Aprile 27th, 2011 Riccardo Fucile
TRA DUE SETTIMANE SI VOTA E LA LEGA, COMPLICE FINO A IERI DEL PREMIER, SI SMARCA PER CERCARE DI FAR DIMENTICARE LE PROPRIE GRAVI RESPONSABILITA’ NEL GOVERNO DEL PAESE…USA LA SCUSA DEL CEDIMENTO ALLA FRANCIA PER PRENDERE LE DISTANZE DAL PDL, MA NON DALLE POLTRONE…CI RIMETTONO SOLO I RESPONSABILI CHE DOVEVANO ESSERE NOMINATI DOMANI
Le differenti posizioni tra Lega e Pdl sulla crisi libica hanno generato una apparente frattura nella maggioranza.
Tanto che questa settimana è saltato il Consiglio dei ministri.
La riunione potrebbe tenersi, a quanto si apprende da fonti di governo, solo nei primi giorni della prossima settimana.
Questa mattina si è riunito il pre-consiglio dove però non è stata formalizzata nessuna data di convocazione.
Stando alle indiscrezioni circolate martedì il Consiglio dei ministri doveva tenersi venerdì.
Sul tavolo, come detto, c’è sicuramente la questione Libia e le tensioni con la Lega Nord contraria ai bombardamenti.
Oltre ai malumori del Carroccio, Berlusconi avrebbe dovuto fare i conti con i mal di pancia di alcuni ministri del Pdl che avrebbero colto l’occasione per porre il problema di una maggiore collegialità nelle decisioni.
«La Padania» oggi in edicola riferisce anche di una telefonata intercorsa martedì sera tra il leader del Carroccio e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in merito alla decisione dell’Italia di bombardare la Libia. Decisione di cui la Lega non sapeva nulla.
Il leader leghista, secondo il quotidiano, avrebbe spiegato al Capo dello stato la posizione del Carroccio affermando che «il consiglio dei ministri non ha mai detto sì ai bombardamenti».
“Siamo diventati una colonia francese con un Berlusconi del tutto supino di fronte alle richieste del presidente francese. Berlusconi pensava che dicendo sì a tutto potesse acquisire nuovo peso internazionale, ma è il contrario. Non è bombardando poveracci in Libia che si conta di più. A questo punto Gheddafi ci riempirà di clandestini” questa la sintesi del profondo pensiero bossiano.
Secondo Bossi, l’azione di Berlusconi avrebbe anche «travolto l’ottimo lavoro in senso contrario», fatto da «Roberto Maroni e Giulio Tremonti: ha fatto far loro la figura dei cioccolatai».
Il Pd, riunito in ufficio di presidenza alla Camera, non esclude a questo punto una mozione per testare la tenuta della maggioranza sul tema Libia dopo gli ultimi sviluppi.
Ci limitiamo a esprimere alcune considerazioni al riguardo.
1) Non ci sarà nessuna crisi di governo: la Lega, come il Pdl, ha troppo paura delle elezioni anticipate che la vedrebbero perdente.
E per la famelica truppa padana restare fuori dalle stanze del potere sarebbe come condannare un affamato ad assistere dal vetro a un pranzo nuziale, con relative ricche portate.
2) Tra due settimane si vota per le amministrative e il Carroccio è ben lontano da quella quota del 13-14% che gli era stata riconosciuta dai sondaggisti fino a qualche mese fa.
Sta soprattutto perdendo colpi proprio nei suoi cavalli di battaglia: dalla lotta all’immigrazione al federalismo patacca che fa solo aumentare le tasse locali. Deve cercare di smarcarsi il più possibile dal Pdl per recuperare qualche frazione di percentuale e tenere insieme le sue due anime: quella del “cerchio magico” e quella possibilista maroniana.
Una mossa tattica di Bossi che non si può permettere di rompere con Silvio, visto che gli ha venduto pure il simbolo del partito.
Per non parlare di altro.
3) Nel merito della diatriba preferiamo non entrare, trattandosi di argomentazioni pretestuose.
Prendiamo solo atto che Bossi sta con un criminale di guerra e se ne frega delle vittime civili, bambini compresi, massacrati dal boia di Tripoli.
Per lui non conta l’essere umano, ha rilevanza solo che il boia adempisse al ruolo assegnatogli, in cambio di 20 miliardi di dollari, di affogare gli immigrati per conto terzi, liberandoci del loro “cattivo odore”.
Per la Lega tutto si fonda nel rappresentare gli egoismi umani e l’attaccamento ai soldi, altro da tutelare non esiste, se non l’ipocrisia, il becerume e gli interessi di bottega.
4) Fino ad oggi la Lega è stata complice delle leggi ad personam, della riduzione degli spazi democratici nel nostro Paese, di una politica estera che ci ha visto alleati dei peggiori dittatori del pianeta, di una deriva autoritaria, dell’uso della macchina del fango per colpire i dissidenti, di un impoverimento delle famiglie, di una corruzione parlamentare dilagante.
Mai un distinguo o una presa di distanza, ora si scoprono pacifisti per recuperare consensi.
Proprio loro che evocano spesso l’uso dei fucili secessionisti, seminando paure ed odio civile.
5) Il rinvio del Consiglio dei ministri e la lite tra Pdl e Lega una vittima sicuramente l’ha fatta: la pistolina ad acqua di Bossi ha colpito il partito scilipotiano che venerdi pensava di incassare 5-6 posti di sottogoverno e che ora vede nuovamente rinviato il pagamento del prezzo del tradimento.
Il rischio di una loro astensione e di qualche distinguo esiste, gli “avvertimenti” al governo non tarderanno ad arrivare.
Gira che ti rigira, è sempre questione di poltrone.
Le idee, i valori, la socialità e il senso nobile della politica non hanno più cittadinanza.
