LA PARANZA DEI BAMBINI NELLA GUERRA DI NAPOLI
UNA FAIDA GENERAZIONALE
Se vuoi terrorizzare un territorio senza iniziare una lunga guerra tra famiglie criminali, devi fare molte stese. “Fare le stese” significa correre sui motorini e sparare a tutto e tutti. Tutti si buttano a terra, stesi, perchè terrorizzati, pietrificati.
Poi se qualcuno lo stendi davvero, se lo ammazzi, è danno collaterale. Possibilmente da evitare perchè le stese riuscite meglio non dovrebbero provocare danni collaterali. Ma se accade, accade.
Ecco cosa sta succedendo a Napoli. Sparare su finestre, cancelli, vetri delle auto, con pistole semiautomatiche ma anche fucili d’assalto, l’Ak47, intramontabile e sempre amato dai clan napoletani.
Le stese sono un modo per seminare terrore con un metodo da guerriglia psicologica, mettere paura e far abbassare la testa. Usano questa espressione, “fare la stesa” come stendere o far stendere una persona.
“Stesa” come estendere il proprio dominio o come stendere un lenzuolo, una cappa, su un quartiere, vicolo per vicolo.
Senza stese un gruppo dovrebbe intraprendere una faida in modo classico e faida significa investimenti, alti, in manovalanza: pali, pedinatori, sicari. Così viene gestito il centro storico di Napoli dai gruppi criminali: con il terrore.
Che nessuno alzi la testa all’arrivo dei nuovi, che siate affiliati o piccoli pregiudicati per reati minori che con l’associazionismo criminale non hanno nulla a che fare.
Eppure dopo la morte di Gennaro Cesarano, che sia lui o meno l’obiettivo del commando di fuoco, l’unico discorso che ha trovato spazio è stato se a morire sia stato un colpevole o un innocente. Attributi che in quel territorio hanno perso senso, se mai ne hanno avuto uno.
Come può un ragazzo di 17 anni se ritenuto colpevole generare quel senso di distanza e repellenza che si ha come quando si accumulano i cadaveri criminali di una nuova guerra di camorra.
Se a quell’età muori in strada ucciso perchè bersaglio di una paranza di fuoco vuol dire che il fallimento è andato ben oltre i proclami e le possibilità di riscatto di un territorio.
È inutile presentare Napoli come un progetto lungimirante, è senza risorse e finanche senza idee: la speranza alimentata dal governo della città e dal governo di Roma in questo caso si chiama inganno.
In un contesto del genere non resta che parlare di colpevolezza e innocenza, perchè colpevole il morto, assolti noi che ne leggiamo, ne parliamo, ne scriviamo.
Colpevole il morto vale la regola più abusata e falsa del “si uccidono tra loro”.
Sul morto per caso, sul morto innocente ancora esistono residuali moti di empatia ci si sente costretti a prendere parte, a decidere.
Ecco perchè ogni volta è la stessa attesa: ma stava in mezzo o non c’entrava? La mia risposta ora è: 17. 17 anni! E invece è per ogni colpevole che cade e si affilia si perde ogni possibilità di percorso altro e se il presunto colpevole è un diciassettenne, allora forse ci si soffermerà qualche attimo in più a considerare ciò che sta accadendo: il mezzogiorno italiano è nel pantano e solo una rivoluzione meridionale può sperare di modificare le cose.
Uso l’espressione rivouzione meridionale di Guido Dorso le cui pagine oggi sono persino più attuali di quando le scrisse su invito di Piero Gobetti nel 1925: “No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità , ma di giustizia; non chiede aiuto, ma libertà . Se il mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l’esempio dei suoi figli migliori, tutto sarà inutile…”.
Ma quale libertà oggi viene data?
Luigi Galletta, 21 anni, meccanico di Forcella, questa estate è stato ucciso per essersi rifiutato di truccare dei motorini sapendo che avrebbero fatto parte delle paranze che giravano per uccidere.
Non voleva stare in mezzo ai guai, un’etica scelta per istinto; la mattina lo hanno massacrato di botte e il pomeriggio lo hanno ucciso.
Anche in quel caso tutti i discorsi furono sul suo essere innocente o colpevole: davvero si era rifiutato o lavorava invece per i nemici di chi l’ha ucciso?
Nel dubbio se piangere un morto o sputarci sopra ci si è dimenticati della sua storia. Innocente o colpevole? Sputtani Napoli o ne canti lodi?
Si esaurisce il discorso su Napoli e su intere aree in cui ormai c’è guerra.
Mi ha colpito il commento di Francesco Ebbasta, regista e anima dei Jackal, ragazzi che hanno fatto di Napoli, con la loro capacità di fare video online, un nuovo polo creativo.
Loro che non si sono mai occupati di questi temi, hanno scritto che “bisogna accettare la realtà dei fatti per quella che è: siamo dei poveretti”. Poveretti perchè a Napoli si preferisce ignorare la realtà , perchè due ragazzi armati che ne mettono in fuga duecento in piazza Bellini, la piazza più frequentata della città , sono il peggior ufficio stampa possibile.
Il sindaco De Magistris invoca il governo che promette di inviare rinforzi armati, senza capire che militarizzare significa creare ulteriori tensioni.
Alfano manderà 50 poliziotti. Ma davvero credete sia sufficiente?
Ora l’unico lavoro di polizia che davvero avrebbe un senso sarebbe quello di intelligence per provare a capire che direzione sta prendendo questa guerra e poi mandare 50 progetti sociali veri, 50 idee nuove per sollevare da pressione fiscale e burocrazia le aziende del sud.
