Ottobre 29th, 2010 Riccardo Fucile
LA LETTERA DI ADDIO DEL COORDINATORE GIOVANILE DEL PDL DI PALERMO BEN RAPPRESENTA IL DISAGIO DI TANTI GIOVANI CHE STANNO LASCIANDO IL PDL.. “VOLEVAMO ESSERE SENZA PADRINI E SENZA PADRONI, VANNO INVECE AVANTI SOLO GLI INCAPACI E I CORTIGIANI”… “TROPPI INQUISTI, POCA DEMOCRAZIA”: LA SPERANZA ORA SI CHIAMA FINI
Caro Presidente Berlusconi,
abbiamo creduto in Forza Italia, nel Suo progetto e nella rivoluzione liberale tanto
declamata dalla Sua scesa in campo fino ad oggi.
Purtroppo tutto ciò è rimasto soltanto nello spirito di quel progetto e nella Sua azione personale e di pochi altri.
L’abbiamo seguita, senza alcuno scetticismo ma con tanto entusiasmo, nella costruzione di un nuovo grande partito: il Popolo della Libertà .
Un partito in cui ci sarebbe stato spazio per tutti e per le idee di tutti, ma a due anni dalla sua nascita il fallimento è evidente.
Abbiamo confidato nella speranza che fosse possibile unire due movimenti giovanili molto diversi tra loro come Forza Italia Giovani e Azione Giovani, che sarebbe stato un vero movimento di giovani pronti a dare il loro contributo alla creazione del grande partito di centrodestra.
Giovani pronti a dire la loro “senza padrini e senza padroni”, ma anche qui siamo rimasti delusi.
Oggi ad evidenziare ciò non siamo soltanto noi ma anche importanti esponenti del partito, come l’onorevole Cicchitto, che recentemente ha aspramente criticato proprio quei dirigenti giovanili che provengono dalle fila di Forza Italia Giovani.
L’abbiamo ritenuta il nostro leader, abbiamo applaudito ai Suoi discorsi e abbiamo creduto alle Sue parole difendendola a spada tratta contro tutti quelli che La denigravano gratuitamente.
Abbiamo investito tempo e denaro per seguirla; ma quello che leggiamo quotidianamente sui giornali e vediamo in tv non ci piace, è lontano da tutto quello che era nell’idea originale del movimento.
Siamo stanchi di sentir parlare di politici indagati senza che nessuno entri nella questione morale; di starlette, figli, amici, nipoti e amanti senza alcuna cultura e formazione politica inseriti nelle liste bloccate o nominati nei ruoli dirigenziali del movimento senior e junior.
Siamo stanchi dell’assoluta mancanza di un processo democratico nella costruzione della struttura del partito che prenda forza a partire dal coinvolgimento della base.
Siamo stanchi di chi dice di investire sui giovani, ma che nei fatti continua ad alimentare un sistema basato sulla gerontocrazia.
Giovane Italia doveva essere il fortissimo movimento giovanile del primo partito d’Italia, incubatore della nuova classe dirigente del PDL e del Paese, purtroppo oggi è il contenitore di gruppi portatori di interessi personali o del politico di riferimento.
Il processo di fusione dei movimenti giovanili di Forza Italia e Alleanza Nazionale non si è mai concretizzato, perchè sono mancati dei riferimenti e volontà comuni che consentissero l’unione intorno ad un unico progetto e spirito politico.
Questa unione che in molti casi si è trasformata in una guerra tra “fratelli” ha avuto come unico risultato l’allontanamento dei giovani dalla politica, situazione questa che un partito, qualsiasi esso sia, non può permettersi.
In 10 anni di fedele e costante militanza abbiamo fatto avvicinare al partito tantissimi ragazzi, abbiamo costruito una forte realtà territoriale che si è affermata in ambito universitario come mai nessuno prima aveva fatto a Palermo, eleggendo decine di rappresentanti negli organi collegiali tra cui uno nel Consiglio d’Amministrazione e uno nel Senato Accademico dell’ateneo palermitano; abbiamo sempre partecipato e contribuito alle innumerevoli iniziative promosse prima da Forza Italia e poi dal PDL sia a livello locale, sia quando siamo stati chiamati per le grandi manifestazioni nazionali.
Abbiamo lavorato tanto e, come per chi fa, l’unica cosa che abbiamo ottenuto è stata la contrarietà e l’odio di tutti, a partire dal coordinatore nazionale dei giovani Francesco Pasquali a finire a esponenti locali del partito ed ai loro giovani rampolli.
Chi ha dimostrato ampiamente incapacità di fare e di produrre, chi negli anni non ha avuto scrupoli nell’andare contro il movimento giovanile stesso solo per portare avanti i propri interessi, paradossalmente oggi è stato premiato e nominato in ruoli di vertice di Giovane Italia dove ancora una volta la dimostrazione della profonda incapacità emerge ma è difesa dalla classe dirigente che guarda al vassallo piuttosto che al futuro del movimento giovanile.
La meritocrazia purtroppo non si è trasformata in azioni ma è rimasta solo uno slogan.
Con grandissimo dispiacere, rispetto all’esperienza che abbiamo compiuto, oggi non riusciamo a ritrovare nel PDL quello spirito originario.
