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IERI IL DOCUMENTO ECONOMICO E’ PASSATO ALLA CAMERA PER LE ASSENZE DELL’OPPOSIZIONE, SOLO 283 I SI’, UN’ALTRA OCCASIONE PERSA

Aprile 29th, 2011 Riccardo Fucile

COME AL SOLITO, QUANDO SI TRATTA DI MANDARE SOTTO IL GOVERNO, L’OPPOSIZIONE LATITA: SE FOSSERO STATI TUTTI PRESENTI SI SAREBBE APERTA UNA CRISI DI GOVERNO… ASSENTI 18 DEPUTATI DEL PD (SOLO 2 GIUSTIFICATI IN MISSIONE), 10 DELL’UDC (1 IN MISSIONE), 6 DI FLI (1 IN MISSIONE) 4 DELL’IDV (2 IN MISSIONE)…I “RESPONSABILI” NON AVEVANO VOTATO…NELLA MAGGIORANZA MANCAVANO 21 DEL PDL E 6 DELLA LEGA

Il Documento di economia e finanza è passato alla Camera con soli 283 voti, contro 263 no e un astenuto.
Se i quaranta deputati dell’opposizione assenti dall’Aula avessero partecipato alla votazione sulla risoluzione di maggioranza che approvava il Def, il governo sarebbe stato battuto.
Alla votazione non hanno partecipato anche 6 deputati del gruppo di Iniziativa responsabile.
In particolare, al voto erano assenti 18 deputati del Pd (di cui due in missione), dieci dell’Udc (uno era in missione), sei di Fli (uno) e quattro dell’Idv (due in missione); oltre questi sono mancati un paio di voti dal gruppo misto, riconducibili a Api e Mpa.
Vistose le assenze nella maggioranza, malgrado la presenza in aula di diversi ministri e sottosegretari.
Gli assenti del Pdl sono stati 21, di cui tredici in missione.
Alla Lega sono mancati sei voti (cinque in missione, fra cui i ministri Umberto Bossi e Roberto Maroni).
Infine, sei i Responsabili assenti: mentre due erano in missione, Pippo Gianni, Paolo Guzzanti, Francesco Pionati e Maria Grazia Siliquini non hanno partecipato al voto.
L’unico astenuto è stato Siegfried Brugger delle Minoranze linguistiche.
Chissà  come mai, quando la maggioranza è in difficoltà , diversi deputati dell’opposizione spariscono.

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RINVIATI PRESCRIZIONE E PROCESSO LUNGO: IL PDL HA PAURA DEL VOTO AMMINISTRATIVO E CONGELA LE LEGGI AD PERSONAM

Aprile 29th, 2011 Riccardo Fucile

DAI SONDAGGI EMERGEVA CHE LE LEGGI PRO-SILVIO PORTAVANO VOTI ALLE OPPOSIZIONI: MEGLIO ALLORA RINVIARLE AL DOPO URNE…LA   VERGOGNOSA RITIRATA DEL PARTITO DEGLI ACCATTONI E DEI SERVI LEGHISTI

