Aprile 22nd, 2011 Riccardo Fucile
LA QUINTA COLONNA DEL PDL ADEMPIE AL SUO COMPITO, SI SCHIERA CON LA MORATTI COSI’ QUALCHE ELETTORE DI FLI PUO’ PENSARE: “CHE VOTO A FARE FLI SE TANTO POI CONVERGE SULLA MORATTI? TANTO VALE VOTARLA SUBITO”… URSO INVITA I FUTURISTI A TURARSI IL NASO, MA QUANDO LA BASE FINIANA POTRA’ APRIRE LE ORECCHIE SENZA SENTIRE I SUOI QUOTIDIANI DISTINGUO?
La proposta lanciata da Adolfo Urso — votare, agli eventuali ballottaggi delle prossime amministrative, candidati del centrodestra — apre il dibattito tra i militanti di Futuro e Libertà .
Che affidano le loro reazioni al web, dalle pagine Facebook di Generazione Italia fino al sito de Il Futurista.
Sarcastico il commento del web magazine diretto da Filippo Rossi: “Ma sì, che c’è di male se un movimento nato in opposizione al modello politico e culturale berlusconiano poi fa vincere Berlusconi?”
E ancora: “Che c’è di strano se un partito che a dicembre ha votato la sfiducia al governo del Pdl e della Lega, qualche mese dopo si rimangia tutto?”.
Per concludere: “Turatevi il naso, dice l’onorevole. Sarebbe meglio di no. O sarebbe meglio, anzi sarebbe più coerente, “turarselo” per votare contro Silvio Berlusconi”.
Nel caso di ballottaggio, la posizione ufficiale del partito di Gianfranco Fini è lasciare libera scelta agli elettori.
E in rete la discussione tra i militanti si accende.
Si va da “Quando Urso e Ronchi se ne andranno da Fli sarà sempe troppo tardi”, fino a “Mai più rapporti con il Pdl” e “Pisapia e Pennacchi per tutta la vita”.
E c’è chi scrive direttamente a Urso: “Se Berlusconi stesso dice che il test avrà un valore politico, non lo si può ignorare. Una eventuale vittoria del Pdl vedrebbe Berlusconi ringalluzzito e ancora più pericoloso. E non si può fare finta di niente”.
Da parte nostra non siamo certo stupiti da questo atteggiamento di Urso e soci che denunciamo da tempo.
Ci limitiamo ad alcune brevi considerazioni.
1) Non è concepibile che una linea decisa a stragrande maggioranza venga quotidianamente contestata da pochi individui che “pretendono” modifiche “altrimenti se ne vanno”.
Col risultato di bloccare ogni tentativo di rinnovamento e dare vita a perenni mediazioni.
Creando confusione e smarrimento nell’elettorato e impedendo una crescita di consensi.
Capisco che sia il compito che è stato loro assegnato da Palazzo Grazioli e che se ne andranno solo nel momento in cui Berlusconi deciderà che sarà quella l’occasione in cui potranno creare il maggior danno a Futuro e Libertà , comprendo meno l’atteggiamento di Fini e Bocchino che non li accompagnano alla porta.
Ancora qualche mese di questo stillicidio di posizione variegate e di Fli rimarrà solo il simbolo.
2) In tutti i partiti è ammessa una minoranza interna, meno logico che si formi in un partito appena nato.
Fosse una divisione ideologica invece che una mera questione di poltrone, sarebbe almeno comprensibile.
Ma come, cacciano Fini dal Pdl, loro aderiscono al nuovo partito e poi vogliono una politica della mano tesa verso i suoi assassini seriali?
Ma perchè non se ne sono rimasti con Scilipoti, Cosentino, Brancher, puttanieri e zoccole varie?
Una minoranza è giusto che ponga delle questioni negli organismi interni preposti, meno che rilasci ogni giorno dichiarazioni pubbliche contro la linea del partito decisa dalla maggioranza.
Ma dove siamo? C’è più disciplina in una “comune” anarchica che in Fli.
3) Non solo: la presenza di questi “inviati speciali del cardinale” sta facendo sì che le polemiche interne si allarghino pure in periferia.
Chi vuole crearsi uno spazio aderisce magari alla corrrente di Urso, senza neanche capire dove vuole portarli, ma certamente moltiplicando le beghe locali.
Mentre ci si aspetterebbe compattezza e voce univoca da un partito appena creato su nuovi presupposti.
In conclusione, se qualcuno pensa di poter gestire un partito in queste condizioni sta facendo un grosso errore di valutazione.
Quando qualcuno, ancor prima di un eventuale ballottaggio a Milano, esce con la frase “con la sinistra mai, meglio la Moratti” ( dichiarazione che avrebbe avuto senso solo dopo il primo turno) sembra snobbare la lista del Terzo Polo a Milano.
Perchè non spendere una parola a favore del candidato sindaco di Fli, auspicando semmai che vada lui al ballottaggio con Pisapia?
