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I SOLDI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E LA VERITA’ CHE IL GOVERNO NASCONDE

I TAGLI AL SISTEMA SANITARIO, CONTINUANO A DIMINUIRE I FONDI

Se la «lista d’attesa» appartenesse a una corporazione, sarebbe certamente più corta. Ma qui si tratta di una lista senza rappresentanza, formata da milioni di cittadini dove ognuno subisce in solitudine il proprio disagio o si arrangia come può. Chi può.
Eppure nessun governo ha mai dichiarato di voler tagliare la spesa sanitaria, al contrario sono sempre stati snocciolati miliardi di investimenti. Per capire se lo Stato ne tira fuori abbastanza gli esperti usano un indicatore: il rapporto tra i finanziamenti pubblici al servizio sanitario nazionale e il Pil.
Se l’incidenza percentuale rispetto al valore di tutti i beni e servizi prodotti nel nostro Paese è bassa, vuole dire che lo Stato non investe a sufficienza per la salute dei propri cittadini.
Con 114,4 miliardi messi nel 2019, l’Italia arriva alla pandemia con un livello di finanziamento rispetto al Pil del 6,4%, contro il 9,8% della Germania, il 9,3% della Francia e il 7,8% del Regno Unito (dati Ocse).
Il 2020 è l’anno della spesa record: 120,5 miliardi, pari al 7,3% del Pil. La grande lezione del Covid è quella dell’impegno solenne: mai più risparmi e tagli sulla sanità. Cosa è successo dopo?
Costi Covid rimasti scoperti
Nel 2021 le Regioni spendono 8,3 miliardi in più per coprire i costi extra: ricoveri in ospedale di chi ha contratto il virus, tamponi, reclutamento di medici, infermieri, e vaccinazioni di massa. Lo Stato a oggi gliene ha rimborsati solo 4,45: vuol dire che le Regioni hanno accumulato un buco da 3,86 miliardi.
Alla Lombardia è stato rimborsato un miliardo in meno di quello che ha speso; al Lazio 442,8 milioni; all’ Emilia-Romagna 436; al Piemonte 288; al Veneto 277; alla Toscana di 239; alla Puglia 205,5; alla Campania 216; all’Abruzzo 61,6; all’Umbria 59,4; alla Sardegna 50; alla Basilicata 13.
Caro energia non rimborsato
Nel 2022 le Regioni continuano a sostenere spese extra legate al Covid: i ricoveri, la sanificazione obbligatoria degli ambienti ospedalieri, le uscite per il personale aggiuntivo, oltre alle visite e gli esami da recuperare. Con la fine dello stato d’emergenza del 31 marzo, però, lo Stato di fatto non riconosce più i finanziamenti aggiuntivi.
In più si sommano 1,4 miliardi di costi per l’impennata delle bollette di luce e gas. Con il decreto del 10 gennaio 2023 il governo Meloni mette 1,6 miliardi alla voce «maggiori costi delle fonti energetiche e per il perdurare della pandemia». I fondi vengono distribuiti in percentuale alla popolazione delle singole regioni.
Risultato: solo in bollette l’Emilia-Romagna spende 188,2 milioni e ne prende 120,9; la Toscana 153 e ne prende 101; l’Umbria 31 e ne prende 23,8; la Basilicata 21, e gliene danno 14,7. E poi: l’Abruzzo va sotto di 19,3 milioni; la Puglia di 2,6; la Sardegna di 3,6; Liguria e Friuli di 2.
I bilanci delle Regioni
La Sanità pesa all’incirca per l’80% sui bilanci delle Regioni, e gli ultimi due anni si fanno tutti sentire. Lo dimostra il confronto tra il 2022 e il 2019: le Regioni che avevano conti in ordine ora sono indebitate. L’Emilia-Romagna è in rosso di 84,9 milioni; il Piemonte di 21; il Lazio di 125,5; la Basilicata di 20,9 milioni; l’Umbria di 69,5 milioni, la Sardegna di 41,7. Mentre Regioni già in negativo come Toscana, Abruzzo e Puglia hanno peggiorato la loro situazione finanziaria. Bilancio in pareggio ma risicatissimo per la Lombardia che chiude con 296 mila euro contro i 6,3 milioni del 2019, e il Veneto a 7 milioni contro i 29,4 del 2029. Ora alle 20 Regioni arriverà 1 miliardo e 85 milioni per il cosiddetto payback: chi negli anni passati ha acquistato dispositivi medici in più rispetto al tetto di spesa fissato recupererà il 50%. In sostanza si distribuiscono un po’ di soldi a tutte le Regioni che hanno sforato su un altro capitolo di spesa, sperando che tappi il buco aperto dai costi Covid e dalle bollette. Difficile.