Accelerano solo sulla riforma della giustizia, che Berlusconi sponsorizza e a cui Alfano tiene come suo personale fiore all’occhiello.
Se n’è già  avuta la conferma quando Donato Bruno, il presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, ha tagliato corto sui distinguo del Pd per le future audizioni, chiedendo un elenco stringato e garantendo che la prossima settimana già  si parte con le relazioni.
Dopo aver superato il nodo irrisolto di chi dovrà  fare il relatore, se lui stesso, Gaetano Pecorella o il siciliano Enrico La Loggia.
Ma nel mese delle amministrative è forse questo l’unico brivido parlamentare sulla giustizia, perchè sui progetti di legge caldi, la prescrizione breve e il processo lungo, i giuristi del premier stanno meditando un saggio rinvio.
Ecco un “disoccupato” Maurizio Paniz in Transatlantico: “Novità ? Notizie? Rilassatevi, è tutto tranquillo”.
Idem al Senato, dove il presidente della commissione Giustizia Filippo Berselli si è concesso una settimana di campagna elettorale a Bologna e dove il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri minimizza: “Il processo lungo in aula? Ma noi teniamo la capigruppo una volta alla settimana”.
A sorpresa l’atteggiamento dei berluscones, spiegabile e spiegato solo con ragioni di cassetta elettorale.
Perchè se gli attacchi di Berlusconi ai giudici nei comizi gli portano voti, non altrettanto avviene se poi in concreto, in una delle due Camere, va in onda lo scontro violento su una legge ad personam.
Com’è accaduto alla Camera per la prescrizione breve.
Lì guadagna il centrosinistra che gioca sul sentimento anti casta della gente.
Lo spartiacque sarà  il voto amministrativo. Il suo esito. La vittoria o la sconfitta a Milano. Strategica per il Cavaliere.
Tutto cambia per la giustizia se la Moratti vince o se è costretta ad andare al ballottaggio con Pisapia.
Nel primo caso, subito alla ripresa del lavoro a palazzo Madama, potrebbe arrivare in aula la leggina sul processo lungo, due articoli, uno sullo strapotere degli avvocati in udienza, uno sul divieto di usare le sentenze passate in giudicato.
Cui si aggiungerà  quello più succoso, l’immediata sospensione del processo per un conflitto, in analogia con quanto avviene per il ricorso del giudice alla Corte. Ma se il voto andrà  male tutto sarà  rinviato a giugno, ad urne chiuse.
Scontato che il voto finale sulla prescrizione breve, anch’esso al Senato, avverrà  a giugno.
È in chiave elettorale che, a Montecitorio, più d’uno interpreta il ritardo con cui viene definito il testo del conflitto per Ruby.
Votato il 5 aprile, è stato affidato alle cure dell’avvocato della Camera Roberto Nania.
Magari sarà  questione di ore, ma tre settimane non sono poche per un testo di cui si conoscevano le motivazioni, ampiamente illustrate nel dibattito in aula. Volontà  di saltare a piè pari la Corte presieduta da De Siervo, o necessità  di evitare che la pronuncia di ammissibilità  o la bocciatura del conflitto possa cadere prima del voto?
Scrupolo eccessivo, visto che i tempi della Corte sono assai più lunghi.
Ma il fatto resta: dopo il rush pure il conflitto finisce nel dimenticatoio.

Liana Milella
(da “la Repubblica“)

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CASE POPOLARI A MILANO, TANGENTI SUGLI APPALTI: INDAGATO UN CANDIDATO DEL PDL, GENERO DI ROMANO LA RUSSA

Aprile 29th, 2011 Riccardo Fucile

NELL’INCHIESTA ALER FINISCE ANCHE MARCO OSNATO, CONSIGLIERE COMUNALE USCENTE E IN LISTA CON LA MORATTI ALLE PROSSIME ELEZIONI…ACCUSATO DI CORRUZIONE E TURBATIVA D’ASTA

Turbativa d’asta e corruzione. Tra gli almeno sei indagati dalla procura di Milano sugli appalti per i lavori di pulizie e gestione del verde del patrimonio immobiliare Aler, figurano il direttore generale Aler, Domenico Ippolito, e il direttore dell’area gestionale dell’Aler, Marco Osnato, genero di Romano La Russa, consigliere comunale uscente e candidato alle prossime amministrative nella lista di Letizia Moratti sindaco e coordinatore vicario del Pdl milanese.
A riportare la notizia è il Corriere della Sera in un articolo di Luigi Ferrarella nelle pagine della cronaca cittadina.
Nell’inchiesta anche l’avvocato che guida l’ufficio legale e appalti dell’ente, Irene Comizzoli; la responsabile dell’ufficio di segreteria del presidente Loris Zaffra nonchè componente del gruppo tutela patrimonio dell’ente in chiave anti-abusivismo, Anna Bubbico; e due amministrato di centinaia di alloggi Aler, Antonio De Luca (marito della Bubbico) e Luca Bellisomo.
Secondo quanto riporta il quotidiano di via Solferino, “alcuni di questi nomi erano già  stati evocati nell’esposto che il 19 marzo dell’anno scorso l’associazione Sos Racket e usura di Frediano Manzi aveva presentato in Procura, allegando anche la registrazione di una conversazione con ‘un ingegnere che ha lavorato per anni partecipando a bandi e gare d’appalto per l’Aler’ e che accreditava l’esistenza di una prassi tangentizia in seno all’ente”.
I pm Antonio Sangermano e Maurizio Romanelli, stanno valutando, scrive Ferrarella, la delibera dell’Aler con la quale si sperimentava nella provincia milanese una sorta di autogestione degli amministratori di condominio, affiancati da alcuni individuati funzionari Aler, nella scelta dei modi e delle aziende con i quali assicurare i servizi di pulizie e di gestione del verde.
Ma il dubbio degli inquirenti “pare essere che dietro questo meccanismo vi sia stata la volontà  di evitare gare d’appalto attraverso il frazionamento dei lavori in piccoli lotti, in modo da consentire a taluni amministratori degli stabili, ritenuti politicamente più ‘vicini’ ad alcuni dirigenti Aler, di poterli assegnare a trattativa privata ad aziende di fiducia, con qualche genere di ‘ritorno’ economico che traspare dalla contestazione di corruzione”, scrive ancora il Corriere.
Così, dopo l’inchiesta sulle firme false del listino di Roberto Formigoni e il caso dei manifesti “Via le Br dalle Procure” di Roberto Lassini candidato nella lista Moratti alle comunali, arriva la terza inchiesta che coinvolge esponenti del Pdl.