Non possiamo più percorrere una strada che non ha nè sbocchi nè orizzonti a cui mirare, umiliati da continue ingiustizie compiute in ragione di interessi personali.
Preferiamo accettare le sfide che altri ci pongono, di coloro i quali vogliono credere in noi e nel lavoro svolto fino ad oggi.
Non abbiamo l’arroganza di dire che ci riusciremo, ma di certo non vogliamo mancare l’occasione di metterci in gioco coerentemente alle idee che in questi anni hanno caratterizzato la nostra azione.
Per questo rassegniamo le nostre dimissioni dagli incarichi ricoperti all’interno dei movimenti giovanili del PDL.
Palermo 28 ottobre 2010
Gabriele Vitale
(Coordinatore Giovane Italia/FIG — Città di Palermo e Dirigente Nazionale Giovane Italia)
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Ottobre 29th, 2010 Riccardo Fucile
VINCENZO INDOLFI, QUESTORE DI MILANO ALL’EPOCA DEI FATTI E OGGI PREFETTO, CONFERMA CHE CI FU UNA TELEFONATA DALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO PER “LIBERARE” RUBY… UNA PRASSI INUSUALE, ANCHE SE IL QUESTORE NEGA LE SIANO STATI CONCESSI PRIVILEGI… LO STRANO RUOLO DI NICOLE MINETTI
«Massì, qui di telefonate ne arrivano a decine: ministri, parlamentari, personaggi pubblici.Ognuno ha un suo problema, di scorte, di ordine pubblico. Se anche arriva una telefonata della presidenza del Consiglio, non è che uno si deve scandalizzare».
Il neo prefetto Vincenzo Indolfi, questore fino a tre settimane fa in via Fatebenefratelli a Milano e ora nominato «ispettore generale di amministrazione del Consiglio dei ministri», è un napoletano che nella vita ne ha viste e sentite tante.
E dunque tende a sdrammatizzare.
Ma non nega che la sera del 27 maggio scorso, da poco passata la mezzanotte, al suo capo di gabinetto Pietro Ostuni arrivò una telefonata davvero singolare, nonchè «pesante»: dalla presidenza del Consiglio chiedevano espressamente di rilasciare la «nipote di Mubarak», ovvero Rachida R., appena diciassettenne, fermata poco prima da una pattuglia in seguito a una denuncia per furto aggravato di 3000 euro.
«Ma non è che chiedevano proprio di rilasciarla – precisa Indolfi -. Più che altro si raccomandavano, visto che era minorenne, di fare quel che dovevamo fare ma di gestire la cosa nel modo più corretto possibile. Così il mio capo di gabinetto ha chiamato la centrale operativa per informarsi».
Ma cosa diceva esattamente questa telefonata della presidenza del Consiglio?
«Una cosa tipo: è vero che avete fermato questa persona? Allora fate gli accertamenti e poi vedete cosa fare…». Così? «Così».
Ma dicevano proprio che era la «nipote di Mubarak»? Indolfi tentenna un attimo e poi conferma: «Sì, se non sbaglio dicevano che era una sua parente. Sì, mi sembra “la nipote”».
Insomma, una di quelle telefonate a cui non si può dire di no.
Chi ci fosse esattamente dall’altra parte della cornetta però l’ex questore preferisce non chiarirlo: «La presidenza del Consiglio è la presidenza del Consiglio».
E voi l’avete liberata subito? «Non subito. Abbiamo rispettato tutti i crismi delle regole e della procedura, anzi è rimasta qui anche più del dovuto…».
E perchè? «Ma perchè dovevamo fare tutti gli accertamenti del caso, no? E poi abbiamo chiamato un pm della Procura minorile e la ragazza sarà uscita che erano le 4,30 o le 5 del mattino. Tutto in regola».
Si dice che però sia stata persino annullata la foto segnaletica del caso. «Ma no, gliela abbiamo fatta la foto, gliela abbiamo fatta…».
In fondo era una minorenne accusata di furto aggravato.
Comprensibile che, data l’ora, data la chiamata, data la bellezza di Rachida, che poi era in realtà l’ormai famosa «Ruby»”, in Questura quella sera ci sia stata una certa agitazione.
Anche perchè alla portineria di via Fatebenefratelli nel frattempo era arrivata la consigliere regionale Nicole Minetti, altra prorompente e agitata bellezza entrata dalle elezioni regionali scorse nelle grazie del Cavaliere e che, cellulare alla mano, chiedeva che la giovane minorenne venisse subito rilasciata per esserle affidata, in quanto «ben conosciuta».
«Così poi abbiamo telefonato al pm della Procura minorile ed è stato lui a darci il benestare per affidarla alla consigliera regionale».
Peccato che poi sia partita anche una segnalazione in Procura.
(da “la Stampa“)
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Ottobre 29th, 2010 Riccardo Fucile
LA TELEFONATA NON E’ STATA SMENTITA E GETTA UN’OMBRA POLITICA SU UNA VICENDA CHE METTE A RISCHIO ANCHE LA TENUTA DEL GOVERNO… COME IL FATTO CHE GLI INDAGATI SIANO TUTTI DELL’ENTOURAGE DEL PREMIER
Le «indagini difensive» dell’avvocato Niccolò Ghedini e quelle della Procura, come
ribadito ancora ieri dal procuratore Bruti Liberati, convergono su un unico punto: Silvio Berlusconi non è nè può essere indagato per eventuali serate a «luci rosse» trascorse ad Arcore in compagnia anche di una minorenne.