Di fatto sembra un invito agli elettori di Fli di votare la Moratti già al primo turno: a nostro parere non solo così il messaggio viene recepito, ma in tal senso è stato anche pronunciato.
E le critiche alla lista Pennacchi a Latina da parte di Urso che altro sono, se non un invito a votare quella del Pdl?
Il disegno è chiaro, non a caso certe caselle ministeriali (Commercio Estero) non sono state ancora riempite perchè (parole del premier) “rimangono a disposizione di qualcuno che volesse rientrare”.
Ognuno tragga le conclusioni che crede, noi le idee le abbiamo chiare da tempo.
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Aprile 22nd, 2011 Riccardo Fucile
UNA VECCHIA DENUNCIA PER PERCOSSE CONTRO IL DEPUTATO PDL CHE VUOLE CAMBIARE LA COSTITUZIONE PER FAVORIRE BERLUSCONI…IL SUO REFERENTE E’ BONDI, AL QUALE FORNIVA PROSCIUTTI E SALAMI
Se fosse un film si intitolerebbe, “re per una notte con rapimento della Costituzione”.
Se fosse una commedia comica, “Arlecchino servo di due padroni”, Bondi prima, Berlusconi poi, entrambi in disgrazia.
Ma trattandosi ahimè di una tragedia nazionale senza fine, possiamo dire che la realtà . supera di gran lunga la finzione scenica.
Candidato all’oscar come attore protagonista, non protagonista e comparsa, Remigio Ceroni da Monterubbiano, provincia di Fermo, finita nelle mani del centrosinistra anche grazie al suo contributo di coordinatore regionale del Pdl che ha sostenuto sotto banco un candidato diverso da quello ufficiale.
L’uomo che vuole cambiare addirittura l’articolo 1 della Costituzione è stato denunciato dalla moglie per percosse.
Ambizioso, formalmente cortese con il sorriso che scatta ad ogni stretta di mano, è uno di quegli uomini generosi e cordiali con le donnine estasiate che girano attorno al politico di turno e molto meno con la moglie, che accompagnata al Pronto soccorso dalla sorella, ha riferito di essere stata percossa dal marito in casa.
Ecchimosi, contusioni, ematomi, escoriazioni su tutto il corpo con una prognosi di 20 giorni.
Ma questo è privato e nel Paese di Berlusconi, come ci spiegano le arringhe televisive delle sue fide ministre, quello che fa un politico fuori dal Parlamento non deve interessare a nessuno, magistrati per primi ovviamente che debbono togliersi quel maledetto vizio di perseguire i reati.
Titolare del record di presenze “indolori” a Montecitorio, ha compiuto 56 anni ieri. Quattro figli, un passato da democristiano, ha fondato Fi nelle Marche.
Un mese fa è rimasto orfano del suo padrino politico, Sandro Bondi, finito sotto le macerie di Pompei. E da allora solo notti insonni trascorse a pensare cosa fare per potersi garantire una ricandidatura al Parlamento continuando a fare il sindaco di Rapagnano piccolo paese del fermano dove anche l’aria che si respira sa del fondatore di Fi nelle Marche.
Eh sì in paese non c’è una persona che abbia chiesto qualcosa bussando alla porta di Ceroni senza averla ottenuta, tant’è che la sua rielezione per ben tre volte – quella che verrà sarà la quarta- come si addice ai dittatori sudamericani, è avvenuta con percentuali bulgare.
Pensa che ti ripensa alla fine dal cilindro è uscita una soluzione geniale: presento una proposta di legge per modificare così l’art. 1 della Costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e sulla centralità . del Parlamento quale titolare supremo della rappresentanza politica della volontà . popolare espressa mediante procedimento elettorale”.
Tradotto: l’obiettivo è spiazzare via in un colpo solo quelli del presidente della Repubblica e della Corte costituzionale, le due istituzioni che stanno impedendo alla diga Berlusconi di rompere gli argini dello Stato di diritto con buona pace della magistratura.
E voglio vedere se il Principe non me ne renderà merito, si sarà detto Ceroni sfregandosi le mani forte di quella furbizia contadina marchigiana che ha respirato fin da piccolo e che gli ha insegnato ad ingraziarsi il padrone portando in dono alle feste comandate capponi e uova fresche.
Doni che la modernità . e la luccicante carriera politica ha magari trasformato in scarpe (il distretto calzaturiero da cui proviene è il più grande d’Italia e uno dei più grandi d’ Europa), prosciutti e salami, vere tipicità del territorio da porgere a capo chino al suo protettore, Sandro Bondi.
Attenzioni che l’ex ministro ricambiava rispondendo prontamente alle chiamate di Ceroni per ogni inaugurazione possibile dal piccolo teatro di Rapagnano al Conservatorio di Fermo, fino al sostegno della sua candidatura.
E per un politico locale portare in pellegrinaggio un leader nazionale, meglio se ministro, equivale a una tacca sulla cintura da ostentare con fierezza al bar del paese il che creava una bella partita di giro: Ceroni metteva la compagnia e i sorrisi delle sue tante amiche, e Bondi portava il suo potere.