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Aprile 27th, 2011 Riccardo Fucile
CRITICHE AL PREMIER ANCHE DAI COMPAGNI DI MERENDE DI “LIBERO” E DELLA “PADANIA”: ORA TREMONTIANI E RAZZISTI SPARANO SU BERLUSCONI…”NON HA DIFESO GLI INTERESSI NAZIONALI”: PERCHE’, LO AVETE MAI FATTO PRIMA?…DISSENTONO A PAROLE, MA NESSUNO PER DIGNITA’ MOLLA LA POLTRONA
“Berlusconi si inginocchia a Parigi”. “Alla Francia Parmalat, a noi gli immigrati”. “Silvio, ma che fai?”.
E’ un vero e proprio fuoco di fila quello che accoglie il premier con i giornali del mattino.
E stavolta le bordate non arrivano dalla stampa d’opposizione, ma da fogli solitamente amici, come La Padania, organo della Lega Nord, e Libero, di Belpietro e Feltri.
E’ il segnale di un malessere crescente negli ambienti della maggioranza, che potrebbe trovare sfogo già oggi, quando i ministri La Russa e Frattini riferiranno alle Camere sui nuovi compiti delle forze italiane impegnate in Libia e l’opposizione potrebbe chiedere un voto per verificare la tenuta dell’alleanza Pdl-Lega.
La prima pagina del quotidiano del Carroccio non lascia adito a interpretazioni: “Siamo diventati una colonia francese”, sintetizza il pensiero di Umberto Bossi il foglio verde.
“L’accusa nei confronti del Cavaliere”, spiega La Padania, “è quella di non aver difeso minimamente le nostre posizioni, di essersi fatto travolgere dalla prepotenza d’oltralpe”.
Il sì ai bombardamenti in Libia è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso: le lamentele leghiste vanno dalle scalate a Edison e Parmalat da parte di gruppi francesi, alla posizione sul nucleare.
Il Carroccio rinfaccia inoltre al premier di non averlo consultato prima di fare le sue scelte, trattandolo alla stregua di un “cieco e sordo passacarte
di qualsiasi stravaganza”, e di aver travolto il lavoro di Tremonti e Maroni.
“Il quadro è fosco, a pochi giorni dalle amministrative”, conclude La Padania. Parole che sembrano indicare l’ultimo appello che la Lega è intenzionana a concedere a Berlusconi.
“Parmalat e Draghi alla Francia, a noi gli immigrati. Che affare”, titola in prima pagina Libero.
Nel suo editoriale, Maurizio Belpietro sintetizza così i risultati del vertice Berlusconi-Sarkozy:
“Se abbiamo capito bene, le intese raggiunte ieri tra i rappresentanti dei due Paesi prevedono di cedere il governatore di Banca d’Italia alla Bce, la Parmalat alla Lactalis e i nostri aerei agli interessi militar-elettorali del signor Bruni. In cambio otterremmo di tenerci i tunisini e tutti gli altri in arrivo sulle nostre coste. Non potevamo tenerci Draghi e cedere i clandestini a Sarko?”.
Quello che emerge è un quadro di forte insoddisfazione negli ambienti della maggioranza più vicini alla Lega e al ministro dell’Economia Tremonti.
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Aprile 27th, 2011 Riccardo Fucile
IN ITALIA TRE MILIONI DI DONNE SUBISCONO VIOLENZE E NEL 90% DI QUELLE RICEVUTE DAL PARTNER NON DENUNCIANO…OLTRE SETTE MILIONI DI DONNE HANNO SUBITO ALMENO UNA VOLTA UNA VIOLENZA FISICA O SESSUALE…IL 36% DELLE VITTIME DI STUPRI E’ LAUREATA, IL 64% VIVE AL CENTRO-NORD E IL 42% ABITA IN AREE METROPOLITANE
Picchiare la moglie, secondo i nostri politici, si può.
Nessuno, opposizione inclusa, ha avuto nulla da ridire sulla notizia che l’onorevole Pdl Remigio Ceroni ha menato la consorte.
Anche dopo la pubblicazione del referto medico del Pronto soccorso, che dimostra inequivocabilmente quanto accaduto, le scuse non arrivano: appare invece su Libero un’intervista al deputato Pdl in cui, poco elegantemente, Ceroni insinua che a pestare la compagna sia stato il padre (che non può replicare perchè è deceduto).
Il deputato, racconta, ha ricevuto tanta solidarietà , soprattutto dai colleghi di partito.
E Ceroni conta anche sulla solidarietà della moglie: “Io non presenterò querela al Fatto, sarà lei ad agire nelle sedi opportune”.
Ma una donna che prende le difese del marito non dimostra granchè.
Se i parlamentari studiassero i dati sulla violenza che si consuma tra le mura domestiche, quasi mai denunciata, forse sarebbero meno solidali con Ceroni e sentirebbero la necessità di fare (almeno) qualche dichiarazione.
Nel mondo, oltre il 90 per cento delle violenze perpetrate su una donna dal suo partner non vengono denunciate.
E, anche se in Italia mancano dati ufficiali, la tendenza a tacere sembrerebbe essere la stessa: lo confermano al Fatto sia il ministero delle Pari opportunità che le associazioni.
Racconta Antonella Faieta, avvocato del Telefono Rosa: “Le donne che vengono da noi per essere aiutate lo fanno, in media, dopo oltre dieci anni di violenze subìte in silenzio”.
E, per lo più, si recano nei centri di assistenza per informarsi: “Se mio marito mi prende a schiaffi dopo una lite, può considerarsi reato?”.
In Italia oltre 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni ha subito, almeno una volta nella vita, un episodio di violenza fisica o sessuale.
I legali del Telefono Rosa spiegano che non passa giorno senza che si presentino ragazze con occhi neri e nasi rotti: “Non si tratta di persone deboli. à‰ un fenomeno trasversale”.
Perchè il pensiero spesso corre ai piccoli paesi, dove l’emancipazione, se è arrivata, non ha attecchito.
Invece, dati alla mano, le storie che leggiamo sui giornali potrebbero capitare al nostro vicino di casa: basti pensare che il 36 per cento delle vittime di stupri, che spesso accompagnano le botte, ha una laurea.
