IL RETROSCENA: DELRIO SEQUESTRO’ IL VECCHIO TESTO SENZA IL 19-BIS
COSI’ IN CDM IL GOVERNO VOTO’ SU UN TESTO FANTASMA
Dopo 96 ore un solo fatto è certo: quando finisce il consiglio dei ministri nel decreto legislativo sulla delega fiscale è già spuntato il comma 19-bis, quello che di fatto depenalizza reati gravi come la frode fiscale, le false fatturazioni, l’omessa dichiarazione dell’Iva.
Un colpo di spugna bello e buono sui reati tributari.
Quello che non si riesce ancora a capire, la notizia che tutti vogliono conoscere e che nessuno tra i ministri e gli altri protagonisti rivela è: chi, quando, come e perchè ha “calato” nel testo il 19-bis.
Un fatto è documentato, come lo racconta una fonte interna al consiglio dei ministri: alle 15 e 30 del 24 dicembre, pochi minuti prima che la seduta si chiuda, il sottosegretario Graziano Delrio, con una mossa a sorpresa e abbastanza anomala, fa un giro di tavolo e ritira le cartelline dei singoli ministri, distribuite a lavori già iniziati, con i provvedimenti in discussione.
Tra questi c’è anche quello sulla certezza del diritto fiscale.
Rivolgendosi ai colleghi lo stesso Renzi, mentre Del Rio piglia le carpette, motiva la decisione: “Ci sono state tante modifiche, meglio fare un rapido coordinamento, ed evitare che circoli un testo non corretto, che potrebbe provocare confusione su inasprimenti e alleggerimenti”.
Gesto in buona fede? Mossa casuale?
L’unico fatto certo, uno dei pochi in una storia piena di “non so”, “non ricordo”, “non c’ero”, “non me ne sono accorto”, “non ci ho badato”, “non sono stato io e non so chi è stato”, è che poche ore dopo, sul sito di palazzo Chigi, www. governo. it, viene pubblicato un testo che contiene anche la pietra dello scandalo, l’articolo 15 che introduce un 19-bis nel testo sui reati tributari del 2000.
Bisogna partire da qui per dipanare il filo delle contraddizioni.
Il consiglio si chiude, Renzi tiene la sua conferenza stampa, nessuno parla del tetto del 3% al di sotto del quale spariscono le responsabilità penali e si azzera soprattutto il processo Mediaset.
Una “grazia” del tutto insperata per Berlusconi.
Durante la riunione si è parlato o no di quella specifica soglia?
E soprattutto, il testo del 19-bis, il salva Silvio, c’era o non c’era nella bozza del decreto portata in seduta dall’Economia?
Qui le versioni si fanno contrastanti.
Molti ministri hanno parlato sulla delega fiscale – Renzi, Boschi, Alfano, Madia, Orlando, perfino Galletti, che pure si occupa di Ambiente – ma di soglie è pieno il testo e nessuno si ricorda specificatamente di quel 19-bis e del 3%.
Sono tutti pronti a giurare che mai e poi mai è saltato fuori il caso di Berlusconi e del suo processo, soprattutto di un’eventuale “grazia” indiretta che lo avrebbe favorito.
Lo stesso Renzi, quando sabato 2 gennaio alle 8 di sera il caso esplode, fa mostra di cadere dalle nuvole.
Sicuramente si è parlato di aumentare la pena per il reato di omessa di- chiarazione. Renzi la voleva più alta. Quelli di Ncd si sono opposti e hanno sollevato il problema delle intercettazioni.
Il Guardasigilli Andrea Orlando ha chiesto qualche minuto per fare una verifica con il suo capo dell’ufficio legislativo Mimmo Carcano, che era nella saletta accanto.
Voleva sapere se con le modifiche in discussione si rischiava di vietare le intercettazioni. È tornato per dire che anche altri reati tributari sono intercettabili, come la frode, quindi il problema non si poneva.
Lui, comunque, era contrario agli aumenti che disarticolano l’equilibrio della piramide delle pene.
Un dettaglio di cui molti si ricordano, mentre la memoria si offusca sulla soglia del 3%. Ma nessuno, nè il ministro nè i tecnici, pongono riserve sul 19-bis.
Alcuni ministri, anche autorevoli, sono pronti a giurare che il 19-bis e la soglia del 3% non c’erano nel testo, e quindi non se n’è discusso.
Tra le fonti che negano recisamente la presenza dell’articolo incriminato c’è anche il ministero dell’Economia, dove si punta il dito contro palazzo Chigi, a cominciare dal “padre” del decreto, l’ex presidente della Consulta Franco Gallo (“Nel mio testo, che a ottobre ho consegnato a Padoan, quell’articolo non c’era e ne ripudio il contenuto”).
Siamo a uno snodo chiave della faccenda.
Che succede dopo il consiglio? Per che mani passa il testo?
Anche qui un fatto è documentato. La versione che viene pubblicata, con l’esplicita formula del “salvo intese”, porta anche l’articolo 19-bis.
Chi ce lo ha messo visto che prima non c’era?
Su questo passaggio chiave le fonti si chiudono.
Il capo dell’ufficio legislativo di palazzo Chigi Antonella Manzione, da molti indicata, Tesoro compreso, come l’autore materiale della norma, non risponde al telefono ormai da molte ore.
Chi le ha parlato quando, sabato sera, l’affaire ha cominciato a montare, racconta di un magistrato tranquillo pronto a dire che “il testo era arrivato già così dal Tesoro” e che “era stato discusso articolo per articolo”.
Certo risulta difficile pensare che un tecnico possa, di sua iniziativa, decidere di inserire in un decreto una norma così pesante, senza una copertura politica.
Cos’abbia detto Renzi ormai è noto, “norma giusta, secondo me non vale per Berlusconi, ma se vale la cambio”.
Idem il titolare del Mef Padoan che definisce “ridicolo” il fatto in sè, perchè nessuno, a suo dire, piazzerebbe una norma simile in un decreto “pensando di farla franca”.
Tant’è, la salva Silvio è lì.
E proprio i tecnici del suo ministero sono i primi a menar scandalo.
Il tam tam comincia il 28 dicembre, una domenica, quando Il sole-24 ore titola in prima pagina ”Reati fiscali, salterà un processo su tre”.
A quel punto sembrano svegliarsi tutti, i magistrati di Milano che tremano per le loro inchieste, il direttore dell’Agenzia delle entrate Rossella Orlandi che vede cambiato un testo cui aveva collaborato, Gallo che lo aveva scritto.
Inspiegabilmente non fa una piega il governo. Tace Berlusconi.
Anche se adesso uomini ben introdotti nel suo staff forniscono una versione che per dovere di cronaca merita riportare.
La norma è stata pienamente concordata tra Renzi e Berlusconi, è una pagina importante del patto del Nazareno.
Ne erano a conoscenza ovviamente anche gli avvocati dell’ex Cavaliere, Franco Coppi e Niccolò Ghedini. Entrambi, ufficialmente, smentiscono.
Ma la fonte giunge a dire che pure al Quirinale erano informati. Vero? Falso?
Raccontata così è una lettura destinata a raccogliere solo smentite.
Ma di smentite ce ne sono troppe. Troppe smentite e nessuna conferma, soprattutto la più importante.
L’atto di responsabilità di chi ha scritto la norma, magari in buona fede, pronto a fare un passo avanti per rivendicarne la paternità .
Sia essa politica oppure soltanto tecnica.
Se tutto fosse trasparente e alla luce del sole perchè tacere?
Goffredo De Marchis e Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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