Un bel movimento di dare avere spezzatosi all’improvviso, lasciando un Ceroni che si squagliava al primo sole di primavera.
Così Ceroni il giorno dopo la grande trovata, vestendo i panni di chi è destinato a restare nella storia ha definito la sua proposta “rivoluzionaria”.
Spiegando che “non è un mistero che oggi in Italia i poteri del Parlamento e del governo sono debolissimi e tenuti sotto scacco della magistratura e della Corte costituzionale…”.
Aggiungendo con tono che tracimava di orgoglio: “la mia proposta è stata commentata da Bersani”.
Per lui, abituato a varcare la soglia della Camera nel più buio anonimato, deve
essere stato comprensibilmente come essere “nominato” ad Arcore.
Poi giura che è tutta farina del suo sacco: “è stata una mia iniziativa personale. Non ne ho parlato con Berlusconi”.
Il premier tace. Ma che Berlusconi faccia uso di ceroni non è una novità ..
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 22nd, 2011 Riccardo Fucile
UNA VOLTA FACEVANO VOTARE AI CITTADINI I REFERENDUM E POI NON NE RISPETTAVANO L’ESITO, ORA SIAMO ADDIRITTURA ARRIVATI A NEGARE PERSINO IL DIRITTO A ESPRIMERSI… SOLO PER EVITARE CHE IL QUESITO SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO POSSA RAGGIUNGERE IL QUORUM: CHE BEL POPOLO DELLA LIBERTA’
Ogni giorno ha la sua pena istituzionale.
Davvero preoccupante è l’ultima trovata del governo: la fuga dai referendum. Mercoledì si è voluto cancellare quello sul nucleare.
Ora si vuole fare lo stesso con i due quesiti che riguardano la privatizzazione dell’acqua.
Le torsioni dell’ordinamento giuridico non finiscono mai, ed hanno sempre la stessa origine.
È del tutto evidente la finalità strumentale dell’emendamento approvato dal Senato con il quale si vuole far cadere il referendum sul nucleare.
Timoroso dell'”effetto Fukushima”, che avrebbe indotto al voto un numero di cittadini sufficiente per raggiungere il quorum, il governo ha fatto approvare una modifica legislativa per azzerare quel referendum nella speranza che a questo punto non vi sarebbe stato il quorum per il temutissimo referendum sul legittimo impedimento e per gli scomodi referendum sull’acqua.
Una volta di più si è usata disinvoltamente la legge per mettere il presidente del Consiglio al riparo dai rischi della democrazia.
Una ennesima contraddizione, un segno ulteriore dell’irrompere continuo della logica ad personam.
L’uomo che ogni giorno invoca l’investitura popolare, come fonte di una sua indiscutibile legittimazione, fugge di fronte ad un voto dei cittadini.
Ma, fatta questa mossa, evidentemente gli strateghi della decostituzionalizzazione permanente devono essersi resi conto che i referendum sull’acqua hanno una autonoma e forte capacità di mobilitazione. Fanno appello a un dato di vita materiale, individuano bisogni, evocano il grande tema dei beni comuni, hanno già avuto un consenso senza precedenti nella storia della Repubblica, visto che quelle due richieste di referendum sono state firmate da 2 milioni di cittadini, senza alcun sostegno di grandi organizzazioni, senza visibilità nel sistema dei media.
Pur in assenza del referendum sul nucleare, si devono esser detti i solerti curatori del benessere del presidente del Consiglio, rimane il rischio che il tema dell’acqua porti comunque i cittadini alle urne, renda possibile il raggiungimento del quorum e, quindi, trascini al successo anche il referendum sul legittimo impedimento.
Per correre questo rischio?
Via, allora, al bis dell’abrogazione, anche se così si fa sempre più sfacciata la manipolazione di un istituto chiave della nostra democrazia.
Caduti i referendum sul nucleare e sull’acqua, con le loro immediate visibili motivazioni, e ridotta la consultazione solo a quello sul legittimo impedimento, si spera che diminuisca la spinta al voto e Berlusconi sia salvo.
Quest’ultimo espediente ci dice quale prezzo si stia pagando per la salvezza di una persona.
Travolto in più di un caso il fondamentale principio di eguaglianza, ora si vogliono espropriare i cittadini di un essenziale strumento di controllo, della loro funzione di “legislatore negativo”.
L’aggressione alle istituzioni prosegue inarrestabile.
Ridotto il Parlamento a ruolo di passacarte dei provvedimenti del governo, sotto tiro il Presidente della Repubblica, vilipesa la Corte costituzionale, ora è il turno del referendum.
Forse la traballante maggioranza ha un timore e una motivazione che va oltre la stessa obbligata difesa di Berlusconi.
Può darsi che qualcuno abbia memoria del 1974, di quel voto sul referendum sul divorzio che mise in discussione equilibri politici che sembravano solidissimi.
E allora la maggioranza vuole blindarsi contro questo ulteriore rischio, contro la possibilità che i cittadini, prendendo direttamente la parola, sconfessino il governo e accelerino la dissoluzione della maggioranza.