Il 64 per cento vive al Centro-Nord, il 42 per cento abita in aree metropolitane.
E, soprattutto, nel 70 per cento dei casi l’autore della violenza è il convivente: ci sono circa 3 milioni di donne, in Italia, che sono state picchiate dal marito o dal compagno.
Però non parlano, e in alcuni casi la legge è dalla parte degli aggressori.
Prendiamo il caso (vero) di Maria, che arriva al pronto soccorso con il labbro rotto da un pugno e un ematoma sulla fronte.
à‰ la prima volta, racconta ai medici, che il marito la picchia.
Però non vuole sporgere denuncia, perchè con lui ha due figli, perchè lui minaccia di portarglieli via e perchè, ne è certa, non capiterà più.
In questa situazione non si può fare nulla: il reato di lesioni si persegue solo se la vittima sporge querela. E se denuncia e poi ritira non c’è possibilità di punire il marito.
Diverso è se i maltrattamenti sono continuati (in questi casi, come per lo stalking, la denuncia presentata non si può più ritirare): allora si può agire d’ufficio, il medico chiama la polizia e il giudice decide se allontanare il violento dalla famiglia.
Oggi i divieti di avvicinamento in atto in Italia sono 2.629.
Ma quali garanzie ci sono che l’uomo non si vendichi sulla compagna che l’ha esposto?
“L’allontanamento del violento — spiega l’avvocato Faieta — è una misura cautelare. Se lui torna, sta alla donna chiamare la polizia: anche per questo è nata la legge sullo stalking, così da mettere in carcere chi viola l’ordine restrittivo”.
Quando una donna trova la forza di denunciare, capita spesso che subisca poi episodi di stalking (a proposito: su Ceroni il ministro Carfagna non ha nulla da dire?).
Ogni mese, informa il ministero delle Pari opportunità , 547 persone vengono denunciate o arrestate per questo reato.
L’85 per cento sono italiani e quasi il 90 per cento sono uomini.
Le minacce e gli insulti, raccontano nei centri di assistenza, sono sempre uguali: “Ti spezzo le gambe, ti porto via i figli, non farai più niente senza di me, quando ti vedo ti uccido”.
E di solito sortiscono effetti proprio perchè arrivano dopo anni di violenze.
L’iter, spiega il Telefono Rosa, è questo: le botte cominciano da giovani, quando i due sono ancora fidanzati.
Il periodo in cui l’uomo diventa più aggressivo è durante la gravidanza: la donna incinta è più vulnerabile, non vuole crescere un figlio da sola.
Si abitua quindi più facilmente a essere picchiata, per motivi spesso futili: non ha apparecchiato la tavola, ha parlato troppo durante una cena, si è messa l’abito sbagliato.
Seguono periodi di calma, ma la rabbia — dicono gli assistenti sociali — si manifesta di nuovo”.
La ribellione avviene, di solito, “quando vengono coinvolti nelle liti anche i figli che prendono le difese della madre”.
Denunciare conviene. E non solo perchè la violenza domestica è la prima causa di morte accidentale (nel 2009 la Banca mondiale ha anche dichiarato che “il rischio di subire violenze domestiche o stupri è maggiore del rischio di cancro o incidenti”).
I tempi della giustizia, almeno per questi reati, si sono accorciati e la prima udienza viene solitamente fissata entro un anno. In quattro o cinque si può avere una sentenza di Cassazione.
Nel frattempo la vittima viene assistita: il piano nazionale antiviolenza varato a gennaio ha stanziato 20 milioni di euro per aprire 80 nuovi centri distribuiti in tutta Italia.
Beatrice Borromeo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 27th, 2011 Riccardo Fucile
NON C’E’ LIMITE AL PEGGIO: IL DEPUTATO PDL CHE VUOLE CAMBIARE LA COSTITUZIONE PRIMA AVEVA NEGATO CHE LA MOGLIE AVESSE DOVUTO RICORRERE AL PRONTO SOCCORSO A CAUSA DELLE PERCOSSE DA LUI SUBITE (COME DA REFERTO MEDICO), ORA SCARICA LA COLPA SUL PADRE DEFUNTO…NE VA DELLA SUA IMMAGINE DI BUON CATTOLICO, BORGHESE, DIFENSORE DELLA FAMIGLIA
Fa quasi tenerezza leggere la divertente, puerile e miserabile intervista dell’onorevole Remigio Ceroni a “Libero”.
Un’intervista che ha qualcosa di tragico e di inconsapevolmente spensierato. Un’intervista che non è solo una tenera e menzognera autodifesa, ma un piccolo saggio sulla insostenibile fragilità del reale nell’Italia berlusconiana.
Ricapitoliamo le puntate precedenti per chi se le fosse perse.
Uno: l’onorevole Remigio propone di modificare l’art 1 di questa vetusta e bolscevica Costituzione che per nostra fortuna ci ritroviamo per abolire i due pilastri dello Stato di diritto (i poteri del presidente della Repubblica e quelli della Corte costituzionale).
Due: l’onorevole Remigio ha il diritto di proporre quello che vuole, e noi di raccontare la sua storia di patriarca elettorale cattolico di provincia, tutto dedito al consenso e alla famiglia, (tranne ovviamente — a nostro modesto avviso — quando manda la moglie all’ospedale).
Tre: su “Libero” Vittorio Feltri tuona: ma come possono questi cialtroni de “Il Fatto” scrivere simili illazioni senza prove.
Quattro: sul medesimo giornale la moglie dell’onorevole Remigio, per salvare il nome della ditta, recita la parte che troppo spesso le donne sono costrette a interpretare di fronte alle violenze interfamiliari: quella della madre riproduttrice, moglie, santa e martire.
“Ma quali violenze? “Sono stata in ospedale solo quattro volte per partorire”.
Tra poco festeggia le nozze d’oro con l’onorevole, è in prima fila alle cerimonie religiose e quelle con il pennacchio, come potrebbe infrangere questo sogno di decoro provinciale con la sua verità ?