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LA CAMPAGNA ELETTORALE DEL CANDIDATO PDL FILONI A GALLARATE: “DATE IL 5 PER MILLE ALLE ONLUS CITTADINE”

Aprile 29th, 2011 Riccardo Fucile

MA LE ASSOCIAZIONI SONO ALL’OSCURO DELLA SUA INIZIATIVA E MOLTE NON VOGLIONO AVERE NULLA A CHE FARE CON LUI E LA POLITICA E SI SENTONO STRUMENTALIZZATE…C’E’ ANCHE CHI CON IL COMUNE E’ IN GUERRA DA TEMPO PER PROMESSE NON MANTENUTE

Chi sono i migliori alleati di un candidato alle elezioni amministrative di una piccola città ? Senza ombra di dubbio le associazioni.
Se un uomo qualunque per farsi eleggere deve contare su reti di amici e familiari, un personaggio introdotto nel mondo associativo ha certamente qualche chance in più di racimolare voti.
Perchè allora non puntare dritto al cuore di tutte le associazioni attive sul territorio del comune?
E’ quello che deve aver pensato Giuseppe Filoni, candidato consigliere nelle fila del Pdl di Gallarate (la città  della provincia di Varese già  salita agli onori delle cronache per aver partorito delle alleanze inedite tra le varie liste in gara).
In questi giorni, come riporta il quotidiano La Provincia di Varese, per le vie della città  sono comparsi manifesti e volantini su cui, oltre a pubblicizzare il candidato (con tanto di foto, simbolo e nome in bella vista), viene sciorinato un lungo e dettagliato elenco di associazioni, accompagnato dall’invito a versare il 5 per mille in favore di una di queste: “La tua firma per la tua città  — si legge — a te non costa nulla, per Gallarate è un aiuto pazzesco”.
Peccato che le associazioni citate non ne sapessero nulla.
“Noi non abbiamo avuto nessun tipo di contatto per questa cosa — spiega Daniela Capitanucci di Azzardo nuove dipendenze -. Lo abbiamo appreso dai giornali. Come associazione di promozione sociale non ci colleghiamo a nessun partito politico, vale per qualunque partito, non è una presa di posizione nei confronti del Pdl. Si tratta di una scelta per tutelare i nostri soci che devono sentirsi liberi di condividere le finalità  dell’associazione senza schierarsi sotto una bandiera di partito. Non nascondo che questa cosa ci ha messo in difficoltà , oggi mi sono sentita in dovere di giustificarmi con tutti gli altri interlocutori con cui noi abbiamo comunque rapporti per chiarire che non stiamo facendo campagna elettorale per nessuno”.
Dal canto suo Filoni ha puntualizzato che il suo è stato un gesto “nobile”, lontano da qualunque volontà  di servirsi del nome e dell’immagine delle associazioni: “Ho pubblicato i nomi e i dati di tutte le associazioni, senza mai affermare che queste sostenessero la mia candidatura — ha detto lo stesso autore dei manifesti – non abbiamo chiesto niente a nessuno perchè non volevamo dare adito a dubbi sulla nostra onestà “.
Se è vero e plausibile che alla base del manifesto potesse esserci un intento filantropico, agli occhi dei più attenti non è sfuggito un altro dettaglio: “Mi stupisce che un candidato per le elezioni comunali — ha aggiunto Daniela Capitanucci – sponsorizzi il 5 per mille alle associazioni quando anche lo stesso comune è uno dei potenziali beneficiari”.
Tra le associazioni più inviperite per la trovata di Filoni c’è il Nuoto Club Gallarate che nella storia recente ha ricevuto trattamenti decisamente in contrasto con lo spirito di collaborazione e sincero aiuto di cui il candidato si è fatto interprete: “Sulla nostra testa incombe un’ingiunzione di pagamento da 100 mila euro emessa dalla municipalizzata Amsc per il buco della passata stagione — spiega Barbara Allaria — un buco frutto di accordi non mantenuti e su cui il comune non ci ha mai fornito alcun sostegno”.
Una vicenda lunga e complicata, fatta di liti e rimpalli di responsabilità , che stride con l’invito formulato dal candidato: “È evidente che questa cosa del 5 per mille non ci fa nè male nè bene — continua —, ma la vicenda assume toni grotteschi se la analizziamo alla luce dei trascorsi, con un comune (a marca Pdl, ndr) che non sembra far altro che metterci i bastoni tra le ruote”.