È resistibile questa strategia?
In attesa di conoscere i dettagli tecnici riguardanti i quesiti referendari sull’acqua è bene tornare per un momento sull’emendamento con il quale si è voluto cancellare il referendum sul nucleare.
Questo è congegnato nel modo seguente: le parti dell’emendamento che prevedono l’abrogazione delle norme oggetto del quesito referendario, sono incastonate tra due commi con i quali il governo si riserva di tornare sulla questione, una volta acquisite “nuove evidenze scientifiche mediante il supporto dell’agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza, tenendo conto dello sviluppo tecnologico e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea”.
E lo farà entro dodici mesi adottando una “Strategia energetica nazionale”, per la quale furbescamente non si nomina, ma neppure si esclude, il ricorso al nucleare.
Si è giustamente ricordato che, fin dal 1978, la Corte costituzionale ha detto con chiarezza che, modificando le norme sottoposte a referendum, al Parlamento non è permesso di frustrare “gli intendimenti dei promotori e dei sottoscrittori delle richieste di referendum” e che il referendum non si tiene solo se sono stati del tutto abbandonati “i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente”.
Si può ragionevolmente dubitare che, vista la formulazione dell’emendamento sul nucleare, questo sia avvenuto.
E questo precedente induce ad essere sospettosi sulla soluzione che sarà adottata per l’acqua.
Di questo dovrà occuparsi l’ufficio centrale del referendum che, qualora accerti quella che sembra essere una vera frode del legislatore, trasferirà il referendum sulle nuove norme.
La partita, dunque, non è chiusa.
Da questa vicenda può essere tratta una non indifferente morale politica. Alcuni esponenti dell’opposizione avrebbero dovuto manifestare maggiore sobrietà in occasione dell’approvazione dell’emendamento sul nucleare, senza abbandonarsi a grida di vittoria che assomigliano assai a un respiro di sollievo per essere stati liberati dall’obbligo di parlar chiaro su un tema così impegnativo e davvero determinante per il futuro dell’umanità .
Dubito che questa sarebbe la reazione dei promotori del referendum sull’acqua qualora si seguisse la stessa strada.
Ma proprio l’aggressione al referendum e ai diritti dei cittadini promotori e votanti, la spregiudicata manipolazione degli istituti costituzionali fanno nascere per l’opposizione un vero e proprio obbligo.
Agire attivamente, mobilitarsi perchè il quorum sia raggiunto, si voti su uno, due, tre o quattro quesiti.
Si tratta di difendere il diritto dei cittadini a far sentire la loro voce, quale che sia l’opinione di ciascuno.
Altrimenti, dovremo malinconicamente registrare l’ennesimo scarto tra parole e comportamenti, che certo non ha giovato alla credibilità delle istituzioni.
Stefano Rodot�
costituzionalista
(da “La Repubblica“)
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Aprile 22nd, 2011 Riccardo Fucile
L’EX DEPUTATO IDV CON DECRETO INGIUNTIVO, GINECOLOGO E AGOPUNTURISTA, TEME AGGRESSIONI FISICHE E HA LA SCORTA…DICE DI AVER RIFIUTATO UNA POLTRONA DA SOTTOSEGRETARIO, IN REALTA’ DESTINATA AD ALTRI… “C’E’ UN CLIMA DI ODIO VERSO DI ME”
È risuccesso.
Il deputato Scilipoti passava davanti a Palazzo Chigi, quando una signora sui 45 gli ha strillato: «Vergognati di quello che hai fatto, ha ragione Bersani!».
Scilipoti la signora non saprebbe nemmeno descriverla, ma se l’è presa con Bersani, che mercoledì aveva suggerito di cambiare così la Costituzione, un solo articolo: «La Repubblica è basata su Scilipoti».
«Bersani ha scatenato un clima di odio nei miei confronti», dice il deputato Scilipoti.
Le parole di Bersani possono istigare violenza? «Certo, comincio ad avere paura di aggressioni fisiche. Ma Bersani non è il solo. Mi ha attaccato Veltroni, Fini per primo parlò di un governo Berlusconi-Scilipoti e poi la Bindi, vicepresidente della Camera, non mi difese mentre in aula mi gridavano munnizza».
Domenico «Mimmo» Scilipoti, classe 1957, è quel deputato di Terme Vigliatore, provincia di Messina, che il 14 dicembre abbandonò l’Italia dei Valori di Di Pietro e con altri ha salvato il governo Berlusconi.
Medico specializzato in ginecologia, e anche agopuntore.
È uno dei «Responsabili», così chiamati per il sostegno al governo.
Poichè proviene da un partito ultrà contro Berlusconi, poichè ha un fisico compatto e mobile, Scilipoti è subito scattato dall’anonimato alla fama, sia pur quella del traditore.
Bambolotto puntaspilli dell’antiberlusconismo.
La sua vita, da quel 14 dicembre, non è mai monotona.
