Aprile 25th, 2011 Riccardo Fucile
BERLUSCONI VUOLE ESSERE TROPPO PRESENTE A MILANO, MENTRE LA MORATTI PREFERIREBBE SI DEFILASSE PER NON FAR PERDERE ALTRI VOTI AL CENTRODESTRA… IL CASO LASSINI SEGNA LA CAMPAGNA ELETTORALE
All’inizio, era una questione di principio.
Quasi un dovere per un prototipo della buona (e moderata) borghesia milanese come Letizia Moratti: dissociarsi da quello slogan delirante e oltraggioso.
Il costo politico sembrava, tutto sommato, basso.
Già la sera precedente, il ministro della Giustizia Alfano – non esattamente una colomba – aveva preso le distanze dal contenuto dei manifesti dell’Associazione per la difesa della democrazia.
Poi, con il passare dei giorni, via via che il balletto delle dimissioni e delle retromarce, delle dichiarazioni di sdegno e delle manifestazioni di sostegno si è fatto più vorticoso, è diventata una colossale manfrina da campagna elettorale.
E Letizia Moratti, consigliata dai suoi spin doctor, ha deciso di cavalcarla nel modo più spregiudicato, quasi spudorato.
Fino a negare l’evidenza: “Per me il caso è chiuso”, ripete il sindaco, da tre giorni, come un 45 giri inceppato.
Sa benissimo che il caso chiuso non è, e provvedono quotidianamente a sottolinearlo il Giornale della famiglia Berlusconi e l’ala dura degli Stracquadanio, delle Santanchè, Tiziana Maiolo e compagnia assortita.
Che Roberto Lassini con ogni probabilità sarà eletto consigliere comunale ormai lo hanno capito tutti, dentro e fuori il Pdl.
Che ben difficilmente, all’indomani dell’elezione, rinuncerà al suo strapuntino è convinzione ugualmente diffusa.
Perchè allora la Moratti continua a ripetere ossessivamente la sua incompatibilità con Lassini, anche ora che i dirigenti del suo partito – dopo la prima ondata di dichiarazioni sdegnate – l’hanno praticamente lasciata sola?
“Ci sono sondaggi che stimano al minimo storico la popolarità di Silvio Berlusconi perfino nella sua città – spiega un dirigente milanese del Pdl – e nello staff dei consiglieri del sindaco qualcuno comincia a temere che la politicizzazione della campagna elettorale milanese e l’entrata in campo diretta di Berlusconi non solo non aggiungano consensi ma rischino di sottrarne”.
Ecco perchè la Moratti, che nell’ultimo scorcio del suo mandato si era completamente appiattita su Berlusconi e sul governo, perfino quando le decisioni dell’esecutivo hanno pesantemente penalizzato Milano, oggi, nel vivo della campagna per la riconferma, ha deciso di distinguere la sua posizione da quella dei falchi del suo partito, con ciò guadagnandosi la disapprovazione del presidente del Consiglio: “Berlusconi vuole che le polemiche finiscano il prima possibile e che tutto il partito si impegni per vincere a Milano – spiegava ieri all’Ansa un alto dirigente del Pdl – Certo, al presidente farebbe piacere che Lassini ottenesse tanti voti, sarebbe uno schiaffo degli elettori alla procura milanese”.
Oltre al tornaconto personale, c’è un’altra ragione che ha spinto Berlusconi a imprimere un’accelerazione violenta alla campagna milanese, che culminerà nella settimana dopo Pasqua con una lettera firmata di suo pugno ad ogni famiglia milanese e con uno tsunami di manifesti e volantini che – nelle intenzioni del premier – dovranno solleticare le reazioni “di pancia” dei milanesi sui temi consueti della contrapposizione tra destra e sinistra.
I sondaggi più attendibili danno la Moratti in lieve vantaggio (un punto, massimo due) al primo turno su Pisapia – grazie anche a un modesto recupero prodotto dalla sua campagna milionaria – ma comunque lontana dal 50%.
Al ballottaggio, partita apertissima.
Berlusconi sa che la Moratti, da sola, rischia di perdere e di trascinare il centrodestra tutto in un vortice di cui è difficile vedere il fondo.
