UN LAVORATORE SU DUE INSODDISFATTO DEL PROPRIO SALARIO
AUMENTANO I TEMPI DI LAVORO, CALANO I SALARI
Dall’inizio delle pandemia (marzo 2020) a oggi redditi e tempi di lavoro sono rimasti stabili per due lavoratori su tre. Lo stipendio è invece aumentato solamente per un lavoratore su dieci, mentre è diminuito per due addetti su dieci. Di contro il tempo di lavoro per il 61,2% è rimasto stabile, per il 28,5% degli addetti aumentato e solamente per il 10,4% è invece sceso. E così la prima richiesta che viene fatta al sindacato, con grande scarto su tutti gli altri temi, è quella di migliorare inquadramenti e retribuzione, segnala la nuova indagine su lavoro, condizioni e aspettative realizzata dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil. Il tema salari, su un campione di oltre 50 mila questionari (31 mila quelli validi, per lo più impiegati, tecnici ed operi, con una quota molta alta – 82% – di lavoratori sindacalizzati) raccolti attraverso le strutture sindacali e sui luoghi di lavoro, nel periodo compreso tra maggio e settembre, arriva a toccare ben il 68,5% delle risposte. A seguire le altre richieste riguardano l’esigenza di fare di più su formazione professionale (29,4%), aumento del personale stabile (17,7%), carichi di lavoro (25,95), orari e turni di lavoro (21,6%). E sempre l’aumento dei salari, per il 68% delle risposte, dovrebbe essere il tema su cui il sindacati dovrebbe intervenire con più forza nei confronti delle istituzioni, seguito da difesa e aumento dell’occupazione (44,7%) e contrasto della precarietà (42,4%).
I salari
Quasi un lavoratore su due (47,1%) è poco o per nulla soddisfatto della propria retribuzione. Considerando il reddito da lavoro “netto” nel 2021, il 45% circa di quanti hanno risposto al sondaggio della Cgil si colloca nella classe tra i 15.000 e 25.000 euro (20,7% tra i 15.000-20.000 euro netti l’anno; 24,1% tra i 20.000 e 25.000 euro); quasi uno su dieci (8,8%) ha un reddito inferiore a 10.000 euro; 13,9% tra 10.000 e 15.000 euro; 15,1% supera i 30.000 euro. Considerando il genere, il 53,8% delle donne è concentrato nelle classi fino a 20 mila euro netti annui contro il 30,7% degli uomini, anche in conseguenza della maggiore diffusione del lavoro a termine e in part-time ma, comunque, le differenze salariali permangono anche nei regimi di lavoro a tempo indeterminato in full-time.
I contratti aziendali e di secondo livello, ovviamente, hanno un peso significativo in questo contesto: tra chi ha un reddito da lavoro che supera i 35.000 euro netti annuali, infatti, oltre il 70% dichiara la presenza di accordi di questo tipo, quota che invece non supera il 23% tra quanti hanno uno stipendio annuo inferiore ai 15.000 euro.
Carichi e tempi di lavoro
Considerando i ritmi e i carichi di lavoro l’indagine della Cgil fa emergere un’alta intensità del lavoro in termini di scadenze, ritmi e carichi, che si presenta in maniera elevata (“spesso”) per più di un rispondente su tre. Inoltre, i risultati evidenziano la presenza di livelli di sotto-inquadramento diffusi, con un rispondente su quattro che “spesso” deve assumere responsabilità eccessive rispetto alle mansioni.
Considerando i rischi per la salute fisica, il 16,7% deve sollevare “spesso” dei carichi pesanti e il 7,9% lavora “spesso” in condizioni di pericolo (un’esposizione che sale al 17% per gli operai e tecnici, al 19,5% per i servizi socio-sanitari, al 27% nella pubblica sicurezza).
Le ore di lavoro mediamente lavorate nella settimana sono state circa 38 per gli intervistati con un regime full-time e 26 per i part-time. Il 15,9% di chi ha risposto al questionario lavora “spesso” in straordinario retribuito mentre il 14,4% affronta “spesso” orari straordinari non retribuiti e non compensati con i riposi e questo problema si presenta in misura trasversale sia nelle professioni a bassa qualifica (es. agricoltura) che in quelli ad alta qualifica (es. informatica). Il regime in part-time è maggiore tra le donne (31,1%) rispetto agli uomini (6,9%). Il 33,2% è poco o per nulla soddisfatto della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, il 55,5% abbastanza, l’8,9% molto (senza differenze significative tra donne e uomini).
Smart working
Il 21% degli intervistati lavora da remoto. Di questi, quasi 6 su 10 lavorano da casa uno o due giorni a settimana, il 19% tre giorni a settimana e il 23,6% quattro giorni o più. Il 35,9% degli uomini e il 38,5% delle donne vorrebbe lavorare da casa (per lo più 1-2 giorni a settimana). Coloro che attualmente non lavorano da casa ma vorrebbero farlo sono il 18,4%. Il lavoro da casa è più diffuso tra i rispondenti più istruiti, le imprese più innovative, i lavoratori a tempo indeterminato in full-time, regimi di lavoro caratterizzati da maggiore autonomia, nelle professioni impiegatizie. Chi lavora da casa è generalmente più soddisfatto del proprio lavoro rispetto a chi non lavora da casa, in particolare considerando la conciliazione tra lavoro e vita personale.
Rischi per la salute
Sul fronte della salute la ricerca dell’Fdv evidenzia una compresenza di problemi fisici e psico-sociali causati dal lavoro: i due problemi più diffusi sono “mal di schiena e dolori articolari” (67,6% dei rispondenti) e “stress” (65,5%). Lo stress in particolare è un problema trasversale tra le professioni, anche se in misura differente: è maggiore nel lavoro impiegatizio (59,9%), nella vendita al pubblico (65,3%) e soprattutto nei servizi socio-sanitari e di cura (68,7%) ma interessa anche quasi la metà del lavoro operaio e tecnico (48,7%).
Infortuni
Per quanto riguarda invece gli infortuni emerge che nell’ultimo anno, il 4,9% ha subito un infortunio (ma l’1,5% non lo ha denunciato) e, considerando la propria carriera lavorativa, il 7,9% ha denunciato una malattia professionale (per circa uno su tre di loro, il 2,3% dei rispondenti, non è stata riconosciuta). Infine un rispondente su quattro (24,4%) giudica la prevenzione dei rischi per la salute e sicurezza nella propria azienda come insufficiente e questa incidenza è maggiore nelle imprese/enti meno innovative.
(da agenzie)
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