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“INVISIBILI” PER 10 ORE A CAUSA DI UN GUASTO DEL SERVER ARUBA: CI SCUSIAMO CON I LETTORI

Aprile 29th, 2011 Riccardo Fucile

COME NOI, SONO RIMASTI FERMI MILIONI DI SITI IN ITALIA…UN PRINCIPIO DI INCENDIO NELLA CENTRALE DI AREZZO, STAMANE ALLE 4, AVEVA IMPOSTO LO SPEGNIMENTO DELLE MACCHINE

Sono stati milioni i siti italiani che si sono fermati stamane per un problema del server Aruba.
Per chi si collegava poteva sembrare un problema tecnico e un disservizio temporaneo: il dominio del fornitore italiano di servizi di hosting è appena stato ripristinato, ma milioni di siti che si appoggiano alla sua infrastruttura   sono rimasti bloccati per ore, compresi i servizi di posta elettronica a causa di un incidente.
Dalle quattro di stamattina è entrato in azione il sistema di spegnimento dell’erogazione dell’energia a causa di un principio di incendio.
Per fortuna le fiamme sono state domate e sono state adottate le verifiche
di sicurezza per poter far ripartire le macchine.
Si è trattatp del più grande black-out del web in Italia, dato che Aruba è il principale provider di servizi internet.
Per fortuna l’incendio nella zona degli Ups non ha coinvolto le sale dove si trovano i dati del provider.
La notizia era stata diffusa su Twitter.
Aruba ha aggiunto che ha giustamente “privilegiando la sicurezza delle persone”, perchè “la riaccensione senza dovute verifiche avrebbe creato un pericolo e il rischio di nuove ricadute”.
Aruba ha 1,5 milioni di domini mantenuti, 3.000 mq di datacenter e oltre 10.000 server gestiti.
Per questo l’incidente avvenuto oggi ha avuto un impatto molto forte sul web.
Ci scusiamo in ogni caso con i nostri lettori per le ore in cui siamo rimasti “invisibili” per causa indipendenti dalla nostra volontà .

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BOCCIATA DALLA UE LA NORMA ITALIANA SUL REATO DI CLANDESTINITA’: ALL’INCAPACE MARONI SI E’ SFASCIATO IL “PACCO” SICUREZZA

Aprile 28th, 2011 Riccardo Fucile

LA CORTE DI GIUSTIZIA DEL LUSSEMBURGO CONSIDERA LA PENA DELLA RECLUSIONE PER GLI IRREGOLARI IN CONTRASTO CON LA DIRETTIVA COMUNITARIA SUI RIMPATRI “NEL RISPETTO DEI DIRITTI FONDAMENTALI”…L’ORGANISMO INVITA I GIUDICI ITALIANI A NON APPLICARE LA LEGGE: QUESTO E’ IL RISULTATO DELLA POLITICA XENOFOBA DEL GOVERNO DEGLI ACCATTONI