Con 50 poliziotti sapete cosa succederà ? Che Napoli si riempirà di posti di blocco che verranno accusati di fermare chi non porta il casco mentre gli affiliati – si dirà – hanno sentinelle e sanno dove non passare e anzi riceveranno ancora una più allargata simpatia della gente.
Mentre va in scena l’ennesima pantomima tra politica cittadina e nazionale, ciò che resta è un dato di fatto sconcertante: questa nuova ondata di violenza ci dice che le organizzazioni criminali rimangono tra i pochi ambiti di crescita economica che la città offre.
Ora la faida è tra le nuove generazioni: l’alleanza tra clan di Forcella e dei Quartieri Spagnoli è voluta da una parte della Sanità e osteggiata da un’altra e il campo si apre a tutti quei ragazzi che si sono addestrati sparando sui tetti contro le antenne paraboliche, quei minorenni che da un’inchiesta della Dda di Napoli vengono definiti “la paranza dei bambini”.
Le loro famiglie spesso non sono neanche di camorra, non appartengono al Sistema, sono lavoratori talvolta con precedenti penali senza l’aggravante dell’associazionismo mafioso.
A questo proposito è interessante, per descrivere il contesto, ascoltare cosa dicono i familiari del ragazzo ucciso: aveva un precedente ma qui tutti chi per un motivo, chi per un altro, hanno avuto a che fare con la giustizia.
Come se alla Sanità sia più normale che altrove commettere reati.
E se non fossero gli abitanti stessi a dirlo potremmo essere accusati di voler diffamare il quartiere, eppure risulta evidente che dove non ci sono prospettive non c’è scelta. Del resto, la giovanissima età della nuova paranza ci dice chiaramente che c’è voglia e quindi necessità di fondare da zero una nuova generazione mafiosa.
Una generazione che è figlia del suo tempo, che porta barbe lunghe da hipster e che comunica su Facebook, che si fa assolvere su Facebook da una platea di “amici” che è lontana dallo stigmatizzare finanche gli omicidi.
Sulla bacheca di Gianluca Ianuale, uno degli assassini dell’uomo ucraino, Anatolij Karol, ucciso a Castello di Cisterna per aver tentato di sventare una rapina in un supermercato, ci sono frasi di vicinanza, di comprensione, talvolta ramanzine come si farebbero a un amico che si è ubriacato la sera prima.
Ma nessuno che abbia preso le distanze. Ebbene lui ha ammazzato una persona e gli si dà solidarietà .
La vicinanza che si dà a una persona che ha compiuto un crimine efferato come un omicidio arriva da un territorio che mette in conto che possa accadere.
Ecco perchè quel territorio ha gli strumenti per riuscire a metabolizzare un omicidio e riesce a trovare le parole “giuste”, parole di circostanza.
I più qualunquisti definiscono “sputtanapoli” chiunque osi raccontare ciò che accade in città , mentre loro, comodamente seduti nelle varie esaltazioni identitarie, lo sport, il mare, la pizza, la simpatia – galli sulla monnezza mi verrebbe da dire utilizzando un’espressione napoletana – ignorano ciò che accade a due passi.
Tutto questo succede mentre le organizzazioni puntano ormai sui giovani.
Le famiglie del passato hanno optato per una strategia doppia, da un lato il pentimento dall’altro lasciar dominare le nuove leve.
Quando prenderanno il potere si siederanno sulle spalle di questi nuovi principi. I nuovi combattenti di camorra ricevono dalle vecchie famiglie armi e una volta mostrato di saper sparare e di saper gestire avranno l’incoronazione ad essere i vicari dei soliti re.
I clan storici investono fuori e risolvono i guai giudiziari collaborando con la giustizia e spesso in cambio riescono a salvaguardare il proprio patrimonio come è accaduto alla villa di Pasquale Galasso definito il castello della camorra a Miasino, vicino a Novara, confiscato ma ancora gestito dai parenti del boss.
Eppure è tutto ancora all’inizio; la morte di Ciro Esposito, figlio di Pierino il boss della Sanità , non è stata ancora vendicata, quindi la risposta della Sanità deve ancora venire (avevano provato ma la paranza partita per vendicarsi è stata arrestata).
Napoli somiglia sempre di più a quella che era la città degli anni ’80 e questi ragazzini ne mostrano il fallimento. Di questo sud non si parlerà ancora per molto: non porta voti, non genera consenso internazionale.
Ma qui lo Stato, che dovrebbe amministrare, dare giustizia, organizzare l’educazione non è la politica o le forze dell’ordine.
Lo Stato in questi posti è la Fondazione di Comunità San Gennaro voluta da don Antonio Loffredo il cui obiettivo è creare un’opportunità di lavoro attraverso la promozione della cultura, in alternativa alla strada.
Lo stato è la Rete voluta da Alex Zanotelli, lo Stato è l’Orchestra Santainsamble dei bambini del Rione Sanità voluta dall’associazione l’Altra Napoli di Ernesto Albanese (suo padre fu ucciso mentre lo stavano derubando della pensione).
Lo Stato è la Fondazione Pavesi che organizza corsi gratuiti di teatro per bambini.
Lo Stato è il Nuovo Teatro Sanità di Mario Gelardi che offre uno spazio dove poter tentare di trascendere la propria quotidianità .
Non pensare solo a soldi, sopravvivenza, e buffonerie. Ma provare a imparare, divertirsi, misurarsi.
Tutto questo sta facendo lo Stato senza armi e senza codice penale contro la paranza dei bambini, il peggior prodotto di una terra dimenticata contesa tra disperati e indifferenti.
E le lacrime di dolore che tracimano da queste storie nascono dalla difficoltà di resistere e non dalla celebrazione del lamento.
È questa la differenza tra il pianto e il piagnisteo che in molti dovrebbero imparare a capire per capire questo sud.
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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