Sottofinanziamento del Ssn
Del resto, il finanziamento al servizio sanitario cresce solo sulla carta: 123,4 miliardi nel 2021; 125,98 nel 2022; 136 nel 2023; 132,7 nel 2024 e 135 miliardi nel 2025. Ma siccome i soldi si pesano rispetto al Pil, siamo passati dal 6,4% del 2019 al 6,9% del 2021, e poi la curva si inverte: 6,6% nel 2022, 6,7% nel 2023, al 6,3% nel 2024 e 6,2% nel 2025. In pratica stiamo tornando addirittura indietro rispetto al pre-pandemia. Per arrivare ai livelli di Germania e Francia servirebbero all’incirca 40 miliardi in più all’anno, e 20 per raggiungere almeno il Regno Unito.
Rischio n. 1
Quando le risorse sono poche si è costretti a risparmiare, proprio nel momento in cui è necessario investire nelle sfide che ci attendono.
A partire dalle liste d’attesa. Resta da recuperare qualche milione di prestazioni sanitarie perse per il blocco/rallentamento dell’attività sanitaria durante i mesi clou della pandemia. Oltre agli esami e alle visite specialistiche (vedi il Dataroom del 6 febbraio 2023), i dati diffusi da ministero della Salute e Agenas confermano il permanere di criticità anche sui ricoveri: nel caso degli interventi cardiovascolari che devono avere la precedenza per motivi di urgenza (classe A) e che dovrebbero essere eseguiti entro 30 giorni, ben 14 Regioni presentano risultati peggiori di quelli del 2019. Lo stesso vale per i tumori maligni: sono 12 le Regioni che hanno peggiorato le loro performance. Significa che si riduce la percentuale di interventi eseguiti nei tempi definiti per legge.
Rischio n. 2
È stata avviata la riforma dell’assistenza sul territorio disegnata dal Dm 77 del maggio 2022 e prevista dal Pnrr, che prevede la creazione di almeno 1.350 case della comunità, 400 ospedali di comunità, 600 centrali operative territoriali e lo sviluppo della telemedicina in grado di assistere a domicilio almeno 800 mila persone con più di 65 anni. I 7 miliardi per la costruzione degli edifici arrivano dal Pnrr. Ma la riforma necessita di un’adeguata dotazione di personale. Il fabbisogno totale al 2027 di medici è stimato in 42.331 ospedalieri. In un Dataroom dell’ottobre 2022 abbiamo visto che gli specialisti che saranno sfornati per allora dalle Scuole di specialità saranno complessivamente 62.350. Tenuto conto che il 10% non finisce gli studi e il 25% non resta a lavorare nel ssn, vuole dire che per gli ospedali pubblici saranno pronti, sempre al 2027, 42.086 specialisti. Le entrate e le uscite sono quindi in equilibrio. Ma ancora una volta i conti tornano solo sulla carta, perché nella realtà una volta banditi i posti nelle Scuole, le specialità di cui c’è più bisogno, non vengono scelte. In Medicina d’emergenza e urgenza il 57% dei posti non è coperto; in Anestesia e rianimazione il 17%; in Radioterapia il 74%. Uno dei problemi che rimangono sul tavolo è legato agli stipendi: un medico tedesco rispetto a uno italiano guadagna il 93,6% in più.
Rischio n. 3
I primi 9 mesi del 2022 registrano una riduzione della spesa per investimenti di oltre il 13%. Che vuol dire meno soldi per l’acquisto di attrezzature nuove e per la manutenzione dei reparti «al fine di garantire a ciascun cittadino una risposta adeguata alla domanda di salute, sia in termini di prevenzione che di cura delle diverse patologie».
Lo fa presente la Corte dei conti che scrive: «Il programma straordinario degli investimenti pubblici in sanità costituisce un contributo sostanziale al perseguimento della finalità pubblica della tutela della salute (ai sensi dell’art. 32 Cost.) in quanto l’ammodernamento del patrimonio strutturale e tecnologico del servizio sanitario nazionale consente meglio di rispondere con strutture e tecnologie sempre più appropriate, moderne e sicure, alle necessità di salute della comunità e alle aspettative di operatori e utenti del Servizio sanitario nazionale». In conclusione: snocciolare qualche miliardo in più fa sempre una certa impressione, ma rispetto alle necessità sono solo noccioline.
(da Il Corriere della Sera)

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