MALATI DI TUMORE, CHI SPECULA SULLE LISTE DI ATTESA
LA DIFFERENZA IN GIORNI TRA CHI PAGA E CHI VA CON IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
Proviamo a metterci nei panni di una persona a cui è stato diagnosticato un problema oncologico: il primo desiderio è quello di liberarsi dell’ospite malevolo entrando il più in fretta possibile in sala operatoria. Sappiamo bene che per migliorare gli esiti clinici è decisivo il tempo che passa fra la diagnosi e l’intervento chirurgico e, quindi, l’accesso alle visite e agli esami preoperatori deve essere tempestivo. Per il paziente ogni giorno in più pesa come un macigno dal punto di vista psicologico. E allora qual è la differenza tra chi può pagare e chi no?
Tutto a pagamento
In Italia, ogni anno, oltre 55 mila donne si operano di tumore al seno nelle strutture pubbliche e in quelle private accreditate; nella sola Milano fra il 2022 e 2023 sono state 11.368. Di queste, 1.788 (il 15 per cento) hanno potuto permettersi di pagare sia gli accertamenti medici sia l’intervento chirurgico. La spesa sostenuta di tasca propria s’aggira almeno sui 16.790 euro. Il costo è ricostruito sulle tariffe di uno dei più importanti istituti oncologici milanesi riconosciuto anche a livello nazionale: ecografia 130 euro, mammografia 150, biopsia 460, visita oncologica 250, visita anestesista 250, visita chirurgica 250. Poi ci sono altri esami per valutare un’eventuale diffusione del tumore, come la Pet, che ha un costo di 1.300 euro e, infine, vanno aggiunti i 14 mila euro per l’intervento chirurgico che facilmente possono raddoppiare a seconda del chirurgo
In sala operatoria con il Ssn
Però solo una minoranza benestante può seguire questa strada che assicura l’ingresso in sala operatoria in meno di un mese. Ci concentriamo dunque sull’85 per cento che si è sottoposto all’intervento chirurgico con il Sistema sanitario nazionale. L’Agenzia per la tutela della salute di Milano (Ats) di Milano ha svolto uno studio unico a livello nazionale sulle 4.863 pazienti che risiedono nel proprio territorio. Pubblichiamo in anteprima i risultati.
Il 3 per cento arriva all’intervento chirurgico con il Sistema sanitario nazionale dopo avere fatto tutte le visite e gli esami a pagamento: ingresso in sala operatoria dopo 32 giorni.
Il 25 per cento al contrario ha eseguito la fila di accertamenti passando dalle liste d’attesa del Servizio sanitario nazionale senza tirare fuori un euro (la malattia oncologica prevede l’esenzione totale): ingresso in sala operatoria dopo 52 giorni. Una differenza è di 20 giorni.
Del restante 72 per cento, le pazienti che hanno fatto più della metà degli accertamenti a pagamento sono state operate dopo 49 giorni; chi meno della metà, dopo 54 giorni
Questi dati confermano l’evidente vantaggio in termini di risparmio di tempo per chi si sottopone a tutte le visite e a tutti gli esami a pagamento, mentre dimostrano che fare un po’ dentro e un po’ fuori dal Servizio Sanitario non accelera i tempi. Eppure è il comportamento più comune. Se infatti più in generale andiamo a vedere cosa succede ai 41.408 pazienti di Milano che, sempre nel 2022 e nel 2023, si sono sottoposti a un intervento chirurgico con il Sistema sanitario nazionale per tumore, scopriamo che una prestazione su tre è erogata a pagamento (il 32 per cento). Di fronte a un referto che stravolge la vita, è evidente che cerchiamo di risparmiare tempo, anche se poi di fatto non succede a meno di sborsare tutto di tasca propria. Allora la domanda è: chi guadagna sulle liste di attesa persino dei malati di cancro?
