MORETTI VINCE, SEGGI QUASI VUOTI: ANCHE IN VENETO LA PARTECIPAZIONE PD SI SGONFIA
PRIMARIE IN VENETO: ALLE URNE SOLO 35.000 VOTANTI CONTRO I 177.000 DELL’ANNO SCORSO… VA MEGLIO IN PUGLIA DOVE REGGE IL SISTEMA DEI POTENTATI MERIDIONALI
Le primarie del centrosinistra per la carica di governatore in Veneto e Puglia restituiscono al Pd la stessa fotografia delle regionali in Emilia Romagna e Calabria. In Veneto vince la renziana Alessandra Moretti con il 64 per cento, ma su un totale di soli 40mila elettori, ben lontani dai 177mila veneti che solo un anno fa parteciparono alle primarie dell’Immacolata per eleggere il segretario Pd.
In Puglia va meglio: votano in 92mila rispetto ai 123mila delle primarie 2013.
Al sud dunque sembrerebbe prevalere un istinto di conservazione che si traduce in una conferma dei noti ‘caudilli’ della politica locale.
Il Nord invece è già sintonizzato sulla nuova onda di sfiducia verso i partiti: è l’onda che non conserva, bensì travolge, cambia, scioglie le appartenenze.
E viaggia in direzione ostinata e contraria rispetto al ‘cambio verso’ di Matteo Renzi. Con questo ha a che fare il premier, mentre cerca di tessere la sua tela per l’elezione del successore di Giorgio Napolitano al Colle.
E’ il passaggio più cruciale della legislatura, quello più difficile da quando è al governo.
Perchè la sfiducia della base produce sfilacciamento nei partiti rappresentati in Parlamento: nel Pd, come nel M5s e in Forza Italia.
Complicato mettere insieme in pezzi per eleggere un capo dello Stato o magari per proseguire nel cammino delle riforme.
Le regionali hanno indebolito il Patto del Nazareno e ora, ammette Renzi a ‘In mezz’ora’ su Raitre, “Berlusconi non dà più le carte”.
Al premier non è piaciuta affatto l’intervista dell’ex Cavaliere al Corriere della Sera, nella quale Berlusconi chiedeva di posticipare il voto sull’Italicum dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato.
In un’intervista a Repubblica oggi, Renzi chiede l’opposto: la legge elettorale prima delle scelte sul Quirinale.
Ma di fatto si tratta di un balletto già concluso a sfavore del premier, il quale a ‘In mezz’ora’ ammette che il suo Italicum non potrà essere approvato dal Senato entro Natale: al massimo si arriverà all’ok della commissione.
Stesso timing per le riforme costituzionali all’esame della Camera. Dopodichè, a gennaio, l’attività politica riprenderà con l’elezione per il Colle.
Il resto finirà in stand-by. Il premier si dice certo che le riforme non ne risulteranno bloccate, ma questo — e il destino della legislatura – dipenderà da come andrà la partita quirinalizia.
E se il Patto del Nazareno non è in salute, il timore è che la minoranza Dem possa costruire un asse con i ‘ribelli’ di Raffaele Fitto sull’elezione del successore di Giorgio Napolitano.
Anche questo ammette il premier: “Altri del Pd parlano con Fitto, persone elette in Puglia in passato…”.
Il riferimento è a Massimo D’Alema, lascia capire Renzi. Si tratta di una riflessione ben matura tra i renziani.
Dal giorno della fronda dei trenta Dem sul Jobs Act, al quartier generale del premier è scattato l’allarme e il sospetto che la stessa fronda possa ripetersi sull’elezione quirinalizia, con agganci dentro Forza Italia per remare contro il Patto del Nazareno.
Di fronte ad una minoranza che evidentemente si è già messa in moto, il premier e i suoi non stanno fermi.
Ufficialmente, la speranza è che Berlusconi vada incontro a Fitto per ricompattare Forza Italia. “Se la deve vedere Berlusconi”, dice una fonte renziana.
Però, proprio perchè “Berlusconi non dà più le carte”, anche il vicesegretario del Pd, il renzianissimo Lorenzo Guerini, ha aperto un ponte di dialogo con Fitto.
Sono le precauzioni da prendere. Naturalmente, il tutto è in una fase di pre-riscaldamento: si entrerà nel vivo, con nomi e candidati, solo dopo le dimissioni di Napolitano che, secondo i calcoli renziani, dovrebbero cadere per la metà di gennaio. A quel punto, scatterebbero i 15 giorni di reggenza della seconda carica dello Stato Piero Grasso.
E febbraio dovrebbe essere il mese dell’elezione del nuovo inquilino del Colle.
A seconda di chi sarà e delle alleanze che scatteranno sulla scelta del successore di Napolitano, si capirà se la legislatura potrà continuare o se, come sostiene Berlusconi, si andrà al voto.
Del resto, il sospetto di un ritorno anticipato alle urne agita anche la minoranza del Pd che potrebbe chiedere lumi anche domani nella direzione nazionale convocata a Nazareno per le 17.30.
I partiti si sfaldano, la fase è incerta, è iniziata la corsa per il Colle e con essa il fuggi fuggi di tutti per conquistare la posizione politica più promettente.
E’ una corsa che non conosce confini di partito, anzi punta a costituire aree trasversali che si possano muovere dietro il voto segreto previsto per l’elezione del presidente. Un terno al lotto per Renzi.
Ma anche il premier cerca di muoversi oltre i confini dell’attuale maggioranza di governo.
E’ per questo che ripone molte aspettative nella diaspora nel M5s. “Quello che sta accadendo dentro i Cinquestelle non credo che resterà senza conseguenze nei prossimi mesi per l’andamento della legislatura”, sono le sue parole.
La speranza è di annettere nuovi numeri alla maggioranza di governo al Senato, dove la prossima settimana sarà approvato il Jobs Act e dove la prima commissione è impegnata nella discussione sulla legge elettorale.
E poi chissà che non ci siano frutti anche sull’elezione del presidente della Repubblica: su questo passaggio, Renzi ha tutto l’interesse a spezzare il filo che potrebbe connettere la minoranza Pd con i grillini nel nome di Romano Prodi.
E’ per questo che già da ora il premier lascia filtrare il suo no a candidati già bocciati dal Parlamento nelle altre elezioni quirinalizie: il professore, appunto.
Ma l’ostacolo più duro resta quell’onda di ‘cambiamento e sfiducia’ che si è messa in azione ‘malgrado Renzi’.
E’ l’onda che marca le distanze da leader e partiti tradizionali e premia solo chi la cavalca: Matteo Salvini e la sua Lega. E non a caso in Veneto sarà il leghista Luca Zaia, attuale governatore, a sfidare ‘ladylike’ Moretti.
Ragion per cui nel Pd renziano non si fanno troppe illusioni sulle regionali in Veneto. E’ la stessa onda che sgretola anche i gruppi già eletti in Parlamento.
Un dato che preoccupa, ammette il premier, pur restando convinto che l’affluenza alle urne sia un problema “secondario”, magari con la segreta speranza che per una volta il nord non anticipi il trend anche per il sud.
(da “Huffingtonpost”)
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