ITALICUM, CORSA AGLI EMENDAMENTI: IL PD E’ SPACCATO, LA QUADRA NON SI TROVA
DURO SCONTRO TRA RENZIANI E BERSANIANI SU SOGLIA E LISTE BLOCCATE, LA BINDI GUIDA LE TRUPPE ANTI-RENZI CONTRO LA LEGGE TRUFFA
“Ma non avete sentito Brunetta?! Ma li leggete gli appelli dei costituzionalisti che bocciano l’Italicum e lo descrivono come un Porcellum?! Basta, le nostre modifiche non possono più essere un prendere o lasciare, vanno fatte serie e circostanziate!”. Così sarebbe sbottata l’ex ministro Rosy Bindi contro i renziani e il loro tentativo di andare ‘fino in fondo’ sull’Italicum.
Al centro della discussione (e della pressione) della minoranza bersaniana-bindiana-cuperliana (e, pare, lettiana) le soglie per premio di maggioranza e la questione delle liste bloccate.
Scontro, dunque, nel Pd, tra maggioranza renziana (che, per accidens, è minoranza in commissione Affari costituzionali: nove contro dodici) e minoranza cuperliana (a mezzadria, però, tra bersaniani, dalemiani, Giovani Turchi e Cuperlo medesimo, oltre che con apporto lettiano…) che detiene, appunto, il core business della componente democrat (21 componenti in tutto).
Scontro che, nella riunione interna al gruppo democrat in I commissione che si tiene per tutto il giorno alla Camera, sfiora il diapason della rottura.
Salvo ricomposizioni dell’ultima ora, che il clima della riunione non lascia intravedere, il Pd andrà in ordine sparso e saranno solo pochi gli emendamenti comuni fra le diverse correnti.
Forzisti (cinque) e NCD (due) compatti come un sol uomo a chiedere, invece, ognuno le cose che, peraltro, già si sanno (‘tenere duro’ sul ‘no’ alle preferenze per FI, ‘aprire’ alle preferenze o a un sistema misto ‘alla tedesca’ fatto di metà collegi e metà preferenze per NCD)
E tutti altri ‘piccoli’ che, pure se volessero sommare tutti i loro voti (21) compreso l’apporto degli otto grillini, mai raggiungerebbero e dunque mai potrebbero violare la (teorica) maggioranza blindata Pd+Fi (26).
Ormai, sull’Italicum, siamo alla corsa contro il tempo.
Domani mattina, lunedi 27 gennaio scade improrogabilmente, alle ore 13, il termine per presentare degli emendamenti da parte di tutti e 47 i membri della Prima Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati.
Dopo, per la serie ‘non si ammazzano così anche i cavalli’ andrà avanti, “giorno e notte” (si chiamano seduta ‘lunga’ e ‘notturna’, in gergo parlamentare) due giorni di discussione generale, voto sugli stessi e voto finale che non potrà arrivare oltre le ore 13 di mercoledì 29 gennaio, quando il testo dell’Italicum è stato calendarizzato per la discussione finale in Aula.
Ecco il perchè, dunque, di una due giorni e notti di passione e relativa discussione ‘fino a esaurimento’, come si suol dirsi, dei parlamentari della Prima commissione…. Voto finale della Camera previsto il 30-31.
Una marcia ‘a tappe forzate’ che fa a pugni con la complessità e la delicatezza della materia, la legge elettorale: incandescente sul piano politico e ‘ardua’ sul piano tecnico, per chi debba cimentarsi con essa.
Prendiamo, per dire, la minoranza Pd, quella che fa capo a Cuperlo, ma che — dentro la I commissione — è guidata da Alfredo D’Attore (bersaniano doc): “Vogliamo la riforma della legge elettorale e non vogliamo boicottarla” — fanno sapere in serata dopo ‘lunghe, infinite e poco cordiali’ discussioni con i renziani, capitanati da Maria Elena Boschi mentre il capogruppo in I, Emanuele Fiano, è lì a far da paciere — “ma è giusto presentare emendamenti, se possibile di tutto il gruppo sui punti dell’Italicum che possono essere di incerta costituzionalità ”.
Le modifiche cui punta la minoranza riguardano in particolare le soglie (da abbassare: tutte), le liste bloccate (da superare, in parte) e la parità di genere (da garantire in modo tassativo: e qui c’è accordo).
“Non siamo noi quelli che vogliono boicottare la legge elettorale e non vogliamo apparire tali”, sottolineano gli esponenti della minoranza Pd presenti alla riunione, convinti che sia necessario tenere assieme la riforma del voto con la riforma del Senato e quella del titolo V, senza dunque cedere di un passo ai ‘ricatti’ elettoralistici di Brunetta and co.
Tra i punti su cui — a sera tardi, nonostante una ‘finta’ sospensione — ancora si discute e per le quali preme e premerà ancora, dentro il Pd, fino a lunedì 27 e fino all’ultimo minuto, ci sono: la soglia per il premio di maggioranza al 35% che è troppo bassa, la soglia di sbarramento dell’8% (troppo alta), l’assenza della possibilità di scegliere gli eletti, che si potrebbe affrontare sostituendo i listini bloccati con le preferenze o introducendo collegi uninominali o primarie obbligatorie. Inoltre, si vorrebbe cambiare anche la norma che prevede che chi è in coalizione concorre al premio di maggioranza anche se si ferma sotto il 5% e non elegge i propri deputati (norma ribattezzata ‘salva-Sel’).
