RENZI E IL TRUCCO DA 40 MILIARDI PER SALVARSI (UE PERMETTENDO)
SE NON RINVIA IL PAREGGIO DI BILANCIO AL 2020 E’ FINITO
Diceva un vecchio deputato che non c’è niente di più inedito degli atti parlamentari.
E infatti basta mettere insieme le ottime analisi che i Servizi Studi di Camera e Senato hanno fatto sui conti pubblici negli ultimi mesi per capire la brutta situazione in cui si trovano Matteo Renzi e il suo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Allora, il premier promette diminuzioni delle tasse da decine di miliardi a partire dall’Imu (che ne vale 4 e non 3,5 come si scrive, visto che 500 milioni di sgravi li copre comunque lo Stato).
Il problema è il contesto.
L’Italia s’è impegnata anni fa al pareggio di bilancio e l’ha pure inserito in Costituzione: quell’impegno non è solo formale, l’Unione europea ha ottenuto l’inserimento di “clausole di salvaguardia” automatiche nel bilancio italiano che garantiscano il rispetto del “consolidamento fiscale” (impegno confermato da Renzi, che ha però spostato il pareggio al 2018).
Gli analisti di Camera e Senato hanno prodotto una tabella riassuntiva su quanti soldi servono già così a Renzi nel prossimo triennio: nel 2016 ci sono nuove tasse per 16,086 miliardi; nel 2017 per 25,493 miliardi e nel 2018 per 28,237 miliardi. Restando solo al prossimo anno,si tratta di 12,814 miliardi di aumento dell’Iva e di 3,27 miliardi di minori detrazioni fiscali.
Per evitare che questi aumenti scattino, il governo finora s’è affidato alla sempre futura spending review.
E qui sini dolori: la revisione della spesa — che finora sono solo i vecchi tagli lineari — ad oggi ammonta a 4,5 miliardi in tutto, ma le nostre tabelline sul bilancio dello Stato ci dicono che già quest’anno Renzi ha promesso che aggiungerà altri 12 miliardi per arrivare addirittura a 32 miliardi nel 2016.
Problema: anche i diretti interessati — in camera caritatis — ammettono che difficilmente si andrà oltre i 5/6 miliardi nel 2015.
Ammesso e non concesso che sia auspicabile, solo con un miracolo i risparmi arriveranno in tre anni a 15 miliardi, meno della metà del previsto.
E allora che si fa? Giù con la mannaia dei tagli? Si lasciano aumentare le tasse? Impossibile: uno come Renzi non vorrà mai fare la parte di Mario Monti.
A palazzo Chigi si aspettano — soprattutto dopo il sostegno dato alla Germania nella trattativa contro la Grecia-che l’Unione Europea faccia finalmente la faccia buona: rinvio di altri due anni del pareggio di bilancio; niente procedure di infrazione su deficit e regola del debito; unico vincolo da rispettare quello del 3% sul Pil.
Lo spiega il premier stesso al Tg5: “L’Europa deve preoccuparsi di dare una mano a chi vuole ripartire e non essere solo la maestrina con la matita rossa e blu che dice cosa va bene e cosa no”.
Il conto della serva dell’inner circle del premier è abbastanza semplice.
Il nostro deficit programmatico è fissato dal Documento di economia e finanza (Def) all’1,8% nel 2016 e allo 0,8% nel 2017: se lo tenessimo al 2,9% avremmo 45-48 miliardi da spendere in due anni.
Una quarantina e più se ne vanno per sterilizzare l’aumento di Iva, accise, eccetera, il resto andrebbe per spesucce tipo rinnovare i contratti degli statali, la maggior spesa in pensioni per la sentenza della Consulta o l’annuale rifinanziamento degli ammortizzatori sociali. E le tasse? Si tagliano con la spending review, magari mentre con una mano si riducono le detrazioni come autorizza a fare la delega fiscale.
Facile, no? E comodo, visto che consentirebbe al premier di arrivare alle Politiche del 2018 senza fare la macelleria sociale necessaria a rispettare gli impegni con l’Ue. Comodo sì, ma non proprio facile, in realtà . Il piano del governo fa acqua soprattutto a Bruxelles: il commissario all’Economia, il francese Pierre Moscovici, ha detto che l’Italia ha già usufruito di un trattamento di favore quest’anno, quindi basta.
A palazzo Chigi, però, sono convinti che proprio la Francia sia la loro assicurazione sulla vita: anche Parigi – è il ragionamento – chiederà di sforare e quindi non potranno dirci di no.
È vero che il deficit francese è più alto di quello italiano (il 4% nel 2014), ma rispetto agli impegni presi con Bruxelles quest’anno la Francia non dovrebbe affatto sforare, quindi non chiederà alcunchè. Il carro a cui vuole attaccarsi l’Italia forse non esiste e il buon Matteo in autunno potrebbe scoprire cosa si prova a stare nei panni di Tsipras.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
Leave a Reply