LA GRANDE PAURA LEGHISTA: LE INDAGINI SULLA SANITA’ LOMBARDA
SALVINI SENZA TOCCO MAGICO HA IL TERRORE CHE VENGA COINVOLTA LA SUA EX MOGLIE, CONSIDERATA “GOVERNATRICE OMBRA” DELLA LOMBARDIA… E “IL FATTO” NON A CASO TITOLA: “IL CENTRODESTRA RINASCE A SAN VITTORE”
Giancarlo Giorgetti è uno che non parla mai a caso, anche se dice solo una minima parte di ciò che pensa: “Quando la Lega sale nei consensi e nei sondaggi, arrivano sempre delle cose strane per cui bisogna interrompere quel percorso”.
Il riferimento, neanche tanto velato, è all’inchiesta lombarda che ha travolto un pezzo di centrodestra e nella quale è indagato il governatore Attilio Fontana.
Adesso, raccontano i ben informati, il timore è che l’inchiesta si allarghi, sviluppandosi su altro filone, che finora non è ancora emerso: la sanità .
Da giorni si rincorrono le voci nei Palazzi della politica lombarda, e non solo, di “sviluppi”, che andrebbero a toccare il cuore del sistema di potere leghista, frutto di un lungo lavoro di indagine.
E da giorni, il leader della Lega, così lo descrive chi ha parlato con lui, è “terrorizzato” che, in un qualche modo, possa finire coinvolto il suo assessore alla Sanità Giulio Gallera, e soprattutto Giulia Martinelli, la sua ex compagna e attuale capo della segreteria del presidente Fontana, considerata al Pirellone la vera “governatrice ombra”.
Per ora non è indagata e figura nelle carte come una delle figure che si sarebbe opposta alle pressioni del presunto corruttore, Gioacchino Caianiello.
Però, nel Palazzo, si ricorrono voci e sinistri interrogativi sul “che cos’altro potrà uscire” in queste inchieste frutto di un capillare lavoro di intercettazioni di una buona fetta del centrodestra lombardo. Come ai tempi di Tangentopoli, ora che parecchi imprenditori (siamo arrivati a tre) hanno iniziato a collaborare con i giudici, in Regione Lombardia la domanda che rimbalza negli assessorati e in Consiglio è “chi sarà il prossimo’”.
È uno scenario da incubo, in una campagna elettorale che doveva essere una marcia trionfale e, invece, registra proprio sulla giustizia i primi scricchiolii nei sondaggi. Questo spiega la grande tensione di Matteo Salvini, descritto dai suoi in piena sindrome da assedio.
Perchè la “stranezza” sarebbe proprio nel timing dell’offensiva giudiziaria, a poche settimane dal voto, e nella perfetta “sincronia”, tra l’assalto delle toghe e gli attacchi dell’alleato-avversario.
Con un lessico che evoca le antiche suggestioni berlusconiane sulle toghe rosse e i comunisti, in parecchi vedono una regia pentastellata in quel che sta accadendo.
A Milano come sull’inchiesta su Siri o nell’indagine dalla Dda di Latina con l’ipotesi di scambio di voti e favori tra politici e clan, in un territorio dove la Lega ha iniziato a mietere consensi: “È nervoso perchè sa che il bersaglio è lui, e sta provando a schivare i colpi”.
Si spiega così questa campagna elettorale in fondo poco lucida, senza un vero disegno, l’iper-attivismo, il tentativo frenetico menare le mani dopo settimane di schiaffi: prima gli aut aut sulla cannabis, poi il ritorno a Napoli con l’annuncio di un decreto sicurezza bis che toglie poteri a Toninelli e attribuisce al ministro dell’Interno tutte le competenze sul traffico in mare.
Dietro tutte queste raffiche di proposte che neanche si sedimentano c’è la scoperta della fragilità di un consenso. E l’assenza di una vera “proposta” mobilitante, come fu la flat tax ai tempi della scorsa campagna elettorale.
Anzi, proprio il “tradimento” di molte promesse in questa arena con i Cinque stelle sta producendo delle crepe nel proprio mondo.
I dati di Giorgia Meloni sono vissuti, nella Lega, come un campanello d’allarme, in un clima di cupio dissolvi del berlusconismo.
La leader di Fratelli d’Italia, che Salvini aveva la certezza di “asfaltare”, sta iniziando a intercettare una certa opinione pubblica di destra, che vede in quel voto lo strumento per liberare Salvini dai Cinque Stelle. È cioè un voto non di testimonianza, ma di “prospettiva”.
Una preoccupazione che, qualche giorno fa, il vicepresidente della Regione Veneto Gianluca Forcolin ha condiviso con alcuni commensali in un pranzo: “Sull’economia — questo il senso del suo ragionamento — parlano a un pezzo dei nostri, rischiamo una flessione”.
È la stessa dinamica che è avvenuta qualche giorno fa, quando agli Stati generali dei commercialisti, la Meloni è stata accolta con grande calore da una platea piuttosto critica verso la “paralisi” del governo gialloverde.
E, sempre qualche settimana fa, è accaduto in una iniziativa in cui il famoso “partito del Pil”, che lo scorso ottobre scese in piazza sotto il governo ha accettato un confronto in una iniziativa con il simbolo di Fratelli d’Italia.
Il paradosso di questa situazione è che proprio l’assedio giudiziario rischia di creare una trappola politica. Perchè aumenta l’insofferenza verso l’alleato-avversario e la “voglia di rompere”, ma rende l’ipotesi più difficile da gestire, anche dopo il voto.
E rende ardita l’uscita dalla stanza dei bottoni, che è sempre una trincea di resistenza. Quella prima pagina del Fatto quotidiano coglie un nervo scoperto: “Il centrodestra rinasce a San Vittore”. È un ragionamento logico, che pure dentro ai Cinque Stelle circola e alimenta questa nuova, arrembante spavalderia di Di Maio sul “nervosismo” dell’alleato. Perchè rompere come reazione a una nuova Tangentopoli è complicato assai.
(da “Huffingtonpost”)
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