LA GRANDE IMBOSCATA: LA MANOVRA PER FAR SALTARE IL NAZARENO AL COLLE
FITTO RIUNISCE I SUOI, D’ALEMA ALLA CAMERA E I 30 SENATORI PD
Sotto l’accordo, le trappole.
Raffaele Fitto, nel pomeriggio, piomba a Montecitorio direttamente da Bruxelles. Ci sono tutte le sue truppe ad aspettarlo per la più classica della riunione di corrente.
Una quarantina tra parlamentari e senatori destinati ad aumentare, quando sarà , nel segreto dell’urna.
Il discorso ai suoi pare un summa del manuale del perfetto vietcong: “È positiva la novità che c’è una clausola di salvaguardia, nel senso che la legge elettorale entrerà in vigore nel 2016, ma bisogna discutere su tutti gli altri punti di merito”.
Già , il merito. Perchè non solo la legge elettorale è un provvedimento cruciale in sè, ma è evidente che proprio la road map concordata da Renzi e Berlusconi con la benedizione del Colle lo rende la prova generale della battaglia campale sul Quirinale. E davvero nulla è scontato: “Noi — prosegue Fitto — non siamo in grado di scegliere un capo dello Stato, ma certo di determinare il corso degli eventi”.
Poco distante in linea d’aria, molto vicino nella condivisione dell’obiettivo, alla buvette compare Massimo D’Alema.
Sorseggia un caffè circondato da parlamentari della minoranza. Occhi di brace, ha la mimica delle grandi occasioni.
Nico Stumpo e altri, dopo un’oretta col leader maximo, fanno un salto alla mostra di Palmiro Togliatti, al primo piano.
Avanza, neanche tanto nell’ombra, il partito trasversale degli oppositori al Nazareno. Con l’obiettivo di impedire che al Quirinale vada uno “accomodante” per Renzi e Berlusconi.
Pare già che i due abbiamo mietuto la prima vittima, che poi era la prima scelta del presidente uscente, ovvero Giuliano Amato.
Il premier lo ha sempre considerato troppo ingombrante, Berlusconi, nel nominarlo in un’intervista, lo ha bruciato.
Un mese è lungo, lunghissimo, ed è chiaro che i Papi di oggi saranno cardinali prima ancora che si aprano le urne.
Ma è anche chiaro che, fissato il calendario e trovato l’accordo sulla legge elettorale, Berlusconi e Renzi sono già entrati in un’altra fase.
Quella del metodo. L’ex premier vorrebbe una rosa dal segretario del Pd tra cui scegliere, o un confronto di rose.
Matteo pare poco incline. E fa parte di questa fase proprio la tenuta delle truppe.
Una preoccupazione granitica come il Patto tra i due, se è vero che Renzi ha chiesto a Lotti di “incontrare uno per uno” i parlamentari per comporre il gruppo: dai big a quelli delusi pure per le ospitate televisive che, nel segreto dell’urna, potrebbero trasformarsi in franchi tiratori.
Ed è la stessa regola di ingaggio che ha ricevuto Denis Verdini, parlando con Silvio Berlusconi: “Dobbiamo finirla con questo pollaio, qui ognuno dice e fa quello che vuole”.
Ecco, sotto l’accordone al vertice c’è un mondo non totalmente controllabile.
Miguel Gotor, la vede così: “Questa non è una partita a poker, ma una pattinata sul ghiaccio. È dinamica non statica”.
Il ghiaccio ha due strati: la legge elettorale che sarà votata a gennaio prima del capo dello Stato, su cui daranno battaglia i 30 senatori del Pd al Senato, e il Colle.
E l’idea dei contrari al Nazareno è far scivolare Renzi al primo strato per indurlo a miti consigli sul secondo.
Altrimenti, al secondo rischia di far male davvero. Per questo, al netto dei tempi, l’esame della legge elettorale in Aula non sarà affatto facile: “Il merito — prosegue Gotor – è importante, stiamo organizzando la democrazia italiana per i prossimi anni. E il tema dei capolista bloccati resta centrale perchè, con la riforma del Senato di secondo livello, non puoi avere una camera col 60 per cento dei nominati”.
Una posizione su cui il premier è stato già avvisato: “Al gruppo con Renzi — dice Federico Fornaro — è stato ribadito in più interventi che il sistema dei capilista bloccati non va bene perchè la nuova Camera sarebbe per metà composta dai nominati”.
E il punto non è un dettaglio. Perchè è uno dei punti cardine dell’accordo con Berlusconi. Il quale considera un dogma la possibilità di nominare i parlamentari.
E fin qui la fronda è alla luce del sole e riguarda la legge elettorale.
Sul Quirinale il dissenso aumenta, in virtù del voto segreto e del fatto che vanno conteggiati i deputati, e non solo i senatori.
La mappa (del dissenso) quantificabile al momento porta a un’ottantina di parlamentari: “I dalemia-bersaniani ortodossi sono 25, poi una decina controllati da Fioroni, dieci da Civati, venti dell’ala Cgil”.
A questi ne vanno aggiunti un’altra ventina, determinata dal malessere documentato del Fatto: “Parlamentari che vogliono la riconferma o che si lamentano di essere stati emarginati dal territorio, aspiranti sottosegretari rimasti fuori dal governo, semplici deputati condannati all’anonimato”.
Quelli, in sostanza, che Matteo Renzi, fiutata l’aria, ha affidato alle cure del suo braccio destro Luca Lotti.
La condizione per la tregua degli oppositori al Nazareno è una sola, confessata a microfoni spenti: “Impedire che sia eletto un cameriere del patto del Nazareno, scelto da Renzi e Berlusconi”.
Tra i non camerieri piace Giuliano Amato. Ma non è l’unico: “Difficile — dice Gotor – eguagliare Napolitano ma dobbiamo muoverci su quel livello, nell’interesse della Repubblica”.
Con una aggiunta, che non è un dettaglio. Fino a ieri, Renzi per ricondurre all’ordine le truppe poteva brandire l’arma del voto anticipato.
Con questo accordo sulla legge elettorale è un arma che non c’è più.
Paradossalmente, grazie a Berlusconi che ha ottenuto la clausola di salvaguardia.
(da “Huffingtonpost”)
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