“È vero che il caso Lassini accentua la percezione di un Pdl in preda al caos – continua l’assessore morattiano – ma in fondo tutto questo movimento fa gioco a tutti. A Berlusconi, e anche alla Moratti, che capitalizzerà personalmente i voti dei moderati e usufruirà di quelli conquistati dal premier e anche da Lassini”.
Il balletto del Lassini fuori-Lassini dentro, dunque, rischia di diventare un tormentone da qui al 16 maggio.
La Moratti, assicurano i suoi, “è pronta a tener botta fino in fondo”.
Se sarà rieletta, non sarà un problema ingoiare il rospo Lassini per rimettersi al più presto al timone dell’Expo e dei grandi affari milanesi.
Capitasse il guaio della sconfitta, avrà già pronto sul tavolo un buon argomento per addebitarla ad altri.
A quei manifesti sciagurati, e a chi non se n’è dissociato per tempo.
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Aprile 25th, 2011 Riccardo Fucile
CI SONO ANCHE EX MINISTRI RINVIATI A GIUDIZIO E SINDACI SOTTO INCHIESTA…I CASI DE SIMONE, MATACENA, NONNO, MASTELLA, DE MAGISTRIS, LETTIERI, DE LUCA, DAMIANO, CINQUE
Altro che liste pulite.
A setacciare le candidature delle amministrative in Campania scovi di tutto: arrestati per collusioni con la camorra, indagati per riciclaggio, ex ministri rinviati a giudizio, sindaci che collezionano inchieste e processi come fossero tappi di birra.
E sullo sfondo le moine di sempre, di chi a parole censura l’arrivo di quei voti e nei fatti se ne servirà : io non sapevo, io mi dissocio, se vinco grazie a lui mi dimetto.
Lo disse anche il Governatore Stefano Caldoro l’anno scorso, quando gli infilarono di soppiatto in una lista alleata un condannato in primo grado per camorra, che peraltro è stato pure eletto e tra poco potrebbe essere reintegrato in consiglio regionale.
Senza che nessuna testa sia saltata.
Da chi cominciamo?
Il caso del momento è la presenza di Achille De Simone, consigliere comunale uscente, come capolista di Alleanza di Centro, una delle 11 liste a sostegno del candidato sindaco Pdl di Napoli Gianni Lettieri.
Il Gip Antonella Terzi nell’ordinarne l’arresto il 26 novembre del 2009 commentò così la partecipazione di De Simone a un incontro in cui una donna del clan Sarno minacciava l’animatore di un movimento antiracket: “Autentico raccapriccio, è forse l’episodio più intriso di mentalità malavitosa, inquinato dal concorrente apporto dell’inqualificabile De Simone”. Inqualificabile per il giudice, ma non incandidabile per la politica napoletana. Anche se Lettieri ne ha preso le distanze, invitandolo a ritirarsi e annunciando di essere sin da ora dimissionario se i voti di De Simone saranno determinanti per la sua elezione. Pionati, il capo dell’Adc, ha definito il suo inserimento in lista “un errore di distrazione”. Mannaggia.
Ma non è l’unica candidatura che fa discutere.
Nel Pdl di Napoli è in corsa Maurizio Matacena, commercialista, indagato per riciclaggio in concorso col senatore e sindaco Pdl di Afragola Vincenzo Nespoli, per il quale pende un’ordinanza di arresto fermata dal Parlamento. Matacena è accusato di aver fatto sparire circa 300mila euro nell’ambito delle indagini sulla bancarotta fraudolenta degli istituti di vigilanza riconducibili a Nespoli e sul dirottamento dei loro fondi verso alcune speculazioni immobiliari di Afragola.
Nella lista azzurra c’è pure Marco Nonno, consigliere uscente An.
à‰ imputato per concorso in devastazione, per aver coordinato la guerriglia urbana che impedì la riapertura della discarica di Pianura.
Vicenda per la quale ha trascorso 13 mesi agli arresti, tra carcere e domiciliari. In questi giorni Nonno ha presentato un libro dove racconta la sua versione su Pianura.
È un collezionista di armi antiche e il suo manifesto elettorale lo ritrae con l’elmetto in testa. “Per Pianura — spiega — ho combattuto”.
Qualche problemino giudiziario lo hanno anche alcuni candidati sindaci.