«Stazione di Padova, un tizio mi affianca e cerca la reazione. Grida: “Venduto”, “Come fai a uscire di casa?”.
In un bar di Roma, vicino a Termini, il barista mi vede e dice: “Mafioso”.
Per strada, mi maledicono.
E poi email, sms, telefonate: “Meriti di avere la testa mozzata come i samurai rinnegati”
. In una tv di Padova, chiama un ascoltatore: “Ti devono sparare alle spalle”.
E c’è un video in rete: “Come uccidere Scilipoti”.
Colpa dell’opposizione? «Molti ormai scambiano la Camera per uno stadio e il presidente non interviene e la vicepresidente neanche. Mi hanno disegnato addosso un bersaglio grosso così. A questo punto io temo che qualche squilibrato provochi danni irreversibili. Ma Scilipoti ha la colpa di tutti i mali del mondo? In realtà , Scilipoti ha fatto una scelta che contribuisce a risolvere i problemi del Paese».
È scortato, Scilipoti? «Ho una tutela, ma solo nel Lazio e in Sicilia».
Scilipoti è talmente uscito dalla pelle del «deputato ignoto», che ieri, prima dell’incontro con la signora davanti a Palazzo Chigi, è rimasto 50 minuti a Palazzo Grazioli, con Berlusconi.
In dono, ha portato un libro sulla medicina biologica e integrativa e dopo, assediato dai cronisti, ha raccontato di aver trovato il premier sereno, ottimista sulle Amministrative, convinto che «tutte le cose più importanti vanno concordate con l’opposizione: concetto che ha ribadito più volte».
Ma Scilipoti sarà presto sottosegretario? «Ho avuto l’offerta tempo fa, e dissi no. Per questa legislatura. Nella prossima, si vedrà …».
In realtà il gruppetto che rappresenta aveva già indicato un altro nome, quello di Calearo.
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Aprile 22nd, 2011 Riccardo Fucile
COME AVEVAMO PREVISTO: L’AUTORE DEL MANIFESTO “FUORI LE BR DALLE PROCURE” DOPO AVER SCRITTO A NAPOLITANO CHE SI SAREBBE RITIRATO DALLA LISTA PDL DELLA MORATTI, HA GIA’ CAMBIATO IDEA… ORA E’ CHIARO CHI E’ IL MANDANTE DEL KILLERAGGIO E CHI SONO I SUOI COMPLICI
“Io voto Moratti e Lassini” è lo slogan della campagna con cui il Giornale dei Berlusconi invita il Pdl a ricompattarsi in vista delle comunali, dopo il bisticcio fra sindaco e vertici del partito sui poster “via le Br dalle Procure”.
Ma soprattutto è lo stesso Roberto Lassini, a “Porta a porta”, a rivelare di aver ricevuto una telefonata da Silvio Berlusconi nella quale il premier gli ha espresso la sua solidarietà .
Una cosa ripugnante: un presidente del Consiglio che solidarizza con un diffamatore e un istigatore all’odio verso la magistratura.
Attorno al 45enne avvocato di Turbigo, indagato per vilipendio per la campagna di affissioni anti-toghe e candidato per il Pdl, si sta insomma creando un vero e proprio movimento, che ora gode della benedizione del presidente del Consiglio in prima persona.
Il “partito Lassini”, nato all’ombra del silenzio del premier sul caso, ha fra gli attivisti Daniela Santanchè, che Lassini lo ha anche invitato a casa, e Tiziana Maiolo, anti-giudici da sempre e nemica della Moratti.
Ha l’appoggio del parlamentare Giorgio Stracquadanio, che si tiene un passo indietro, e conta su agguerriti consiglieri di zona che corrono a iscriversi alla ‘Associazione dalla parte della democrazia’ che Lassini presiede.
Tutti pronti ad aiutare l’uomo che ha paragonato i magistrati ai brigatisti.
Il movimento è pronto a dirottare l’attesa valanga di preferenze su Lassini e sul capolista Silvio Berlusconi che, peraltro, parlando di “brigatismo giudiziario” ha ispirato i manifesti che hanno indignato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il sindaco Letizia Moratti, che si dichiara “incompatibile con Lassini”, ha tentato la pace con il coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani, padrino politico di Lassini e pontiere fra il partito e il movimento anti-giudici.
È lui che arringa la folla dei manifestanti pro-Silvio che si raduna a palazzo di giustizia a ogni udienza di processi in cui sia indagato il premier.
In 20 minuti di faccia a faccia Mantovani ha assicurato che Lassini, qualora dovesse essere comunque eletto, non metterà piede in consiglio comunale.
Ma dopo un’ora l’interessato ha chiarito: “Non dico se rinuncerò o meno, si rispetterà la volontà dei milanesi”.
Più chiara ancora la Maiolo: “Lasciare dopo l’elezione è assurdo”.
La Santanchè ripete che lei sta “con Lassini contro i giudici politicizzati”.