La convergenza però finisce qui.
Perchè per il resto, a partire dalla presenza o no di ragazze di facili costumi alle feste di Villa San Martino per finire con la telefonata fatta alla Questura di Milano dalla presidenza del Consiglio per far rilasciare «Ruby», la minorenne protagonista del nuovo scandalo e che nel maggio scorso era stata fermata per furto aggravato, la divergenza è totale.
La vicenda della telefonata per altro è oggetto di grande attenzione da parte degli inquirenti perchè non solo rappresenta una sorta di cartina di tornasole dei racconti di «Ruby», ma potrebbe anche configurare un reato di abuso d’ufficio.
Ma se il Cavaliere viene «salvato» dall’unico reato che campeggia finora sul fascicolo d’inchiesta, ovvero favoreggiamento della prostituzione, così non è per due big della televisione che avrebbero animato le serate nella villa del premier.
Perchè nell’inchiesta, oltre all’impresario Lele Mora – già finito nel mirino e poi prosciolto per ipotesi simili nell’inchiesta su Vallettopoli – spunta il nome di Emilio Fede, il direttore del Tg4, e, per finire, quello di Nicole Minetti, diventata famosa per essere stata l’igienista dentale del Cavaliere che, rimastone folgorato, la candidò e la fece eleggere al Consiglio regionale della Lombardia.
Sono questi tre personaggi, per ora, a essere stati iscritti sul registro degli indagati in seguito ai racconti di «Ruby», la diciassettenne di origini marocchine, fuggita dalla Sicilia due anni fa per tentare la fortuna nel rutilante mondo delle discoteche e che ha riempito diversi verbali, come testimone, su un paio di serate, forse tre (la prima il 14 febbraio scorso, San Valentino, la seconda un mese dopo, la terza poco dopo ancora) in compagnia del premier.
Una «ragazza immagine», secondo la definizione più benevola, una «escort» secondo la procura, che sarebbe stata introdotta ad Arcore prima grazie alle attenzioni di Lele Mora e poi grazie ai passaggi in auto di Emilio Fede, con il viatico della Minetti.
E sono state proprio queste circostanze a far scattare il reato di «favoreggiamento» della prostituzione. Ma non minorile.
Il che significa che a fornire eventuali prestazioni sessuali non sarebbe stata tanto Ruby, che compirà 18 anni tra due giorni e che ha negato anche a verbale di avere avuto rapporti con chicchessia durante le feste di Arcore, quanto altre «amiche» sempre della cosiddetta «scuderia» di Lele Mora, contattate talvolta da Fede e talvolta da Nicole Minetti.
«Ospiti» disinibite di cui ha parlato «Ruby», finite in mezzo a un catalogo vario di personaggi: da celebri conduttrici televisive, a star in ascesa, a veline in carriera, fino a due ministre.
Tutte omaggiate, sostiene «Ruby», di vari regalini: a lei in particolare un abito bianco e nero di Valentino con cristalli di Swarovski, «regalato da Silvio».
Ma successivamente i regali si sarebbero fatti più importanti, fino a ricevere una Audi del valore di oltre 100 mila euro, sebbene la procura sia piuttosto scettica sull’esistenza di somme così importanti.
La seconda volta, preavvisata da Mora, «Ruby» si sarebbe fermata ad Arcore anche per la notte partecipando, come spettatrice, a uno strano gioco che alla villa veniva chiamato «bunga bunga» (titolo di una vecchia barzelletta) e dove Berlusconi sarebbe stato l’unico maschio presente.
La terza volta, infine, si sarebbe trattato di una cena cui avrebbero partecipato anche Daniela Santanchè, George Clooney ed Elisabetta Canalis. In quest’ultima occasione, ha raccontato la giovane, Berlusconi le avrebbe raccomandato di farsi passare per una «nipote di Mubarak», il presidente egiziano, per potere così giustificare il suo nuovo tenore di vita.
E sarà proprio sostenendo che in Questura si trovava «la nipote di Mubarak» che dalla presidenza del Consiglio il 9 maggio scorso arriverà la telefonata notturna per far rilasciare Ruby, denunciata da un’altra ragazza per un furto di 3000 euro.
Fin qui il racconto della giovane. Ma cosa c’è di vero in tutto ciò? Secondo la difesa Ghedini «un bel niente».
E ieri già sono arrivate alcune smentite: dagli indagati in primis, come Fede e Mora, e poi da alcuni ospiti, come Daniela Santanchè o lo stesso Clooney.
La Procura sa bene di muoversi su un terreno scivoloso.
Ma a differenza di Ghedini, secondo gli inquirenti alcuni riscontri ci sono già . Non solo in qualche interrogatorio delle altre «ospiti» di Arcore, che hanno confermato l’espressione gergale del «bunga bunga» ma anche nei regali ricevuti da Ruby e perfino dal suo cellulare, la cui cella satellitare, la sera di San Valentino, era posizionata ad Arcore.