Clemente Mastella (Popolari-Udeur) è fresco di rinvio a giudizio per la compravendita della casa di Largo Arenula a Roma, immobile che era nella disponibilità dell’Udeur (ospitava la redazione de Il Campanile) ma che attraverso un tortuoso giro di cessioni azionarie è stato intestato ai suoi figli. L’ex Guardasigilli è stato però assolto dalle accuse di associazione per delinquere: il giudice ha detto no al teorema partito-clan.
Luigi De Magistris (Idv-Federazione della Sinistra) ha una richiesta di rinvio a giudizio a Roma per alcune presunte anomalie sulla gestione dei tabulati telefonici nel corso delle inchieste condotte dai pm a Catanzaro.
Ma va ricordato che per simili anomalie Genchi è già stato assolto.
Peraltro, non si tratta di reati comuni o a scopo di lucro ma contestati per via delle legge Boato del 2003, che si presta a varie interpretazioni.
De Magistris poi è stato assolto poche settimane fa a Salerno da una fastidiosa accusa di omissione d’atti d’ufficio per l’accusa — caduta — di non aver indagato a dovere su una denuncia.
C’è poi Lettieri (Pdl), che è sotto processo a Salerno per truffa e falso per la delocalizzazione in zona Asi di una delle sue aziende, la Manifatture Cotoniere Meridionali di Salerno. Prossima udienza, 7 giugno.
La prescrizione è vicinissima: i fatti risalgono alla prima metà degli anni 2000.
In caso di vittoria di Lettieri a Napoli e del Pd Vincenzo De Luca a Salerno, si realizzerebbe una singolare coincidenza: due sindaci di due città capoluogo della Campania, imputati nello stesso dibattimento e per lo stesso fatto.
De Luca il regista della variante urbanistica ritenuta illegittima, Lettieri l’utilizzatore finale, secondo la Procura.
De Luca, che si candida a un secondo mandato consecutivo (sarebbe il quarto negli ultimi 18 anni) deve difendersi in un secondo processo per un’altra variante, la trasformazione dell’ex Ideal Standard in un Parco Marino da realizzare con capitali emiliani.
Tra le accuse, quella di tentata concussione. Il dibattimento prosegue il 9 maggio. La prescrizione è vicina anche qui.
C’è pure una recente inchiesta del pm di Salerno Roberto Penna che contesta a De Luca il peculato per un incarico assegnato al suo fedelissimo dirigente Alberto Di Lorenzo.
Si tratta di una nomina firmata dal sindaco nella sua qualità di commissario governativo per la realizzazione del termovalorizzatore (ora non lo è più). L’inchiesta è praticamente finita, si attendono le determinazioni della Procura.
Torniamo a Mastella, un nome che ricorre quando si scrive di politica e inchieste giudiziarie.
A Benevento si candida al consiglio comunale l’assessore uscente Aldo Damiano.
Fa parte di una lista civica a sostegno del candidato sindaco Pd, l’uscente Fausto Pepe, sfiduciato in extremis per impedirgli di fare campagna elettorale da primo cittadino in carica.
Pochi giorni fa Damiano è stato raggiunto da un avviso concluse indagini per corruzione in concorso con il presidente del Palermo Maurizio Zamparini e con i coniugi Clemente e Sandra Mastella.
Secondo l’accusa, da assessore all’Urbanistica in quota Udeur nella giunta del 2006, Damiano avrebbe concesso corsie preferenziali non dovute alla realizzazione del centro commerciale ‘I Sanniti’, realizzato da Zamparini, nello stesso periodo in cui dal conto corrente dell’imprenditore friuliano della grande distribuzione partiva un bonifico di 50.000 euro per l’associazione culturale ‘Iside Nova’, presieduta dalla signora Mastella.
Per il pm quel bonifico era una tangente e Mastella ha parlato di ‘singolare coincidenza’ tra la notifica dell’avviso e l’ufficializzazione formale della sua candidatura a sindaco di Napoli.
Che però aveva annunciato con sei mesi di anticipo.
Ma il record di inchieste forse lo detiene Gennaro Cinque.
Il sindaco Pdl di Vico Equense si ricandida a dispetto di quattro richieste di rinvio a giudizio per reati che vanno dall’abuso d’ufficio all’omissione d’atti d’ufficio.
Più una quinta indagine — ma il fascicolo è ancora aperto — per omissione d’atti d’ufficio.