A Stracquadanio toccherà il compito di mettere in pratica, assieme alla parlamentare pdl Paola Frassinetti, l’ultima delle promesse fatte dal partito alla Moratti: provare fino all’ultimo a sfilare il candidato dalla lista.
Oggi i due, in qualità di fiduciari e garanti delle 1.400 firme che accompagnano la lista, chiederanno agli uffici elettorali un’ultima verifica sulla possibilità di ritirare la candidatura.
Ma sanno tutti che è solo una sceneggiata, in quanto è impossibile, sono fuori tempo massimo.
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Aprile 22nd, 2011 Riccardo Fucile
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Un’azienda di imballaggi a Fidenza, provincia di Parma.
Una cooperativa di giardinaggio a Messina, e poi una merceria e una agenzia di viaggi.
Sono, elenco telefonico alla mano, alcune delle sedi di “Pdl — al servizio degli italiani”, l’ultima arma politica inventata dal ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla.
Dopo i circoli e i promotori della libertà , sabato scorso di fronte alla platea dell’Eur il “cane da polpaccio” del premier, come lui la definì, ha presentato le prime mille sedi.
Una via di mezzo tra Caf e patronati, una serie di sportelli destinati, nelle parole del ministro, a “gestire gratuitamente i servizi sociali a favore dei cittadini, al posto di una burocrazia costosa e ritardataria. Intendiamo rafforzare ancora di più — ha detto — il legame che ci unisce ai cittadini e alle famiglie. Sulla strada del radicamento del Popolo della libertà nell’intero territorio nazionale”.
Nella povertà del dopoguerra napoletano Achille Lauro divenne sindaco donando la scarpa sinistra prima delle elezioni e promettendo la destra a conti fatti.
Cinquant’anni dopo la campagna del presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo è passata anche attraverso i patronati del lavoro di Catania che esponevano i simboli del futuro governatore (e perchè no — come documentò Exit — consegnavano le buste della spesa ai bisognosi). Nell’epoca delle iniziative movimentiste targate Pdl, il ministro del Turismo ha cercato di unire il populismo del primo e la sostanza del secondo.
Per l’occasione ha usato toni altisonanti: “Pdl — al servizio degli italiani rappresenta nei fatti una vera e propria rivoluzione liberale. È l’attuazione concreta del principio di sussidiarietà previsto dalla Costituzione”.
Ma le cose non stanno esattamente così.
Innanzitutto le sedi: Brambilla ne aveva promesse mille il primo marzo, più o meno quante ne hanno Cgil e Cisl, per intendersi.
Alla fine ne ha presentata persino qualcuna in più.
Secondo il sito dell’iniziativa, un successo dovuto alla grande mole di partecipazione popolare: una rete di professionisti animata dalla volontà di fare del bene alla collettività .
Ma non c’è solo quello: tra le sedi dei servizi risultano, infatti, anche società che con l’erogazione dei servizi non hanno niente a che fare: oltre alla merceria e alla cooperativa di giardinaggio, ad esempio, anche un grossista di abbigliamento in provincia di Perugia e una ditta di poste private.
In realtà , poi, molte delle sedi esistevano e operavano prima dell’avvento dell’iniziativa: fanno riferimento ad un’altra rete, i Centri di assistenza fiscale della ConfLavoratori, Caf con sede a Palmi (Rc) gestita da Giuseppe Carbone, segretario nazionale di ConfLavoratori, sindacato a dire il vero assai misconosciuto.
Basta incrociare le sedi dell’una e dell’altro per vedere che la sovrapposizione è pressochè completa.
Diversamente del resto non potrebbe essere, visto che Carbone è consigliere d’amministrazione di “Al servizio degli italiani Srl — in breve Asdi”.
Dal canto suo Brambilla non compare in nessuna dicitura legale dell’Asdi Srl. È, invece, solo presidente della associazione che fa capo, senza alcun mandato esecutivo.
In compenso, assieme a Carbone in cda siedono la cugina acquisita del ministro, Renata Pizzamiglio, e la sua portavoce, Laura Colombo.
A completare la squadra ci sono poi l’amministratore di ConfLavoratori, Domenica Bagalà e la deputata Mariarosaria Rossi, quella che nelle carte del caso Ruby viene intercettata mentre dice a Emilio Fede: “Ah che palle che sei, due amiche, quindi bunga bunga, due de mattina, io ve saluto eh?!”.
Di Carbone, invece, si sa che è tra i fondatori del Club della Libertà a Palmi insieme a Bagalà e che nel 2009 gli fu sequestrato un complesso abitativo di circa 4 mila metri quadrati costruito abusivamente — dice la procura — e per giunta in zona sismica.
Ma torniamo ai Caf.
Qui si svela il secondo bluff della “rivoluzione liberale” prospettata dal ministro Brambilla.
Con buona pace della sbandierata sussidiarietà , i servizi erogati li pagava e li pagherà proprio lo stato, leggi i contribuenti.
Esattamente come accade con tutti gli altri Caf, a prestazione erogata corrisponde rimborso: 16,03 euro per un 730, 13 euro mediamente per un Isee, 8 per un Red.
