LA PENSIONE DELL’AVVOCATO COMUNALE? È TRE VOLTE LO STIPENDIO DELLA MERKEL
UN EX DIPENDENTE COMUNALE DI PERUGIA HA UNA PENSIONE CHE E’ IL DOPPIO DELLO STIPENDIO DI OBAMA E IL TRIPLO DI QUELLO DI ANGELA MERKEL E DEL SEGRETARIO ONU
Com’è possibile che un ex dipendente comunale di una città di provincia possa prendere di pensione il triplo del suo ultimo stipendio e il doppio abbondante della busta paga di Obama?
La direzione generale dell’Inps ha aperto un’inchiesta. Era ora: quel vitalizio di 651 mila euro nel 2013 a Mario Cartasegna, fosse anche regolare in ogni cavillo, grida vendetta.
E torna a porre il tema di certi spropositati «diritti acquisiti» concessi in base a leggi, leggine e sentenze insostenibili
Nato nel 1941 dalle parti di Postumia, oggi in Slovenia, finito in Umbria come calciatore nella squadra del capoluogo, laureato in legge mentre ancora giocava, Cartasegna viene assunto dal Comune di Perugia nel 1972 e pochi anni dopo ottiene dai sindaci socialisti dell’epoca due concessioni spettacolari.
Oltre al posto fisso e allo stipendio garantito (nel suo caso assai buono) dei dipendenti pubblici avrà una bella percentuale sulle cause come fosse non un funzionario «a tempo pieno» ma un legale con studio privato.
Un’accoppiata contrattuale sconcertante (immaginatevi un muratore comunale che abbia un extra per ogni mattone che mette o un centralinista comunale che abbia un extra per ogni telefonata che smista!) che gli consentirà anni dopo di tentare un nuovo colpaccio. Saputo di una sentenza del Tar del Lazio confermata dal Consiglio di Stato che dava ragione a degli avvocati dipendenti del Comune di Roma, riconoscendo loro il diritto di calcolare per la pensione anche le percentuali sulle cause vinte, chiede al Tesoro d’avere lo stesso privilegio.
No, gli risponde il ministero: «A prescindere dalla considerazione che l’importo di tali quote non è fisso e continuativo», la legge 299/1980 «fa espresso divieto agli enti di corrispondere emolumenti non previsti dal contratto di categoria » e l’articolo 10 «dispone che la certificazione delle voci retributive ai fini di pensione sono quelle contrattuali “con esclusione di qualsiasi altro emolumento a qualunque titolo corrisposto”».
Cartasegna fa ricorso al Tar di Perugia dov’è di casa, insiste sulle due sentenze romane, bolla come «stucchevole e quasi irritante» il rifiuto del Tesoro, liquida come «macroscopicamente errato» il richiamo al contratto di categoria e insomma batte e ribatte: vuole i soldi degli «extra» calcolati nella pensione.
Per dieci anni, silenzio assoluto: si sa quanto può essere lenta la giustizia civile.
E per dieci anni il Comune di Perugia, obbligato a tirar fuori un pacco di soldi dei cittadini per pagare i contributi supplementari (ammesso e non concesso che poi li abbia pagati tutti: l’Inps contesta da anni «amnesie » degli enti locali) «si dimentica» di chiedere al capo dell’ufficio legale Cartasegna, a sua volta smemorato, di opporsi in giudizio contro le pretese del dipendente Cartasegna.
Pretese che il Tar perugino riconosce infine, nel dicembre 1997, fondate: «Nella quota degli onorari percepiti si rinviene la presenza di tutti gli indici che la legge prevede per la loro utilità a pensione».
Anzi, condanna il Tesoro e Palazzo Chigi a pagare pure le spese.
Tre mesi dopo l’Avvocatura dello Stato chiede all’Inpdap, l’istituto previdenziale dei dipendenti pubblici che passerà all’Inps portando in dote un buco di 23,7 miliardi, se voglia fare appello. Silenzio.
Altri due mesi e torna alla carica: lo fate o no l’appello?
Macchè: come scoprirà con stupore un recentissimo documento Inps «agli atti non risulta che la sentenza sia stata mai appellata».
Scherziamo? Nonostante fosse destinata a costare un sacco di soldi? Mai appellata.
Nè dalla Cassa previdenza dipendenti enti locali nè dall’Inpdap.
Spiega l’avvocato perugino, in una intervista, che lui mai e poi mai avrebbe immaginato di prendere un vitalizio così stratosferico: «Mi sono ritrovato questa cosa senza neanche crederci. Quando lavoravo prendevo in Comune 10-12 mila euro al mese. Secondo lei potevo pensare di arrivare ad una pensione così alta, 24 mila euro netti al mese? Me la sono trovata come quello che vince il primo premio della lotteria di Capodanno…».
Non è esatto.
Quel «premio della lotteria» non è caduto dal cielo: il legale non ha mollato l’osso per anni. Tanto che, dopo che già era andato in pensione alla fine del 2008, è nato un nuovo contenzioso (protagonisti l’Inpdap, l’Agenzia delle Entrate, l’Inps…) sul tema: quell’«extra» sulle cause va calcolato pure nel caso di processi avviati da Cartasegna «prima» di andare in pensione ma conclusi «dopo»?
Il risultato è in una relazione Inps del 23 dicembre scorso: «La stessa sede provinciale di Perugia nel corso degli anni ha operato 9 riliquidazioni per effetto di ulteriori incrementi stipendiali certificati dal Comune da attore con il modello PA04. La decima riliquidazione è in corso».
Fatto sta che l’«affare Cartasegna» è diventato, per la sua esemplare abnormità che non risulta avere paragoni con alcun altro caso di dipendenti pubblici (neppure quello degli ex avvocati romani che fecero il primo ricorso e non arrivano a un terzo del vitalizio di cui parliamo) il simbolo di come un sistema impazzito abbia potuto produrre squilibri impensabili in ogni altro luogo del globo terraqueo.
E non solo perchè quella pensione salita nel 2013 a 651 mila euro è il doppio dello stipendio di Barack Obama e il triplo di quelli di Angela Merkel o del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon.
Ma anche perchè Cartasegna negli ultimi anni, come lui stesso riconosce, aveva uno stipendio immensamente più basso.
Lievitato con una progressione pazzesca: una impennata dal 2004 al 2008, in cinque anni, da poco più di 200 mila euro a oltre un milione.
Merito, forse, di una massa di processi che per pura coincidenza sono arrivati a conclusione proprio nella fase finale che porta all’ultimo stipendio buono per il calcolo della pensione la sua busta paga.
Un record planetario. Che ha visto l’avvocato perugino incassare una pensione via via cresciuta con lo strascico di altri «extra» fino alla cifra che dicevamo.
Un caso limite? Certo. Ma impossibile da spiegare, in questi anni di vacche magre, a quegli italiani che faticano ad arrivare a fine mese.
E che dimostra come certi «diritti acquisiti», quando sono platealmente esagerati, non possono essere sacri e intoccabili come la reliquia del dente di Buddha a Candy.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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