Vincenzo Iurillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 25th, 2011 Riccardo Fucile
LA STRANA COERENZA DELL’ESPONENTE FINIANO CHE A PAROLE VUOLE CHE FUTURO E LIBERTA’ SIA SEMPRE RADICATO A DESTRA…”MAI ALLEANZE CON LA SINISTRA” ? MA COME MAI ALLORA A CASSINO SI PUO’?
Cento chilometri separano Cassino da Latina.
Eppure, seguendo le coordinate del dibattito interno a Futuro e libertà , le distanze tra le due città laziali sembrano essere siderali.
Sì, perchè mentre sulla lista Pennacchi – che si presenta al primo turno rigorosamente da sola, con il proprio candidato sindaco alternativo sia al Pdl che al Pd – piovono strali e accuse di ogni genere (si va da “morirete comunisti” a “roba da avanspettacolo”), su quel che accade in provincia di Frosinone, all’ombra dell’abbazia, non si muove foglia.
Eppure, lì a Cassino, Futuro e libertà si presenta – assieme ai sovversivi dell’Udc – alleato già al primo turno con “le sinistre”, ovvero con il pericolosissimo Partito democratico e con l’ancora più pericoloso Partito socialista.
In diretta competizione con il Pdl e con i vendolian-dipietristi, con serie probabilità che il candidato sindaco (Iris Volante) arrivi al ballottaggio.
Nessun dubbio: si tratta di un bell’esperimento, che vede mescolarsi storie politiche diverse per disegnare un’alternativa credibile e concentrata sul “buongoverno”, più che su sterili dispute a base di “identità ” e di “collocazioni”.
Non discutiamo quindi l’operazione che avrà sicuramente le sue motivazioni locali.
Resta solo da capire perchè le “colombe” finiane tacciano.
Forse perchè a gestire con bravura l’operazione è stato Alessandro Foglietta, coordinatore provinciale di Fli, che siede anche nel comitato promotore di Fareitalia, associazione fondata da Adolfo Urso? Chissà .
Forse un giorno ci verrà svelato l’arcano.
Resta il fatto che per ora quel che a Cassino si realizza sotto l’egida dei “moderati”, a Latina non si può nemmeno immaginare.
Per non parlare di Milano…
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Aprile 25th, 2011 Riccardo Fucile
I CANDIDATI EVITANO DI AFFIANCARE AL PROPRIO NOME E VOLTO IL LOGO DELLE FORZE POLITICHE DI RIFERIMENTO….ALL’ELETTORE E’ FORSE MEGLIO NON FAR SAPERE I PARTITI CHE LI APPOGGIANO?…LE ECCEZIONI SONO DAVVERO POCHE
Sono da sempre al centro di dispute, entusiasmi, psicodrammi collettivi. Conservati e venerati, in grado di dare senso ad ogni comunità politica.
I simboli di partito.
Colori e forme in cui s’intrecciano storie e battaglie, conquiste passate e prospettive future.
Dalla falce e martello allo scudo crociato, dall’Alberto di Giussano alle tante declinazioni del tricolore dell’odierna simbologia politica.
Vessilli da alzare e difendere. Ad ogni elezione, piccola o grande che sia.
E che oggi, la maggior parte dei candidati sindaco, nelle quattro città più importanti, semplicemente snobba.
Da Fassino alla Moratti, da Lettieri e Morcone a De Magistris, passando per Virginio Merola e Giuliano Pisapia.
Basta cliccare sui loro siti ufficiali: dei simboli dei partiti che li appoggiano neanche l’ombra.
L’eccezione. Ovvero Manes Bernardini, candidato a Bologna per Pdl e Lega Nord.
Sul suo sito i simboli dei partiti di Bossi e Berlusconi sono in primo piano, sotto lo slogan “Finalmente Bologna!”.
E lo sfondo bianco con un bel po’ di verde mette in chiaro l’origine politica, che nella foto principale sfoggia anche la pochette d’ordinanza dello stesso colore.
E anche gli altri slogan, “Finalmente sicura!”, “Giovane e digitale”, utilizzano il colore principe della Lega Nord.
La storia cambia per Michele Coppola, candidato del centrodestra a Torino.
Qui i simboli iniziano a scivolare verso il fondo della pagina.
Nell’ultimo
riquadro a destra è possibile conoscere i partiti che appoggiano il competitor principale di Piero Fassino.