Tutti servizi che sulla carta il Pdl propone di offrire.
E per giunta su larga scala.
Tanto per dare un’idea, Cgil e Cisl, i due più grandi fornitori di servizi fiscali, veleggiano sui 5/6 milioni di pratiche all’anno.
Nel caso della Cgil, i 730 da soli sono circa tre milioni all’anno, vale a dire circa 50 milioni di euro.
I due sindacati maggiori non sembrano preoccupati della concorrenza. “Parliamo di cose serie — obietta il presidente dei Caf Cisl, Valeriano Canepari — per offrire un servizio bisogna anche essere in grado di svolgerlo. Non è solo questione di quanti sportelli hai, ma di professionalità , tempo; per gestire una rete di questo tipo bisogna essere precisi come degli orologi”.
Senza contare, specifica Canepari, che i rimborsi tardano molto ad arrivare, in media almeno un anno.
L’obiezione è pertinente: come fa una struttura organizzata in quattro e quattr’otto ad offrire un servizio all’altezza della mirabolante offerta?
Vale la pena di sottolineare però che un successo dell’iniziativa converrebbe economicamente a tutti i soci.
Difficile spiegare in altro modo la partecipazione di Francesco Casaburo al meeting romano dello scorso sabato.
La sua presenza — scoperta dal sito napolimetropoli.it   — ha destato la curiosità dei giornali.
Perchè Casaburo è il capogruppo del Pd a Caivano, comune dell’hinterland napoletano.
Che ci faceva a Roma con il ministro Brambilla, si è chiesto il Corriere del Mezzogiorno?
Lui ha risposto: “Ero lì per lavoro”, seccato di doversi giustificare con il suo partito e “pronto a lasciare di fronte all’imbarazzo” democratico.
Le voci si sono subito diffuse: “Casaburo lascia”, “Casaburo va con il Pdl”. Sarà , ma la realtà è che Casaburo non ha mentito, e che la politica per una volta non c’entra niente, visto che di Giuseppe Carbone è socio per davvero: consigliere di Caf Conflavoratori.
Il denaro, del resto, è bipartisan per natura.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 22nd, 2011 Riccardo Fucile
“LE LEGGI INUTILI INDEBOLISCONO QUELLE NECESSARIE” DICEVA MONTESQUIEU… L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA DEMOCRATICA FONDATA SUL POPOLO DELLE LIBERTA’…LA PROPOSTA CERONI E’ FIGLIA DI UN CLIMA CHE NEGA IL VALORE STESSO DELLE REGOLE
Potremmo iscrivere alla fiera dell’ovvio la proposta dell’onorevole Ceroni, benchè il Palazzo l’abbia salutata con fragore.
Potremmo gettare nel cestino dei farmaci scaduti quest’ultima iniezione ri-costituente.
A che serve infatti dichiarare – già nel primo articolo della nostra Carta – che il Parlamento è l’organo centrale del sistema, che per suo tramite s’esprime la volontà del popolo, che il popolo a sua volta designa deputati e senatori attraverso un rito elettorale?
Magari può servire a ricordarci che in quel posto lì ci si va per elezione, non per cooptazione, non per nomina d’un signorotto di partito, come c’è scritto nel «Porcellum».
Ma tutto il resto è già nero su bianco nella Costituzione: articoli 55 e seguenti. Basta sfogliarne qualche pagina, dopotutto non è una gran fatica.
Le leggi inutili, diceva Montesquieu, indeboliscono quelle necessarie.
E infatti almeno un quarto del tempo speso dai costituenti nel 1947 fu dedicato a interrogarsi su quanto avesse titolo per entrare nella Carta, allo scopo di non sottrarle dignità e prestigio.
Scrupoli d’altri tempi, diremmo col senno di poi.
D’altronde, proprio l’articolo 1, con questa folla di chirurghi plastici che sgomita attorno al suo capezzale, ne è la prova più eloquente.
C’è per esempio la proposta – avanzata a turno da Segni e da Brunetta, dai radicali, dallo stesso Berlusconi – d’espellere il lavoro dai fondamenti della nostra convivenza. Parola comunista, dicono: meglio libertà .
Anche se la libertà già alberga, come noce nel mallo, nella democrazia evocata dall’articolo 1.
Non importa, costruiremo una democrazia al quadrato.
E poi, libertà di chi? Del popolo, ovviamente. Sicchè potremmo scrivere così: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul Popolo della libertà ».
Il guaio è che proprio questa parrebbe l’intenzione di Ceroni, nonchè dei molti che annuiscono in silenzio.
Se non il testo, stavolta fa fede il contesto.
Ossia la relazione che accompagna la proposta, dove s’alza il tiro contro gli organi di garanzia costituzionale, a partire dal capo dello Stato.
Dove si denunciano abusi e prepotenze a scapito della «centralità parlamentare» (a proposito, ma non fu uno slogan degli anni Settanta, i nostri anni più rossi? Si vede che i politici sono diventati un po’ daltonici).