Cinque: “Il Fatto” pubblica il referto in cui — nella quinta volta che è stata in ospedale in vita sua — la moglie dell’onorevole Remigio denunciava botte da orbi, ecchimosi, contusioni orbitali.
Subite da chi? “Sono stata percossa da mio marito ieri alle 22,30 circa presso la nostra abitazione”, spiegava ai medici che si sono limitati a riportare le parole della signora non a suggerirle “scriva lite coniugale “per chiudere la partita. come sostiene l’onorevole.
Forse, dopo una simile catastrofe, per non imporre alla signora una terza violenza (tutta psicologica, ma non meno grave) sarebbe stato necessario e auspicabile il silenzio.
Ma l’onorevole Remigio ha il collegio, il coordinamento regionale del Pdl, la reputazione, la prima fila delle cerimonie impennacchiate da difendere e una ricandidatura a cui aspirare.
E siccome il primo postulato della neolingua berlusconiana è negare sempre tutto, anche l’innegabile, l’onorevole Remigio sceglie di emulare il suo modello.
E di gettare nel tritacarne non solo la moglie, ma persino il padre scomparso.
La potenza dei processi di autodegradazione, si sa è ineluttabile: se tu hai affermato con un voto solenne a Montecitorio di credere che Ruby era la nipote di Mubarak, puoi dire qualsiasi cosa.
E quindi l’onorevole Remigio si “dimentica” di aver affermato (e fatto affermare a lei) che quel referto non esisteva.
Adesso dice che sì, effettivamente il fatto è vero, ma lui quella sera era fuori casa.
E chi aveva picchiato, di grazia sua moglie, mandandola in ospedale?
La prego, implora l’onorevole, non me lo faccia dire.
Ma subito dopo ovviamente lo dice: “La nostra è una famiglia patriarcale, di umili origini, ma grandi lavoratori. Abitiamo tutti vicini. C’è stato un litigio familiare, lei ha risposto male a mio padre e…”. (Da notare, la colpa ricade sempre sulla moglie) E? E, spiega l’ineffabile onorevole berlusconiano, “lui forse, offeso, ha reagito” mandando la svergognata contestatrice dei sani principi patriarcali al Pronto soccorso, con venti giorni di prognosi e gli equilibri orbitali alterati.
Sei: ovviamente ce n’è anche per la perfida giornalista che ha osato raccontare un mucchio di verità : “Sa perchè ha scritto? — chiede l’onorevole alla collega di “Libero” — perchè abita qui, le sue vicende sono note in città e ha agito su richiesta di un mandante preciso e so chi è”.
Sette: non essendo la sottoscritta ricattabile e non avendo mandanti se non la verità dei fatti, l’onorevole Remigio risponderà in tribunale di queste miserie (possibilmente senza attribuirne la paternità a parenti defunti).
Otto: sarebbe bello che Feltri, i colleghi di “Libero”, il direttore Belpietro che ha una moglie bella, intelligente, che rispetta come una regina, dopo aver raccolto con la paletta le fantasiose scuse dell’onorevole Remigio-pennacchio-patriarcale, scrivessero anche un paio di righette per dirgli quello che qualsiasi persona di buonsenso (a partire dalla collega Brunella Bolloli) pensa di queste tenere arrampicate sugli specchi: ma vallo a raccontare a tuo nonno o allo zio di Ruby magari per spiegare loro, come scrive un nostro lettore, che l’ha picchiata a sua insaputa .
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 27th, 2011 Riccardo Fucile
LA COALIZIONE DI CENTROSINISTRA SALE AL 44%, QUELLA DI CENTRODESTRA E’ AL 41%, IL TERZO POLO INTORNO AL 15%… AL SENATO SAREBBE DETERMINANTE IL TERZO POLO: SENZA IL SUO APPORTO NON GOVERNA NESSUNO
Un centrodestra indebolito.
Un centrosinistra solo apparentemente tonico.
Un terzo polo che per ora non sfonda ma ha i numeri per essere l’ago della bilancia al Senato.
Questo è il quadro sintetico degli orientamenti politici rilevati dal sondaggio Cise-Sole 24 Ore.
Il Pdl e il centrodestra
Il Pdl non è in buone condizioni. Il suo crollo è evidente.
La stima del 28,6% di questo sondaggio è lontana dal 37,4% dei voti ottenuti nelle politiche del 2008.
Eppure, nonostante tutto quello che è successo da allora (crisi economica, scandali, scissione di Fli), è ancora, seppur per poco, il primo partito del paese.
In questa fase tutti i sondaggi ci danno dei dati “freddi”, destinati a cambiare nel momento in cui si surriscalda la campagna elettorale.
La Lega Nord è stabilmente sopra il 10%, inferiore però a quel 13% di cui era accreditata qualche mese fa e la sua forza non compensa la debolezza del Pdl.
Per questo la coalizione soffre.
Tra elettorato leghista e elettorato del Pdl esiste un interscambio di voti ma è solo parziale perchè la Lega non è presente dovunque.
Una quota di elettori del Pdl stanno “tra color che son sospesi”.
Delusi dal Cavaliere ma ancora in cerca di “asilo politico”.
Sono i potenziali astenuti.
Il Pd e il centrosinistra
Il Pd è in convalescenza.
Sia il Pd che il Pdl hanno toccato il loro massimo nel 2008.
Poi sono scesi entrambi.
Il Pd ha registrato il livello più basso di consensi nelle europee del 2009 con il 26,1%. Poi ha cominciato una lenta risalita che viene confermata da questo sondaggio che lo dà al 27,8 %.
È un dato di fatto che al declino del maggior partito di governo non corrisponde una crescita significativa del maggior partito di opposizione.
ll Pd ha molti problemi.
Uno è quello di avere due concorrenti agguerriti all’interno del suo bacino elettorale: la Sel e l’Idv.
Anche questo sondaggio conferma il buon stato di salute di questi due partiti. In particolare va sottolineata la performance della Sel.
