RIFORMA SENATO: NEL PD GIA’ VACILLA LA FRAGILE INTESA
TORNANO LE TENSIONI, BERSANI: “SENATO ELETTIVO, DA QUI NON CI SI SCOSTA”
La fragilissima tregua dentro il Pd sulle riforme vacilla, a meno di due giorni dall’attesissima direzione dem prevista per lunedì.
Tra i bersaniani, complici forse anche il pugno duro del premier contro i lavoratori del Colosseo, circola un certo nervosismo.
Le bozze di emendamento circolate finora, pur aprendo a una modifica dell’articolo 2, non convincono fino in fondo.
Lo stesso Bersani, in visita a Brescia, mette i puntini sulle “i”: “Vedo che ci sono affermazioni di buona volontà , noi diciamo una cosa che capiscono anche i bambini: diciamo che il Senato debba essere elettivo, devono decidere gli elettori. Questo deve essere chiaro e va scritto. Semplicissimo e da qui non ci si scosta”.
Il premier Matteo Renzi, nella sua rubrica sull’Unità , ha usato toni per una volta concilianti verso la minoranza: “Non credo che la sinistra interna sia una ‘brigata inconcludente’ e ho rispetto per tutti i nostri amici e compagni che stanno all’opposizione interna. Il compito storico del Pd è riportare l’Italia alla testa dell’Europa, non dilaniarsi tra maggioranza e minoranza. Ce la faremo”.
Il segretario poi sottolinea di avere “rispetto” per l’opposizione interna e a chi lo sollecita a cercare confronto, risponde: “Ci sto provando con tutto me stesso”.
Le parole del premier Renzi però non paiono ancora risolutive per quanto riguarda la possibile intesa sul Senato.
Lo stesso Bersani, da Brescia, cita un altro dei temi sollevati dalla minoranza nel pacchetto di 17 emendamenti che, salvo sorprese, saranno ripresentati in Aula: il taglio del numero di deputati, tema su cui Renzi finora non è voluto intervenire, e che è già stato affrontato due volte da Camera e Senato.
“Anche la proporzione tra numeri di Camera e Senato va rivista”, dice l’ex segretario, facendo riferimento alla proposta della sinistra dem di portare a 500 il numero dei deputati.
Per i vertici dem sarebbe un guaio, come riportare l’iter della riforma ai nastri di partenza. E viene letto come un segnale di guerra.
E infatti parte subito la controffensiva: “La minoranza Pd vuole rompere, andiamo subito a votare”, dice il falco Giachetti.
Ma anche io mite Lorenzo Guerini, che in mattinata a un incontro pubblico con Cuperlo e Speranza aveva parlato di una “convergenza unanime dentro il Pd”, imbraccia il fucile: “Non capisco questa posizione di Bersani. Sembra quasi che anzichè trovare un punto di intesa sul merito della questione, voglia irrigidire le posizioni per rompere. Noi andremo avanti con lo spirito di apertura ma non accettando veti che non servono al Pd”.
“Stiamo facendo di tutto per tenere dentro tutti a partire da Pier Luigi – sostiene Guerini – ma, ripeto, con i veti non si procede. Noi invece vogliamo andare avanti e lo faremo. Anche perchè, come si è visto, i voti li abbiamo. E in democrazia i voti contano più dei veti. Spero che tutto il Pd voglia essere protagonista del cambiamento istituzionale di cui il Paese ha bisogno: ci sono le condizioni, non farlo sarebbe un atteggiamento irresponsabile”.
Anche il presidente Pd Matteo Orfini alza la voce: ”Siamo vicini a una soluzione, serve buon senso, non possiamo tornare indietro”. Ancora più netto il ministro Boschi: “Discutiamo sul comma 5 dell’articolo 2, ma non ci sia la tentazione di ricominciare daccapo, perchè così ci infiliamo nell’immobilismo all’italiana”.
Quanto alla decisione del presidente Pietro Grasso sull’ammissibilità degli emendamenti all’articolo 2, dice Boschi: “Ci stupirebbe se Grasso mettesse in discussione un principio che è sempre stato considerato valido come quello della doppia lettura conforme…”.
Acque di nuovo agitate dentro il Pd, dunque. E del resto fin dalla mattinata era chiaro che l’intesa sulle modifiche al nuovo Senato era ancora scritta sull’acqua.
Roberto Speranza aveva chiesto una formulazione dell’emendamento al ddl Boschi “limpida, senza ambiguità e senza un compromesso al ribasso”.
“Aspettiamo di leggere i testi”, chiude l’ex capogruppo, che si è dimesso nei mesi scorsi proprio per la contrarietà all’Italicum e dunque al progetto istituzionale di Renzi.
Sulla stessa linea anche Federico Fornaro, uno dei vietcong del Senato: “Un serio confronto sulle riforme non può prescindere dal merito, evitando soluzioni contraddittorie e foriere di futuri contenziosi”.
L’idea che in due parti diverse della Costituzione il corpo elettorale che sceglie i senatori sia diverso (da un lato i consiglieri regionali, dall’altro un comma che dice “tenendo conto dell’indicazione espressa dai cittadini”) non convince i bersaniani.
Ma c’è anche una questione politica.
La minoranza non accetta l’idea, fatta circolare dai renziani, che si tratti solo di una concessione benevola del premier-segretario verso i ribelli. I conti sui numeri in Senato, secondo la minoranza, sono diversi da quelli di cui parla il ministro Boschi, che nelle ultime ore ha ribadito che “noi abbiamo dimostrato con i voti che ci sono stati in Senato nei giorni scorsi che i numeri per approvare le riforme costituzionali ci sono in modo ampio”.
La minoranza sostiene che, sottraendo al totale di 170 (ottenuto nelle prime votazioni) i 26-27 voti bersaniani, i numeri non ci sono affatto.
O al limite ci sarebbero solo grazie alla benevolenza di Forza Italia, e con gli apporti decisivi di Verdini e dei senatori vicini all’ex leghista Tosi.
“Una maggioranza imbarazzante per Renzi”, ribadiscono. “La ricerca del confronto con noi non nasce dalla benevolenza, ma dalla cruda realtà dei numeri”.
Infatti, i bersaniani, per ora, hanno tutte l’intenzione di ripresentare in Aula i loro 17 emendamenti: sull’elezione diretta ma anche sul numero dei deputati, sulla platea per eleggere il Capo dello Stato e i giudici della Consulta.
Sull’ultimo punto l’intesa sembra chiusa: il nuovo Senato ne sceglierà due, la Camera tre. Mentre sul Quirinale ancora ballano diverse ipotesi su come allargare la platea dei grandi elettori. Quanto alla riduzione dei deputati, per il governo è semplicemente un’ipotesi irricevibile.
“Molta nostra gente è a disagio perchè percepisce che la stanno portando dove non vuole andare…”, ha insistito Bersani nelle ultime settimane.
E per ricucire questo strappo non basta un comma condiviso. E forse neppure l’elezione diretta dei senatori.
(da “Huffingtonpost”)
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