Paolo Colonnello
(da “la Stampa“)
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Ottobre 29th, 2010 Riccardo Fucile
DOVREMO PAGARE 195.840 EURO AL GIORNO DI AMMENDA PER TRE DISCARICHE NEI PRESSI DI MILANO CONTENENTI RIFIUTI PERICOLOSI, DI CUI DUE NON BONIFICATI… NON ERA STATA APPLICATA UNA SENTENZA DEL 2004
La Commissione europea ha deciso di rinviare l’Italia davanti alla Corte di giustizia europea per la mancata applicazione di una sentenza del 2004 riguardante tre discariche nei pressi di Milano.
Bruxelles intende quindi chiedere «il pagamento di sanzioni pecuniarie».
«Le suddette discariche – afferma l’esecutivo europeo – contengono rifiuti pericolosi e costituiscono una minaccia per l’aria e le acque locali».
La Commissione sottolinea dunque come «a distanza di sei anni dalla sentenza della Corte Ue una discarica è stata dismessa, ma le altre due non sono ancora state bonificate».
Su raccomandazione del commissario europeo all’Ambiente Janez Potocnik, «la Commissione sta rinviando a giudizio l’Italia e chiederà il pagamento di sanzioni pecuniarie».
Le sanzioni pecuniarie chieste dalla commissione alla Corte contro l’Italia consistono in un’ammenda giornaliera di 195.840 euro a decorrere dalla data della seconda sentenza della Corte fino all’avvenuta applicazione della decisione, più una somma forfettaria che è pari a 21.420 euro per ogni giorno trascorso dalla data della prima sentenza della Corte (2004) fino alla seconda.
Se i giudici condannassero l’Italia, accogliendo le ragioni della Commissione, la multa totale risulterebbe molto elevata.
«La maggior parte dei rifiuti nella seconda discarica non è ancora stata rimossa e la bonifica della terza discarica è appena cominciata», afferma ancora la Commissione Ue, motivando la scelta di deferire l’Italia alla Corte. «Poichè risulta evidente che la sentenza della Corte non è stata applicata, la Commissione ha deciso di sottoporre di nuovo il caso alla Corte di giustizia europea», conclude la nota.
La decisione della Commissione si basa sulla direttiva 2006/12 che «costituisce uno strumento fondamentale di tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti negativi della raccolta, del trasporto, dello stoccaggio, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti».
La direttiva obbliga infatti gli Stati membri ad eliminare i rifiuti senza mettere in pericolo la salute umana e l’ambiente.
( da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE PD DEL CONSIGLIO REGIONALE GIUSEPPE BOVA LO AVEVA PROMESSO: “NON USERO’ MAI L’AUTO BLU”… MA DOPO CINQUE ANNI DI MANDATO PRESENTA UN CONTO STRATOSFERICO PER IL CONSUMO DI CARBURANTE
“Io non uso l’auto blu. E finchè posso ne farò a meno”. 
Marchiato col fuoco, l’impegno d’onore che Giuseppe Bova, già presidente del Consiglio regionale della Calabria, annunciò quasi cinque anni fa è stato mantenuto.
Da quel giorno, e per tutti i giorni della settimana, week end inclusi, Bova, dragone dell’anticasta, protagonista di una delle più feroci lotte alle spese inutili, tagliatore di teste solitario nella regione più sprecona d’Italia, si è diretto alla pompa di benzina da solo.
E dal marzo del 2006 fino al marzo del 2010 ha fatto il pieno conservando però ogni ricevuta per dimostrare il certo.
Ha speso 211mila euro di carburante.
Sono state 1460 giornate durante le quali non si è dato mai malato e ha anzi pigiato sull’acceleratore per connettere lungo l’asse Reggio Calabria-Catanzaro le energie vitali del proprio corpo.
Alla fine ha tirato le somme.
Anzi le ha fatte tirare al dirigente del servizio tesoreria della Regione: gli spostamenti sono infatti costati 211.842 e 42 centesimi di euro.
Tanta benzina è stata bruciata da Bova in ragione della sua passione ipercinetica per la politica.
Si è subito osservato che la mole del bonus rendeva incerta ogni comparazione con altri possessori di motori a scoppio.
Duecentomila euro alla pompa dell’Agip?
Nemmeno lo yacht di Briatore abbisogna di tanto propellente energetico, possibile che l’utilitaria di Bova, l’uomo politico senza auto blu, consumi di più?
Possibile.
Il dubbio però resisteva: vuoi vedere che è uno scherzo di carnevale?
E’ una burla che i nemici di Bova, glorioso rappresentante della sinistra calabrese, già del Pd (ora però fuori dal partito), e prima dei Ds, e ancor prima del Pds, hanno voluto mettere in scena?
Niente. La delibera sembra vera.
Bollettino ufficiale della Calabria, edizione del 16 giugno 2010, determinazione n. 299 del 13 aprile scorso, la numero 103.
All’onorevole Bova più di 211 mila euro cash.
