TAGLIO PARLAMENTARI: PERCHE’ SERVE ANCHE UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE
CON L’ATTUALE MECCANISMO VERREBBERO FAVORITI I PARTITI PIU’ GRANDI E INTERE REGIONI SAREBBERO RAPPRESENTATE DA UNA SOLA FORMAZIONE
Il taglio dei parlamentari rimane in testa all’agenda politica, sopravanzando anche il tema della manovra economica che pure ha scadenze più incalzanti.
Il dimezzamento della rappresentanza di Camera e Senato ha tenuto banco anche nel primo incontro tra M5S e Pd; ma nonostante la riforma (che è costituzionale) abbia già ottenuto 3 dei 4 voti parlamentari necessari il rimpicciolimento del parlamento on sarà cosa immediata.
Come da più parti è stato fatto notare il taglio dovrà essere accompagnato anche da una riforma della legge elettorale, altrimenti rischia di avere effetti deformanti sul voto. In particolare sarebbero fortemente penalizzati i partiti più piccoli mentre quello di maggioranza relativa potrebbe ottenere un numero di seggi molto superiore alla sua effettiva forza. Proviamo a capire perchè.
Il punto di partenza
L’attuale legge elettorale italiana (il cosiddetto «Rosatellum») prevede di assegnare sia a Montecitorio che a Palazzo Madama il 37% dei seggi con un meccanismo maggioritario e il 61% con il proporzionale.
Con uno sbarramento del 3% minimo di voti necessari a un partito per varcare la porta delle Camere.
La riforma su cui spinge il M5S diminuisce i deputati a 400 e i senatori a 200, tagliando complessivamente 345 seggi.
Se questo assetto divenisse legge sarebbe necessario innanzitutto ridisegnare tutti i collegi elettorali con due effetti immediati: da un lato calerebbero i costi della politica (e questo è il primo obiettivo dei promotori) ma dall’altro ogni eletto diverebbe la «voce» di un numero di cittadini di gran lunga superiore dell’attuale.
Ogni deputato rappresenterebbe oltre 151.000 cittadini, contro i 96.000 attuali: la proporzione più alta d’Europa.
«Cittadini più distanti»
Il 28 marzo scorso durante un’audizione alla Camera Gabriele Natalizia, ricercatore dell’Università la Sapienza ha messo in luce un primo effetto di questo cambiamento: «Come conseguenza della maggiore distanza tra cittadini ed eletti presso le due Camere, il Parlamento potrebbe essere gradualmente percepito come un’istituzione ‘distante’ dalle esigenze, dalle aspirazioni e dai problemi che emergono dai territori. La sua percezione di simbolo, ma anche di luogo, della rappresentanza e della coesione nazionale si potrebbe, dunque, affievolire».
In secondo luogo rimarrebbe vivo il cosiddetto «bicameralismo perfetto», l’iter che costringe una legge ad essere approvata nella medesima versione da entrambi i rami del parlamento e che è una delle cause del malfunzionamento della politica italiana.
Una regione, un partito
Ma gli effetti maggiori si avrebbero sulla rappresentanza politica. Il mix di meccanismo maggioritario e proporzionale e il minor numero di seggi a disposizione favorisce i partiti più grandi a danno dei minori, specie al Senato.
Secondo i calcoli di Federico Fornaro, considerato un «mago» di questi numeri la soglia per entrare in Senato in Piemonte e in Veneto non sarebbe più del 3% ma dell’11, in Friuli del 25, in Abruzzo e Sardegna del 33; in molti casi dunque una intera regione finirebbe per essere rappresentata a Roma da un solo partito.
In generale Lega, M5S e Pd farebbero la parte del leone e chi dei tre dovesse prevalere «schiaccerebbe» gli altri due su posizioni minoritarie. In pratica l’intero sistema elettorale prenderebbe una svolta fortemente maggioritaria.
E per eleggere il capo dello Stato?
Alfonso Celotto, docente di diritto costituzionale, ha fatto notare un’altra conseguenza forse non voluta del taglio dei parlamentari. In una dichiarazione all’agenzia Agi ha sottolineato che in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica il peso dei parlamentari diminuirebbe a favore invece dei delegati delle regioni.
(da “il Corriere della Sera”)
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