In una pausa della faticosa riunione, la leader della pattuglia renziana, Maria Elena Boschi, fa capolino fuori dalla sala della I commissione per ‘rassicurare’ i giornalisti, parlando di “clima sereno e costruttivo” (classica frase che si pronuncia quando si litiga fino alla morte…): “Ci sono varie proposte — spiega la Boschi – riguardo le soglie, le preferenze e la rappresentanza di genere e domani (lunedì 27, ndr.) la nostra sintesi verrà presentata dal capogruppo, Roberto Speranza, ma sappiamo che le proposte di modifica al testo base devono passare attraverso l’accordo e la condivisione con le altre forze politiche, con cui dobbiamo mantenere l’accordo complessivo sulle riforme”.
Che è come a dire (e come, appunto, dice Renzi): senza accordo con il Cav, Brunetta (e, soprattutto, Verdini) per quanto riguarda il Pd si discute tutto ma, alla fine, non se ne fa niente. Niente preferenze, dunque, e neppure sostanzialmente abbassamenti delle soglie di sbarramento mentre la soglia e l’entità del premio quelle sì, si possono ‘discutere’.
Intanto, e pure in modo inaspettato, oggi pure Forza Italia ha organizzato, sempre a Montecitorio, una riunione dei suoi ‘esperti’ in materia: si presentano all’appello della riunione, convocata ad horas, il responsabile Organizzazione del fu Pdl e della presente Forza Italia, Denis Verdini, mago dei numeri di Berlusconi e appassionato esperto di sistemi elettorali, il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, il presidente della I commissione e relatore del testo dell’Italicum, Francesco Paolo Sisto (raffinato avvocato barese, appassionato di canzoni e raffinato gentiluomo) e, in collegamento telefonico, c’è anche il responsabile Ufficio elettorale del partito, Ignazio Abrignani.
Ribadito che il partito del Cav non intende cedere di un millimetro nè sul tema delle ‘soglie’ interne (5%) ed esterne (8% per i partiti singoli e 12% per i partiti coalizzati) a ogni coalizione, non foss’altro che per mantenere il potere storicamente ‘aggretativo’ di FI sui suoi ‘piccoli’, come pure, ma questo era scontato, sul vessillo di NCD, le preferenze, qualche (timida) apertura trapela in merito all’entità del premio che anche i forzisti potrebbero accettare che venga innalzato dal 35% al 38% (non oltre, però), diminuendone di risulta la consistenza al 15% (dal 18% previsto nel testo base), costringendo dunque Cav e alleati a un quasi sicuro turno di ballottaggio che non fa far loro salti di gioia ma che sono pronti ad accettare se il Pd ‘tiene duro’ su tutto il resto.
Non piccoli nè indolori, invece, gli emendamenti di cui si farà portatore il partito che vede alla sua testa Silvio Berlusconi. In primis, una clausola meglio nota come ‘salva-Lega’ (cofirmata dagli stessi deputati leghisti) che permetterà a un partito che supera l’8% solo in tre regioni del Paese ma con una popolazione superiore al 20% del territorio nazionale (le quali sono, appunto, tre: Piemonte, Lombardia e Veneto…) di accedere al riparto di tutti i seggi sul piano nazionale.
E, in secundis, la richiesta di affidare al Parlamento e non al Viminale, dove siede il ‘perfido’ Alfano di cui, dentro FI, ben poco si fidano, e “a cui, in seconda battuta, si potrebbe anche affidare la pratica”, spiega un’autorevole fonte azzurra, solo se dentro una cornice ben precisa: la definizione dei collegi elettorali (o, meglio, circoscrizioni plurinominali) stabilendone in modo tassativo il numero dei collegi medesimi (60 le circoscrizioni regionali del Senato, 120 quelle provinciali per la Camera) e con una data ultimativa (60 giorni) per la loro definizione, oltre che con un numero altrettanto fisso di eletti (quattro massimo).
Infine, sempre ieri, si sono incontrati anche i rappresentanti di Sc.
Il partito fondato da Monti oggi guidato dalla senatrice Stefania Giannini ha visto all’opera, insieme a lei, una piccola task force – formata da Renato Balduzzi, responsabile riforme, Andrea Romano, capogruppo alla Camera e Andrea Mazziotti, responsabile giustizia — che proporrà , all’esame degli altri partiti di maggioranza pochi emendamenti-chiave.
Primo: modificare la soglia di accesso al premio di maggioranza, garantendo il 13% in più alla lista che arriva al 42% oppure (ipotesi minimale ma realistica), soglia al 38% e premio fissato al 15%; Secondo: abbassare le ‘asticelle’ di sbarramento per le forze politiche. Terzo: introdurre collegi uninominali e l’effettiva alternanza di genere, introducendo anche le primarie per legge per eleggere i deputati.
Tranne il primo, gli altri, come gli emendamenti di tutti gli altri partiti cosiddetti piccoli, rientrano nel campo delle famose ‘buone intenzioni’.
(da “Huffingtonpost”)
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