Dove infine si disegna un modello di democrazia plebiscitaria.
Conviene allora dirlo con chiarezza: così usciremmo fuori dalla Costituzione. Non solo da quella italiana, ma da qualunque altra.
Come scrissero i rivoluzionari del 1789, se una società non regola la separazione dei poteri, non ha una Costituzione.
Eppure è esattamente questo che ci sta succedendo.
La proposta Ceroni è figlia d’un clima che nega il valore stesso delle regole, perchè l’unica regola vigente è quella che ciascuno sagoma attorno al suo pancione, come una cintura.
Non a caso la parola più abusata è «eversione», e infatti ieri è risuonata mille volte.
Nel frattempo sulla Consulta piovono conflitti come rane (l’ultimo è sempre di ieri). Servirebbe una tregua, una vacanza, un giorno di riposo.
Ma intanto ci servirà l’ombrello.
Michele Ainis
docente univ., costituzionalista
(da “Il Corriere della Sera”)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, emergenza, governo, Parlamento, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Aprile 22nd, 2011 Riccardo Fucile
LA LEGA HA VOLUTO UN SUO UOMO COME CANDIDATO SINDACO DEL CENTRODESTRA, MA LA FORZATURA NON PAGA: OGNUNO PENSA PER SE’, SARA’ UNA SCONFITTA…CHE HANNO IN COMUNE BERSELLI E BERNARDINI, IL RACCOMANDATO DI RENZO BOSSI?
La convivenza tra Lega e Pdl bolognesi si preannuncia difficile.
Davanti ai fotografi o intorno a tavole imbandite il clima sembra sereno.
Ma poi, tra battute, lapsus e frecciatine l’imbarazzo diventa difficile da nascondere.
Il senatore Pdl Filippo Berselli però ci prova: “Le polemiche appartengono al passato recente. Oggi il nostro uomo è Manes Bernardini, e lo sosterremo come se fosse un candidato scelto in comune”.
Ma aggiunge anche: “Sarà difficile vincere a Bologna. Non siamo a Milano dove sarà facile passare al primo turno, questa città ha un’altra storia”.
E la battuta sui tortellini? Il giovane Manes che dice “se Berlusconi vuole passare dalla città delle Due Torri un piatto di tortellini non si nega a nessuno?”.
Berselli non la prende a ridere. “Una battuta poco riuscita. Ma pur sempre una frase di spirito. Di certo se Berlusconi verrà a Bologna non sarà per i tortellini di Manes”.
Ma la tensione rimane, ed era già emersa alla cena elettorale di sabato sera a sostegno di Michele Facci, candidato al consiglio per il Pdl, per il quale si è scomodato anche Gianni Alemanno, ospite d’onore della serata.
“Sono qui per due motivi: per salutare l’amico e collega Gianni Alemanno, e per sostenere Michele Facci”, ha esordito Berselli davanti a una platea di circa 500 persone.
Una gaffe capace di far infuriare Bernardini, che durante tutto il corso della serata non ha smesso di lanciare frecciatine al senatore: “Caro Berselli, ti sei dimenticato di dire il terzo motivo per cui sei qui, cioè sostenere il candidato sindaco di Pdl e Lega, che sarei io”.
Via. Scroscio di applausi.
Domenica poi ci si è messa anche la puntata di Report, che non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco.
Davanti al giornalista Alberto Nerazzini, autore dell’inchiesta, Berselli si è mostrato decisamente scettico verso una possibile candidatura della Lega “che ha solo l’8 per cento dei voti”.
Il Pd, come prevedibile, va a nozze: “L’eventuale discesa a Bologna di Berlusconi sancirà ufficialmente la sconfitta di tutti quei dirigenti Pdl che non hanno mai creduto in una vittoria leghista a Bologna.
“Come lo stesso Berselli ha annunciato a Report”, ha dichiarato ieri in una nota Pietro Aceto, coordinatore dell’Agorà del Pd bolognese. “Fa bene il coordinatore regionale del partito di Berlusconi a preoccuparsi dell’eventuale splitting, non solo degli elettori della destra, ma anche dei dirigenti locali del suo partito”.
Del resto è noto che Bernardini è un nome arrivato da Roma, dal ministro dell’Interno Maroni che ha assecondato le voglie del giovane (ma potente) figlio di Umberto Bossi, Renzo-Trota, che da mesi andava dicendo di voler padanizzare Bologna.
Tutto questo è accaduto (annuncio della candidatura compresa) mentre la destra bolognese, e soprattutto Berselli, non nascondevano di preferire un eventuale appoggio al civico Aldrovandi.
Ma il senatore, veterano della politica, taglia corto sulla questione, e la relega al passato. “I contrasti ci sono stati, ma si sono spenti una volta scelto il candidato, che è Manes Bernardini”, spiega al telefono.
”Il nostro simbolo parla chiaro”. Berlusconi per Bernardini.
Sarà , ma per ora che la convivenza non si preannuncia facile è dimostrata dai fatti.
E la campagna elettorale tra poco è agli sgoccioli.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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