SPAGNA, NON C’È LA GRANDE SPALLATA, GLI AMICI DELLA MELONI SONO CROLLATI
ECCO GLI SCENARI POSSIBILI PER UN FUTURO GOVERNO
Se la Spagna doveva essere il laboratorio della nuova alleanza tra popolari e conservatori per governare l’Europa, non è andata benissimo. La diga socialista tiene, il centrodestra è lontano dalla maggioranza assoluta. È stata una sorpresa. Erano sbagliati i sondaggi, erano sbagliati gli exit-polls. Il premier socialista Pedro Sánchez rimonta. I popolari crescono, si affermano come primo partito, ma non sfondano. Vox perde 19 seggi.
La Spagna profonda ha detto no all’accordo tra popolari e conservatori. I socialisti hanno mobilitato i loro territori tradizionali. Siviglia, un tempo roccaforte rossa, ora governata dalla destra, si è mossa a favore di Sánchez. Lo stesso è accaduto in Catalogna, dove la sinistra indipendentista di Esquerra Republicana crolla, e anche i separatisti di centrodestra di Junts per Catalunya cedono voti al partito socialista: Barcellona non vuole la destra al governo a Madrid.
Ancora una volta, gli elettori hanno avuto più paura di Vox che dei separatisti catalani. Certo, per il Psoe non è una vittoria. Alla fine il sorpasso dei popolari c’è stato. Ma i socialisti possono fare accordi in Parlamento con catalani e baschi; i popolari no.
A questo punto gli scenari sono tre. Il re chiede a Feijóo di formare il nuovo governo; anche se non si capisce come. Sánchez riesce a ricostruire una maggioranza; ma deve trasformare l’astensione di baschi ed Esquerra Republicana in un Sì (Junts ha già chiesto un referendum per l’indipendenza catalana che nessun premier potrà mai concedere). Oppure si torna al voto.
Feijóo avrebbe fatto volentieri a meno di dialogare con Vox. Il suo schema era e resta un governo di minoranza, con l’astensione dei socialisti. Ma lo schema prevedeva il crollo di Sánchez. Dentro il Psoe c’è un’anima centrista, disposta a lasciar governare i popolari.
Sono i baroni che considerano ancora leader morale il grande vecchio Felipe González, che non è un estimatore di Sánchez. Ma sono gli stessi baroni usciti a pezzi dalle amministrative; al momento nel partito un’alternativa al sanchismo non c’è.
Anche nel Pp esistono due anime. C’è quella di destra, incarnata dalla presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso. E c’è quella centrista, rappresentata appunto da Feijóo. Il candidato premier è stato molto critico con Vox, in tutta la campagna elettorale.
§È vero che Feijóo ha tenuto toni duri, a volte aggressivi. Tuttavia, è evidente che Feijóo aveva scelto di non inseguire Vox sulla via dell’estremismo, ma aveva tentato di conquistare il centro. Ci è riuscito solo in parte.
La vera questione, ovviamente, è l’Europa. I popolari hanno un antico legame con la Cdu tedesca: la Germania del resto controlla buona parte del debito pubblico spagnolo. L’interlocutore naturale di Feijóo non è Orbán, non è Marine Le Pen, non è Alternative für Deutschland; è Ursula von der Leyen.
È chiaro che l’Europa preferirebbe un accordo tra popolari e socialisti; che tuttavia non fa parte della cultura politica spagnola. Vox esce malconcia dal voto; e alla fine si è rivelata la migliore alleata dei socialisti. Del resto, il Paese è in piena ripresa economica. Edilizia e turismo, le due leve della crescita spagnola, hanno ripreso a funzionare. L’occupazione è al massimo storico. L’inflazione scende.
A questo punto il Pp deve scegliere se tenere la linea centrista. O se spostarsi a destra, per assorbire i voti di Vox, dopo aver prosciugato il serbatoio liberale di Ciudadanos, il movimento che ora non esiste più. Proprio come Podemos, che si è sciolto in Sumar, una coalizione che appunto somma tutte le forze a sinistra dei socialisti: la sua leader, la vicepremier Yolanda Díaz, raccoglie 31 seggi che potrebbero rivelarsi decisivi per puntellare l’attuale maggioranza di governo. Anche se un ritorno alle urne è tutt’altro che da escludere.
(da il Corriere della Sera)
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