Gli altri, invece, “nascondono” i loro partiti.
Niente Silvio per donna Letizia e Lettieri.
Le cose cambiano per i candidati del centrodestra a Milano e Napoli.
Sulla home del sito di Letizia Moratti, non c’è nessun riferimento al Pdl e agli altri partiti che ne sostengono la corsa verso Palazzo Marino.
E sullo sfondo bianco, del viso e del nome di Silvio Berlusconi, non c’è traccia. Solo in qualche foto lo si può intuire in lontananza. Una flebile presenza la si trova nella sezione link, con i collegamenti ai siti nazionali del Popolo delle Libertà e della Lega.
Stesso canovaccio per Gianni Lettieri. I colori predominanti sono il bianco e l’azzurro, mentre i simboli dei partiti sono del tutto assenti.
Una scelta del tutto diversa da quella del presidente della Regione, Caldoro, e di quello della provincia di Napoli, Cesaro, che avevano impostato tutta la campagna elettorale unendo alla loro, l’immagine del premier.
Le cose non cambiano se ci si sposta verso sinistra.
Piero Fassino sceglie il giallo e il blu e lo slogan “Gran Torino”.
E, sul suo sito, mancano i riferimenti ai partiti che lo sostengono.
L’ex segretario dei Ds punta su una comunicazione serrata, diffondendo quotidianamente materiali audio e video sulla sua campagna elettorale.
Tutto senza simboli.
L’arancione è, invece, il colore scelto a Milano da Giuliano Pisapia. Che fa della presenza sul web uno dei suoi punti di forza, sfruttando l’onda che lo ha portato, lo scorso novembre, a vincere le primarie.
Anche qui, zero riferimenti.
Stella blu su sfondo rosso, il tema scelto, a Bologna, da Virginio Merola.
Ma per la sua “primavera di Bologna”, nessun riferimento grafico alla coalizione che lo sostiene.
Le cose si complicano a Napoli.
Dove dopo il caos delle primarie, i candidati del centrosinistra sono due.
Da un lato Mario Morcone, sostenuto dal Partito Democratico, Sinistra e Libertà e Verdi.
Dall’altro, l’ex pm e europarlamentare Luigi De Magistris, in corsa con l’appoggio di Italia dei Valori e Federazione della Sinistra.
Per Morcone, simboli zero. E lo sfondo del sito cambia di volta in volta, dal verde acqua al blu, fino al rosso scuro.
Per De Magistris, niente simboli di partito, ma solo riferimento alla sua lista civica “Napoli è tua”.
Dalle parti del Terzo Polo, c’è un pareggio.
Sul sito del candidato a Napoli, il rettore dell’Università di Salerno Raimondo Pasquino , i simboli dei partiti sono in bella vista.
Stessa scelta anche per Alberto Musy a Torino.
Mentre in home page sui portali di Manfredi Palmieri Milano e Stefano Aldovrandi a Bologna non ci sono riferimenti a Fli, Api e Udc.
Carmine Saviano
(da “La Repubblica“)
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Aprile 25th, 2011 Riccardo Fucile
UNA ANALISI DI MANNHEIMER RIVELA UNA INCERTEZZA CRESCENTE TRA GLI ITALIANI, A CAUSA DI UNA SITUAZIONE POLITICA CONFUSA… LA PERCENTUALE DEGLI INDECISI E’ MAGGIORE TRA LE DONNE
La situazione politica appare sempre più ambigua e incerta, caratterizzata da fratture sia all’interno della maggioranza, sia nelle forze di opposizione.
La conseguenza più evidente di questo stato di cose è l’ulteriore accentuarsi del distacco e della disaffezione dalla politica, della crescente incertezza dei cittadini sugli orientamenti da assumere di fronte alle varie questioni e, ciò che è ancora più significativo, dell’indecisione sulla preferenza verso questo o quel partito.
Si allarga infatti enormemente il numero di dubbiosi su cosa votare in caso di elezioni e, al tempo stesso, la quantità di chi richiede le consultazioni anticipate.
Uno dei motivi principali dell’insoddisfazione sta nella percezione diffusa di troppo scarsa attività e produttività dell’esecutivo: molti lo accusano di non avere rispettato le promesse avanzate a suo tempo, durante la campagna elettorale, e dubitano della possibilità che queste vengano rispettate di qui alla fine della legislatura.