Il suo benzinaio starà festeggiando, pensando alla legislatura che è appena iniziata e ai chilometri che l’ex presidente del consiglio regionale, ferocemente all’opposizione della Giunta Scopelliti, ha in animo di fare, per tenere fede alla sua idea di politica: tutta on the road.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
LA GRANDE FUGA NASCE IN PROVINCIA: ORMAI NON SI CONTANO PIU’ I MOVIMENTO DI TRUPPE LOCALI DA NORD A SUD… ANCHE IN PARLAMENTO I CAPIGRUPPO DEL PDL NON RIESCONO PIU’ A FRENARE IL DISSENSO E I MALUMORI PER LA CONDUZIONE DEL PARTITO: MERCOLEDI PROSSIMO TORTOLI, BONCIANI, TOTO E ROSSO PASSANO CON FUTURO E LIBERTA’
Mercoledì una conferenza stampa sancirà il passaggio di altri tre, forse quattro deputati berlusconiani al nuovo gruppo di Futuro e Libertà , giusto alla vigilia della kermesse di Perugia che nel fine settimana sancirà il lancio in grande stile del partito di Fini.
La fuga dal Pdl è un tam tam battente, in Transatlantico, e porta dritto ai toscani della fronda anti Verdini, Alessio Bonciani e Roberto Tortoli.
Ma anche all’abruzzese Daniele Toto, già dimissionario dal coordinamento a Chieti.
A Roberto Rosso, ex sottosegretario con cinque legislature alle spalle (e scarse chance di ricandidatura).
Ancora, a Giancarlo Mazzuca, emiliano, convocato di gran carriera ieri sera da Cicchitto alla sede di Via dell’Umiltà .
Stando ai finiani saranno almeno tre di loro ad annunciare mercoledì l’adesione a Fli. Se così sarà , il gruppo scavalcherà per numero di deputati anche l’Udc, oggi entrambe le sigle a quota 35.
Coordinatori e capigruppo sono stati precettati da Berlusconi affinchè venga tentato il tutto per tutto per trattenere i malpancisti alla Camera e riportare a più miti consigli i trenta senatori riottosi che martedì sera hanno presentato al gruppo un documento polemico su Pdl e tenuta del governo. “Parlate con loro, trovate voi il modo, non voglio più sentir parlare di malumori” ha intimato il presidente del Consiglio a Cicchitto, a Gasparri, a Verdini poco prima che i coordinatori si riunissero in serata per trovare un compromesso sul nodo della “democrazia interna” invocata da più parti.
Risultato: una giunta consultiva di cinque dirigenti affiancherà i coordinatori e vice locali, d’ora in poi eletti e non più nominati. Basterà per convincere gli insoddisfatti?
Ma dalla Sicilia alla Lombardia, la “fuga” riguarda soprattutto i dirigenti locali.
Da Generazione Italia stimano in circa 2.500 gli amministratori, consiglieri per lo più, che avrebbero abbandonato il Pdl: una settantina in Piemonte, decine in Lombardia, una quarantina nella Toscana di Verdini, un centinaio in Sardegna, il boom tra Sicilia e Campania.
“Il Pdl è totalmente sfasciato anche a livello nazionale, non ha senso continuare a tenerlo cosi” infierisce da La7 il sottosegretario Gianfranco Miccichè, ideatore di “Forza del Sud”.
“Molti passeranno con noi, tre anche prima di Perugia, ci stiamo lavorando io e Italo Bocchino”, svela Fabio Granata mandando su tutte le furie i berlusconiani.
Nel frattempo i finiani annunciano che è pronto anche il simbolo, con forti richiami al tricolore e al momento senza il nome di Fini, da inserire in corsa in caso di elezioni anticipate, tanto più che i sondaggi danno il presidente della Camera a 42 punti di gradimento e il partito all’8%.
Sul simbolo non viene fornito alcun dettaglio onde evitare che qualcuno possa registarne il logo.
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
LUCA PROCACCI E’ AL TEMPO STESSO LEGALE DI COTA, DELLA REGIONE PIEMONTE E PURE COMPONENTE DEL CO.RE.COM, IL COMITATO REGIONALE PER LE COMUNICAZIONI CON DELEGA ALLA PAR CONDICIO, RUOLO PER CUI RICEVE UNA REMUNERAZIONE MENSILE…QUEST’ULTIMO INCARICO RICHIEDE “ASSOLUTA INDIPENDENZA DAL SISTEMA POLITICO ISTITUZIONALE”
Prima il ricorso al Tar per le elezioni regionali fatto dall’ex governatrice Mercedes
Bresso.
Adesso l’indagine sul suo avvocato, Luca Procacci.
Per il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota finito un problema ne comincia un altro.
La Procura regionale della Corte dei Conti ha aperto un fascicolo dopo l’esposto fatto dall’associazione radicale “Adelaide Aglietta” il 15 ottobre affinchè venga accertato “l’eventuale danno erariale” dopo l’accumulo di cariche di Procacci, che è al tempo stesso legale di Cota, della Regione Piemonte e componente del Co.re.com, il comitato regionale per le comunicazioni con delega alla par condicio, ruolo per cui riceve una paga mensile
“Diamo atto alla Corte dei Conti del pronto riscontro al nostro esposto e attendiamo l’espletamento delle indagini — ha detto Giulio Manfredi, del Comitato nazionale Radicali — altrettanta solerzia non dimostra il presidente Cota, da cui attendiamo una risposta”.
