IL RISPETTO LO SI CONQUISTA CON IL COMPORTAMENTO, NON LO SI ESIGE
ANCHE PRODI ERA STATO ELETTO DAL POPOLO, ANCHE SILVIO HA AVUTO IL CONSENSO E POI GLI E’ STATO TOLTO IN PASSATO… IN POLITICA ANCHE CHI RACCOGLIE L’1% DEI VOTI MERITA RISPETTO, RAPPRESENTA UNA PARTE DEL POPOLO… SONO GLI ITALIANI TUTTI CHE MERITANO RISPETTO DAI POLITICI
Mentre il “Financial Times” ieri titolava: “L’Italia sarebbe sicuramente meglio senza di lui” e invitava gli alleati di governo a “considerare l’ipotesi di scaricarlo”, Silvio Berlusconi ritornava sulla bocciatura dell’immunità votata dalla Corte Costituzionale, sostenendo due tesi poco conciliabili.
Se da un lato, con la modestia che gli è propria, invocava un “esigo rispetto, sono eletto dal popolo”, dall’altro sottolineava che “nessuno in Italia è super partes”, riferendosi alla Corte e al Capo dello Stato.
Iniziamo dall’affermazione finale, perchè se è vero che nessuno è super partes, non si comprende perchè allora il premier, secondo la difesa del lodo Alfano pronunciata da Ghedini, debba essere “primus super partes”.
Puoi invitare gli altri a “ridimensionarsi” se tu per primo sai dimostrare umiltà , ma se ci si rincorre nella corsa alla presunzione e alla ricerca dei privilegi, vale il principio cristiano “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
E non ci sembra che l’ambiente sia formato da molti “puri”.
Ritornando poi alla prima esternazione, riteniamo che uno il rispetto se lo debba conquistare sul campo, in politica come nella vita, non arriva per grazia elettorale ricevuta.
Anche Prodi era stato eletto con il consenso popolare e poi ha fatto la fine che ha fatto, così come Berlusconi in passato, prima votato e poi abbandonato dagli elettori.
Che vuol dire “esigere rispetto perchè votato”?
Che il politico pensi a governare come da mandato, poi verrà giudicato, e ciò vale per il premier, come per il segretario di un partito dell’1%: entrambi rappresentano una fascia di elettorato da cui hanno ricevuto il mandato di rappresentare determinate idee.
Ogni politico è solo un tramite, un “utilizzatore finale” delle istanze di cittadini che poi deve dimostrare di saper interpretare.
Il problema si pone quando uno, da umile servitore del popolo, pensa di essere diventato Dio sulla terra, quando si monta la testa insomma.
Un politico equilibrato quando governa deve dare per scontato che ci sarà un’opposizione che farà il suo, come il centrodestra peraltro fece quando governava la sinistra.
Dov’è il problema? I problemi sono “Anno Zero”? O non lo è anche forse Minzolin?
Si sa solo cercare il marcio in casa degli altri e mai in casa propria?
Uno deve pensare a governare, non ad accusare sempre l’opposizione o assoldare killer per colpire la stampa avversaria (vedi caso Boffo).
E se uno ha dei processi, li affronta, non cerca escamotages per sottrarsi ai giudici.
Che senso ha dichiarare come i bulli di periferia: “Andrò al tribunale di Milano e sbugiarderò i giudici”? Ci vada semplicemente con le prove che lo scagionino, questo chiede l’elettore di centrodestra che non ha portato il cervello all’ammasso.
Non è possibile che la prima legge promulgata, appena insediato il centrodestra al governo del Paese, sia stato il lodo Alfano, per garantire l’immunità al premier.
E ora gridare al complotto per ribaltare la volontà popolare.
La Suprema Corte non ha i poteri per far cadere un governo, ha solo espresso un giudizio giuridico di cui bastava prendere atto in privato con un “ci abbiamo provato e ci è andata male”.
Altro che suonare la grancassa della trama eversiva alla quale si vuol fare credere ( i creduloni esistono sempre, ma sono sempre meno).
Alla fine si cerca il consenso solo sulla teoria della “persecuzione”, quasi a essere consapevoli che su economia, sicurezza, scuola, immigrazione, interventi sociali si sono fatti altrettanti flop.
Il centrodestra non è Berlusconi, anche perchè il premier è un eccezionale manipolatore di consensi e un grande comunicatore, ma estremamente debole sui contenuti e attaccabile sulle vicende personali.
Occorre saper guardare oltre, il problema sarà sempre più “cosa comunicare”, al di là degli slogan di comodo in Tv.
La politica del fare è conseguenziale solo al sapere “cosa” fare.
L’Italia non è governabile come un cantiere di opere pubbliche: occorre una visione alta, un progetto sociale, riforme vere e non solo annunciate, leggi da rendere non interpretabili in mille modi diversi, aiutare gli ultimi.
Ed è anche il momento che su temi essenziali si cerchi il consenso più ampio, si sappia mediare: non si possono fare riforme a colpi di maggioranza che, come cade un governo, quello dopo ne fa una opposta.
Coinvolgere il maggior numero di interlocutori crea stabilità alle istituzioni ed eviterebbe perenni e quotidiani dissidi.
Pur nel rispetto dei ruoli, si andrebbe finalmente verso una democrazia moderna.
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