Vendola in poco tempo è riuscito a dar corpo ad un partito che oggi è al quarto posto tra i partiti italiani in termini di consensi elettorali.
Mai nella storia del paese il maggior partito della sinistra (Pci, Pds, Ds, Pd) ha dovuto fare i conti con una formazione così forte alla sua sinistra.
Il risultato della Sel e dell’Idv, sommato a quello di altre formazioni minori, spiega il sorpasso di questo schieramento su quello di Berlusconi emerso già in altre rilevazioni.
Il centrosinistra sembra aver conquistato stabilmente “quota 40”.
Questa è la condizione necessaria per vincere alla Camera.
Ma non è sufficiente perchè il dato è solo virtuale e può nascondere una grande illusione.
Il centrosinistra è ancora a una cosa vaga.
Non c’è una coalizione, non c’è un leader, non c’è un programma.
In più gli elettorati dei partiti del centrosinistra si sommano male.
Ci vorrebbe un forte collante ideologico o personale per tenerli insieme.
Nel 2006 i sondaggi stimavano un vantaggio di 7 punti a favore del centrosinistra ed è finita che Prodi ha vinto per 24.000 voti.
Nonostante il sorpasso il Pd è senza una strategia vincente.
Una alleanza di tutti contro Berlusconi non la vogliono i partiti di centro.
Una alleanza Pd-partiti di centro senza la sinistra non la vogliono gli elettori del Pd.
I dati di questo sondaggio dicono inequivocabilmente che una alleanza simile sarebbe un suicidio per il Pd.
Perderebbe tra il 30 e il 40% del suo elettorato a favore della Sel e dell’Idv.
Il Centro e il Senato
Il terzo polo sembra essersi stabilizzato sopra il 14% dei consensi.
Questo è il risultato di vari fattori.
La crescita dell’Udc. La presenza di Fli. L’esistenza di una area moderata di centro alla ricerca di una alternativa ai due poli maggiori.
Il partito di Casini ha recuperato i livelli di consenso che aveva prima del divorzio da Berlusconi nel 2008.
A dargli man forte è arrivato Fli di Fini.
Il suo attuale 4,6 % non è molto, ma sommato ai voti dell’Udc (e a quelli di Rutelli) consente al terzo polo di superare l’8% che è la soglia di sbarramento per avere seggi al Senato.
E se la tendenza venisse confermata dagli indecisi, il bacino di voti potenziali di Fini e Casini può arrivare anche oltre il 20-22%.
Ma c’è di più.
Nel voto alle coalizioni la percentuale del terzo polo è salita già al 14,7%.
Questa è la novità che occorre registrare.
Al momento con i dati a disposizione l’unica spiegazione plausibile è che una parte significativa dei delusi del centrodestra sta prendendo in considerazione il polo di centro come alternativa possibile.
Sono gli esuli in cerca di asilo politico.
Questo fenomeno apre uno scenario nuovo.
Con un terzo polo competitivo centrodestra o centrosinistra potranno vincere alla Camera ma non al Senato.
Quindi il polo di centro diventerà determinante per la formazione di qualunque governo.
I partiti di centro potranno presentarsi agli elettori come quelli che possono costringere Berlusconi a fare un passo indietro senza il rischio di favorire una vittoria dei “comunisti-giustizialisti”.
Questo è il loro obbiettivo di breve termine.
In questo scenario non c’è posto per una alleanza con il Pd.
Il solo rischio che corrono è quello di una riforma della legge elettorale del Senato che li privi del loro ruolo.
Berlusconi ci sta pensando, barando al gioco come suo costume.
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Aprile 27th, 2011 Riccardo Fucile
LASCIATO VACANTE IL MINISTERO DELLE POLITICHE COMUNITARIE IN ATTESA DI RONCHI E URSO, QUANDO AVRANNO FINITO LA LORO MISSIONE…TRA I NOMI CERTI LA BERNINI, LA POLIDORI, MISITI, CALEARO O CESARIO, PIONATI, MELCHIORRE
Saranno nominati oggi al consiglio dei ministri – o al più tardi venerdì – i sei sottosegretari e i due viceministri che Berlusconi ha promesso ai Responsabili e a tutti i parlamentari che hanno appoggiato il governo dopo l`addio dei finiani alla maggioranza.
Il ministero vacante da 5 mesi e 9 giorni dopo le dimissioni del finiano Andrea Ronchi (Politiche europee), non sarà , invece, ancora assegnato.
Berlusconi intende lasciarlo ancora libero, per utilizzarlo come “esca” per attirare altri “transfughi” nel caso di una eventuale vittoria alle prossime elezioni amministrative.
Il Cavaliere è convinto che, oltre allo stesso Ronchi, quel dicastero potrebbe fare gola anche ad Adolfo Urso, exviceministro dello Sviluppo economico, nonchè voce dissidente all`interno di Fli.
Tra i nomi dati per sicuri in questo toto-poltrone governativo, figura quello di Annamaria Bemini – l`unica finiana, così ama definirsi, che è rimasta fin dall`inizio fedele al progetto pdl – destinata al sottosegretariato della Comunicazione del ministero dello Sviluppo economico retto da Paolo Romani. Sottosegretariato sicuro anche per Catia Polidori, ex fedelissima del presidente della Camera poi passata al Gruppo Misto, in appoggio al Pdl.
Aurelio Misiti, ex dipietrista, poi passato all`Mpa e ora confluito nella maggioranza dopo aver aderito al Gruppo Misto, è destinato allo scranno di viceministro delle Infrastrutture.
Sottosegretariato dello Sviluppo economico o del Commercio estero per uno dei due del movimento di responsabilità nazionale, Massimo Calearo o Bruno Cesario, ex Api.
Posto sicuro anche per Francesco Pionati, ex Udc, poi fondatore dell`Alleanza di Centro per la libertà , ora portavoce dei Responsabili.
La Liberaldemocratica Daniela Melchiorre, fra i firmatari insieme a Fli della mozione di sfiducia a Berlusconi nel dicembre scorso, rientrata in maggioranza, sarà destinata al ministero della Giustizia dove già è stata (allora diniana), nel precedente governo Prodi.