Anche nel corso dell’ultima settimana, sono stati numerosi gli episodi che, secondo diversi osservatori, hanno visto focalizzarsi il dibattito politico al di fuori della – se non in antitesi alla – applicazione del programma di governo, «distraendo» così l’esecutivo dai suoi compiti istituzionali.
Dopo le riprovevoli baruffe sul «processo breve», si è assistito al subitaneo rinvio dei progetti sulla ripresa della produzione dell’energia nucleare (volto più che altro a scongiurare il raggiungimento del quorum al referendum, considerando anche il fatto che, ormai, più dell’80% della popolazione si pronuncia contro questa forma di energia), alla proposta di modifica dell’articolo 1 della Costituzione (la quale, però, è considerata ancora valida ed attuale dalla maggioranza dei cittadini, anche se una porzione consistente – quasi il 40% – la giudica «datata»), sino alle recentissime discussioni interne al governo sulla figura di Tremonti (molto stimato, tuttavia, dall’elettorato, con un indice di fiducia – 44% – decisamente superiore a quello di Berlusconi).
Nel loro insieme, questi episodi e queste tensioni hanno ancor più contribuito, come si è detto, alla disillusione dei cittadini.
Tanto che, oggi, quasi metà dichiara di non saper scegliere chi votare o di essere tentato dall’astensione se fossero indette nuove elezioni.
Questa percentuale ha subito una crescita intensa da diverso tempo e, in particolare, negli ultimi mesi, connotati dalla sempre maggiore confusione del quadro politico.
Era il 36,8% a febbraio, il 47,5% a marzo, sino al 48,4% di oggi, con un allargamento specialmente di quanti non sanno o non vogliono indicare una preferenza tra le diverse forze politiche in campo.
Colpisce il fatto che siano più indecise specialmente le donne (in parte orfane del particolare consenso manifestato in passato per Berlusconi) e i giovani, che più di altri – esaurito ormai da tempo il potere trainante e «semplificatore» delle ideologie tradizionali – stentano a comprendere le logiche (se mai esistono) del confronto politico in atto.
Nonostante l’accrescersi dell’indecisione – o forse proprio per questo – le elezioni anticipate vengono sempre più viste come la via di uscita più opportuna (o, semplicemente, più praticabile) dalla situazione attuale.
Oggi quasi il 40 per cento chiede nuove consultazioni, a fronte del 35% a marzo e 30% a febbraio.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un trend di veloce crescita, comprovato altresì dal fatto che diminuisce al tempo stesso la quota di chi dichiara di desiderare invece la prosecuzione dell’attività del governo attuale.
La richiesta di nuove elezioni proviene però in misura assai differenziata dall’elettorato delle diverse forze politiche.
È decisamente più presente nei partiti di opposizione, specie tra i votanti del Pd (ove raggiunge il 63%, con un forte incremento rispetto a febbraio scorso, quando era il 53%), ma anche tra quelli dell’Idv (55%) e, sia pure in misura minore, tra gli elettori dell’Udc (44%, con un vistoso aumento rispetto a un mese fa, quando era il 29).
Essa è viceversa quasi assente (5%) tra i votanti per il Pdl, segno della persistente fedeltà di questi ultimi all’esecutivo: il 76% (ma a febbraio era l’82%) di costoro opta ancora oggi per la prosecuzione del governo attuale e un altro 10% propone un altro governo, con a capo sempre Berlusconi.
La situazione della Lega è un po’ diversa.
Anche se minoritaria, qui la quota di chi chiede nuove elezioni è assai più consistente (20%), mentre quella di chi auspica il mantenimento dell’esecutivo in carica costituisce la maggioranza relativa, ma in misura assai più contenuta (40%).
Certamente consapevole di questo stato di cose, il governo ha annunciato una decisa reazione, consistente nel prossimo varo di molte delle riforme annunciate in campagna elettorale e, in particolare di un incisivo «piano crescita» promosso dal ministro Tremonti.
Vedremo nelle prossime settimane se questa rinnovata iniziativa – ammesso che si attui davvero – riuscirà ad attirare e/o a riconsolidare il consenso popolare, tamponando così il trend di forte criticità sempre più diffuso oggi nell’elettorato.
Renato Mannheimer
(da “il Corriere della Sera“)
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