NON SIAMO PIU’ I SOLI A DIRLO: DIETRO IL CASO MARO’ C’E’ LA LEGGE LA RUSSA
IL MINISTRO BONINO: “ALCUNI CHE OGGI SI AGITANO TANTO SONO ALL’ORIGINE DEL CASO MARO'”… “IL PROBLEMA E’ LA LEGGE LA RUSSA CHE PREVEDEVA INOPINATAMENTE MILITARI A BORDO DI NAVI CIVILI SENZA FISSARE LE LINEE DI COMANDO”… L’AFFARE DA 300 MILIONI DI FINMECCANICA
Palazzo Chigi ora sostiene che è tempo di mostrare agli indiani e alla comunità internazionale di essere un Paese unito. Sarà così.
Ma il tempo della verità sulle zone d’ombra che avvolgono l’affaire-marò, e che chiamano pesantemente in causa i due governi precedenti all’attuale, quello guidato da Silvio Berlusconi e l’esecutivo Monti, non può essere procrastinato all’infinito.
Contractor in divisa
Sulla vicenda marò «il problema è la legge La Russa, che prevede la presenza di militari a bordo senza definire linee di comando».
È un attacco diretto all’ex ministro delle Difesa, Ignazio La Russa, quello lanciato il 27 gennaio scorso dalla ministra degli Esteri, Emma Bonino.
«Mi riferisco alla legge La Russa, al decreto missioni. Fu proprio quel decreto che prevedeva inopinatamente militari su navi civili senza stabilire per bene le linee di comando. Alcuni tra coloro che oggi si agitano tanto sono all’origine del “caso marò”. Tutto questo sarà utile rivederlo a conclusione positiva della vicenda», dice la ministra intervistata da Mattino 24.
Regole d’ingaggio che equiparano i militari italiani a semplici guardie giurate, a «contractor”; e catena decisionale, prevista dalla convenzione tra Difesa e associazione degli armatori, per la quale i militari italiani a bordo sono di fatto «ufficiali di polizia giudiziaria limitatamente alla repressione di un attacco di pirata, ferme restando per il resto le attribuzioni del Comandante della nave».
Un passaggio non secondario, perchè la Enrica Lexie tornò in porto e i marò scesero a terra, dove vennero subito arrestati in modo da esser sottoposti alla giustizia indiana e non a quella italiana come avrebbe dovuto essere, per precisa disposizione del Comandante, e dunque dell’armatore: il ministero della Difesa, a quanto se ne sa, fu solo informato. Dunque, le basi del pasticciaccio stanno tutte in due documenti: il decreto legge del 12 luglio 2011, che rende possibile imbarcare militari italiani su navi civili, e la convenzione che la Difesa – allora retta da Ignazio La Russa – e la Confitarma firmano pochi mesi dopo, l’11 ottobre.
Contratti in ballo
Sarà un caso. Una coincidenza temporale.
Fatto sta che proprio nelle ore in cui il governo guidato da Mario Monti, con l’ammiraglio Giampaolo Di Paola alla Difesa e Giulio Terzi di Sant’Agata alla Farnesina, stava completando le trattative per il clamoroso dietrofront, rispedendo in India i due marò. il ministro della Difesa di New Delhi ha annunciato il via libera a una commessa del gruppo Finmeccanica.
Un accordo da 300 milioni di dollari con la Wass di Livorno per la fornitura di siluri ad alta tecnologia.
D’altro canto, a più riprese l’autorevole quotidiano della capitale Times of India si è chiesto apertamente se il ritorno dei marò non sia stato «influenzato» da valutazioni di ordine commerciale: «Non è chiaro se gli imprenditori italiani abbiano fatto pressioni al governo italiano per rimandarci i marò e a che livello, ma è stato comunque espresso l’auspicio per una soluzione “diplomatica” della crisi, affinchè non dovessero risentirsi gli scambi commerciali, ancora relativamente piccoli ma in crescita».
E anche l’Hindustan Times ha battuto sullo stesso tasto: «Roma potrebbe aver realizzato che la sua decisione era controproducente, visto che l’India era pronta a riconsiderare i rapporti bilaterali nel caso di un mancato rientro dei due marò (…). Un ridimensionamento dei rapporti avrebbe colpito duramente l’Italia, e la prima vittima sarebbe stata Finmeccanica».
In ballo non c’era solo la maxi-fornitura di dodici elicotteri Augusta (per un valore pari a 560 milioni di euro) «congelata», e successivamente annullata dal governo di New Delhi dopo l’esplosione dello scandalo Finmeccanica in Italia.
Non solo elicotteri, dunque: attualmente, sono circa 400 le società italiane già operanti in India.
Complessivamente, l’interscambio commerciale tra Italia e India si aggira sui 8,5 miliardi. In ballo ci sono anche 1.000 miliardi di grandi opere che l’India vorrebbe realizzare (o quantomeno avviare) entro il 2017.
Silenzio internazionale
Sarà per la convinzione, errata, che alla fine tutto si sarebbe messo a posto, sarà per non dover dividere con altri partner la torta di affari con New Delhi, fatto sta che l’Italia fa passare tanto, troppo tempo, prima di investire le istituzioni sovranazionali del caso marò, in primis l’Unione Europa.
Anche questo colpevole ritardo viene lasciato in eredità al governo attuale.
Per mesi nessuna cancelleria europea si esprime, Angela Merkel si volta dall’altra parte, gli inquilini dell’Eliseo, prima Sarkozy dopo Hollande, si occupano di altre grane internazionali, tace l’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton.
Da Bruxelles si ripete: è un affare tra Italia e India.
Si volta pagina con Bonino alla Farnesina.
U.D.G.
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