Papabile, ma non fra i certissimi, l`ex finiano Luca Bellotti, che ambirebbe al sottosegretario o dell`Agricoltura o dell`Ambiente.
Niente da fare per Domenico Scilipoti, ex idv che appoggia il governo Berlusconi: per lui si parla solo di una promessa di una ricandidatura.
Questo rimpasto di governo era atteso datempo.
I Responsabili hanno esercitato un vero e proprio pressing su Palazzo Chigi minacciando anche il mancato sostegno all`esecutivo nei passaggi parlamentari più difficili.
« È grazie a voi – li ha ora rassicurati il premier – se il governo sta in piedi, ed è per questo che è giusto che ne facciate parte».
Con questa tornata non si supera il limite massimo dei sottosegretariati, ma si vanno solo a colmare i posti lasciati vacanti dalle dimissioni dei futuristi.
Non è escluso, però – lascia intendere il Cavaliere – che in futuro i posti di sottogoverno siano ulteriormente aumentati non con un decreto del governo (non gradito al Colle), ma con un disegno di legge di modifica della legge Bassanini che richiede due o tre mesi per essere approvato.
Si parla di una decina di posti in più che farebbe salire a circa 80 le poltrone del governo.
Meno male che nel programma del Pdl si dovevano dominuire posti e costi della politica.
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Aprile 27th, 2011 Riccardo Fucile
DAL SONDAGGIO DI “TERMOMETRO” EMERGE CHE L’EX MINISTRO PD E’ PIU’ FORTE DELLA SUA COALIZIONE….INDECISI AL 15%, GRILLINI AL 3,5%… RISPETTO ALLE REGIONALI DI UN ANNO FA CALANO PDL E IDV, TIENE LA LEGA
Piero Fassino non ne ha mai fatto mistero: l’importante è vincere, ovvio, ma l’ex ministro vorrebbe tanto chiudere la pratica il 16 maggio, forte del risultato delle primarie e dell’appoggio incondizionato di Sergio Chiamparino, senza dover ricorrere al ballottaggio.
Nessuno dei sondaggi finora pubblicati ha messo in dubbio le sue possibilità di farcela, e anche se si votasse oggi il risultato sarebbe alla sua portata, ma forse non così granitico come lo era fino a qualche settimana fa, quando i contendenti in campo erano pochi e la campagna elettorale non ancora decollata.
A venti giorni dal voto, infatti, le possibilità di approdare al secondo turno non sono poi così remote.
Il primo sondaggio reso noto dopo la presentazione delle liste, che mette perciò in gioco tutti i dieci candidati, fotografa un vantaggio netto per il candidato del centrosinistra.
Secondo «Termometro Politico», Fassino vincerebbe con il 51 per cento, quasi di venti punti sopra Michele Coppola, stimato al 32.
Distanti gli altri contendenti: Alberto Musy al 7 per cento, Vittorio Bertola al 3,5, Juri Bossuto al 2,5 e Giacinto Marra all’uno.
Tutti gli altri competitor, insieme, non raccoglierebbero oltre il 3 per cento.
La frammentazione – dieci candidati e trentasei liste, un record – sembra giocare a favore di una dispersione del voto.
E penalizzare i candidati più noti, a cominciare da Fassino, che mantiene un margine solido ma è vicino alla soglia del 50 per cento, sotto la quale sarebbe costretto al ballottaggio del 29 e 30 maggio.
L’ultimo segretario dei Ds mantiene comunque un forte consenso personale: è l’unico candidato a intercettare più voti potenziali rispetto alla coalizione che lo sostiene.
Con l’avvicinarsi delle urne si riduce anche la percentuale di indecisi: precedenti rilevazioni indicavano gli incerti intorno al 25 per cento; ora siamo al 15.
Numeri che danno corpo alle speranze di un centrodestra che sarà sì in affanno – la coalizione non riesce a varcare la soglia del 35 per cento e il candidato fa anche peggio -, ma intravede la possibilità di arrivare al secondo turno.
Pdl e Lega non l’hanno mai negato: in una città che il centrosinistra governa da diciotto anni, e in cui il sindaco uscente conclude il mandato con un livello di popolarità superiore al 70 per cento, riuscire ad agguantare il ballottaggio sarebbe già una mezza vittoria.
Oltretutto in un quadro di flessione: secondo la rilevazione se si votasse oggi l’accoppiata Pdl-Lega perderebbe consensi rispetto alle regionali di un anno fa.
Con una differenza: il Carroccio tiene, passando dal 10,1 al 10,5 per cento; il Pdl arretra dal 21,8 al 20, scontando la fuoriuscita dei finiani e la nascita di Futuro e libertà .
Le speranze degli avversari di Fassino, a giudicare dai dati, sembrano però finire qui.
Secondo Termometro politico, in caso di ballottaggio tra l’ex leader dei Ds e Coppola, il primo la spunterebbe di slancio, raggiungendo il 64 per cento e intercettando buona parte dei voti assegnati al primo turno sia a Musy che a Bossuto.
Ininfluente, invece, l’apporto dei grillini, tentati dall’astensione in massa.
Proprio i grillini potrebbero bissare l’exploit delle regionali.
Il candidato sindaco Vittorio Bertola e il Movimento 5 stelle viaggiano intorno al 3,5 per cento, proprio come un anno fa, risultato che consentirebbe loro di entrare in Consiglio comunale a scapito della Federazione della sinistra.
Tra i partiti, rispetto alle regionali, crescono Pd, Sel e Moderati.
I democratici viaggiano al 28,5 per cento, i vendoliani e il movimento di Portas al 5,5.
In flessione l’Italia dei valori: dal 9,5 per cento del marzo scorso al 7 di oggi. La sfida del Nuovo Polo, invece, si ferma sotto la soglia del 10 per cento.
