LA PARTITA DI CONTE: IL PREMIER LAVORA PER RITAGLIARSI UN RUOLO DI PRIMO PIANO NEL M5S CHE VERRA’
L’ASSE CON GRILLO PER CONSOLIDARE IL CAMPO CON IL PD, LE RESISTENZE DEI NOTABILI
“Non ho commissionato nessun sondaggio, non voglio fare nessun partito”. Ieri è dovuto uscire a bere del tutto casualmente un caffè davanti a Palazzo Chigi, Giuseppe Conte, in modo da intercettare del tutto casualmente i cronisti e fare un po’ di chiarezza in un momento complicato.
Una serie di precisazioni che hanno riguardato anche una sua eventuale forza politica, ormai argomento di dibattito nemmeno più carsico a Palazzo e che rientra nel novero degli scenari consolidati per un futuro voto. Così che il premier un giorno sì e l’altro pure è costretto a correggere il tiro, smentire e ricucire su un’eventualità che lui stesso giura non aver mai preso in considerazione.
A sentire chi conosce bene il premier, effettivamente Conte non coltiverebbe alacremente il progetto di una sua cosa. Se mai guarderebbe “in casa”, verso il partito che l’ha catapultato dalla cattedra della facoltà di Giurisprudenza di Firenze alla sedia di Palazzo Chigi.
Sentite qua: “Voi insistete tanto su Conte e un suo partito. Ma è molto più facile che si prenda i 5 stelle”. E si va oltre: “Su questo c’è un asse Conte-Grillo”.
Se è forse prematuro parlare di elezioni, non lo è affatto ragionare sulla natura e sull’identità dei 5 stelle. La situazione è magmatica, ma le linee generali sono due: chi vuole che il Movimento ritorni alle sue battaglie solitarie e a un isolazionismo di principio, che si permetta di valutare di volta in volta se e con chi stare e per fare cosa, e chi invece vorrebbe una collocazione più stabile nell’orbita del centrosinistra, o per lo meno inserito in quel raggruppamento di forze alternative al centrodestra.
E’ la linea Grillo da almeno un anno a questa parte, e fonti autorevoli la accreditano anche come la linea Conte.
Un progetto quest’ultimo che, non è un mistero, risulta inviso a gran parte degli attuali vertici pentastellati, partendo dal più istituzionale Luigi Di Maio fino al pasdaran Alessandro Di Battista.
Se si sale nella stanza dei bottoni dei 5 stelle arrivano giudizi sprezzanti: “Il partito di Conte? Lo faccia, un partito lo devi riempire di idee, lui è l’uomo della mediazione ad oltranza, che sia la Lega o che sia il Pd, non va da nessuna parte”.
Una stroncatura che tuttavia non riguarda direttamente il ruolo del premier nel Movimento che sarà . Una fonte di governo con solidi rapporti con il presidente non smentisce le ambizioni sul dopo: “Per rimanere al governo con i numeri attuali ci serve un M5s che superi il 25%, e ad oggi lo puoi fare solo tirando dentro il capo del Governo”.
I sostenitori dell’avvocato del popolo si muovono con cautela, ma si muovono. I tempi sono prematuri, serve distillare le informazioni, calibrare i messaggi e tessere la rete: “Ha ragione Luigi (Di Maio, n.d.r.) quando dice che è contrario all’idea di una coalizione a sinistra. Anche perchè in coalizione si perdono voti. L’attuale legge elettorale prevede che si corra da soli, poi in Parlamento si fanno i conti”.
Il partito di Conte fa intanto ingresso nel salotto buono della politica, la terza Camera italiana.
A Porta a Porta una rilevazione di Noto sondaggi da la formazione del premier addirittura come forza trainante di un’eventuale galassia opposta al centrodestra, al 16%. Consensi che sarebbero erosi al Pd, in caduta libera al 12% e al Movimento 5 stelle, inchiodato al 9%.
La media sfornata da Youtrend lo accredita in una forchetta che va dal 12% al 15%. L’operazione al momento non è reale, domani nemmeno, dopodomani chissà .
Uno che ha attraversato tutte e tre le fasi e che infine ha varcato il Rubicone come Mario Monti dalle colonne della Stampa avverte il premier: “Se vuole fondare un suo partito segua la sua coscienza e si liberi degli imbonitori. Deve mettere in conto di non essere capito e di essere criticato”.
Di incomprensioni e critiche ormai ha fatto il callo. Quel che non combacia con le idee del presidente è la discesa in campo diretta, mentre chi lo ha sentito spiega che non direbbe no, anzi, a un ruolo a due punte in una futura campagna elettorale del Movimento, lui da candidato a Palazzo Chigi, accanto il futuro capo politico.
Una scelta che sarebbe gravida di conseguenze.
Benedetta dall’ala più riformista del partito, quella che da Roberto Fico passa per Federico D’Incà fino a lambire Stefano Patuanelli, è vista oggi con preoccupazione da tutti coloro che temono che significherebbe spostare definitivamente i 5 stelle a sinistra.
Quelli che, per capirci, spiegano che “Conte se non riesce a ritagliarsi un ruolo da federatore della cosa giallorossa non ha futuro in politica”. E guardano con sospetto le mosse di Nicola Zingaretti e di Andrea Orlando, che cuciono e disfano tentativi di alleanze locali con insistenza, non fermandosi davanti ai tanti no, e a quell’ala del Pd che proprio in queste ore sta tessendo la trama affinchè in Liguria si corra insieme.
Anche questa è la grande arma del premier. Un suo partito sarebbe bersagliato anzitutto dai suoi attuali compagni di strada, e probabilmente si squaglierebbe nell’impossibilità di trasformare il gradimento personale in voti.
Movimento che viceversa sarebbero molto in imbarazzo nello spiegare un no a un suo eventuale ruolo da frontman nella futura campagna elettorale, anche, ma non solo, per il peso specifico che Grillo sembra voler mettere in questa partita.
Se il partito di Conte è ad oggi nulla più che una possibilità , lo scontro di potere per il futuro di un presente assai incerto è in corso già da un bel po’.
(da “Huffingtonpost”)
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