per aggiotaggio: avrebbe continuativamente fornito al mercato informazioni non vere sul valore della sua compagnia, durante il lungo percorso che ha portato al matrimonio d’interesse tra l’“assicurazione dei comunisti” e le aziende in difficoltà di Salvatore Ligresti.
Indagati per aggiotaggio anche i “testimoni degli sposi”, due di parte Unipol (oltre a Cimbri, Vanes Galanti, allora presidente del consiglio d’amministrazione di Unipol Assicurazioni) e due di parte Ligresti (Roberto Giay, già amministratore delegato di Premafin Finanziaria, e Fabio Cerchiai, ex presidente del consiglio di amministrazione di Milano Assicurazioni).
Le false comunicazioni, secondo l’ipotesi d’accusa, riguardano i derivati che riempivano la pancia di Unipol al momento della fusione e che avrebbero un valore di molto inferiore rispetto a quello dichiarato a bilancio.
La storia comincia nel 2012, quando diventa evidente la crisi del gruppo Ligresti.
La nuova Mediobanca di Alberto Nagel, in accordo con Unicredit, chiude i rubinetti del credito a don Salvatore e decide di “salvare” Fonsai.
Per “proteggere la nostra esposizione”, spiegherà Nagel.
Il “salvatore” è individuato in Cimbri, che ha a sua volta un bel pacchetto di debiti nei confronti di Mediobanca: se il matrimonio va in porto, Nagel risolve non uno, ma due problemi.
Quanto vale davvero, però, Unipol? A che valori fissare il concambio Unipol-Fonsai, al momento della fusione?
A questo punto la vicenda si slabbra, i contorni della storia diventano opachi.
Uno studio di Ernst&Young, il “Progetto Plinio” (realizzato su incarico di Fondiaria, quindi di parte) calcola che a fine 2011 Unipol ha un patrimonio netto rettificato di 302 milioni, ben lontano da quello scritto a bilancio come patrimonio contabile (1,1 miliardi di euro).
Anzi, “Plinio” sostiene addirittura che il valore intrinseco della società potrebbe essere negativo. Se fosse vero, la fusione in corso sarebbe destinata a saltare, o almeno a essere conclusa su valori ben diversi da quelli proposti.
La Consob potrebbe diradare la nebbia. Invece contribuisce a confondere le carte.
Una sua sezione tecnica, l’ufficio Analisi quantitative, guidato da Marcello Minenna, sostiene che effettivamente i derivati in pancia a Unipol ne zavorrano il valore.
Il bilancio 2011, per esempio, non avrebbe contabilizzato 2 o 300 milioni di perdite relative a titoli strutturati.
Le perdite potrebbero però essere maggiori, visto che non c’è chiarezza sui titoli infilati nel portafoglio della compagnia bolognese.
Il presidente di Consob, Vegas, mette però in un angolo Minenna e tiene all’oscuro di tutto uno dei commissari, Michele Pezzinga.
E denuncia addirittura per aggiotaggio informativo due giornalisti (Giovanni Pons e Vittoria Puledda, di Repubblica) che avevano osato riportare notizie (vere) sui conti traballanti di Unipol.
Il matrimonio , evidentemente, s’ha da fare. A ogni costo.
Inizia così un lungo, curioso, misterioso ping-pong tra Consob e Unipol, in cui l’Autorità sembra un consulente privato, più che un’agenzia di controllo: raccomanda, suggerisce, consiglia; e il vigilato via via corregge, rettifica, svaluta, depura.
Toglie dal bilancio una quarantina di milioni nel dicembre 2012. Altri 240 milioni nell’aprile 2013. Quindi qualcosa di vero c’era, nei conti choc di “Plinio” e nelle tabelle terribili di Minenna.
A fine 2013 la fusione si fa. Diventa operativa il 6 gennaio 2014, giorno della Befana. Da una parte Unipol, dall’altra le tre società di Ligresti: Prema-fin, Fonsai, Milano Assicurazioni.
È l’unione di due debolezze: Fonsai è uscita devastata dalla gestione dei Ligresti, che pure sono stati nutriti dalla banca di piazzetta Cuccia, tra il 2003 e il 2012, con l’incredibile cifra di 1 miliardo e 200 milioni; Unipol ha un debito con Mediobanca di almeno 400 milioni.
Il risultato è comunque la nascita di un gigante delle polizze, con 10 milioni di clienti, la più grande compagnia assicurativa italiana nel ramo danni, per il resto seconda solo a Generali.
Grande operazione di sistema: buttato alle ortiche don Salvatore Ligresti, che per decenni aveva fedelmente servito il sistema, ma era diventato infine indifendibile, Mediobanca e le altre banche creditrici individuano in Cimbri il nuovo player per continuare a giocare vecchie partite.
Perfetto, nel nuovo clima di larghe intese aperto dall’uscita di scena di Silvio Berlusconi (che deve lasciare la guida del governo) e di Cesare Geronzi (che deve abbandonare le stanze dorate della finanza).
È la rivincita dei “furbetti del quartierino”: la bicamerale degli affari, aperta nel 2005 da Giovanni Consorte, allora presidente di Unipol, oggi è arrivata a compimento.
Peccato si siano messi di mezzo alcuni guastafeste: pochi giornalisti, il commissario Pezzinga, qualche funzionario onesto come Minenna.
E un pm di Milano che ora sta esaminando la documentazione sequestrata ieri in Unipol e in Consob.
Luigi Orsi avrà da lavorare, nelle prossime settimane.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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