IL FEDERALISMO SANITARIO DI FORMIGONI: UNA CASBAH DI FACCENDIERI E POLITICI CORROTTI
IL DECANTATO “MODELLO LOMBARDIA”: UNA TORTA DA SETTE MILIARDI EROGATI A MANAGER VICINI A CL E ALLA LEGA
«Formigoni? Il politico più stupido che io conosca», sentenziò una volta Ciriaco De Mita.
Ma l’ex premier è ormai fuori da lustri, mentre il Memor Domini ciellino che giurò povertà , castità e obbedienza, ma offriva il suo “corpo mistico” ignudo su yacht miliardari, ballando sulle note dei Red Hot Chili Peppers, è appena approdato al laticlavio.
Ed è stato eletto alla presidenza di una commissione senatoriale nelle stesse ore in cui la procura milanese chiedeva il suo rinvio a giudizio con l’accusa di aver deviato più dalla povertà che dalla castità , con osceno utilizzo di pubblico denaro.
Non stupido, “Diomammoneggiante” lo definisce con inaspettata fantasia lessicale un banchiere cattolico, che lo descrive come capitano di una legione di lottatori a tempo pieno, ma non di vincitori contro il peccato.
Quella generazione di giovani timidi, pallidi, abiti scuri, gonne lunghe, molti dei quali alla morte del fondatore di Comunione e Liberazione don Giussani sono stati risucchiati dal loro stile di vita quasi monastico verso i lidi più agevoli del potere e del denaro, garantiti da un movimento che si è fatto lobby.
Crozza sembra propendere nella sua imitazione a una via di mezzo tra le definizioni del vecchio democristiano e del banchiere cattolico.
Ma il ritratto più affilato lo ha dato Gianfranco Fini, un altro disperso della politica: un’“impudente faccia di bronzo”.
Come altro definire uno che di fronte alla lampante evidenza delle sua vita non frugale, alle documentate accuse al suo cerchio magico di aver sottratto sotto la sua protezione decine e decine di milioni, forse centinaia, alla sanità della regione Lombardia, facendone un’immensa mangiatoia privata, sbeffeggia i giornalisti che osano fargli qualche doverosa domanda, inventa complotti e minaccia querele e sfracelli?
«Sono a volte caduto e cado — ha scritto al settimanale di Cl “Tempi” — in qualche eccesso di narcisismo o di personalismo? È così. E allora? Che cosa si deve giudicare: le mie camicie o i miei atti di governo?».
Difficile dire cosa sia peggio.
A parte naturalmente l’arte autoassolutoria, che si esercitò invece più nobilmente per suo padre, vecchio podestà in Brianza, accusato dell’omicidio di quattro partigiani e amnistiato daTogliatti.
Quanto agli atti di governo, Formigoni continua a celebrare il “modello lombardo” e quello che pomposamente chiama “federalismo sanitario”.
Cioè il sistema che ha permesso di trasformare la sanità in una colossale truffa organizzata, in una casbah percorsa da una pletora di politici simoniaci, assessori corrotti, faccendieri, manager lottizzati, all’insegna di fondi neri, tangenti, appalti truccati, di cui i magistrati devono ancora scrivere tutta la storia.
Il “federalismo delle truffe”, che per fortuna non ha intaccato alcuni poli di buona medicina, nasce nel 1997, quando il Celeste era già governatore da due anni, con la Legge regionale 31.
Fatta su misura per gli interessi di Cl, stabilì la parità tra ospedali pubblici e privati. Così, in nome di una presunta rivoluzione liberale, partì la corsa delle strutture private per ottenerel’accreditamento con la Regione, tramite i buoni uffici del cerchio magico formigoniano.
Una parità giuridica che attraverso il flusso di rimborsi pubblici ha prodotto la nascita di colossi sanitari come il San Raffaele di don Verzè, l’amico di Berlusconi e allevatore della maitresse delle olgettine nella “casa delle femmine”, che più che un prete sembrava un gangster di Chicago, franato prima della morte sotto un miliardo e mezzo di debiti.
E la Fondazione Maugeri, snodo di tangenti, sovraffatturazione e fondi neri, che finivano a Pierangelo Daccò, il faccendiere di Formigoni, quello che pagava gli yacht, i resort più cari al mondo e le ville in Sardegna del capo del Gruppo Adulto, il nucleo aristocratico di Comunione e Liberazione, votato alla “povertà evangelica e alla castità perfetta”.
Passi per la castità , che in caso di scivolate si può assolvere confessandola ai padri salesiani di via Copernico, ma quanto alla povertà evangelica difficilmente a Formigoni potrà dare l’assoluzione anche il padre eterno, quando si saprà con certezza la cifra sottratta attraverso la Maugeri e le altre strutture “aiutate” da Daccò.
La sanità lombarda muove ogni anno 17 miliardi e mezzo di euro, il 75 per cento delle spese regionali, con 128 strutture tra ospedali pubblici e privati.
La generosità verso i privati e soprattutto verso gli ospedali targati Cl è tale che il 43 per cento del totale va a loro.
Una torta di 7 miliardi e mezzo erogati a piè di lista senza controlli a manager lottizzati da Cl e dalla Lega.
I reparti di cardiochirurgia si sprecano, ce ne sono più in Lombardia che in tutta la Francia.
Perchè?
Ma perchè gli interventi cardiochirurgici sono quelli che hanno i rimborsi pubblici più alti. Idem per l’ortopedia.
I privati si buttano sulle prestazioni sanitarie più redditizie e non di rado inducono i pazienti a operazioni inutili se non dannose.
Ecco, questo è il quadretto sommario dell’eccellenza formigoniana, che sulla sanità , incredibilmente, sfoga da anni il suo patologico narcisismo.
Scoppiato lo scandalo, un anno fa il presidente di Cl Julià n Carròn ha cercato di prendere le distanze dal Celeste: «Sono stato invaso da un dolore indicibile — ha scritto aRepubblica — dal vedere cosa abbiamo fatto delle grazie che abbiamo ricevuto. Se il movimento di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo aver dato».
E ha chiesto perdono.
Il cardinale Angelo Scola è stato meno aulico, ma sostanzialmente ha fatto lo stesso. Le gesta di Formigoni e della sua cricca però hanno probabilmente contribuito a ostruirgli l’ascesa al soglio pontificio.
Resta su piazza il Celeste, se qualche anima buona non riuscirà a farlo dimettere e se i magistrati non decideranno di fargli visitare luoghi un po’ meno ameni di quelli che abitualmente frequenta.
Gli hanno dato la presidenza della Commissione senatoriale dell’Agricoltura. Speriamo che non stia già almanaccando il “federalismo agricolo”.
Alberto Statera
(da “La Repubblica“)
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