Quasi isolati, a destra, lo avevamo sostenuto due anni fa.
Ora la Corte di Giustizia della Ue ha bocciato la norma italiana che prevede il reato di clandestinità , introdotto nell’ordinamento italiano nel 2009 nell’ambito del “pacchetto sicurezza” e che punisce con la reclusione gli immigrati irregolari.
La norma – spiegano i giudici europei – è in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri dei clandestini.
Nell’esprimere il suo verdetto, la Corte, composta da un giudice per ognuno degli Stati membri dell’Unione, assolve alla più importante delle sue prerogative: garantire che la legislazione Ue sia interpretata e applicata in modo uniforme in tutti i paesi dell’Unione per rendere effettivo il principio che la legge è uguale per tutti.
A porre in evidente contrasto la legge italiana con la direttiva comunitaria, si legge in una nota diffusa dalla Corte, è la reclusione con cui l’Italia punisce “il cittadino di un paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato a un ordine di lasciare il territorio nazionale”.
Reclusione che compromette la realizzazione dell’obiettivo della direttiva Ue “di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali”.
Compromette l’obiettivo della direttiva comunitaria, ad esempio, il caso di Hassen El Dridi, algerino condannato a fine 2010 a un anno di reclusione dal tribunale di Trento per non aver rispettato l’ordine di espulsione.
Sentenza che El Dridi impugnò presso la Corte d’appello di Trento, da cui partì la richiesta alla Corte di Giustizia di chiarire se la legge italiana fosse in contrasto con la direttiva Ue sul rimpatrio dei cittadini irregolari di paesi terzi.
Secondo i giudici europei, “gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo, una pena detentiva, come quella prevista dalla normativa nazionale in discussione, solo perchè un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare su detto territorio”.
In conseguenza della sentenza Ue, conclude la Corte del Lussemburgo, il giudice nazionale “dovrà  quindi disapplicare ogni disposizione nazionale contraria alla direttiva – segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni – e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, che fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”.
La Corte afferma come gli Stati membri non possano applicare regole più severe di quelle previste dalle procedure della direttiva Ue sui rimpatri.
Una procedura graduale, divisa in più fasi.
La prima consiste nell’adozione di una “decisione di rimpatrio”, nell’ambito di tale fase va accordata priorità , spiega ancora la Corte, “a una possibile partenza volontaria, per la quale all’interessato è di regola impartito un termine compreso tra sette e trenta giorni”.
Nel caso in cui la partenza volontaria non sia avvenuta entro il termine stabilito, “la direttiva impone allo Stato membro di procedere all’allontanamento coattivo, prendendo le misure meno coercitive possibili”. Lo Stato può procedere al fermo soltanto “qualora l’allontanamento rischi di essere compromesso dal comportamento dell’interessato”.
Il trattenimento deve avere “durata quanto più breve possibile”, essere “riesaminato a intervalli ragionevoli”, deve cessare “appena risulti che non esiste più una prospettiva ragionevole di allontanamento” e la sua durata “non può oltrepassare i 18 mesi”.
Inoltre, ricorda la Corte di Giustizia, “gli interessati devono essere collocati in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritto comune”.
Il primo a commentare la bocciatura comunitaria della legge italiana è Antonio Di Pietro. “E’ ormai provato – afferma il leader di Idv – che siamo di fronte a una dittatura strisciante in cui vengono presi provvedimenti contro la Carta dei diritti dell’uomo, si dichiara guerra senza passare per il Parlamento e si occupano le istituzioni per fini personali”.
Per il Pd, si tratta di “un altro schiaffo al ministro Maroni”.
“Sin da quando Maroni presentò il reato nel pacchetto sicurezza – ricorda Sandro Gozi, responsabile per le politiche europee del partito – avevamo denunciato l’evidente violazione delle norme europee e sono due anni che chiediamo al governo di recepire la direttiva Ue sui rimpatri, che giace dimenticata da qualche parte alla Camera, surclassata da processo breve e testamento biologico”.
Laconico il commento di Rosy Bindi. “Sull’immigrazione le figuracce del governo italiano non finiscono mai – dice la presidente dei democratici -. La Corte di Giustizia europea mette a nudo le violazioni dei diritti umani, l’approssimazione e i ritardi di norme approvate solo per fare propaganda, dimostrando un’efficacia che alla prova dei fatti pari a zero. Del resto, cosa aspettarsi da un governo prigioniero delle parole d’ordine della Lega e incapace di affrontare con serietà  e giustizia il fenomeno globale e inedito dell’immigrazione”.
Per Benedetto Della Vedova, capogruppo di Fli alla Camera, la bocciatura “non è, come molti vorranno fare apparire, una sentenza buonista. A essere stata bocciata è una norma demagogica e inefficiente, che aggrava l’arretrato giudiziario e il sovraffollamento carcerario, senza migliorare e al contrario intralciando le procedure di espulsione e rimpatrio degli immigrati irregolari”.