I centristi pescano in ugual misura tra gli ex elettori di Chiamparino e quelli di Buttiglione nel 2006, ma non sembrano poter essere determinanti, nemmeno in caso di secondo turno.
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Aprile 27th, 2011 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI RICCARDO MINARDO, AI DOMICILIARI E INDAGATO CON LA MOGLIE E ALTRE TRE PERSONE…L’INCHIESTA RUOTA INTORNO AL COPAI E ALL’ACQUISTO DI PALAZZI NOBILIARI… TANGENTE DI OLTRE 100.000 EURO ESTORTA AD AGRICOLTORI PER L’OTTENIMENTO DI FONDI PUBBLICI
Si sarebbe reso responsabile di una «gestione privatistica» di fondi pubblici e avrebbe falsificato documenti per accedere a erogazioni provenienti dallo Stato, dalla Regione siciliana e da altri enti pubblici.
Per questi motivi il deputato regionale siciliano del Mpa Riccardo Minardo, presidente della I commissione dell’Ars Affari istituzionali ed ex parlamentare nazionale di Forza Italia, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza, insieme ad altre quattro persone, nell’ambito di un’inchiesta su una presunta truffa legata a finanziamenti statali ed europei.
Le accuse nei suoi confronti sono di associazione per delinquere, truffa aggravata, malversazione ai danni dello Stato ed estorsione aggravata.
Oltre al politico di Modica, gli arresti domiciliari sono stati concessi anche agli altri quattro indagati: sua moglie, Giuseppa Zocco, il presidente del Consiglio di amministrazione del Copai, Rosaria Suizzo, il marito della donna Mario Barone, proprietario di alcune società , e Pietro Maienza, legale rappresentante di una di queste.
I cinque provvedimenti di custodia cautelare sono stati firmati dal Gip di Modica, Patricia Di Marco.
Secondo l’accusa di estorsione Minardo, in concorso con Giuseppe Ruta e Rosaria Suizzo, avrebbe costretto quattro imprenditori agricoli «attraverso la minaccia ed il paventato pericolo di decadere dal finanziamento per scadenza dei termini, nonchè di dover restituire le somme già percepite a titolo di acconto» a consegnare loro la somma di oltre centomila euro.
Minardo era stato incaricato dagli imprenditori agricoli di istruire le loro istanze per accedere ai fondi POR 2000-2006.
Con l’accusa di malversazione ai danni dello Stato, è indagata anche la figlia del politico, Serena Minardo.
Le indagini avrebbero consentito «di accertare l’esistenza di una realtà associativa criminosa composta dagli indagati, legati da un apparato organizzativo suscettibile di essere ripetutamente utilizzato per la commissione di un numero imprecisato di delitti e concretamente utilizzato in molteplici vicende».
Secondo la Gdf dalle indagini è emersa «la gestione privatistica del patrimonio del Copai, formato integralmente da fondi di provenienza pubblica, da parte degli indagati, tra i quali vi erano notevoli flussi finanziari all’apparenza privi di qualsiasi giustificazione».
Le indagini avrebbero riscontrato «il complesso meccanismo di frode gestito dagli indagati, anche mediante la creazione di falsi documenti: false fatture, falsi verbali di assemblea, false dichiarazioni di quietanza, e finalizzato a percepire indebitamente erogazioni provenienti dallo Stato, dalla Regione siciliana e da altri enti pubblici e a destinarli a finalità di personale arricchimento e comunque diverse da quelle previste, nonchè a percepire illecitamente da privati profitti non dovuti».
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Aprile 27th, 2011 Riccardo Fucile
IL SUO CRAC INIZIA PROPRIO QUANDO LE ELEZIONI LO SCALZANO DALLA SUA POLTRONA POLITICA…. FINCHE’ LA POLITICA LO HA COPERTO, HA POTUTO GODERE DI FIDI E DI PRESTITI BANCARI, APPENA PERSA LA CARICA LE BANCHE HANNO CHIUSO I RUBINETTI
Questa è la storia, riassunta e incompleta, di un imprenditore che tramite la politica aveva accresciuto la sua influenza, era diventato presidente della Provincia di Salerno in quota Margherita-Pd, ma ha visto lo stesso andare in difficoltà le sue aziende personali e familiari nel ramo della grande distribuzione organizzata e dei supermarket.
E subito dopo aver perso le elezioni ha fatto bancarotta ed è stato arrestato cinque volte in pochi mesi per un crac di dimensioni colossali, che sfiora i 200 milioni di euro.
L’imprenditore in questione, Angelo Villani, 55 anni, è stato arrestato cinque volte cinque.
Arresti decisi nell’ambito di altrettanti procedimenti penali nati dai fallimenti delle diverse società del suo gruppo.
Il numero potrebbe salire a sei, se la Cassazione confermerà una ordinanza del Riesame che ha ribaltato un diniego del Gip di Salerno relativo a un ulteriore fascicolo.
Ma cinque o sei, ha poca importanza. Ormai le inchieste del pm Vincenzo Senatore sono concluse e la parola passa ai giudici.
Villani è ai domiciliari ed in questi giorni ha affrontato una sfilza di udienze preliminari in cui è imputato di bancarotta fraudolenta.
C’è un’istanza per accorpare tutto in un unico processo: si deciderà tra pochi giorni.
Fino a un anno fa Villani era il signore della grande distribuzione alimentare nel salernitano.
Tramite la capogruppo Alvi spa e la costola SuperAlvi spa nel 2008 serviva e controllava circa 110 punti vendita tra Campania, Lazio, Basilicata, Calabria e Puglia attraverso due centri distributivi, a Fisciano e a Ferrandina.
Il bilancio consolidato del gruppo amministrato dal politico-imprenditore registrava 282 milioni di euro di ricavi netti di vendita, più quelli della sola Alvi che consistevano in circa 245 milioni.
Poi la disgrazia, politica e finanziaria: nella primavera 2009 Villani non viene riconfermato, sconfitto dal Pdl Edmondo Cirielli.