Procacci e Cota vennero in effetti già criticati perchè il legale dell’esponente leghista a maggio divenne anche il difensore “ufficiale” della Regione nell’ambito del ricorso al Tar per le irregolarità delle elezioni di marzo.
La scelta venne giustificata dal fatto che l’Avvocatura regionale non aveva membri in grado di seguire il caso.
A questo problema se ne aggiunge un altro.
Secondo i radicali “la legge regionale dice che i componenti del Co.re.com devono dare ‘garanzia di assoluta indipendenza dal sistema politico istituzionale’”, e Procacci non risponde alla richiesta, essendo molto vicino alla Lega Nord.
Manfredi spiega: “Il decreto del Presidente Cota del 26 giugno 2008 nomina Luca Procacci componente del Co.re.com in rappresentanza delle minoranze consiliari”.
E dunque: “O vale la legge o vale il decreto; ma per la gerarchia delle fonti giuridiche prevale la legge e la nomina di Procacci è illegittima”.
Per via di questa regola in passato il Tar rimosse il presidente Corecom, Massimo Negarville, perchè troppo vicino al centrosinistra.
Il 14 ottobre scorso, al momento della presentazione dell’esposto dei Radicali, Luca Procacci replicava: “In ambito politico non ho nessun ruolo. Non vedo incompatibilità . Se poi la legge non va bene, quando saranno in maggioranza la cambieranno. Ma per ora non possono impedirmi di esercitare come libero professionista”.
Ma ora a rileggersi la legge regionale sarà la procura della Corte dei Conti.
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
SONO 128 CLANDESTINI, DI CUI 48 BAMBINI, SBARCATI SULLE COSTE SICILIANE: SAREBBERO DI ORIGINE PALESTINESE…SU ORDINE DEL GOVERNO SONO STATI CHIUSI AL PALASPORT: NONOSTANTE IL PARERE FAVOREVOLE DEL MAGISTRATO CHE STA SVOLGENDO I DOVUTI ACCERTAMENTI, E’ STATO VIETATO L’INGRESSO ALLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE…. MARONI VUOLE NASCONDERLI?
Il prefetto di Catania, Vincenzo Santoro non sente ragioni: quei 128 immigrati (48 sono bambini) che si dichiarano palestinesi, sbarcati ieri sera sulla costa siciliana devono restare chiusi nel Palanitta del capoluogo etneo, “in attesa di indagini”.
Inutili, dunque, sono risultate le richieste di diverse organizzazioni umanitarie come l’Unhcr (l’alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu) l’Arci, Save The Children e lo IOM (International Organization Migration) per poter entrare nella struttura sportiva con l’unico scopo di assistere le persone, molte delle quali potrebbero chiedere asilo politico.
Il prefetto ha negato l’accesso a tutti, sostenendo che erano in corso indagini di polizia giudiziaria.
Le organizzazioni non hanno però desistito e sono andate dal sostituto procuratore della Repubblica, Agata Consoli, che sta facendo gli accertamenti proprio su questo gruppo di persone, per chiederle spiegazioni sul divieto imposto dal prefetto.
La pm ha però risposto – per iscritto – che non esisteva alcun ostacolo all’ingresso delle organizzazioni umanitarie.
Ma non è bastato.
In Prefettura, infatti, si continua ancora ad impedire l’accesso a chiunque. Anzi, a chi ha sottoposto le affermazioni scritte del magistrato titolare delle indagini, secondo le quali non esistono ragioni che possano giustificare l’ingresso di persone per scopi umanitari, è stato risposto che quell’atto scritto non ha nessun valore.
Il risultato è che i profughi continuano a restare rinchiusi nella struttura alla periferia di Catania, con il rischio di essere rimpatriati probabilmente senza avere la possibilità concreta di esercitare il diritto – previsto dalla nostra Costituzione – di chiedere asilo politico.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati esprime preoccupazione per non aver avuto finora la possibilità di entrare in contatto con i 128 migranti – fra i quali 48 minori – trattenuti da ieri nell’impianto sportivo Palanitta di Catania, dopo essere stati intercettati a largo delle coste. Fin da ieri l’UNHCR ha cercato di ottenere informazioni in merito a questa situazione chiedendo di poter incontrare le persone sbarcate, senza però ricevere alcuna delucidazione riguardo ai tempi di attesa.
Nonostante le indagini di polizia in corso richiedano misure di riservatezza, l’Alto Commissariato per i Rifugiati auspica che venga consentito l’accesso delle organizzazioni facenti parte del progetto Praesidium e degli enti di tutela prima che siano presi provvedimenti sullo status giuridico dei migranti ed eventuali misure di allontanamento dal territorio italiano.
L’ UNHCR, assieme all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), alla Croce Rossa Italiana (CRI) e a Save the Children, opera in Sicilia nell’ambito del progetto Praesidium, finanziato dal Ministero dell’Interno, con l’obiettivo di fornire informazioni e orientamento a coloro che arrivano sulle coste siciliane e di rafforzare le capacità di accoglienza.