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TRA “IL GIORNALE” E “LA PADANIA” VOLANO GLI STRACCI: “TREMONTI AIZZA LA LEGA”, “IL CAV SBAGLIA”, “GIULIO PERDE LA TESTA”

Aprile 28th, 2011 Riccardo Fucile

DRAGHI ALLA BCE E OPA SU PARMALAT SONO SULLO SFONDO DEI MALUMORI…SALLUSTI AMMETTE MALUMORI, MA AMMONISCE: “SFASCIARE TUTTO PER CHE COSA?”…LA PADANIA USA IL SUO CHIODO FISSO: “BOMBE UGUALE PIU’ CLANDESTINI”

«Altro che Libia e clandestini: dietro lo strappo del Carroccio c’è la manina del ministro Tremonti che vuole vendicarsi della nomina di Draghi alla Bce e dell’Opa francese su Parmalat».
Alessandro Sallusti non è Bondi nè Verdini nè La Russa – il triunvirato di coordinatori del Popolo delle Libertà  -, ma il Giornale da lui diretto, quotidiano della famiglia Berlusconi, è considerato un termometro affidabile per misurare gli umori in casa Pdl e soprattutto dalle parti del Cavaliere.
Umori, ma soprattutto malumori, dopo le ultime sortite leghiste sulla questione libica con l’invito esplicito di Maroni a portare il caso in Parlamento.
Che Tremonti non abbia gradito le manovre francesi attorno al latte italiano e l’avallo arrivato all’opa dal premier in occasione del vertice italo-francese dei giorni scorsi è cosa nota.
Ma per il Giornale il ministro dell’Economia non si sarebbe limitato ad una manifestazione di disappunto.
Avrebbe invece in corpo un risentimento tale da indurlo ad «aizzare» – questo il verbo utilizzato – gli amici della Lega contro il governo.
Da cui sarebbe sortito l’altolà  di Bossi sui bombardamenti e l’invito di Maroni a portare in Aula la questione Libia.
Esplicito l’occhiello in rosso che sulla prima del quotidiano di via Negri introduce il titolo di apertura: «Giulio perde la testa».
Nel suo editoriale Sallusti riconosce che ci sono effettivi malumori in casa leghista, culminati nel titolo della Padania di mercoledì «Berlusconi in ginocchio a Parigi» ma si dice certo che Bossi «sa che il progetto federalista è realizzabile soltanto al fianco del Pdl» e ammonisce la Lega: «Sfasciare tutto per che cosa? Per vendicare Tremonti? Un po’ poco ed è difficile farlo digerire al popolo leghista».
La Lega, dal canto suo, torna ad insistere sulla questione immigrazione, che per il Giornale sarebbe solo un pretesto.
Anche oggi la Padania lo dice a caratteri cubitali: «Bombe uguale più clandestini».
Sottotitolo: «Il Carroccio non arretra e resta contrario all’intervento militare italiano, come anticipato da Bossi su la Padania».
E in un’intervista ad Affaritaliani.it il sindaco di Treviso, Gian Paolo Gobbo, che è anche il capo della Lega in Veneto, lo dice senza girarci troppo attorno: «Certamente ci sono due posizioni che sembrano inconciliabili…».
Ci può dunque essere la crisi? «Può darsi».

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MENTRE NEL GOVERNO ESPLODEVA LA GUERRA PER BANDE, SILVIO SE LA SPASSAVA NEGLI STUDI RAI

Aprile 28th, 2011 Riccardo Fucile

IL PREMIER SI TRASFORMA IN “COREOGRAFO PER UNA NOTTE”, ORGANIZZA LO SHOW DI SGARBI E RACCONTA UNA PENOSA BARZELLETTA SU SARKOZY…OLTRE ALLE SEXYGAG STAVOLTA FA ANCHE UN TUFFO DA ROCKSTAR