E sette mesi dopo vede fallire le sue aziende a una a una: il 16 dicembre fallisce l’Alvi, il 10 marzo successivo la Superalvi spa, il 29 marzo la Apolucani srl, il 15 aprile altre quattro società satellite del gruppo (Supermercati Calabresi srl, Sannio Discount srl, Iper Alvi srl, Casertana Discount srl), il 28 aprile l’ultima, la Ag Company srl.
La tempistica non sarebbe una coincidenza.
Lo scrive il Gip Gaetano Sgroia a pagina 79 dell’ultima ordinanza di arresto, spiccata ad aprile nell’ambito del procedimento sulla bancarotta della società capogruppo, una sorta di riassunto di tutte le inchieste: “La quasi contestualità dei due eventi (sconfitta elettorale e fallimento dell’Alvi spa) impone ulteriori verifiche atteso che il ruolo istituzionale di Villani potrebbe aver contribuito a sorreggere il coacervo di società della famiglia Villani, contribuendo a ritardare l’emersione della grave crisi che si è presentata repentinamente in tutta la sua grave drammaticità sia dal punto di vista economico che sociale”.
Il Gip usa il condizionale, ma per il sentire comune è una certezza.
Fin quando la politica lo ha ‘coperto’, e questo è riportato anche in alcuni passaggi degli atti giudiziari, Villani ha goduto di fidi e linee di credito che gli hanno consentito di prolungare la vita (e l’agonia) delle sue aziende.
Appena ha perso lo scranno di presidente della Provincia, le banche hanno chiuso i rubinetti.
A cominciare dalla Banca della Campania, che nell’agosto 2009 non ha pagato alcuni assegni infragruppo e ha fatto scattare l’allarme rosso tra il ceto bancario locale.
Fino al febbraio precedente, Villani era consigliere d’amministrazione di questa banca.
La vicenda salernitana, dimostra, dunque come politica e finanza non dovrebbero mai mescolarsi.
Visto che il crac Villani è ricaduto sulla collettività .
Solo per l’Alvi, hanno chiesto di essere ammessi al fallimento 1863 creditori (per ora 715 le domande ammesse), per una debitoria di quasi 145 milioni di euro.
E sono finiti in mezzo a una strada 58 dipendenti. Ma sono numeri assai parziali, perchè non tengono conto del personale, delle aziende creditrici e dei fornitori delle altre sette società satellite anch’esse fallite, e della scia di morte e distruzione economica che il disastro del gruppo Alvi ha prodotto: molti fornitori avevano in Alvi il loro unico cliente, e nell’attesa vana dei pagamenti sono falliti anch’essi.
La relazione del curatore fallimentare punta l’indice contro la “negativissima gestione della rotazione del magazzino delle merci” che ha fatto quasi raddoppiare il valore delle giacenze in due anni, da 60 a 110 milioni di euro. Gestione correlata ad un allungamento della durata delle scorte, salita a due mesi e mezzo mentre la media del settore è inferiore a un mese.
L’Alvi ha provato a scaricare i costi sui fornitori, imponendo pagamenti a oltre sei mesi, mentre la media è inferiore ai tre mesi.
Quando le banche tagliano i fidi, è la fine.
La merce scompare dagli scaffali dell’ingrosso, le società clienti lamentano la mancanza di tutto, e scappano pure i clienti al dettaglio.
Ma ovviamente c’è dell’altro dietro un crac di queste dimensioni.
E provano a spiegarlo le centinaia di faldoni di carte che occupano un’intera stanza di un ufficio del Nucleo Tributario della Guardia di Finanza di Salerno. I finanzieri, coordinati dal tenente colonnello Antonio Mancazzo, hanno steso una serie di informative in cui hanno segnalato distrazioni di beni, la scomparsa di intere settimane di incassi liquidi dei punti vendita, lo svuotamento lento ma costante di alcuni asset societari con lo scopo — secondo l’accusa — di sottrarre risorse a un fallimento imminente, lasciando i creditori in mutande.
Le fiamme gialle scovano il conto corrente numero 2302 della Banca della Campania dove Villani ha incassato 402mila euro “in assenza di qualsivoglia giustificazione”, e altri 60.000 euro sul conto 6310002.63 della filiale di Salerno del Monte dei Paschi di Siena.
Ed ancora, altri 20.000 euro sul conto corrente di un familiare. I parenti di Villani contribuiscono al dissesto.
Nella cassetta di sicurezza di un cognato a Mercato San Severino vengono rinvenuti 141.085 euro in contanti, provenienti da prelievi ingiustificati dai conti Alvi e Superalvi, e 22 orologi extralusso (tra cui 4 Cartier in oro e uno in acciaio, 2 Vacheron Costantin, 2 Rolex).
La sensazione è che si tratti solo di alcune fette di una pagnotta la cui lievitazione è tutta da scoprire.
Messa in forno da Villani e dai parenti più stretti: fratelli, sorelle, cognati, tutti con un ruolo preciso in una o più delle società del gruppo, tutti raggiunti da provvedimenti giudiziari.
L’inchiesta conta nel complesso 21 indagati, 9 dei quali arrestati. Un guazzabuglio.
Dove però una circostanza emerge chiara: il ruolo di dominus di Villani.
E’ lui la guida dell’Alvi, prima palese, poi occulta.
La comanda anche dopo le dimissioni formali da amministratore delegato dell’azienda, messe a verbale nel Cda del 22 febbraio 2006 “per i notevolissimi impegni assunti da Presidente della Provincia” (eletto nel 2004). Decine di testimoni confermano che era Villani il capo, era lui a stabilire le strategie e a convocare le riunioni.
Alle quali arrivava con l’auto blu della Provincia (la Procura infatti gli contesta il peculato).
La Finanza ha scoperto che anche dopo le dimissioni Villani per più di tre anni ha continuato a ricevere lo stipendio che percepiva da Ad: 15.628 euro netti al mese, reimpostati però come un co.co.co.
Che hanno reso Villani il precario più ricco d’Italia.
Anche questo dovrà spiegare davanti al giudice.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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