Dove stanno i guadagni
Gli ospedali pubblici sono intasati ma, come previsto dalle regole d’ingaggio, i privati accreditati devono aiutarli ad accorciare le liste d’attesa, soprattutto quando si prendono in carico un paziente oncologico. Facciamo due conti: quanto rimborsa il Servizio Sanitario nazionale a queste strutture per tutti gli accertamenti che precedono l’intervento? La tariffa di rimborso per l’ecografia è di 40 euro, per la mammografia 45, per la biopsia 38,50, per la visita oncologica dell’anestesista e chirurgica 22,50 euro ciascuna, per la Pet 1.082. Totale: 1.273 euro. Se tutti questi esami vengono effettuati a pagamento la struttura incassa 2.790 euro. Più del doppio.
Succede allora che la visita chirurgica specialistica viene fatta a pagamento nel 30,5 per cento dei casi per i pazienti che vengono poi operati con il Sistema sanitario nazionale negli ospedali pubblici: chi guadagna dall’attività a pagamento è lo specialista che fa la libera professione (a cui va l’80 per cento del valore della prestazione, mentre alla struttura pubblica il restante 20 per cento). Invece la stessa visita chirurgica specialistica per chi poi si opera sempre con il Servizio sanitario nazionale, ma nel privato accreditato, viene eseguita a pagamento nel 53 per cento dei casi: a guadagnarci in questo caso è la struttura privata accreditata che poi può riconoscere una percentuale al medico. Per la visita gastroenterologica le cose peggiorano: 58,6 per cento nel pubblico contro il 68,7 per cento nel privato. Per la visite ginecologiche si passa dal 41 al 66,6 per cento. Per gli esami di radiologia: 21 per cento contro 32 per cento. Tutto questo porta l’Ats di Milano a concludere: «I pazienti trattati in strutture private accreditate sono più propensi o vengono indotti a ricorrere a prestazioni a pagamento per accelerare il percorso diagnostico e terapeutico».
La testimonianza
Speculare sulla fragilità di un paziente oncologico è deprecabile, ma tant’è. La pubblicazione del racconto che segue (verificato in tutti i passaggi) è stata autorizzata dalla diretta interessata: «Nel mese di maggio 2024 casualmente mi sono accorta della presenza di un nodulo al seno e, pur avendo effettuato i controlli di routine solo pochi mesi prima, decido di ripetere l’ecografia per chiarire in fretta la situazione. Le immagini non lasciano dubbi: quel nodulo non è sicuramente benigno. Presa dall’ansia vado dritta su una struttura privata accreditata di Milano dove, pagando circa 500 euro, riesco a fare nel giro di pochi giorni l’agoaspirato (cioè il prelievo di una piccolissima parte di tessuto del nodulo per mezzo di un ago guidato da una sonda ecografica e su cui sarà eseguito l’esame istologico). Purtroppo, l’esito conferma quanto mi era stato anticipato. La struttura prende in carico il mio caso, mettendomi in lista d’attesa per una Pet. Io confidavo, essendo purtroppo ormai una malata oncologica, di avere una corsia preferenziale. Invece, dopo ben due mesi di attesa nessuno si era ancora fatto vivo. Provo a contattarli per avere notizie, ma mi viene riferito che non ci sarebbe stata possibilità di trovare una data nel breve periodo. Stanca e sfiduciata, chiedo di eseguire la Pet a pagamento e scopro che, alla “modica cifra” di 1.300 euro, avrei potuto eseguirla dopo due giorni». Ogni ulteriore commento è inutile.
Le terapie
Dopo l’intervento si devono affrontare le terapie. Per il cancro al seno il costo a pagamento di un trattamento di chemioterapia è di dodici sedute a 2.900 euro ciascuna, per un totale di 34.800 euro. Un ciclo di terapia per il tumore al pancreas costa 3.500 euro e ne vanno fatti dodici per un totale di 42 mila euro. Per il tumore al polmone una singola seduta di chemioterapia costa 12 mila euro e ne va fatta una al mese per almeno due anni, arrivando dunque alla spesa di 288 mila euro.
Questi costi possono essere sostenuti a pagamento, di fatto, da uno 0 virgola della popolazione. E anche l’assicurazione sanitaria (per chi ce l’ha), raramente copre le cure oncologiche, e quando è previsto resta a carico del paziente uno scoperto del 20 per cento, oppure tetti di spesa fino a 5 o 10 mila euro. Alla fine dunque a farsi interamente carico di tutti i costi è il Sistema sanitario nazionale. Teniamocelo caro.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)
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