Martedì 26 aprile, giornata faticosa, nervosa e irritante.
Un vertice lungo e umiliante con il presidente francese, ex amato ora odiato; una scalata in Borsa di Lactalis che stende il governo, ennesima lite con Giulio Tremonti; la bugia nazionale del nucleare e le bombe in Libia che accendono la Lega Nord.
Ma non immaginatevi un Berlusconi preoccupato.
Salutato Sarkò, liquidato Bossi e ignorato il superministro dell’Economia, il presidente del Consiglio ha ricevuto un invito galante, anzi curioso.
E corre con Vittorio Sgarbi, seguito da berline e blindati di scorta, verso gli studi Rai di via Tiburtina, periferia romana al confine con il centro.
Lì dove il sindaco di Salemi, moderno Bernini, ordina a operai e maestranze di alzare statue ad altezza d’uomo oppure di creare effetti speciali. In un cantiere promettente e ingarbugliato, a mezzanotte, Berlusconi libera la tensione e la rabbia francese, cerca l’ammirazione di ragazzi increduli, racconta le solite barzellette, sale sui ponteggi.
E quando è in alto, a un metro e mezzo dal suolo, pervaso dallo spirito di una rockstar, chiama i suoi uomini e si lancia come Jimi Hendrix.
Scarica subito il complesso di Sarkò, castigato dentro per un giorno orrendo: “Gli ho detto che mi sembra un maniaco, va sempre con la stessa donna… ”.
E poi rinforza l’autostima: “Dio mi rimprovera che con me fa solo il vicepresidente”.
Nessuno ride.
Ma fa una riflessione seria per un secondo, mentre la serata diventa notte e si fa l’una in punto: “Sgarbi, questo programma a Mediaset non l’avresti fatto, costa troppo”, e indica la merce preziosa distesa sul pavimento, le luci, le quinte, il marmo vero o finto che sia.
E dice il giusto: sette milioni di euro per cinque o sei puntate, più il contratto di un milione per il critico d’arte.
Da settimane Vittorio Sgarbi monta e smonta il suo programma di Raiuno, che debutta il 2 maggio, che forse scivola al 18, che magari torna a settembre.
Non importa.
Sgarbi ha milioni di idee e di euro che il Cavaliere può mettere in ordine, anche in onore di un conflitto di interessi plateale: l’autore di una trasmissione del servizio pubblico chiede una consulenza al proprietario dei rivali di Mediaset. Stavolta il sindaco di Salemi può vantare una consulenza di Berlusconi in trasferta; eppure, spesso, va lui con i collaboratori nella villa di Arcore.
A domicilio.
In quelle stanze cercò l’approvazione per Francesca Lancini — ex modella e ora giornalista, autrice del romanzo Senza tacchi, una scommessa di Elisabetta Sgarbi, sorella di Vittorio, direttore editoriale di Bompiani — come spalla nel suo programma.
Un bellissimo volto femminile, una ragazza di talento che detesta le passerelle su cui sfilava.
L’ex ministro gioca questa carta per convincere il Cavaliere che invece suggeriva Piero Chiambretti ed Elenoire Casalegno.
A una casta cena di lavoro, con la tradizionale compagnia di Nicole Minetti, Barbara Faggioli e altre arcorine, ecco che Berlusconi conosce Francesca.
Forse al premier sarà  piaciuta, ma la ragazza ha preferito mollare Sgarbi per continuare la sua carriera senza sprofondare in quel mondo che aveva rinnegato: “Non mi sento in grado di fare televisione, mi piace scrivere”.
Sgarbi s’infuria, e poi si consola con il suo collaboratore principale: il presidente del Consiglio

Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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I SOSPETTI DI BERLUSCONI SU TREMONTI: “E’ LUI CHE STA AIZZANDO BOSSI, GIULIO PUNTA A UN GOVERNO TECNICO”

Aprile 28th, 2011 Riccardo Fucile

RITORNA LO SPAURACCHIO DI UNA MANOVRA PER MARGINALIZZARE IL PREMIER CHE E’ CONVINTO DI RICUCIRE CON BOSSI LO STRAPPO ELETTORALE DELLA LEGA…MARONI COSTRETTO AD ALLINEARSI ALLA LINEA DURA, REGUZZONI ORA RISCHIA IL POSTO: PESANO ANCHE LE LOTTE INTERNE ALLA LEGA E L’ASSE CON TREMONTI