Il mancato accesso ai 128 migranti risulta quindi non conforme alle modalità operative dello stesso progetto.
In cinque anni di attuazione, il progetto Praesidium ha contribuito ad una gestione trasparente dell’accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo giunti in Italia attraverso il Mediterraneo consentendo a chi ne aveva bisogno di richiedere la protezione internazionale.
Un conto è non concedere, a ragion veduta ed esaminati i singoli casi, asilo politico, altra cosa è “nascondere” i profughi e impedire loro di fare la richiesta cui hanno diritto.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio: nonostante le condanne piovute sul nostro Paese per violazione delle convenzioni internazionali dagli organismi europei, qualcuno si ostina a volere fare il furbo.
Senza capire che così si sputtana il Paese perchè le leggi vanno rispettate: prima dell’avvento leghista al governo, l’Italia era considerata non a caso la patria del diritto.
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
LA MINORENNE MAROCCHINA FU FERMATA PER FURTO, MENTRE ERA IN QUESTURA INTERVENNE PALAZZO CHIGI: “RILASCIATELA, E’ LA NIPOTE DI MURABAK”… INDAGATI LELE MORA, EMILIO FEDE E NICOLE MINETTI…UN ALTRO SCANDALO SULLE “FESTE” DEL PREMIER
Alla questura di Milano, nello stanzone del “Fotosegnalamento”, c’è solo Ruby R.,
marocchina.
Dire “solo” è un errore, perchè Ruby è molto bella e non si può non guardarla. Se ne sta sulla soglia, accanto alla porta, e attende che i due agenti in camice bianco eseguano il loro lavoro, ma è come se occupasse l’intera stanza.
E’ il 27 maggio di quest’anno, è passata la mezzanotte e i poliziotti hanno già fatto una prova: la luce bianca, accecante, funziona alla perfezione.
La procedura è rigorosa, nei casi in cui un minorenne straniero viene trovato senza documenti: finiti gli accertamenti sull’identità , se non ha una casa o una famiglia, sarà inviato, dopo aver informato la procura dei minori, in una comunità .
È quel che gli agenti si preparano a fare, perchè Ruby ha diciassette anni e sei mesi (è nata l’11 novembre del 1992) e all’indirizzo che ha dato, in via V., non ha risposto nessuno.
Era anche prevedibile: ci abita un’amica che, dice Ruby, è una escort e se ne sta spesso in giro.
All’improvviso, il silenzio dello stanzone si rompe. Una voce si alza nel corridoio. E, alquanto trafelata, appare una funzionaria. “Chiudete tutto e mandatela via!”, è il suo ordine categorico.
Gli agenti sono stupiti. L’altra, la funzionaria, è costretta a ripetere: basta così, la lasciamo andare, fuori c’è chi l’aspetta!
Non è che le cose vanno sempre in questo modo, in una questura.
La ragazza non ha i documenti. Per di più, il computer ha sputato la sua sentenza: l’anno prima Ruby si è allontanata – era il maggio del 2009 – da una casa famiglia a Messina, dove vivono i suoi.
Anche il motivo per cui è finita in questura non è una bazzecola: è accusata di un furto che vale i due stipendi mensili dei poliziotti.
Le cose sono andate così.
Qualche sera prima, una ragazza che ama la discoteca, Caterina P., va in un locale con due amiche. Ballano sino a tardi. Quando lasciano il “privè”, si ritrovano insieme a Ruby R. e tutt’e quattro s’arrangiano a casa di Caterina. La mattina dopo, mentre Ruby dorme come un sasso, o così sembra, le tre amiche vanno a fare colazione al bar sotto casa.
Al rientro, Ruby non c’è più, e chi se ne importa. Ma mancano anche tremila euro da un cassetto e qualche gioiello. Caterina maledice se stessa. Non sa da dove sia piovuta quella ragazzina, non sa dove abita, non sa dove cercarla. Il caso l’aiuta.
Il 27 maggio il sole è tramontato da un pezzo e Caterina passeggia in corso Buenos Aires, quando intravede Ruby in un centro benessere. Chiama subito il 113 e accusa la ladra. La volante Monforte è la più vicina e la centrale operativa la spedisce sul posto. Ruby viene presa e accompagnata al “Fotosegnalamento”.
Con una storia come questa, ancora tutta da chiarire, come si fa a lasciarla andare?
Gli agenti lo chiedono alla funzionaria. La funzionaria scuote il capo.
Dice: di sopra (dove sono gli uffici del questore) c’è il macello, Pietro Ostuni (è il capo di gabinetto) ha già chiamato un paio di volte e vedete (il telefono squilla) ancora chiama. E’ la presidenza del Consiglio da Roma. Dicono di lasciare andare subito la ragazza, pare che questa qui sia la nipote di Mubarak, non ci vogliono nè fotografie, nè relazioni di servizio.
Tutti adesso guardano la ragazza. “E chi è Mubarak?”, chiede un agente.
Il presidente egiziano, spiega con pazienza la funzionaria. Che intanto risponde all’ennesima telefonata del capo di gabinetto, per poi dire: forza ragazzi, facciamo presto, Ostuni ha detto a Palazzo Chigi che la ragazza è già stata mandata via.