Il sospetto lo porta nuovamente a Giulio Tremonti.
Se è vero quello che circola con insistenza nel Pdl, il premier è a Tremonti che guarda come al regista di tutta “l’operazione Libia” messa in piedi dal Carroccio. Quello che sta “aizzando la Lega”.
Una manovra che “per ora non si capisce dove porta”, ripete Berlusconi ai suoi, ma che potrebbe avere come conseguenza ultima la caduta del governo e la sostituzione del Cavaliere con un altro premier.
Vista da palazzo Grazioli, la crisi in corso nella maggioranza sarebbe un tassello del piano messo a punto sull’asse Bossi-Tremonti per prendere progressivamente le distanze da Berlusconi.
E, in caso, di sconfitta di Letizia Moratti alle elezioni di Milano, staccare la spina e dar vita a un nuovo governo prima dell’estate.
Senza passare per nuove elezioni.
Certo, Tremonti ripete sempre che mai si presterebbe a un’operazione del genere.
E anche ieri, a chi gli chiedeva a bruciapelo se fosse arrabbiato, rispondeva sibillino: “Oggi no”.
È stato il giorno prima infatti, durante il vertice di villa Madama con Sarkozy, che il ministro dell’Economia ha misurato tutta la distanza che lo separa da Berlusconi.
Con quella benedizione politica all’operazione Lactalis-Parmalat di cui Tremonti era all’oscuro.
Anzi, a via XX Settembre è arrivata la voce che Berlusconi fosse stato messo a conoscenza dell’intenzione dei francesi di lanciare l’Opa già  da due giorni, senza tuttavia averne fatto parola con il suo ministro dell’Economia.
Un sospetto rafforzato dall’ostilità  alle norme anti-scalate di Tremonti già  espressa nei giorni scorsi “dalle uniche due persone davvero vicine a Berlusconi: Fedele Confalonieri e il figlio Pier Silvio”.
Il risultato è stato efficacemente sintetizzato da Umberto Bossi sulla Padania: “Berlusconi ha fatto fare a Tremonti e Maroni la figura dei cioccolatai”.
Da qui l’ira del ministro dell’Economia.
Una conflittualità , quella tra il premier e Tremonti, alimentata anche da altri dossier ancora caldi, come quello sul Decreto Sviluppo in cottura al ministero dell’Economia.
Un provvedimento molto sponsorizzato dalla Lega (Calderoli lo ha anticipato a sorpresa sulla Padania), che tuttavia lascia freddo Berlusconi proprio perchè, ancora una volta, si tratta di misure “a costo zero”.
La partita sulla Libia sarebbe dunque soltanto un pezzo del “great game” in corso nel centrodestra.
Anche se niente affatto scontata nel suo esito.
Ancora ieri sera Paolo Bonaiuti ammetteva con filo d’apprensione: “L’unica soluzione è in un incontro tra Bossi e Berlusconi. Se troveranno il modo di parlarsi faccia a faccia troveranno come sempre la quadra”.
Appunto, “se”. Perchè al momento Bossi non ha alcuna intenzione di facilitare la vita al premier, anzi ieri si è persino negato al telefono quando Berlusconi ha provato a rabbonirlo.
A fare le spese della rabbia leghista per la mancata consultazione prima della svolta bellica è stato ieri Marco Reguzzoni, spintosi troppo in là  nella politica distensiva con il Pdl.
Tanto da aver provocato la sollevazione dell’ala maroniana dei deputati, che ora ne chiedono la rimozione da capogruppo.
A nulla è servito il vertice convocato ieri pomeriggio in tutta fretta a Montecitorio, che ha visto intorno al tavolo lo stesso Tremonti, Calderoli, Bonaiuti, Cicchitto e La Russa.
Una riunione dalla quale Bonaiuti è uscito rinfrancato almeno sul ruolo di Tremonti: “Anche Giulio sta lavorando per trovare una via d’uscita con spirito collaborativo”.
Cicchitto, capogruppo del Pdl, ha poi visto Reguzzoni per provare a ragionare su un possibile testo condiviso da Pdl e Lega. Un tentativo senza successo. “Per fortuna – si consola Cicchitto – grazie a questa opposizione che ci ritroviamo, continuiamo a reggere. Malgrado tutto”.
A offrire una sponda al governo stavolta c’è anche Giorgio Napolitano, che non accetta spaccature in politica estera mentre le forze armate italiane sono impegnate in una difficile missione di combattimento.
Due sere fa il capo dello Stato ha parlato con Bossi e oggi riceverà  Berlusconi e Letta, proprio per ascoltare dal premier come intenda far fronte alla crisi politica della maggioranza.
In queste ore Berlusconi, trattenendo la rabbia per il calcio ricevuto dall’alleato, punta tutto sul rapporto personale con il capo del Carroccio: “Quando riuscirò a parlarci e potrò spiegare la mia posizione, Umberto capirà  la mia assoluta buonafede”.
Certo, Berlusconi rivendica anche il suo diritto di avere l’ultima parola sulle grandi scelte nazionali, perchè “la politica estera si fa a palazzo Chigi e non a via Bellerio”.
Ma non è questo il momento di sbattere i pugni.
“Quanto sta accadendo – confida La Russa prima di telefonare al segretario alla Difesa americano Gates – è anche un problema interno alla Lega, dove convivono correnti diverse. E Maroni ha dovuto alzare la voce per non sembrare da meno degli altri”.

Francesco Bei
(da “la Repubblica“)

argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, elezioni, emergenza, governo, la casta, LegaNord, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »

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