L’ultimo affaire o scandalo che investe Silvio Berlusconi nasce dunque tra il primo piano e il piano terra di via Fatebenefratelli 11, in una notte di fine maggio.
Ha come protagonista una minorenne, senza documenti, accusata di furto. E come canovaccio ha una stravaganza: la ragazza viene liberata per l’energica pressione di Palazzo Chigi, che sostiene sia “la nipote di Hosni Mubarak”. Che cosa c’entra la presidenza del Consiglio con una “ladra”?
E perchè qualcuno a nome del governo mente sulla sua identità ?
Quali sono stati gli argomenti che hanno convinto la questura di Milano a insabbiare un’identificazione, in ogni caso a fare un passo storto?
Le anomalie di quella notte non finiscono, perchè ora entra in scena un nuovo personaggio. Attende Ruby all’ingresso della questura.
E’ Nicole Minetti e ha avuto il suo momento di notorietà quando, igienista dentale di Silvio Berlusconi, a 25 anni è stata candidata con successo al Consiglio regionale della Lombardia.
Nicole sa del “fermo” di Ruby in tempo reale da un’amica comune. Fa un po’ di telefonate, anche a Roma, e si precipita all’ufficio denunzie. Chiede di vedere la ragazza. Pretende di portarsela via. Dice che Ruby ha dei problemi e lei se ne sta occupando come una sorella maggiore, ma non riesce a superare il primo cortile della questura.
Soltanto quando Palazzo Chigi chiamerà il capo di gabinetto, la situazione si farà fluida e il procuratore dei minori di turno, interpellato al telefono, autorizzerà l’affidamento di Ruby a Nicole e – ora sono quasi le tre del mattino del 28 maggio – le due amiche si possono finalmente allontanare.
Che cosa succede dopo lo spiegherà Ruby, ma in un interrogatorio che avviene due mesi più tardi: a luglio, quando l’affaire sminuzzato in questura si materializza. Prima al tribunale dei minori e, subito dopo, alla procura di Milano, dinanzi al pool per i reati sessuali.
Una volta in strada Nicole, sostiene Ruby, chiama Silvio Berlusconi: è stato Silvio a dirle di correre in questura; è stato Silvio a raccomandarsi di tenerlo informato e di chiamare appena la cosa si fosse chiarita.
Ora che è finita l’emergenza, Nicole spiega, ride alle carinerie del premier e poi passa il telefono direttamente a Ruby.
Silvio mi dice così: non sei egiziana, non sei maggiorenne, ma io ti voglio bene lo stesso. Da allora non l’ho più visto, ma in questi mesi ci siamo sentiti ancora per telefono.
Ora bisogna spiegare quali sono i rapporti di Ruby con Silvio Berlusconi e non è facile, perchè il loro legame viene ricostruito in un’indagine giudiziaria che deve chiarire (lo ha fatto finora soltanto parzialmente e in modo non esaustivo o definitivo) quando la giovanissima Ruby dice il vero e quando il falso.
E’ un’inchiesta (l’ipotesi di reato è favoreggiamento della prostituzione) in cui il premier non è indagato, anche se gli indagati ci sono e sono tre: Lele Mora, Nicole Minetti, Emilio Fede.
Anzi, il premier potrebbe diventare addirittura parte lesa, perchè prigioniero di un ricatto, vittima di una calunnia o addirittura perseguitato da un’estorsione.
Per evitare gli equivoci molesti disseminati in questi giorni, conviene dire subito che dinanzi ai pubblici ministeri Ruby esclude di aver fatto sesso con il capo del governo.
Come confessa di aver mentito a Berlusconi: gli ho detto di avere ventiquattro anni e non diciassette. Nicole sapeva che ero minorenne e poi anche Lele, Lele Mora, lo ha saputo.
Ruby però racconta delle sue tre visite ad Arcore, delle feste in villa e delle decine di giovani donne famose o prive di fama – molte escort – che vi partecipano.
La minorenne fa entrare negli atti giudiziari un’espressione inedita, il “bunga bunga”. Viene chiamata in questo modo l’abitudine del padrone di casa d’invitare alcune ospiti, le più disponibili, a un dopo-cena erotico.
“Silvio (lo chiamo Silvio e non Papi come gli piacerebbe essere chiamato) mi disse che quella formula – “bunga bunga” – l’aveva copiata da Gheddafi: è un rito del suo harem africano”.
Ruby è stata interrogata un paio di volte a luglio, è però in un interrogatorio in agosto che esplicitamente comincia a raccontare meglio i suoi rapporti con Berlusconi, Fede, Mora e Nicole Minetti. Conviene darle la parola.
Sostiene Ruby che poco più di un anno fa – era ancora in Sicilia – conosce il direttore del Tg4. Emilio Fede è il presidente e il protagonista della giuria di un concorso di bellezza.
Come già è accaduto nell’autunno del 2008 con Noemi Letizia, il giornalista, 79 anni, è amichevole e affettuoso con Ruby. Si dà da fare per il suo futuro, presentandole Lele Mora. Le dice che Lele l’avrebbe potuta aiutare, se avesse avuto voglia di lavorare nel mondo dello spettacolo. Continua »
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, emergenza, radici e valori | 1 Commento »